SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
sentenza 17 febbraio 2016, n. 3074
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITTORIO NOBILE – Presidente –
Dott. GIUSEPPE BRONZINI – Consigliere –
Dott. LUCIA TRIA – Consigliere –
Dott. FEDERICO BALESTRIERI – Consigliere –
Dott. ELENA BOGHETICH – Rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 16944-2014 proposto da (omissis) rappresentanti e difesi dall’avvocato PASQUALE PIANESE, domiciliati in Roma piazza Cavour, presso la cancelleria della Corte di Cassazione;
– ricorrenti –
contro
(omissis) in persona del legale rappresentante prò tempore, elettivamentedomiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 96, presso lo studio dell’avvocato LUCA DI PAOLO, rappresentata e difesa dall’avvocato FRANCESCO CASTIGLIONE, giusta delega in atti;
– controricorrente –
contro
(omissis) in persona del legale rappresentante prò tempore, rappresentanta e difesa dagli avvocati GIORGIO SPADAFORA e ANTONIO SPADAFORA, elettivamente domiciliata in Roma presso il loro studio, Via PANAMA 88, giusta delega in atti,
– controricorrente –
nonché contro
(omissis)
– intimati –
avverso la sentenza n. 8163/2013 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/12/2013 R.G.N. 950/11;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/12/2015 dal Consigliere Dott. ELENA BOGHETI e udito l’Avvocato LUCA DI PAOLO per delega verbaleAvvocato FRANCESCO CASTIGLIONE; udito l’Avvocato ANTONIO MANGANIELLO per delega Avvocato GIORGIO SPADAFORA; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRANCESCA CERONI che ha concluso per l’inammissibilità in subordine il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
– Con sentenza depositata il 27.12.2013 la Corte di appello di Napoli, su appello proposto (omissis) quali eredi di CM, ha confermato la sentenza resa dal Tribunale della stessa sede ed ha escluso la responsabilità della società A s.p.a.
nonché delle società A s.p.a., Assicurazioni s.p.a., B Assicurazioni s.p.a. (chiamate in garanzia) per il danno non patrimoniale conseguente alla neoplasia contratta dal dipendente e causativa del decesso in data 16.10.2005. 1.1. La Corte territoriale, ritenendo la società A s.p.a. titolare della legittimazione passiva con riguardo alla domanda di liquidazione del danno differenziale, ha rilevato che il ricorso proposto iure hereditatis dagli aventi causa fosse carente delle necessarie allegazioni sia con riguardo alle modalità di svolgimento dell’attività lavorativa disimpegnata da CM sia con riguardo alle componenti del danno differenziale preteso.
– Avverso la sentenza,EP CM, IM, RM propongono ricorso per Cassazione,
affidato a tre motivi. Le società A s.p.a. ed B s.p.a. resistono con controricorso. Le società M Assicurazioni s.p.a. e G Assicurazioni s.p.a. sono rimasti intimati.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Con il primo motivo, le ricorrenti denunciano, in relazione agli artt. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 2043, 2059 c.c. e dell’art. 13 del D.P.R. n. 38 del 2000, nonché omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio.
Le ricorrenti rilevano che l’indennità erogabile dall’lnail in base ai parametri stabiliti dall’art. 13 del d.lgs. n. 38 del 2000 per il danno biologico riportato dal lavoratore non esclude la corresponsione del danno differenziale ossia del maggior pregiudizio sofferto in concreto, e le allegazioni dei fatti (ritenuti plausibili e non contestati) e le prove documentali fornite legittimavano il ricorso del giudice di merito alla prova presuntiva, destinata ad assumere – come statuito dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (sentenza n. 26972/2008) – particolare rilievo nel processo di formazione del convincimento del giudice.
2. – Con il secondo motivo viene denunciata la violazione e la falsa applicazione, in relazione all’art. 360, primo comma n. 3, c.p.c., dell’alt 437 c.p.c. nonché error in procedendo, error in iudicando ed omessa. Insufficiente e contraddittoria motivazione.
Rilevano le ricorrenti che la Corte territoriale non ha utilizzato i propri poteri d’ufficio al fine di colmare le lacune di allegazione e di prova rinvenute in ricorso. In particolare, il giudice avrebbe potuto e dovuto disporre un accertamento medico-legale al fine di accertare il danno biologico subito dal lavoratore nonché ricorrere alla prova per presunzione per tutte le altre componenti del danno non patrimoniale.
– Con il terzo motivo le ricorrenti lamentano omesso esame di un punto decisivo della controversia, avendo, il giudice di merito, omesso di motivare la mancata applicazione del criterio tabellare standardizzato e/o del criterio equitativo per la valutazione del danno non patrimoniale.
– Il primo motivo va accolto.
