Suprema Corte di Cassazione
sezione lavoro
sentenza 12 gennaio 2016, n. 281
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VENUTI Pietro – Presidente
Dott. TRIA Lucia – Consigliere
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 8244-2013 proposto da:
(OMISSIS) C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4217/2012 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 17/09/2012 r.g.n. 2884/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/10/2015 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Napoli, con la sentenza n. 4217/12, pronunciando sull’impugnazione proposta da (OMISSIS) nei confronti di (OMISSIS) spa, avverso la sentenza n. 4124 del 22 novembre 2010, emessa tra le parti dal Tribunale di Benevento, rigettava l’appello e confermava la sentenza impugnata.
2. Il (OMISSIS) aveva adito il Tribunale chiedendo che fosse dichiarata l’illegittimita’ del licenziamento comminato senza preavviso in data 11 febbraio 2008, con condanna della datrice di lavoro alla immediata reintegra nel posto di lavoro e al pagamento delle retribuzioni non corrisposte, maturate sino alla reintegra,, oltre oneri assistenziali e previdenziali dal licenziamento alla reintegra, nonche’ risarcimento dei danni.
Il licenziamento era stato preceduto dalla contestazione di addebito in data 21 gennaio 2008 avente ad oggetto: “a seguito di accertamenti effettuati dalla struttura (OMISSIS) in relazione ad eventi criminosi posti in essere nella filiale di (OMISSIS) da altro dipendente (sig. (OMISSIS)), emergevano delle irregolarita’. In particolare, il 2 febbraio 2006, risultava effettuato un prelevamento di euro 2000,00 dal libretto n. (OMISSIS) (operazione eseguita con la USERID (OMISSIS), attribuita al ricorrente) e, in data 13 ottobre 2006 risultava effettuato un altro prelevamento pari ad euro 3000,00 dal libretto n. (OMISSIS), eseguito con l’utilizzo della USERID (OMISSIS) (attribuita al dipendente (OMISSIS), che quel giorno risultava in ferie)”. (OMISSIS) spa, altresi’, contestava al ricorrente di aver avuto un comportamento omissivo consistente nella totale mancanza di controllo sulla procedura di conversione dei libretti cartacei nella nuova modalita’ on line” sulla regolare costituzione dei dossier nonche’ sul prescritto invio alla competente Filiale dei titoli convertiti.
3. Il Tribunale rigettava la domanda.
4. la Corte d’Appello nel confermare la sentenza di primo grado, riteneva infondata la censura di tardi vita della contestazione.
Se era risultato processualmente accertato che il (OMISSIS) non si era mai direttamente impossessato di somme, doveva ritenersi che lo stesso avesse, tuttavia, creato le piu’ favorevoli condizioni per gli ulteriori e successivi comportamenti fraudolenti del (OMISSIS), integrando un comportamento altamente negligente e tanto piu’ grave in rapporto al superiore affidamento riposto nella figura del direttore.
Dunque, vi era stata non complicita’ penalmente rilevante, bensi’ connivente tolleranza espressamente punita con l’espulsione dell’articolo 56, lettera a), della disciplina pattizia.
5. Per la cassazione della sentenza resa in grado di appello ricorre il (OMISSIS) prospettando due motivi di ricorso.
6. Resiste (OMISSIS) spa con controricorso.
7. Il ricorrente ha depositato memoria in prossimita’ dell’udienza pubblica.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso e’ dedotta violazione e falsa applicazione della Legge n. 300 del 1970, articolo 7, commi 2 e 3, (articolo 360 c.p.c., n. 3). Omessa motivazione sulla dedotta violazione del diritto di difesa in conseguenza della tardivita’ della contestazione: omesso esame di circostanze documentali decisive (articolo 360 c.p.c., n. 5).
La Corte d’Appello non avrebbe argomentato in ordine al perche’ non sarebbe stato violato il diritto di difesa in ragione della tardivita’ della contestazione, atteso che (OMISSIS) era a conoscenza degli ammanchi, avvenuti nell’anno 2006, gia’ nel giugno 2007.
Ed infatti, esso ricorrente si era doluto esclusivamente della violazione del proprio diritto di difesa e dell’ingiustificabile ed ingiustificato ritardo della contestazione, ma non aveva dedotto, a fondamento dell’eccezione, che il lungo tempo tra la scoperta degli addebiti ed il licenziamento fosse incompatibile con la giusta causa di licenziamento, e che la Banca avesse “dato ad intendere di voler soprassedere dalla verifica disciplinare”, come affermato nella sentenza di appello.
