Suprema Corte di Cassazione
sezione IV
sentenza 16 dicembre 2013, n. 50606
Considerato in fatto
Con sentenza in data 28.1.08 il Giudice di Pace di Seneghe dichiarava M.K. e Ma.Ma. responsabili per concorso colposo, in qualità di genitori del minore ma.ma. , nel reato di lesioni colpose ai danni del minore ma.ma. (art. 40 co. 2, 113 e 590 c.p.) e, riconosciute ad entrambi le attenuanti generiche, li condannava alla pena di Euro 1.200 di multa ciascuno e al risarcimento dei danni nei confronti della parte civile, da liquidarsi in separato giudizio, con provvisionale di Euro 5.000,00.
Come risulta dalla ricostruzione dei fatti effettuata dai giudici di merito, S.S. aveva lasciato i figli minori C. e Si. , nel cortile di pertinenza dell’abitazione dei vicini di casa, coniugi M.K. e Ma.Ma. , a giocare insieme al figlio dei predetti, ma.ma. , di anni cinque e ad altri bambini, rassicurato dalla presenza, sulle scale della propria abitazione, in posizione che le consentiva la visibilità e il controllo dell’area antistante, della M. , la quale non si era opposta alla presenza dei figlioletti dello S. , per cui quest’ultimo riteneva che ella avesse implicitamente assunto la sorveglianza sui minori. I bambini stavano giocando con una spugna bagnata alla quale, dietro suggerimento del piccolo N.A. , era stato dato fuoco con un accendino che ma.ma. , figlio degli imputati, era andato a prendere nella propria abitazione.
Questa spugna aveva colpito Sp.Si. causandogli ustioni di terzo grado agli arti inferiori giudicate guaribili in più di 40 giorni.
Il giudice di prime cure aveva ritenuto responsabili dell’incidente occorso al minore entrambi i coniugi Ma. , ritenendo che su di essi gravasse un dovere di controllo sull’operato del figlioletto, avvezzo ad usare fiammiferi, accendini e altri oggetti incendiari, come era risultato dall’istruttoria dibattimentale, affinché non ne facesse uso durante il gioco con i coetanei.
Proposto appello dagli imputati, il giudice monocratico di Oristano, con sentenza in data 3.2.012, aveva assolto il Ma. non ravvisando profili di colpa a suo carico, mentre aveva confermato la sentenza di primo grado quanto al riconoscimento di responsabilità della M. .
Deduce con il presente ricorso la difesa della M. :
I-violazione degli art. 521, 522 c.p.p. in relazione al principio di correlazione fra l’accusa e la sentenza.
Secondo il giudice gravato la responsabilità della M. sarebbe consistita, non nell’omessa vigilanza del figlio minore ma.ma. , bensì nella violazione dell’obbligo di protezione che avrebbe assunto nei confronti del minore Sp.Si. , nel momento in cui costui le era stato affidato dal padre.
Tale costruzione della responsabilità dell’imputata si pone, ad avviso della difesa, in contrasto con l’imputazione in cui si contesta alla M. l’omessa vigilanza sul proprio figlio e determina, quindi, un’immutazione dell’originaria accusa, con conseguente lesione del diritto di difesa, posto che al profilo di colpa contestato nel capo di imputazione se ne sostituisce uno del tutto diverso nella sentenza. In definitiva, mentre secondo l’accusa la colpa della M. sarebbe consistita nella violazione del dovere di vigilare sul figlio minore, connaturato alla funzione genitoriale, nella sentenza impugnata la stessa viene ritenuta responsabile di aver omesso la vigilanza sul minore Sp.Si. dopo averne assunto volontariamente la custodia.
2- illogicità, contraddizione della motivazione in ordine alla ritenuta inutilizzabilità delle dichiarazione testimoniali di S.S. .
Premesso che la ritenuta responsabilità della M. si fonda esclusivamente sulla deposizione di S.S. , che riferisce i fatti narratigli dal figlio C. , tali dichiarazioni sono inutilizzabili in quanto il predetto avrebbe dovuto essere sentito con le garanzie previste dall’art. 63 comma 1 c.p.p.. dovendo egli essere indagato per lo stesso reato per cui si è proceduto nei confronti dei coniugi M. – Ma. . Difatti l’aver lasciato i figli minori a giocare con coetanei che egli sapeva essere adusi all’uso di oggetti incendiari integra un profilo di responsabilità a suo carico a titolo di colpa omissiva ex art. 40 co 2 c.p. per violazione dell’obbligo di protezione derivante dalla sua posizione di garanzia verso i figli. Né tale profilo di colpa poteva ritenersi neutralizzato dall’affidamento in custodia dei minori alla M. che, secondo le stesse prospettazioni contenute nella querela sporta dallo S. , non solo non impediva ma addirittura favoriva l’utilizzo di giochi pericolosi da parte del figlio ma.ma. .
