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6. Con il sesto motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 5, violazione e falsa applicazione dell’articolo articolo 45, punto 6, Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931, degli articoli 2119 e 2106 c.c., della L. n. 300 del 1970, articolo 7, degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., articolo 132 c.p.c., comma 4, dell’articolo 27 Cost., comma 1, censurando la decisione per avere il giudice di appello erroneamente ritenuto che il (OMISSIS) facesse uso di stupefacenti – fatto questo non risultante dagli atti di causa – e per avere ritenuto tale condizione incompatibile con le mansioni di autista. In particolare assume il vizio di ultrapetizione della decisione di appello per avere questa preso in considerazione l’ipotesi dell’uso di sostanze stupefacenti, la quale non aveva mai formato oggetto di contestazione disciplinare posto che il giudizio penale aveva riguardato la coltivazione e detenzione di stupefacenti. Si richiama, inoltre, la circostanza che il GIP in sede di misura cautelare aveva autorizzato il (OMISSIS) all’espletamento di attivita’ lavorativa e quindi allo svolgimento di attivita’ di autista.
7. Con il settimo motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, punto 6, del Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931, degli articoli 2119 e 2106 c.c., della L. n. 300 del 1970, articolo 7, degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., e articolo 132 c.p.c., comma 4, e dell’articolo 27 Cost., comma 1, nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Censura la decisione per avere la Corte territoriale, con motivazione meramente apparente, ritenuto irrilevanti fatti decisivi ai fini della controversia, investendo l’idoneita’ sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo del (OMISSIS) a svolgere il lavoro di autista. Contesta, in sintesi, la valutazione del giudice di appello che aveva ritenuto di scarsa rilevanza alcune circostanze valorizzate dal giudice di prime cure quali l’autorizzazione del GIP ad assentarsi dal luogo di detenzione agli arresti domiciliari, per svolgere le mansioni di conducente di autobus di linea, la natura assai limitata dell’attivita’ di illecita coltivazione di sostanza stupefacente ecc..
8. Con l’ottavo motivo di ricorso deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, punto 6 del Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931, degli articoli 2119 e 2106 c.c., della L. n. 300 del 1970, articolo 7, degli articoli 112, 115 e 116 c.p.c., e articolo 132 c.p.c., comma 4, e dell’articolo 3 Cost. e articolo 27 Cost., comma 1, nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti. Censura la decisione per avere la Corte territoriale ritenuto irrilevanti fatti decisivi ai fini della controversia, investendo l’idoneita’ del (OMISSIS), sia sotto il profilo oggettivo che soggettivo, a svolgere mansioni di autista e quindi l’intensita’ dell’elemento intenzionale. Si duole in particolare della mancata considerazione che gli organi di stampa non avevano associato il fatto contestato al (OMISSIS) alla societa’ (OMISSIS), dell’insussistenza della pretesa lesione dell’interesse datoriale alla conservazione del patrimonio aziendale, della mancanza di specifici precedenti disciplinari, contestando, in sintesi, la valutazione di proporzionalita’ della sanzione.
9. Con il nono motivo deduce, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, violazione e falsa applicazione dell’articolo 45, punto 6 e 7, del Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931, degli articoli 1455, 2106 e 2119 c.c., della L. n. 300 del 1970, articolo 7, della L. 15 giugno 1966, n. 604, articolo 3, degli articoli 112, 115, 116, 329, 346 e 434 c.p.c., articolo 132 c.p.c., n. 4, censurando la decisione per avere la Corte territoriale ritenuto proporzionata la sanzione comminata ed escluso che (OMISSIS) s.p.a. potesse adottare una sanzione diversa rispetto alla destituzione nonostante il contrario disposto del Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931, articolo 55; in via gradata si duole che la Corte, con motivazione meramente apparente, aveva ritenuto unica sanzione applicabile quella della destituzione in ragione del fatto che le mansioni di conducente adibito al trasporto di persone richiedono particolare attenzione e lucidita’. Ribadisce le ragioni che imponevano l’attualizzazione del parametro normativa con riferimento alla rilevanza della condotta addebitata.
10. Il primo motivo di ricorso risulta inammissibile. In particolare la deduzione di formazione del giudicato in ordine al fatto che le condotte contestate non avevano reso il lavoratore indegno della pubblica stima, non e’ sorretto dalla adeguata esposizione del fatto processuale destinato a consentire la verifica, sulla base del solo ricorso per cassazione, della fondatezza della censura articolata. A tal fine risulta del tutto inidonea la riproduzione e giustapposizione di alcuni brani del ricorso in appello della societa’ ad alcuni brani della sentenza di primo grado in quanto la parzialita’ di tali riproduzioni impedisce di valutare sia la obiettiva rilevanza delle argomentazioni del primo giudice con riguardo al profilo in controversia, sia la pertinenza e completezza dei motivi di appello in relazione alle effettive ragioni del decisum di primo grado.
11. Il secondo motivo di ricorso e’ infondato. A differenza di quanto assume parte ricorrente, infatti, la valutazione di legittimita’ del provvedimento di recesso adottato dalla societa’, non e’ stata fondata, sulla sola sentenza di patteggiamento, come se l’ipotesi addebitata fosse quella dell’articolo 45, punto 7, e non quella dell’articolo 4, punto 6 del Regolamento allegato al Regio Decreto n. 148 del 1931; il giudice di appello, escluso ogni automatismo connesso al mero dato dell’essere intervenuta sentenza di applicazione della pena ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., ha, infatti, chiarito che la condotta di rilevanza penale, secondo quanto risultante dalla sentenza di patteggiamento, non poteva essere limitata, come sostenuto dal lavoratore, alla sola coltivazione di un modesto numero di piantine ma andava estesa anche alla coltivazione e detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti, richiamando altresi’ le emergenze del verbale di sequestro in sede penale (pagina 4, sentenza) nonche’ quanto emerso in sede di perquisizione domiciliare (pag. 3, sentenza). Sulla base di tali emergenze ha formulato la propria autonoma valutazione con riguardo alla rilevanza e gravita’ dei fatti addebitati in funzione di verifica della legittimita’ del provvedimento datoriale.
11.1. La decisione e’, quindi, conforme alla giurisprudenza di legittimita’ secondo la quale il giudice civile, ai fini del proprio convincimento, puo’ autonomamente valutare, nel contraddittorio tra le parti, ogni elemento dotato di efficacia probatoria e, dunque, anche le prove raccolte in un processo penale (e cio’ anche se sia mancato il vaglio critico del dibattimento in quanto il procedimento penale e’ stato definito ai sensi dell’articolo 444 c.p.p.), potendo la parte, del resto, contestare, nell’ambito del giudizio civile, i fatti cosi’ acquisiti in sede penale (Cass. 30/01/2013, n. 2168; Cass. 8/1/2008, n. 132; Cass. 29/3/2017, n. 8132). In questa prospettiva e’ stato altresi’ precisato che la valenza probatoria nel giudizio disciplinare della sentenza di applicazione della pena ex articolo 444 c.p.p., costituisce un indiscutibile elemento di prova per il giudice di merito il quale, ove intenda disconoscere tale efficacia probatoria, ha il dovere di spiegare le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso una sua insussistente responsabilita’ ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione (Cass. del 20/7/2011. n. 15889; Cass. Sezioni U. 20/9/2013 n. 21591). La sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza (v. Cass. 2168/2013 cit. Cass. 29/2/ 2016 n. 3980, Cass. 19/9/2016 n. 18324).
11.2. Quanto sopra osservato comporta il rigetto della ulteriore doglianza con la quale si deduce la violazione della regola di distribuzione dell’onere probatorio ai sensi dell’articolo 2697 c.c..
12. Il terzo motivo di ricorso e’ infondato. La sentenza impugnata muove indiscutibilmente dal presupposto che i fatti contestati e alla base del provvedimento di destituzione sono quelli dai quali e’ scaturito il procedimento penale definito con la sentenza di patteggiamento, presupposto che opera su un piano diverso da quello attinente alla verifica della idoneita’ lesiva del vincolo fiduciario in relazione al quale il giudice di appello ha valorizzato esclusivamente il profilo dell’uso personale di sostanze stupefacenti. Inequivoca a tal fine e’ l’affermazione che la condotta di rilevanza penale non ha riguardato solo la coltivazione di un modesto numero di piantine di marijuana ma anche la coltivazione e detenzione a fini di spaccio (v. in particolare, pag. sentenza pag. 5). Parte ricorrente assume, al contrario, che i fatti alla base del provvedimento di destituzione sarebbero quelli e solo quelli risultanti dalla parziale ammissione formulata dal dipendente in sede di giustificazioni rese nell’ambito del procedimento disciplinare con le quali, in sintesi, aveva solo ammesso la detenzione di alcune piantine. A tale ammissione avrebbe, invero, fatto riferimento la societa’ nell’adozione del provvedimento di destituzione. L’assunto del ricorrente e’ privo di pregio in quanto non e’ sorretto dalla articolazione di specifica censura destinata, a dimostrare che la interpretazione del provvedimento datoriale, nei termini intesi dal giudice di appello, e’ frutto di violazione dei criteri legali di interpretazione.