Come si rilevava dalla informativa S&S/FM/07/0431-SCO, del 15 giugno 2007, avente ad oggetto ufficio postale (OMISSIS), irregolarita’ emerse a carico del dipendente (OMISSIS) a firma (OMISSIS), di cui il ricorrente riporta alcuni stralci, risultava che (OMISSIS) aveva gia’ accertato l’ascritto addebito consistente nell’avere, per asserito omesso controllo, “contribuito a lasciare campo libero all’illecito operato dal (OMISSIS)”. Si trattava del solo addebito che, secondo la Corte d’Appello, sarebbe stato idoneo a giustificare il licenziamento, essendo stato escluso, anche in sede penale, qualsiasi coinvolgimento di esso ricorrente in frodi o comportamenti dolosi. Il contenuto di tale relazione del 15 giugno 2007 era identico a quello della lettera di contestazione disciplinare del 21 gennaio 2008, che si concludeva affermando che “tale grave comportamento omissivo, secondo le evidenze rilevate dalla struttura (OMISSIS) e’ da considerarsi direttamente collegato alla provocazione dei danni derivanti dall’attivita’ illecita posta in essere da altro dipendente fin dall’anno 2005, per il quale sono in corso azioni giudiziarie di carattere penale”. Gli addebiti oggetto della lettera di contestazione erano identici, dunque, a quelli della relazione del giugno 2007, e cio’ poneva in evidenza la tardivita’ della contestazione sotto il profilo della violazione del diritto di difesa.
1.1. Il motivo non e’ fondato.
Come affermato con giurisprudenza consolidata da questa Corte, in materia di licenziamento disciplinare, l’immediatezza della contestazione integra elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro in quanto, per la funzione di garanzia che assolve, l’interesse del datore di lavoro all’acquisizione di ulteriori elementi a conforto della colpevolezza del lavoratore non puo’ pregiudicare il diritto di quest’ultimo ad una pronta ed effettiva difesa, sicche’, ove la contestazione sia tardiva, resta precluso l’esercizio del potere e la sanzione irrogata e’ invalida (Cass., n. 2902 del 2015, n. 19115 del 2013), ne’ la pendenza di un procedimento penale a carico del lavoratore impedisce al datore di lavoro la contestazione immediata dell’illecito disciplinare, con eventuale sospensione del relativo procedimento fino all’esito del giudizio penale (Cass., n. 8914 del 2004, n. 15361 del 2004).
Con riguardo a tale ultimo profilo la giurisprudenza di legittimita’ ha precisato che ove sussista un rilevante intervallo temporale tra i fatti contestati e l’esercizio del potere disciplinare, la tempestivita’ di tale esercizio deve essere valutata in relazione al tempo necessario per acquisire conoscenza della riferibilita’ del fatto, nelle sue linee essenziali, al lavoratore medesimo, la cui prova e’ a carico del datore di lavoro, senza che possa assumere autonomo ed autosufficiente rilievo la denunzia dei fatti in sede penale o la pendenza stessa del procedimento penale, considerata l’autonomia tra i due procedimenti, e la circostanza che l’eventuale accertamento dell’irrilevanza penale del fatto non determina di per se’ l’assenza di analogo disvalore in sede disciplinare (Cass., n. 7410 del 2010, n. 4724 del 2014).
Il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettivita’, cosi’ da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare piu’ efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformita’ ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile (Cass., n. 13167 del 2009).
Come piu’ volte pure ha avuto occasione di affermare la giurisprudenza di questa Corte, il criterio dell’immediatezza va inteso in senso relativo, poiche’ si deve tener conto delle ragioni che possono far ritardare la contestazione, tra cui il tempo necessario per l’espletamento delle indagini dirette all’accertamento dei fatti, la complessita’ dell’organizzazione aziendale, e la valutazione in proposito compiuta dal giudice di merito e’ insindacabile in sede di legittimita’ se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici.
Nella specie, la Corte d’Appello, con congrua e corretta motivazione, ha escluso la tardivita’ della contestazione, e quindi, in ragione dei principi sopra richiamati, la lesione del diritto di difesa, a cui, nell’interesse del lavoratore, una tempestiva contestazione e’ finalizzata. Il Giudice di secondo grado, infatti, dopo avere premesso che la parte datoriale con il suo comportamento non aveva mai dato ad intendere di voler soprassedere dalla verifica disciplinare, ha affermato che la nota di contestazione veniva inviata una volta completata l’indagine ispettiva, e quindi in una concentrazione temporale assolutamente congrua che non aveva intaccato il diritto del lavoratore ad una pronta ed effettiva difesa.
2. Con il secondo motivo di ricorso e’ dedotta violazione e falsa applicazione dell’articolo 2119 c.c., e della Legge n. 604 del 1966, articolo 3 (articolo 360 c.p.c., n. 3); omesso esame di risultanze istruttorie decisive agli effetti del giudizio di proporzionalita’ del licenziamento (articolo 360 c.p.c., n. 5).
Assume il ricorrente che, come si evinceva dalla lettera di contestazione disciplinare, l’addebito principale consisteva in due specifici prelevamenti indebiti di somme imputati direttamente ad esso ricorrente, stante l’assenza dal servizio del (OMISSIS). Veniva poi contestata la mancanza di controllo sulla procedura di conversione dei libretti cartacei nella nuova modalita’ “on line,” che avrebbe agevolato le illecite operazioni del (OMISSIS).
Mentre il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistere il primo addebito di natura dolosa, la Corte d’Appello riteneva sussistente e meritevole di licenziamento l’addebito secondario.