Nell’ambito del vigente regime in materia di infortuni sul lavoro e malattie professionali, l’art. 13 del D.Lgs. n. 38 del 2000 prevede l’estensione della copertura assicurativa obbligatoria gestita dall’INAIL anche al danno biologico, ma le somme eventualmente erogate dall’istituto non esauriscono il diritto al risarcimento del danno biologico in capo all’assicurato.
Infatti, lo stesso art. 13 cit., dopo aver premesso che le disposizioni in esso contenute si pongono nell’ottica della “attesa della definizione di carattere generale di danno biologico e dei criteri per la determinazione del relativo risarcimento“, definisce il danno biologico solo “in via sperimentale” e ai soli ” fini della tutela dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professional?’.
Il tenore lessicale della disposizione rende chiaro che la prospettiva della norma non è quella di fissare in via generale ed omnicomprensiva gli aspetti risarcitori del danno biologico, ma solo quella di definire i meri aspetti indennitari agli specifici ed unici fini dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali. Infatti, l’erogazione effettuata dall’INAIL è strutturata in termini di mero indennizzo, indennizzo che, a differenza del risarcimento, è svincolato dalla sussistenza di un illecito (contrattuale od aquiliano) e, di conseguenza, può essere disposto anche a prescindere dall’elemento soggettivo di chi ha realizzato la condotta dannosa e da una sua responsabilità. Inoltre, la rendita INAIL cessa con la morte del lavoratore (e non passa nell’asse ereditario), mentre il diritto al risarcimento, una volta consolidatosi, si trasferisce agli eredi; l’indennizzo trova il suo fondamento nella finalità solidaristica prevista dall’art. 38 Cost. mentre il risarcimento del danno biologico trova titolo nell’art. 32 Cost. Insomma, la differenza strutturale e funzionale tra l’erogazione INAIL ex art. 13 cit. e il risarcimento del danno biologico preclude di poter ritenere che le somme eventualmente a tale titolo versate dall’istituto assicuratore possano considerarsi integralmente satisfattive del diritto al risarcimento del danno biologico in capo al soggetto infortunato od ammalato, nel senso che esse devono semplicemente detrarsi dal totale del risarcimento spettante al lavoratore.
Ritenere il contrario significherebbe attribuire al cit. art. 13, la finalità non già di apprestare un arricchimento di tutela in favore del lavoratore ma, al contrario, un suo secco situazione anteriore (come formatasi in virtù di giurisprudenza ormai consolidata) e un trattamento deteriore – quanto al danno biologico – del lavoratore danneggiato rispetto al danneggiato non lavoratore. Ulteriore conferma del fatto che il D.Lgs. n. 38 del 2000, cit. art. 13, non possa integrare una limitazione di tutela del lavoratore danneggiato, ma debba, anzi, costituire il contrario, si evince dalla giurisprudenza della Corte cost. che, fin dalla sentenza n. 87/91, pur dichiarando inammissibile la questione di legittimità costituzionale del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, artt. 2, 3 e 74, in riferimento all’art. 3 Cost., art. 32 Cost., comma 1, art. 35 Cost., comma 1, e art. 38 Cost., comma 2, sollevata in ragione della mancata indennizzabilità del danno biologico da parte dell’INAIL, ebbe tuttavia a rilevare che: “… indubbiamente, l’esclusione dell’intervento pubblico per la riparazione del danno alla salute patito dal lavoratore in conseguenza di eventi connessi alla propria attività lavorativa non può dirsi in sintonia con la garanzia della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività (art. 32 Cost.) e, ad un tempo, con la tutela privilegiata che la Carta costituzionale riconosce al lavoro come valore fondante della nostra forma di Stato (art. 1 Cost., comma 1, artt. 4, 35 e 38 Cost.), nel quadro dei più generali principi di solidarietà (art. 2 Cost.) e di eguaglianza, anche sostanziale (art. 3 Cost.). È vero che il danno biologico, in sè considerato, deve ritenersi risarcibile da parte del datore di lavoro secondo le regole che governano la responsabilità civile di quest’ultimo. Tuttavia, le stesse ragioni, che hanno indotto a giudicare non soddisfacente la tutela ordinaria e ad introdurre un sistema di assicurazione sociale obbligatoria contro il rischio per il lavoratore di infortuni e malattie professionali capaci di incidere sulla sua attitudine al lavoro, inducono a ritenere che anche il rischio della menomazione dell’integrità psicofisica del lavoratore medesimo, prodottasi nello svolgimento e a causa delle sue mansioni, debba per se stessa, e indipendentemente dalle sue conseguenze ulteriori, godere di una garanzia differenziata e più intensa, che consenta, mediante apposite modalità sostanziali e procedurali, quella effettiva, tempestiva ed automatica riparazione del danno che la disciplina comune non è in grado di apprestare Deve, pertanto, ritenersi che – anche alla stregua di una doverosa interpretazione costituzionalmente orientata – le prestazioni eventualmente erogate dall’INAIL non esauriscono di per sè e a priori il ristoro del danno patito dal lavoratore infortunato od ammalato (cfr. Cass. nn. 777/2015, 18469/2012).
Il danno non patrimoniale, anche quando sia determinato dalla lesione di diritti inviolabili della persona, costituisce danno conseguenza che deve essere allegato e provato, non potendosi rinvenire un danno in re ipsa nel caso di lesione di valori della persona (cfr. Cass. S U. n. 26972/2008). Coloro che, pertanto, formulano domanda di risarcimento del danno non patrimoniale debbono allegare, sin dal primo atto introduttivo del giudizio, tutti i fatti rilevanti e chiedere di provare le circostanze poste a fondamento delle pretese, in modo da circoscrivere esattamente la materia controversa ed evidenziare con chiarezza gli elementi in contestazione. Dedotti tempestivamente i fatti posti a fondamento della domanda ed articolate tempestivamente tutte le fonti di prova, il giudice può ritenere di accedere all’accertamento medico legale oppure (nel caso in cui l’indagine diretta sulla persona non sia possibile, perché deceduta, ovvero quando lo ritenga motivatamente superfluo) può porre a fondamento della sua decisione tutti gli altri elementi utili acquisiti al processo nonché avvalersi delle presunzioni. Questa Corte ha ritenuto che la prova presuntiva, con riguardo all’accertamento del pregiudizio ad un bene immateriale, è destinata ad assumere particolare rilievo e potrà costituire anche l’unica fonte per la formazione del convincimento del giudice, purché il danneggiato abbia allegato tutti gli elementi che, nella concreta fattispecie, siano idonei a fornire la serie concatenata di fatti noti che consentono di risalire al fatto ignoto (cfr. Cass. S.U. n. 26072/2008). Ebbene, nel caso di specie, le parti hanno indicato, sin dal ricorso depositato in primo grado, la durata del rapporto di lavoro del loro congiunto (dal 1960 al 1992, alle dipendenze di varie società, tutte confluite, da ultimo, nellaBFC s.p.a., attuale AB s.p.a., presso lo stabilimento di Pozzuoli), le mansioni disimpegnate (conduttore elettrico e, dal 1960, cabinista elettrico nelle fasi di smantellamento e allestimento delle carrozze ferroviarie), l’orario di lavoro osservato (turni di otto ore); hanno, inoltre, evidenziato che i dirigenti della società erano stati condannati in sede penale per omessa predisposizione di idonee misure di protezione dei lavoratori, essendo stato accertato il nesso di causalità tra dispersione di fibre di amianto e mesotelioma pleurico contratti da molti lavoratori addetti allo stesso reparto del M (sentenza del Tribunale di Napoli del 7.3.1997, n. 1326). Le parti hanno, infine, allegato sin dal primo atto introduttivo del giudizio che, in data 10.3.2005, era stata diagnosticata al loro congiunto una neoplasia peritoneale primaria con mesotelioma derivata da assunzione di asbesto, tecnopatia che ha determinato – nell’arco di tempo di circa sette mesi – il decesso (intervenuto il 16.10.2005). Contestualmente a tali allegazioni, è stata prodotta documentazione relativa alla malattia ed al percorso terapeutico seguito dal M(documentazione medica) nonché la sentenza di condanna per omissione di misure antinfortunistiche dei dirigenti dello stabilimento di Pozzuoli relativa al medesimo reparto ove era stato assegnato il M i.
Deve ritenersi, pertanto, che le parti, agendo iure hereditatis, hanno tempestivamente allegato (e ribadito in grado di appello) i fatti rilevanti posti a fondamento della domanda di risarcimento del danno non patrimoniale, fornendo, altresì, al giudice di merito i documenti necessari e sufficienti (in particolare, la documentazione medica) per valutare l’entità del pregiudizio subito dal loro congiunto. Il ricorso va, pertanto, accolto con riferimento al primo motivo e la sentenza impugnata va cassata nei sensi di cui in motivazione, dovendo procedere – il giudice del rinvio – all’apprezzamento del danno non patrimoniale sulla base dei fatti allegati e della documentazione prodotta. Risulta, di contro, inammissibile per assoluta genericità la censura concernente la mancata ammissione della prova testimoniale dedotta dalle parti, non essendo stati riprodotti i capitoli di prova articolati nell’atto difensivo.
Il secondo e terzo motivo di ricorso vanno ritenuti assorbiti in considerazione della stretta conseguenzialità al primo.
– La liquidazione delle spese del presente giudizio è rimessa al giudice di rinvio.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione; assorbiti il secondo e il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, alla Corte di appello di Napoli in diversa composizione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 10 dicembre 2015.
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