Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 17 febbraio 2016, n. 3066
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. STILE Paolo – Presidente
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere
Dott. MANNA Antonio – rel. Consigliere
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere
Dott. DORONZO Adriana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3408/2010 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), (OMISSIS) S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta delega in atti;
– ricorrenti –
contro
I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, C.F. (OMISSIS), in persona del suo Presidente e legale rappresentante pro’ tempore, in proprio e quale mandatario della S.C.C.I. S.P.A. Societa’ di Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 290/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO, depositata il 06/03/2009 r.g.n. 1092/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/11/2015 dal Consigliere Dott. ANTONIO MANNA;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 6.3.09 la Corte d’appello di Torino, in totale riforma della sentenza di accoglimento emessa in prime cure dal Tribunale subalpino, rigettava le domande proposte da (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) Impianti S.r.l., intese ad ottenere l’accertamento negativo dei crediti vantati dall’INPS a titolo di contributi sulle indennita’ di trasferta pagate ai dipendenti dell’impresa qualificati, dai giudici d’appello, come veri e propri “trasfertisti”.
Per la cassazione della sentenza ricorre (OMISSIS), in proprio e quale legale rappresentante della (OMISSIS) S.r.l., affidandosi a tre motivi.
L’INPS – in proprio e quale mandatario ex lege della S.C.C.I. S.p.A., Societa’ di Cartolarizzazione dei crediti INPS – resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 48, come modificato dal Decreto Legislativo n. 314 del 1997 (oggi articolo 51 TUIR), per avere l’impugnata sentenza ritenuto che la franchigia ivi prevista (lire 90.000, pari ad euro 46,48) sia applicabile soltanto alle trasferte occasionali e non anche alle indennita’ e alle maggiorazioni spettanti ai lavoratori (c.d. “trasfertisti”) che per contratto sono tenuti ad eseguire la propria prestazione in luoghi sempre diversi; si obietta in ricorso che l’elemento distintivo delle due ipotesi delineate, rispettivamente, nel comma 5, e nel comma 6, del cit. articolo 51, consiste, invece, nelle modalita’ di corresponsione dell’indennita’ di trasferta, nel senso che il comma 6, si applica solo in caso di erogazione continua dell’indennita’, a prescindere dall’essere i lavoratori qualificabili o meno come “trasfertisti”; nel caso di specie – conclude il ricorso – e’ applicabile il piu’ favorevole regime previsto dal comma 5, che prevede l’esonero totale dalla contribuzione sino alla cifra sopra ricordata.
Analoga doglianza viene fatta valere con il secondo motivo di ricorso, sotto forma di falsa applicazione dell’articolo 51, comma 6 TUIR e di vizio di motivazione, perche’ – contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte territoriale – tale norma presuppone come condizione necessaria per la propria applicazione che il dipendente sia obbligato per contratto ad espletare la propria attivita’ lavorativa in luoghi sempre diversi, a tal fine non bastando la mera frequenza della trasferta ove questa non si riveli – appunto – come contrattualmente dovuta, mentre nel caso in esame si tratta di mera prestazione di fatto resa prevalentemente in luoghi diversi dalla sede dell’impresa, senza che l’INPS abbia allegato e provato un preciso obbligo contrattuale in tal senso.
Il terzo motivo prospetta violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 2700 c.c., e degli articoli 115, 420, 421 e 437 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto accertati i fatti di causa in base alle mere dichiarazioni rese dai lavoratori agli ispettori dell’INPS, attribuendo ad esse una dignita’ di prova (valevole sino a querela di falso) che – invece – non hanno.
2- I primi due motivi di censura – da esaminarsi congiuntamente perche’ connessi – sono infondati.
Recita l’articolo 51, comma 6 TUIR: “Le indennita’ e le maggiorazioni di retribuzione spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attivita’ lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, anche se corrisposte con carattere di continuita’…. concorrono a formare il reddito nella misura del 50 per cento del loro ammontare…”.
Cio’ significa che il tenore testuale della norma milita nel senso di far ritenere decisive, ai fini dell’individuazione del regime contributivo applicabile, le concrete caratteristiche della prestazione (resa in luoghi sempre variabili e diversi) e non le modalita’ di corresponsione degli emolumenti, atteso che il carattere di continuita’ della loro erogazione non e’ di per se’ decisivo (“anche se corrisposte con carattere di continuita’….”).
Diversamente – come correttamente notato dalla gravata pronuncia – il regime contributivo applicabile (quello del comma 5, o quello del comma 6, dell’articolo 51 TUIR) dipenderebbe dalle modalita’ di corresponsione della retribuzione lasciate alla discrezionalita’ delle parti, che diventerebbero del regime contributivo applicabile.
Ora, la sentenza impugnata ha chiarito – con accertamento di fatto immune da vizi logici o giuridici (v. meglio infra) – che i lavoratori di cui si tratta svolgono la propria attivita’ unicamente (e non “prevalentemente”, come si sostiene in ricorso) in cantieri esterni sempre variabili e diversi e mai presso la sede della societa’ o presso suo altro stabilimento.
Sono, dunque, “trasfertisti” propriamente detti.
Di conseguenza, deve darsi continuita’ alla giurisprudenza di questa Corte Suprema (cfr. Cass. n. 17982/15; Cass. n. 27303/14; Cass. n. 5289/14; Cass. n. 4837/13) secondo cui gli emolumenti erogati ai lavoratori c.d. trasfertisti, ossia a coloro i quali espletano la propria prestazione lavorativa in luoghi sempre variabili e diversi da quello della sede o di altro stabilimento aziendale, come nel caso che ne occupa, concorrono a formare reddito, assoggettabile a contribuzione previdenziale, nella misura del cinquanta per cento del loro ammontare (come previsto dal cit. articolo 51, comma 6, TUIR).
