Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 21 novembre 2017, n. 27669. A fronte di una domanda del lavoratore che chieda al datore il risarcimento dei danni connessi all’espletamento dell’attivita’ lavorativa

[….segue pagina antecedente]

Avverso l’anzidetta pronuncia ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) S.p.A. con atto della 3 e 4 settembre 2012 affidato a CINQUE motivi, cui ha resistito (OMISSIS) mediante controricorso notificato il 3 ottobre 2012, in seguito illustrato da memorie ex articolo 378 c.p.c..
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo la ricorrente ha denunciato violazione e falsa applicazione dell’articolo 421 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3 stesso codice, riguardo all’assunzione del teste (OMISSIS), disposta di ufficio dal giudice.
Con il secondo motivo e’ stata lamentata la violazione o falsa applicazione degli articoli 1218, 2087 e 2697 c.c.. In base alle acquisite emergenze processuali, la societa’ convenuta ha sostenuto di aver dimostrato la sua totale mancanza di responsabilita’ nella causazione del sinistro, avendo pienamente adempiuto all’obbligazione incombente sulla stessa ai sensi del citato articolo 2087, norma per la quale vi era stata un’evidente forzatura interpretativa da parte del giudice di merito circa l’onere probatorio, poiche’ non erano stati considerati gli standard normali di sicurezza applicati in casi analoghi e neppure la quantificazione della misura della diligenza ritenuta esigibile, dovendo aversi riguardo agli standard medi di sicurezza, normalmente suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche.
Con il terzo motivo di ricorso, la societa’ si e’ doluta della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, non avendo la Corte territoriale spiegato assolutamente in modo convincente la ragione della mancanza di prova liberatoria. Inoltre, vi era contraddittorieta’ della decisione, laddove da un lato si era dato atto che le misure di sicurezza strutturali del mezzo competevano al costruttore, perche’ le case costruttrici continuavano a produrre mezzi senza ulteriori protezioni, mentre d’altro canto vi sarebbero stati altre protezioni prospettate dagli ispettori del lavoro nel verbale di accertamento, ma di non semplice realizzazione, che potevano essere trovate dagli stessi ideatori della struttura.
Con il quarto motivo e’ stata denunciata omessa ed insufficiente motivazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5. Infatti, quanto alla prospettata ingiustificata duplicazione del danno biologico, la Corte territoriale si era limitata ad ipotizzare una poca chiarezza sul punto della sentenza di 1 grado. Non si poteva trattare, pero’, di errore materiale relativamente ad un inciso poco chiaro della sentenza appellata, ma di un errore nella sostanza delle operazioni di quantificazione del danno. Inoltre, circa l’ulteriore somma di 6330,00 Euro, la legittimita’ della stessa non risultava spiegata, tenuto conto che la societa’ aveva espressamente censurato l’ingiustificato gonfiamento della somma liquidata e quindi anche del dato, che la Corte di appello aveva ritenuto erroneamente non contestato.
Con il quinto motivo, infine, la ricorrente ha denunciato la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1124 del 1965, articolo 10, del Decreto Legislativo n. 38 del 2000, articolo 13 nonche’ vizio della motivazione. Il danno differenziale riconoscibile doveva comprendere sia quello patrimoniale che quello non patrimoniale. Nella specie il giudice di prime cure avrebbe, quindi, dovuto calcolare il danno differenziale eventualmente spettante, sottraendo l’ammontare della rendita erogata dall’INAIL (pari a Euro 87.155,79) all’importo del danno biologico permanente e temporaneo (pari a Euro 78.956,40). L’infortunato non puo’ cumulare risarcimento spettante dall’assicurazione del responsabile civile all’indennizzo del danno biologico ricevuto dall’INAIL oltre al divieto di duplicazione della voce relativa al danno patrimoniale da sempre ricompreso nell’indennizzo Inail. Di conseguenza, al lavoratore infortunato, secondo la societa’ ricorrente, spettava il risarcimento soltanto nella