Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 7 ottobre 2014, n. 41691
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. GRILLO Renato – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GENTILI Andrea – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza del Tribunale di Trani in data 28/02/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. GAETA Piero, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso;
udite le conclusioni dell’Avv. (OMISSIS) che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
2. Ha presentato ricorso l’imputato che, con un primo motivo, lamentando la violazione degli articoli 21 e 23 c.p.p., deduce l’incompetenza territoriale del Tribunale di Trani, gia’ eccepita ritualmente in primo grado, e la competenza invece del Tribunale di Piacenza, versandosi in ipotesi di accertamento avvenuto presso il punto vendita (OMISSIS) di (OMISSIS) e consumandosi il reato nel luogo ove il prodotto viene posto in vendita.
3. Con un secondo motivo lamenta la inutilizzabilita’ delle analisi effettuate senza preventiva comunicazione del momento e del luogo di esecuzione delle stesse.
4. Con un terzo motivo lamenta la contraddittoria motivazione in ordine alla integrazione del reato essendo l’uva analizzata stata trovata in cassette allo stato sfuso con conseguente esclusione della applicabilita’ della previsione di cui alla Legge n. 283 del 1962, articolo 19 che individua la responsabilita’ in capo a colui che provvede alla cessione del prodotto confezionato ed imballato. In particolare, la condizione sfusa comporta la possibilita’ di autonome ed indiscriminate contaminazioni una volta che la stessa sia uscita dalla sfera di controllo della (OMISSIS), aggiunge come non sia possibile far ricadere la responsabilita’ sul mero intermediario nella vendita del prodotto, ritenendo invece non responsabili il rivenditore e produttore nonche’ il venditore finale del prodotto. Deduce inoltre un’erronea valutazione delle prove poiche’ dalle dichiarazioni del teste (OMISSIS) si desume che la merce era stata comprata dalla (OMISSIS) srl il cui legale rappresentante (OMISSIS) aveva portato a termine le pratiche colturali e di trattamento del prodotto dietro presentazione del quaderno di campagna da cui non si evinceva la presenza del promicidone.
5. Infine con un quarto motivo lamenta la eccessivita’ della pena inflitta.
Risulta dalla sentenza, senza che cio’ sia contrastato dal ricorrente, che la partita di uva rinvenuta presso la (OMISSIS) in (OMISSIS) e sottoposta ad analisi, proveniva dalla (OMISSIS) Spa di (OMISSIS) che l’aveva a sua volta ricevuta dalla (OMISSIS) Srl., amministrata dal ricorrente, con sede in (OMISSIS); quest’ultima l’aveva acquistata dalla (OMISSIS) s.r.l..
Cio’ posto, va ricordato che la competenza territoriale a conoscere del reato di vendita di sostanze alimentari contenenti residui tossici per l’uomo di prodotti usati in agricoltura, realizzato attraverso la vendita “da piazza a piazza”, appartiene al giudice del luogo dove la merce e’ consegnata al vettore quale luogo di conclusione del contratto, con il conseguente passaggio della proprieta’, in quel momento, all’acquirente ex articolo 1510 c.c. (Sez. 3, n. 3048 del 13/11/2007, Gastaldello, Rv. 238981). Correttamente, dunque, sulla base di detto principio, e’ stata ritenuta la competenza del Tribunale di Trani in relazione alla sede della societa’ venditrice, evidentemente ritenuta coincidere, in assenza di elementi di segno diverso non segnalati neppure dal ricorrente, con il luogo di consegna della merce al vettore.
7. Il secondo motivo e’ manifestamente infondato. Risulta dagli atti che dei risultati dell’analisi, contraddistinta da ripetibilita’, venne dato avviso all’imputato avvertendolo della facolta’, non utilizzata da (OMISSIS), di richiedere la revisione.
8. Il terzo motivo e’ inammissibile stante la sua prospettazione in termini ipotetici ed alternativi non consentiti dinanzi a questa Corte. La censura mossa prospetta infatti fondamentalmente una possibile contaminazione del prodotto ad opera di terzi stante la condizione non imballata del prodotto e le dichiarazioni del teste (OMISSIS) da cui si dovrebbe evincere che il promicidone non sarebbe stato presente prima che l’uva venisse acquistata dalla Extrafrutta; tali argomentazioni, pero’, appunto, anziche’ investire la logicita’ e congruenza della motivazione della sentenza impugnata, si risolvono inammissibilmente nel richiedere, per di piu’ sulla base di dati di fatto meramente ipotetici, una lettura alternativa rispetto a quella correttamente operata dal giudice del merito. Va infatti ricordato che alla Corte di cassazione e’ preclusa la possibilita’ non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (Sez. Un., n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260); resta dunque esclusa, pur dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., lettera e), la possibilita’ di una nuova valutazione delle risultanze da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o attendibilita’ delle fonti di prova (Sez. 2, n. 7380 dell’11/01/2007, Messina ed altro, Rv. 235716).
9. Anche l’ultimo motivo e’ inammissibile giacche’ del tutto generico in relazione alla invocazione di una pena “piu’ mite” in ragione degli “avvenimenti cosi’ come analizzati dal Tribunale di Trani” e a fronte di una pena irrogata pari ad euro 5.000 di ammenda.
10. Il ricorso va dunque rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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