In tale evenienza la retribuzione imponibile comprende integralmente quanto corrisposto ai c.d. “trasfertisti”, in quanto correlato alla causa tipica e normale del rapporto. Per costoro non deve parlarsi propriamente di indennita’ di trasferta (cui, invece, si riferisce il comma 5 del cit. articolo 51 TUIR), bensi’ di retribuzione per le attivita’ lavorative che comportino un continuo movimento del dipendente per raggiungere – con mezzi di solito messi a disposizione dal datore di lavoro – localita’ diverse, determinabili sulla base delle opere da eseguire.
Ne’ alla tesi contraria giovano le circolari n. 326/E del 23.12.97 e n. 101/E, 19.5.2010 del Ministero dell’Economia e delle Finanze invocate in ricorso, vuoi perche’ non costituiscono fonti del diritto, vuoi perche’ – in realta’ – non hanno neppure la portata interpretativa che il ricorso medesimo suppone.
Si obietta, ancora, che l’applicabilita’ dell’articolo 51, comma 6, TUIR implica che si tratti di emolumenti spettanti ai lavoratori tenuti per contratto all’espletamento delle attivita’ lavorative in luoghi sempre variabili e diversi, obbligo contrattuale non allegato ne’ provato dall’INPS: ma l’essere a cio’ tenuti “per contratto” deriva non necessariamente da un’apposita clausola del contratto individuale o collettivo, bensi’ gia’ soltanto dal dovuto rispetto del potere direttivo del datore di lavoro consacrato nell’articolo 2104 cpv. c.c., che integra ope legis il contenuto di qualunque contratto di lavoro subordinato. In breve, se – come accertato dai giudici d’appello – i lavoratori de quibus vengono stabilmente comandati ad eseguire la prestazione in luoghi sempre variabili e diversi, cio’ fanno in adempimento d’un preciso obbligo contrattuale e non in base ad un occasionale o contingente accordo di volta in volta raggiunto con l’impresa o, addirittura, senza una sua disposizione.
Quanto al preteso vizio di motivazione di cui al secondo mezzo, la sua denuncia e’ inammissibile perche’ esterna all’area dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, atteso che il vizio di motivazione spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la motivazione in fatto, giacche’ quella in diritto puo’ sempre essere corretta o meglio esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. articolo 384 c.p.c., u.c.), senza che la sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto cio’ che conta e’ che la soluzione adottata sia corretta ancorche’ malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben costruita) la puo’ trasformare in esatta e il vizio da cui risultera’ affetta la pronuncia sara’ non gia’ di motivazione, bensi’ di inosservanza o violazione di legge o falsa od erronea sua applicazione.
3- Anche il terzo motivo e’ infondato.
Secondo consolidata giurisprudenza di questa Corte Suprema, i verbali redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali (al pari di quelli redatti dagli altri pubblici ufficiali) fanno piena prova, fino a querela di falso, unicamente dei fatti – attestati nei verbali medesimi – come avvenuti alla presenza del pubblico ufficiale o da lui compiuti o constatati, mentre la fede privilegiata certamente non si estende alla verita’ sostanziale delle dichiarazioni ovvero alla fondatezza di apprezzamenti o valutazioni del verbalizzante (v., per tutte, Cass. S.U. n. 17355/2009 e n. 12545/1992).
In particolare, per quanto concerne la verita’ di dichiarazioni rese da terzi al pubblico ufficiale, la legge non attribuisce al verbale ispettivo alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice, sicche’ il materiale raccolto dal verbalizzante deve essere liberamente apprezzato dal giudice, il quale puo’ valutarne l’importanza ai fini della prova, ma non puo’ mai attribuirgli il valore di vero e proprio accertamento addossando l’onere di fornire la prova contraria al soggetto sul quale non ricade (Cass. n. 1786/2000, n. 1786, n. 6110/1998; n. 3973/1998; n. 6847/1987).
Ne’ quella del verbalizzante puo’ valere come deposizione de relato, che – peraltro – di per se’ sola non ha alcun valore probatorio e puo’ acquisire rilievo solo attraverso il riscontro di altre circostanze (cfr., ex aliis, Cass. 20.1.06 n. 1109; Cass. 4.6.99 n. 5526).
Operate questa doverose premesse, nel caso di specie deve pero’ rilevarsi che – contrariamente a quanto si suppone in ricorso – l’impugnata sentenza non ha affatto invertito l’onere della prova a carico di parte ricorrente ne’ ha attribuito valore fidefaciente sino a querela di falso alle dichiarazioni raccolte dagli ispettori dell’INPS, ma si e’ limitata a dare atto che esse collimano con quanto direttamente constatato dagli ispettori medesimi e cioe’ che la ditta individuale (OMISSIS) prima, e la (OMISSIS) Impianti S.r.l. poi, hanno sempre esercitato attivita’ impiantistica e cioe’ di installazione, manutenzione e riparazione di impianti di climatizzazione e riscaldamento, con una sede, ubicata in (OMISSIS), ove si trovano soltanto uffici amministrativi, mentre il personale addetto alle operazioni propriamente produttive e’ occupato costantemente e unicamente in attivita’ esterne e in luoghi sempre variabili e diversi.
In altre parole, con motivazione scevra da vizi logico-giuridici (e, quindi, insindacabile in sede di legittimita’) i giudici di merito hanno accertato che vi e’ prova in atti che si tratta di veri e propri trasfertisti.
4- In conclusione il ricorso e’ da rigettarsi.
Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del giudizio di legittimita’, liquidate in euro 100,00 per esborsi e in euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge.
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