Al di la’ del rilievo assorbente delle considerazioni che precedono, occorre ulteriormente rilevare che il ricorso e’ privo di autosufficienza nella esposizione dei fatti di causa con specifico riferimento alla questione della corretta identificazione delle condotte a base del provvedimento datoriale e, inoltre, in violazione del disposto dell’articolo 366 c.p.c., n. 6, omette di riprodurre per intero il contenuto dei documenti rilevanti (lettera di contestazione – lettera di giustificazione provvedimento di destituzione).
12.1. In relazione alle condotte ascritte, quali identificate dal giudice di appello, deve rilevarsi la intrinseca valutazione della riconducibilita’ delle stesse al parametro normativo di cui all’articolo 45, comma 6 del Regolamento, per come desumibile dal riferimento alla valenza penale dei fatti addebitati, valenza che esprime obiettivamente un disvalore piu’ intenso rispetto alla “indegnita’ alla pubblica stima” richiesto dalla richiamata previsione regolamentare.
13. Il quarto motivo di ricorso risulta infondato alla luce di quanto osservato nell’esame del motivo precedente (v., in particolare, punto 12) in ordine alla coincidenza, non inficiata dalle censure del ricorrente, tra fatti addebitati e fatti oggetto di rilievo penale definiti con la sentenza di patteggiamento. La denunzia di vizio di motivazione non e’, inoltre, articolata con modalita’ conformi alla attuale formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto parte ricorrente non individua alcuno specifico fatto storico il cui esame e’ stato omesso dalle parti (Cass. Sez. Un. 07/04/2014 n. 8053), tale non potendosi intendere “la rilevanza o meno, ai fini della destituzione, della condotta cosi’ come contestata da (OMISSIS) Spa”.
13.1. La “rilevanza della condotta cosi’ come contestata da (OMISSIS) Spa” esprime un profilo valutativo che esclude la configurabilita’ del “fatto” quale fatto storico – nel senso prescritto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. A riguardo e’ da evidenziare che, mentre nella precedente formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, il termine “punto” consentiva di individuare qualunque fatto, elemento, questione, situazione o circostanza in ordine alla quale la motivazione poteva essere viziata, il concetto di “fatto”, presente nell’attuale formulazione, risulta piu’ specifico dal punto di vista naturalistico e giuridico e compendia solo i fatti costitutivi, impeditivi, modificativi o estintivi del diritto controverso come individuati dall’articolo 2697 c.c., e giammai, dopo la riforma del vizio di motivazione, puo’ considerarsi equivalente a “questione” o “argomentazione”, dovendo per fatto intendersi un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza da intendersi in senso storico – naturalistico (cfr., tra le altre, Cass. 08/10/2014 n. 21152).
14. Il quinto motivo di ricorso e’ da respingere in quanto fondato sull’insussistente presupposto che la valutazione di gravita’ della condotta sia stata ancorata esclusivamente alla entita’ della pena patteggiata. Il giudice di appello, infatti, una volta ritenuti provati i fatti oggetto di addebito disciplinare sulla base degli elementi in atti ed in particolare della sentenza di patteggiamento, ha proceduto ad autonoma valutazione di gravita’ di tali condotte sotto il profilo della idoneita’ a determinare la lesione del vincolo fiduciario. In questa prospettiva ha argomentato sul fatto che la condizione di consumo di stupefacente correlata alle mansioni di conducente del (OMISSIS) giustificava il provvedimento di destituzione e tale valutazione si sottrae al sindacato di legittimita’ in quanto l’accertamento della ricorrenza concreta degli elementi del parametro normativo della proporzionalita’ si pone sul piano del giudizio di fatto, demandato al giudice di merito e incensurabile in cassazione se privo di errori logici e giuridici. (v., tra le altre, Cass. 25/05/2012 n. 8293).
15. Il sesto motivo, con il quale parte ricorrente assume il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata per avere il giudice di appello fondato la valutazione di gravita’ su fatti – assunzione di stupefacenti – non oggetto di addebito, e’ da respingere. Ricordato che, secondo quanto gia’ rimarcato (v. parag. 12), le condotte contestate in sede disciplinare coincidono con quelle dalle quali e’ scaturito il procedimento penale, e’ del tutto evidente che il mero fatto della detenzione, in numero considerevole, di piantine di marijuana, e’ stato assunto non come avente rilevanza ex se sul piano del rapporto di lavoro ma solo in quanto sintomatico di’ condotte destinate ad interferire in maniera piu’ o meno diretta con l’espletamento della prestazione lavorativa. In questa prospettiva, con valutazione congrua non censurabile in sede di legittimita’. il giudice di appello, ai fini della verifica della lesione del vincolo fiduciario, ha ritenuto che le emergenze in atti deponevano per una condizione di consumo abituale di stupefacente, sia pure del tipo “leggero” e che tale situazione era incompatibile con le mansioni del (OMISSIS) di conducente di mezzi adibiti al trasporto di persone, mansioni richiedenti “particolare attenzione e perfetta lucidita’”.
