Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 7 luglio 2015, n. 28759
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FIALE Aldo – Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo – rel. Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. PEZZELLA Vincenzo – Consigliere
Dott. SCARCELLA Alessio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 79/2014 TRIB. LIBERTA’ di LIVORNO, del 15/01/2015;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. LORENZO ORILIA;
sentite le conclusioni del PG Dott. Giacchino Izzo, che ha concluso per il rigetto;
Uditi i difensori Avv. (OMISSIS) di Livorno, e (OMISSIS) di Firenze.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza 15.1.2015 il Tribunale di Livorno ha rigettato la richiesta di riesame del decreto di sequestro preventivo dell’intera area e delle opere presenti nel sito gia’ appartenente alla societa’ (OMISSIS) in localita’ (OMISSIS), nell’ambito di un procedimento per violazioni edilizie, antisismiche e ambientali contestate a (OMISSIS) nella veste di l.r. della (OMISSIS) srl (divenuta acquirente nel 2012 dell’intero compendio e promotrice di una iniziativa di riqualificazione mediante sostituzione delle preesistenti capanne in stile polinesiano con case mobili destinate al soggiorno dei turisti, realizzazione di vialetti in cemento ed altre modifiche). L’ipotesi accusatoria ravvisava la lottizzazione abusiva, nonche’ la costruzione di 193 unita’ prefabbricate in legno (ed altre cento in corso d’opera) ancorate stabilmente al suolo con fondamenta in legno e la realizzazione di vialetti in cemento, il tutto in assenza di permesso di costruire; ancora, la realizzazione di opere in difformita’ dell’autorizzazione paesaggistica n. 554 del 5.2.2013 (per numero di manufatti eseguiti), la creazione dei vialetti in cemento in assenza di autorizzazione paesaggistica, la realizzazione di modifiche non autorizzate ai quattro prototipi di case mobili e la contravvenzione al divieto di taglio degli alberi e modifica delle dune. Si ravvisava inoltre la violazione della legislazione antisismica e l’alterazione di bellezze naturali (con particolare riferimento al taglio degli alberi, alla creazione di vialetti in cemento e alla modifica delle dune).
Secondo i giudici del riesame doveva escludersi il fumus della lottizzazione abusiva a scopo edificatorio e della costruzione in assenza di permesso di costruire in zona vincolata (violazioni del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44, lettera c, contestate rispettivamente ai capi a e b della rubrica); si giustificava invece il mantenimento della misura cautelare reale in relazione alla violazione paesaggistica (di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, commi 1 e 1 bis, in relazione all’articolo 136, e articolo 142, comma 1, lettera g, contestata al capo e della rubrica), alla contravvenzione antisismica (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 93 e 95, contestata al capo d) e alla contravvenzione di cui all’articolo 734 c.p., (contestata al capo e della rubrica).
Contro l’ordinanza hanno proposto ricorso per cassazione i difensori dell’indagato sulla base di sette censure.
In data 21.3.2015 hanno depositato una memoria integrativa con cui segnalano che successivamente alla presentazione del ricorso e’ stato disposto il dissequestro parziale dell’area su cui insistono le 194 casette mobili; ribadiscono la non necessita’ del deposito presso il Genio Civile del progetto relativo all’installazione dei manufatti alloggiativi temporanei e svolgono alcune considerazioni sul Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 9 luglio 2009, n. 36 R, articolo 12, lettera b), insistendo per l’accoglimento del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Col primo motivo si denunzia la violazione degli all’articolo 309 c.p.p., comma 10, e articolo 324 c.p.p., comma 7, per avere il Tribunale mantenuto il sequestro in relazione alle incolpazioni di cui ai capi c), d) ed e) per le quali invece il decreto di sequestro aveva escluso il fumus ovvero nulla aveva detto (avendo omesso qualsiasi motivazione al riguardo). Si precisa che nel provvedimento del GIP il fumus di “tutti i reati contestati dal pubblico ministero” era riferito alla realizzazione “in area sottoposta a vincolo ambientale ed in assenza di titolo edilizio…” e quindi ai reati di cui ai capi a) e b) che il Tribunale ha recisamente escluso. La conferma del decreto in relazione ad incolpazioni per le quali il GIP aveva omesso di pronunciarsi – secondo la tesi del ricorrente – non puo’ trovare giustificazione nel principio della integrazione del decreto di sequestro di cui all’articolo 309 c.p.p., comma 9, richiamato dall’articolo 324, comma 7, perche’ il tal modo si violerebbe il diritto dell’indagato al doppio grado di giurisdizione in materia cautelare.