Quindi, secondo la difesa, le dichiarazioni dello S. non potevano essere utilizzate nei confronti dell’imputata in quanto assunte in violazione dell’art. 63 co. 2 c.p.p., essendo palese la natura autoindiziaria delle sue dichiarazioni in ordine al medesimo reato contestato alla M. .
3- contraddittorietà e manifesta illogicità della sentenza in ordine alla ritenuta responsabilità per colpa dell’imputata.
Osserva la difesa della ricorrente che il giudice gravato ha ritenuto la responsabilità della M. sul presupposto di una posizione di garanzia nei confronti del minore Sp. , conseguente all’assunzione della sua custodia, affidatale tacitamente dal padre. Secondo il giudice di merito la M. avrebbe assunto spontaneamente l’onere di vigilare sul piccolo Sp.Si. , ciò desumendo dal fatto che non avrebbe espresso alcun dissenso allorché il padre aveva lasciato i figli a giocare nel cortile di pertinenza della sua abitazione, con ciò affidandoglieli tacitamente, custodia alla quale non si sarebbe opposta. La difesa della ricorrente censura tale ricostruzione assumendo che il rimanere inermi di fronte all’altrui iniziativa non assume il significato di accettazione della custodia, attribuito dalla sentenza. Anche se tale comportamento non equivale a rifiuto o riprovazione, tuttavia non ha il significato dell’accettazione, rimanendo un comportamento neutro cui non può ricollegarsi l’assunzione di un dovere di custodia.
Lamenta la difesa che sentenza impugnata non indica sulla base di quali elementi si è ritenuto che la M. avesse spontaneamente assunto la posizione di garanzia verso il minore Sp.Si. .
Considerato in diritto
Il primo motivo, concernente la violazione della legga processuale con riguardo correlazione fra accusa e sentenza, è infondato.
In relazione alla censura della difesa, secondo cui, mentre nel capo di imputazione si contesta alla M. l’inosservanza del dovere di vigilanza sul proprio figlio, nella sentenza la stessa viene ritenuta responsabile della omessa custodia e vigilanza del minore Sp.Si. , osserva questo collegio che non sussiste divergenza fra accusa e sentenza lamentata. Difatti il giudice di merito ha ritenuto fondato l’originario addebito mosso all’imputata, solo che, in aggiunta ad esso, ha ritenuto sussistente un ulteriore dovere incombente sulla M. , quello della custodia e vigilanza, non solo sul figlio, ma anche sul piccolo Sp.Si. in ragione dell’affidamento fattole dal padre che lo aveva lasciato a giocare col di lei figlioletto e con altri coetanei nel cortile di pertinenza della sua abitazione.
La diversa ricostruzione dei fatti contenuta nell’imputazione rispetto a quella risultata nella motivazione della sentenza, nei termini sopra precisati, non è idonea a minare il diritto di difesa a presidio del quale è posto il principio della correlazione fra accusa e sentenza.
Si rammenta a tale proposito che in tema di correlazione tra imputazione contestata e sentenza, per aversi mutamento del fatto occorre una trasformazione radicale, nei suoi elementi essenziali, della fattispecie concreta nella quale si riassume l’ipotesi astratta prevista dalla legge, in modo che si configuri un’incertezza sull’oggetto dell’imputazione da cui scaturisca un reale pregiudizio dei diritti della difesa; ne consegue che l’indagine volta ad accertare la violazione del principio suddetto non va esaurita nel pedissequo e mero confronto puramente letterale fra contestazione e sentenza perché, vertendosi in materia di garanzie e di difesa, la violazione è del tutto insussistente quando l’imputato, attraverso l’”iter” del processo, sia venuto a trovarsi nella condizione concreta di difendersi in ordine all’oggetto dell’imputazione.
Sez. U, Sentenza n. 36551 del 15/07/2010 Ud. (dep. 13/10/2010) Rv. 248051 Sez. 6, Sentenza n. 6346 del 09/11/2012 Ud. (dep. 08/02/2013) Rv. 254888.