misura del differenziale derivante dal raffronto tra l’ammontare complessivo di risarcimento e quello delle complessive indennita’ liquidate dall’INAIL in dipendenza del sinistro al fine di evitare un’ingiustificata duplicazione. Pertanto, il danno differenziale andava determinato sottraendo dall’importo del danno complessivo, liquidato dal giudice autonomamente secondo i principi e i criteri civilistici, quello delle prestazioni previdenziali erogate dall’INAIL sulla base di criteri diversi e su voci di danno che, ancorche’ simili, come per il danno biologico, divergono per quanto concerne i contenuti differenti. La Corte territoriale non si era attenuta a questi principi ed a fronte di specifica ed articolata censura in grado di appello la valutazione al riguardo risultava sommaria ed assolutamente inconferente e non esaustiva, poiche’ non richiamava il dato normativo cui far risalire la presunta scelta legislativa. Era, altresi’, erronea, essendo doveroso e giusto evitare una locupletazione dell’infortunato, il quale non deve ricevere maggiori somme oltre al danno effettivamente patito.
Tanto premesso, il ricorso va respinto in base alle seguenti considerazioni.
Invero, quanto al primo motivo, la doglianza appare infondata, avendo i giudici di merito correttamente ritenuto la possibilita’ di poter disporre di ufficio l’escussione di un teste, individuato grazie al riferimento contenuto in altra deposizione, laddove pero’ il nominativo non veniva saputo indicare, di modo che il primo giudicante vi procedeva, dopo aver appreso il nome fornitogli dal procuratore di parte attrice.
Non puo’ dirsi, quindi, violato l’articolo 421 c.p.c., trattandosi di attivita’ istruttoria doverosamente disposta dall’adito giudice del lavoro per il compiuto accertamento dei fatti di causa, ritualmente allegati da parte attrice (v. Cass. lav. n. 3549 del 15/04/1994: il rito del lavoro, pur non attuando un sistema inquisitorio puro, tende a contemperare, in considerazione della particolare natura dei rapporti controversi, il principio dispositivo – che obbedisce alla regola formale di giudizio fondata sull’onere della prova – con quello della ricerca della verita’ materiale mediante una rilevante ed efficace azione del giudice nel processo. Ne consegue che, ove sussistano incertezze in ordine ai fatti costitutivi dei diritti in contestazione, legittimamente il giudice provvede “ex officio”, nell’ambito di un potere discrezionale il cui esercizio – o mancato esercizio – non e’ sindacabile in sede di legittimita’, all’assunzione degli atti istruttori ritenuti idonei a superarle.
Cfr., pure, tra le varie, Cass. sez. un. civ. n. 11353 del 17/06/2004: nel rito del lavoro, ai sensi di quanto disposto dagli articoli 421 e 437 cod. proc. civ., l’esercizio del potere d’ufficio del giudice, pur in presenza di gia’ verificatesi decadenze o preclusioni e pur in assenza di una esplicita richiesta delle parti in causa, non e’ meramente discrezionale, ma si presenta come un potere – dovere, sicche’ il giudice del lavoro non puo’ limitarsi a fare meccanica applicazione della regola formale del giudizio fondata sull’onere della prova, avendo l’obbligo – in ossequio a quanto prescritto dall’articolo 134 c.p.c., ed al disposto di cui all’articolo 111 Cost., comma 1, sul “giusto processo regolato dalla legge” – di esplicitare le ragioni per le quali reputi di far ricorso all’uso dei poteri istruttori o, nonostante la specifica richiesta di una delle parti, ritenga, invece, di non farvi ricorso. Nel rispetto del principio dispositivo i poteri istruttori non possono in ogni caso essere esercitati sulla base del sapere privato del giudice, con riferimento a fatti non allegati dalle parti o non acquisiti al processo in modo rituale, dandosi ingresso alle cosiddette prove atipiche, ovvero ammettendosi una prova contro la volonta’ delle parti di non servirsi di detta prova o, infine, in presenza di una prova gia’ espletata su punti decisivi della controversia, ammettendo d’ufficio una prova diretta a sminuirne l’efficacia e la portata. Conforme Cass. lav. n. 7543 del 30/03/2006).

[…segue pagina successiva]

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *