Cassazione 12

Suprema Corte di Cassazione

sezione lavoro

sentenza 12 gennaio 2016, n. 275

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VENUTI Pietro – Presidente

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere

Dott. GHINOY Paola – Consigliere

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7397-2010 proposto da:

(OMISSIS) S.P.A. C.F. (OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), gia’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta delega in atti e da ultimo presso la CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 339/2009 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/03/2009 R.G.N. 176/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/10/2015 dal Consigliere Dott. FEDERICO BALESTRIERI;

udito l’Avvocato (OMISSIS);

udito l’Avvocato (OMISSIS) per delega (OMISSIS);

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso al Tribunale di Firenze, (OMISSIS), dipendente della societa’ (OMISSIS) s.p.a., esponeva di aver richiesto il 21.4.2000 la trasformazione del suo rapporto a tempo parziale in rapporto a tempo pieno, esprimendo la sua preferenza per la sede di lavoro. Deduceva infatti che per prassi aziendale le residenze di servizio vacanti venivano assegnate ai dipendenti full-time sulla base dell’anzianita’ di servizio. Ella tuttavia non veniva inserita in un posto utile in graduatoria poiche’, sulla base dei carichi di famiglia (di cui al Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, articolo 5, comma 2), veniva preferito altro dipendente. La trasformazione, pertanto, avveniva solo nel febbraio 2001. Il ritardo nella trasformazione del contratto aveva comportato una minore anzianita’ di servizio utile, che le aveva impedito di ottenere la sede richiesta.

Fatte tali premesse, la (OMISSIS) sosteneva di avere un maggior carico familiare rispetto al collega preferito e chiedeva che venisse dichiarato il suo diritto al full-time dall’ottobre 2000 ed il suo diritto alla sede di (OMISSIS) dal febbraio 2001, il pagamento della trasferta dalla medesima data ed, infine, il risarcimento del danno per la maggiore gravosita’ del lavoro provocata dall’esigenza di raggiungere le diverse sedi nel frattempo assegnatele.

Costituitasi la convenuta, con sentenza 13.9.2007 il Tribunale rigettava le domande.

Avverso tale sentenza proponeva appello la lavoratrice, censurandola per aver fondato la decisione su di una errata definizione dei cd. carichi di famiglia.

Disposta c.t.u. contabile, la Corte d’appello di Firenze, con sentenza depositata il 20 marzo 2009, in parziale accoglimento del gravame accertava il diritto della (OMISSIS) alla trasformazione del rapporto da tempo parziale a tempo pieno dall’ottobre 2000 e condannava la societa’ al pagamento, a titolo di indennita’ di trasferta, della somma di euro 24.065,33 oltre accessori dal 31.12.08 al saldo. Rigettava le restanti domande.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso la societa’ (OMISSIS) p.a., affidato ad unico motivo, poi illustrato con memoria.

Resiste la (OMISSIS) con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- La ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo 25 febbraio 2000, n. 61, articolo 5, comma 2, (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3). Insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5).

Lamenta che l’articolo 3, comma 11, del c.c.n.l. di categoria 16.2.2000 rinvia per la individuazione dei criteri di precedenza ai fini della trasformazione del rapporto da part time a full time all’articolo 5, comma 2 sopra richiamato, che, nel testo vigente all’epoca dei fatti, stabiliva che: “in caso di assunzione di personale a tempo pieno il datore di lavoro e’ tenuto a riconoscere un diritto di precedenza in favore dei lavoratori assunti a tempo parziale in attivita’ presso unita’ produttive site entro 100 Km dall’unita’ produttiva interessata dalla programmata assunzione…” parita’ di condizioni, il diritto di precedenza nell’assunzione a tempo pieno potra’ essere fatto valere prioritariamente dal lavoratore con maggiori carichi familiari…”. Lamenta che la Corte di merito, aderendo alla tesi sostenuta dalla lavoratrice, ritenne che per “carichi familiari” dovessero intendersi i carichi fiscali, dal momento che la ratio della norma doveva essere quella di “preferire chi ha piu’ bisogno di incrementare il suo reddito e tale stato di bisogno non puo’ essere valutato se non sulla concreta condizione del singolo richiedente”, avuto riguardo al maggior impegno economico che derivi dalla combinazione di piu’ elementi ed in particolare dal numero delle persone a carico e dal reddito del lavoratore gravato.

Si duole la societa’ ricorrente che l’espressione della norma non poteva che rinviare al numero dei familiari a carico e non gia’ ad altri criteri, quali quelli previsti dalla disciplina fiscale per la quale e’ familiare a carico qualunque membro della famiglia per il quale sussista il diritto a detrazioni fiscali.

Formula il seguente quesito di diritto: “se la nozione di maggiori carichi familiari, contenuta nel Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, comma 2, debba essere intesa nel senso letterale, atecnico e civilista del termine ovvero nel senso, non risultante dalla lettera della norma e non conforme ad una interpretazione sistematica della stessa, di maggiori detrazioni fiscali”.

Il ricorso e’ infondato.

La norma invocata prevede come criterio per il diritto di precedenza nell’assunzione full time (e nella relativa trasformazione del rapporto) quello dei “maggiori carichi familiari”.

L’interpretazione fornita dalla Corte di merito, secondo cui a tale fine occorre far riferimento alla nozione, evincibile dalla disciplina fiscale, sia del numero dei figli, sia della situazione patrimoniale della famiglia, risulta corretta ed esente da vizi logici. Ed invero il concetto di maggiori carichi familiari, per i fini che qui interessano ed all’interno di una disciplina diretta alla maggior tutela dei lavoratori, non puo’ basarsi (giusta la disciplina mutuabile dal sistema fiscale che fa riferimento anche al reddito complessivo del nucleo familiare, Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 17) unicamente ed astrattamente sul numero dei figli, indipendentemente dal carico economico che cio’ comporta e dunque dalle condizioni economiche e patrimoniali del nucleo familiare, bensi’ con riferimento anche a quest’ultimo che, pacificamente quanto alla (OMISSIS), comportava il suo diritto ad essere preferita nella trasformazione del rapporto da parto full time, come evincibile da quanto esposto dalla stessa societa’ a pag.10 del ricorso: “ai fini della composizione della graduatoria per la trasformazione del rapporto, la resistente (societa’)…ha preso in considerazione (solo, cfr. pag.18 del ricorso ove si evidenzia il minor numero di figli della (OMISSIS) rispetto agli altri richiedenti) il numero di familiari a carico di ciascun lavoratore e non gli importi delle relative detrazioni fiscali”. In sostanza la norma in questione (Decreto Legislativo n. 61 del 2000, articolo 5, comma 2) e’ diretta a tutelare la situazione reddituale deteriore del lavoratore part time, per il maggior aggravio derivante sia dal numero dei familiari a carico, sia del relativo onere economico, In tal senso puo’ menzionarsi la recente sentenza di questa Corte (n. 15210/2015) che, sia pur con riferimento ad analoga disposizione contenuta nella Legge n. 223 del 1991, articolo 5 ha ritenuto che l'”espressione adoperata dal legislatore intende individuare i soggetti “a carico” del lavoratore stesso e non gia’ (solo) quelli che fanno parte del nucleo familiare”.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida in euro 100,00 per esborsi, euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre spese generali ed accessori di legge.

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