15. Il settimo motivo e’ infondato. Si premette che parte ricorrente, pur denunziando formalmente (anche) vizio di violazione di norme di diritto, incentra le proprie doglianze esclusivamente in ordine alla valutazione di gravita’ del fatto da parte del giudice di appello, valutazione che sostiene essere meramente apparente e comunque viziata dalla omessa considerazione di alcune circostanze che assume decisive. Tanto premesso e’ innanzitutto da escludere che in violazione del disposto dell’articolo 132, comma 4, che la sentenza impugnata sia sostenuta da una motivazione solo formale, ipotesi che ricorre solo qualora le argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio o carente da non consentire in alcun modo il controllo delle ragioni poste a fondamento della decisione (v. tra le altre, Cass. 06/06/2012 n. 9113) mentre nel caso di specie il percorso logico giuridico seguito dal giudice di appello e’ ricostruibile sulla base della puntuale esposizione, degli elementi di fatto ricostruiti e dei principi di diritto applicati. Quanto ai fatti dei quali si denunzia l’omessa considerazione e cioe’ autorizzazione alla prosecuzione dell’attivita’ lavorativa da parte del GIP, l’ininfluenza della pubblicazione della notizia sui quotidiani, insussistenza della pretesa lesione dell’interesse datoriale alla conservazione del patrimonio aziendale, si tratta di circostanze delle quali, in violazione del principio di autosufficienza, e’ omessa la indicazione degli atti e documenti dai quali ne risulta la rituale acquisizione al giudizio; si tratta comunque, di fatti privi del requisito di decisivita’ non essendo dato ritenere che le stesse, ove considerate, fossero tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’, l’efficacia probatoria delle altre circostanze sulle quali si e’ fondato il convincimento del giudice di appello, onde la ratio decidendi venga a trovarsi priva di base (sulla nozione di decisivita’, tra le altre,v. Cass. 05/12/2014 n. 25754).
16. Parimenti infondato e’ l’ottavo motivo in relazione al quale valgono le considerazioni gia’ espresse in sede di esame del motivo precedente sia in ordine alla insussistenza della dedotta violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 4, sia in ordine alla non decisivita’ delle circostanze delle quali si assume la pretermissione in sede di valutazione di gravita’ delle condotte contestate.
17. Il nono motivo e’ infondato alla luce della consolidata giurisprudenza di questa Corte, gia’ richiamata al punto 14, secondo la quale il giudizio di proporzionalita’ tra licenziamento disciplinare e addebito contestato e’ devoluto al giudice di merito, la cui valutazione non e’ censurabile in sede di legittimita’, ove sorretta da motivazione sufficiente e non contraddittoria (v., tra le altre, Cass. 25/05/2012 n. 8293; Cass 19/10/2007 n. 21865). Vanno altresi’ ribadite le argomentazioni espresse nei paragrafi precedenti nel disattendere le deduzioni in punto di corretta individuazione delle condotte contestate in relazione alle deduzioni, reiterate anche con il motivo in esame. L’assunto del ricorrente che ascrive alla sentenza impugnata di avere ritenuto, in violazione del disposto dell’articolo 55 del Regolamento, preclusa la possibilita’ di applicazione di una diversa e meno grave sanzione e’ frutto del travisamento delle argomentazioni a riguardo della sentenza impugnata ed e’ pertanto privo di pertinenza con le effettive ragioni del decisum. Il giudice di appello, laddove ha ritenuto che il provvedimento di destituzione si imponeva “dal momento che nessun ragionevole margine di valutazione delle circostanze e delle qualita’ soggettive e della vicenda poteva consentire le prosecuzione del rapporto di lavoro….” non ha affatto inteso riferirsi ad una preclusione giuridica di graduazione della sanzione ma al fatto che la gravita’ oggettiva e soggettiva delle condotte considerate non lasciava spazio, a soluzioni diverse, compatibili con la prosecuzione del rapporto.
18. Le spese di lite sono regolate secondo soccombenza.
19. La circostanza che il ricorso sia stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013 impone di dar atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio che liquida in Euro 5.000,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.
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