Quindi, alla stregua di tali principi, vi è una lesione reale del diritto di difesa solo ove l’imputato non sia stato posto nelle condizioni di difendersi.
Nel caso in esame, rispetto all’originaria accusa contenuta nell’imputazione, l’imputata è stata ritenuta responsabile, oltre che dell’omessa custodia del proprio figlio, anche di quella del figlio dei coniugi S. cui era dovuta in ragione del tacito affidamento alle sue cure del piccolo lasciato dal padre a giocare con il coetaneo S.M. nel cortile prospiciente l’abitazione della M. . Di conseguenza, rimanendo immutate le circostanze di fatto, non vi è quella trasformazione radicale della fattispecie in presenza della quale deve ritenersi preclusa la possibilità di difesa dell’imputata, tanto più che nel corso dell’istruttoria si erano delineati i profili di colpa della medesima anche con riguardo all’affidamento del piccolo Sp.Si. .
Il motivo deve pertanto essere disatteso.
2- Altrettanto infondato è il secondo motivo concernente l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di S.S. , in quanto rese non nella veste di indagato per lo stesso titolo di reato contestato alla M. e al marito, quindi in violazione delle garanzie previste dall’art. 63 co. 1 c.p.p.. A norma dell’art. 63 comma secondo c.p.p., le dichiarazioni rese da persona nei confronti della quale emergano indizi di reità, senza l’assistenza del difensore prescritta dal citato articolo, sono inutilizzabili.
Osserva il collegio che non ricorrono le condizioni per l’applicabilità di tale norma. Difatti nessuna veste di indagato può essere riconosciuta allo S. in relazione alle lesioni riportate dal piccolo Si. , in quanto, come correttamente argomentato nella sentenza impugnata, il predetto lasciò il bambino a giocare nello spazio antistante l’abitazione della M. , affidandolo tacitamente alla sua custodia. Quindi, in virtù della delega tacitamente conferita alla predetta di vigilare anche sul proprio figlio, nessun profilo di colpa poteva essere addebitato allo S. tale da determinare l’assunzione in suo capo della qualità di indagato.
3- Infondato è anche il terzo motivo, ai limiti dell’inammissibilità in quanto introduce una censura di merito finalizzata ad una diversa valutazione delle risultanze istruttorie, non consentita in sede di legittimità.
Si ricorda in proposito che il controllo sulla motivazione demandato al giudice di legittimità resta circoscritto, in ragione dell’espressa previsione dell’art. 606 co. 1 lett. E cpp, al solo accertamento della congruità e coerenza dell’apparato argomentativo, con riferimento a tutti gli elementi acquisiti nel corso del processo, e non può risolversi in una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o nella autonoma scelta di nuovi e diversi alteri di giudizio in ordine alla ricostruzione e valutazione dei fatti. Ne consegue che, laddove le censure del ricorrente non siano tali da scalfire la logicità e coerenza della motivazione del provvedimento impugnato, queste devono ritenersi inammissibili perché proposte per motivi diversi da quelli consentiti, in quanto non riconducibili alla categoria di cui al richiamato art. 606, co. 1 lett. E ((Cass. S.U. n. 12 del 31.5.00, S.U. n. 47289 del 24.9.03, sez. III n.40542 del 12.10.07, sez. IV n.4842 del 2.12.03, sez VI 20.7.011, n. 2878, sez 114.7.011 n. 33028).
Quindi, una volta accertata la tenuta logica della motivazione, non è possibile una nuova valutazione delle risultanze processuale da contrapporre a quella effettuata dai giudice di merito.
Fatta questa premessa sui limiti del controllo della motivazione da parte del giudice di legittimità, si deve rilevare che la sentenza impugnata, con motivazione congrua ed articolata, aderente alle risultanze istruttorie, ha condivisibilmente evidenziato come la M. fosse titolare di una posizione di garanzia non solo come genitrice nei confronti del figlio ma anche nei confronti del piccolo Sp.Si. in quanto le era stato affidato, sia pure tacitamente, dal padre, che lo aveva lasciato a giocare nel cortile di pertinenza dell’abitazione dell’imputata, e, quindi, non avendo costei espresso alcun dissenso a tale iniziativa, aveva assunto il compito di controllare il minore, affidato alla sua vigilanza.