Ad avviso del ricorrente tale statuizione conseguiva al preconcetto che esso ricorrente fosse stato complice del (OMISSIS), senza tener conto di tutte le circostanze di fatto che avrebbero potuto condurre a una valutazione di minore gravita’ dell’addebito residuo, delineando invece una sorta di responsabilita’ oggettiva.
La Corte d’Appello non prendeva in esame, quindi, che: il (OMISSIS) non era stato l’unico direttore della filiale di (OMISSIS) sotto la cui gestione il (OMISSIS) aveva commesso operazioni penalmente illecite; moltissime operazioni illecite erano state poste in essere sotto la direzione del nuovo direttore; durante la direzione del (OMISSIS) non erano intervenuti reclami o segnalazioni da parte dei clienti, come capitato successivamente, venendo cosi’ in rilievo la frode; il (OMISSIS) effettuava la conversione dei libretti da cartaceo ad “on line” presso il proprio domicilio proprio per sfuggire ai controlli; il (OMISSIS), trasferito dalla filiale di (OMISSIS), aveva avuto delle sanzioni disciplinari di cui esso ricorrente non era stato avvisato, ne’ la datrice di lavoro aveva posto in essere provvedimenti di contenimento della tendenza a frodare del (OMISSIS).
2.1. Il motivo non e’ fondato.
Occorre premettere che il motivo di ricorso per cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non puo’ essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si puo’ proporre con esso un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5; in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, percio’, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione (Cass., sentenza n. 9233 del 2006).
Ed infatti, in tema di procedimento civile, sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che e’ insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice (Cass., sentenza n. 13054 del 2014).
Pertanto, la valutazione delle risultanze delle prove ed il giudizio sull’attendibilita’ dei testi, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute piu’ idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale e’ libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga piu’ attendibili (Cass., sentenza n. 11511 del 2014).
Occorre, altresi’, precisare, che la Corte d’Appello, nel ritenere legittimo il licenziamento, con congrua motivazione, ha considerato il ruolo apicale di direttore dell’Ufficio rivestito dal (OMISSIS), ruolo caratterizzato per sua natura da particolare fiducia, in ragione del superiore affidamento riposto dal datore di lavoro, e ha affermato che lo stesso era venuto meno ai propri doveri di dipendente sanciti dagli articoli 2104 e 2105 c.c., come precisati ulteriormente nella disciplina pattizia, avendo dato luogo ad comportamento negligente che aveva creato le condizioni favorevoli ai comportamenti fraudolenti del (OMISSIS) (peraltro, nell’Ufficio postale lavoravano in spazi pure contenuti, 40 mq., unicamente tre persone, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)).
Pertanto, la statuizione della Corte d’Appello di legittimita’ del licenziamento riguarda la complessiva condotta contestata disciplinarmente al (OMISSIS).
Affermava la Corte d’Appello che il (OMISSIS) aveva dato luogo a un comportamento altamente negligente, tanto piu’ grave in relazione al ruolo svolto.
Non poteva certo ritenersi che il (OMISSIS) avesse svolto con diligenza e precisione la propria funzione di direttore, anche in ragione dell’episodio di un primo ammanco di cassa per euro 2700,00, risalente al 2005, che rafforzava il convincimento secondo il quale il (OMISSIS) svolgeva effettivamente il proprio incarico in totale superficialita’ e con costante assenza di controllo sulle procedure di movimentazione dei libretti on line, per nulla prendendo in seria considerazione la pericolosita’, gia’ manifestatasi ai suoi occhi, in ragione di detto episodio, del vice direttore (OMISSIS), che aveva pure libero accesso alla sua password, evidentemente non sostituita o cifrata con le accortezza del caso.
Ed infatti, anche in sede penale era stato ribadito che il (OMISSIS) conosceva la password del direttore giacche’ “ognuno conosceva la password dell’altro”, e sempre in sede penale, si riferiva il fraudolento prelevamento intervenuto gia’ nel 2005: “insieme al (OMISSIS) l’abbiamo scoperto … allora la prima volta il direttore ha detto adesso facciamo una cosa, io ci metto un assegno di 2800,00 euro nella cassa fino a quando lui (il (OMISSIS)) non rientra, in modo che se viene un ispettore giustifichiamo che non c’era linea, giusto per non rovinarlo, insomma (teste (OMISSIS)).
Il giudice di secondo grado, quindi, con congrua motivazione che tiene conto complessivamente delle circostanze della vicenda, ha valutato la condotta in se’ del (OMISSIS), in relazione alle funzioni di direttore dell’Ufficio, ritenendo che la stessa, in quanto aveva creato le condizioni favorevoli per i comportamenti fraudolenti del (OMISSIS), era idonea a pregiudicare il rapporto fiduciario con il datore di lavoro a prescindere dal dolo.
Ne’ possono assumere rilievo, a giustificazione del (OMISSIS), le circostanze dallo stesso dedotte in ricorso, sopra in sintesi riportate, atteso che le stesse non escludono la condotta disciplinarmente rilevante.
3. Il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese dei giudizio che liquida in euro cento per esborsi, euro tremilacinquecento per compensi professionali, oltre accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma articolo 13, articolo 1-bis.
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