Tale posizione imponeva alla M. il dovere di esercitare un controllo sui minori nella duplice veste di genitrice di uno di essi e di persona responsabile degli altri bambini che si intrattenevano col figlio negli spazi esterni della sua abitazione. Tale doveroso controllo non è stato adeguatamente svolto se i bambini sono riusciti ad acquisire la disponibilità di un accendino col quale hanno dato fuoco alla spugna che ha attinto il piccolo Sp.Si. . La M. avrebbe dovuto impedire l’uso di oggetti incendiari sia che fossero stati prelevati dal figlio all’interno della sua abitazione, sia che provenissero dall’esterno.
Quanto alla fonte dell’obbligo di vigilanza e di controllo, la giurisprudenza ha elaborato varie forme di obbligazione, sia su base consensuale, sia derivanti da una iniziativa unilaterale.
Quanto alla prima fonte, essa è data non solo dai contratti tipici ma anche tutti gli atti negoziali atipici, nei quali l’assunzione del ruolo di garante si fonda su base consensuale.
Ne discende la possibilità di individuare la fonte legale dell’obbligo di garanzia in molte situazioni della vita ordinaria. Un consolidata indirizzo giurisprudenziale civilistico ha individuato obbligazioni di natura contrattuale, non fondate sul contratto, bensì sul “contatto sociale” fonte di un’obbligazione di garanzia. Secondo tale indirizzo, le obbligazioni possono sorgere da rapporti contrattuali di fatto, in quei casi in cui taluni soggetti entrano tra loro in contatto. Benché questo “contatto” non riproduca le note ipotesi negoziali, pur tuttavia ad esso si ricollegano obblighi di comportamento di varia natura, diretti a garantire che siano tutelati gli interessi che sono emersi o sono esposti a pericolo in occasione del contatto stesso. In questi casi non può esservi (solo) responsabilità aquiliana, ma si rinviene una responsabilità di tipo contrattuale, per non avere il soggetto fatto ciò a cui era tenuto in forza di un precedente vincolo. Siffatta fonte della posizione di garanzia è stata individuata con riguardo a tutte quelle professioni che abbiano ad oggetto beni costituzionalmente protetti, come avviene per la professione medica, che incide sul bene della salute, tutelato dall’art. 32 Cost.. Rispetto all’operatore professionale la coscienza sociale, prima ancora che l’ordinamento giuridico, non si limita a chiedere un non facere e cioè il puro rispetto della sfera giuridica di colui che gli si rivolge fidando nella sua professionalità, ma giustappunto quel facere nel quale si manifesta la perizia che ne deve contrassegnare l’attività in ogni momento.
Altra fonte dell’obbligo di garanzia è quello dell’assunzione volontaria ed unilaterale dei compiti di tutela, al di fuori di un preesistente obbligo giuridico, fondato sul presupposto dell’assunzione di fatto dell’onere, della presa in carico del bene che ne accresce le possibilità di salvezza. Tale ambito ricorre in presenza di un’iniziativa spontanea nell’assunzione dei compiti di tutela, come nei casi dei vicini di casa che, in assenza dei genitori, si prendono cura del bambino; dei volontari di pronto soccorso che, avvertiti, soccorrono il ferito in stato d’incoscienza; si tratta di obbligazione giuridica connessa all’assunzione unilaterale del ruolo di garante. (Cass. Sez. IV 22.5.07 n. 25527, Sez. Un. n. 9346 del 27/06/2002, Rv. 555386).
Nel caso in esame la posizione di garanzia della M. che le imponeva di vigilare sui bambini affidati discende dal tacito consenso prestato al padre del piccolo Sp.Si. di lasciare il figlioletto nelle pertinenza esterne della sua abitazione a giocare col di lei figlio e con altri compagni. In sostanza, acconsentendo a ciò, l’imputata assumeva gli stessi obblighi di vigilanza e di custodia gravanti sul genitore per tutto il tempo in cui il bambino rimaneva affidato alle sue cure, a nulla rilevando che la donna non abbia manifestato un espresso consenso, dovendosi esso desumere da comportamenti concludenti quali acconsentire che il piccolo si trattenesse negli spazi esterni della sua abitazione, incompatibile con una volontà contraria.
Quindi, del tutto condivisibilmente e sulla base di un percorso argomentativo coerente ed articolato, la sentenza impugnata ha ritenuto sussistere la responsabilità dell’odierna ricorrente.
Deve pertanto concludersi per il rigetto del ricorso.
Segue per legge, ai sensi del’art. 616 c.p.p., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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