Il motivo e’ infondato.
Ai sensi dell’articolo 309 c.p.p., comma 9, (applicabile in materia cautelare reale in virtu’ del rinvio contenuto nell’articolo 324, comma 7) il tribunale puo’ confermare il provvedimento impugnato “anche per ragioni diverse da quelle indicate nella motivazione del provvedimento stesso” ed in proposito la giurisprudenza di questa Corte ha affermato ripetutamente che il potere del giudice del riesame di integrare le carenze motivazionali del provvedimento di sequestro ai sensi del combinato disposto dell’articolo 324 c.p.p., comma 7, e articolo 309 c.p.p., comma 9, non e’ esercitabile allorquando il requisito della motivazione e della enunciazione dei fatti sia del tutto carente (cfr. tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 47120 del 26/11/2008 Cc. dep. 19/12/2008 Rv. 242268; Sez. 3, Sentenza n. 27 del 08/11/2002 Cc. dep. 08/01/2003 Rv. 223197).
Nel caso di specie, si e’ pero’ al di fuori di tale ipotesi estrema e dunque ben poteva il Tribunale del Riesame confermare il provvedimento genetico per ragioni diverse mediante integrazione della motivazione dello stesso.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denunzia la violazione degli articoli 309, 324 e 521 c.p.p., in quanto applicabile anche in materia cautelare, rimproverandosi al Tribunale del Riesame di avere accertato un fatto diverso rispetto a quello contestato nel capo di imputazione: osserva il ricorrente che l’incolpazione di cui alla lettera e) della rubrica riguardava la realizzazione di opere “in difformita’ dalla prescritta autorizzazione paesaggistica n. 554 del 5.2.2013” e quindi presupponeva un provvedimento regolarmente rilasciato, mentre secondo il Tribunale del Riesame, le opere sarebbero state eseguite “in assenza dell’autorizzazione paesaggistica” perche’ quella rilasciata dovrebbe ritenersi tamquam non esset per vizi di carattere procedurale. Un tale percorso argomentativo – osserva la difesa – si risolve in una vera e propria immutazione del fatto e cambia completamente le prospettive difensive comportando una violazione del diritto di difesa, in contrasto con il principio dell’articolo 521 c.p.p., estensibile anche alla materia cautelare. Non si tratta dunque di una diversa qualificazione giuridica del fatto che – in ogni caso – secondo la tesi difensiva, sarebbe illegittima secondo i piu’ recenti insegnamenti della giurisprudenza comunitaria e di legittimita’.
Anche tale censura e’ infondata.
E’ vero che in sede di riesame il tribunale puo’ confermare il provvedimento di sequestro anche sulla base di una diversa qualificazione giuridica del fatto in relazione al quale e’ stato ravvisato il “fumus commissi delicti” e che non puo’ porre a fondamento della propria decisione un fatto diverso (Sez. 6, Sentenza n. 18767 del 18/02/2014 Cc. dep. 06/05/2014 Rv. 259679; Sez. 6, n. 24126 dell’08/05/2008, dep. 13/06/2008, Rv. 240370; Sez. 1, n. 41948 del 14/10/2009, dep. 30/10/2009, Rv. 245069; Sez. 5, Sentenza n. 49376 del 18/11/2004 Cc. dep. 23/12/2004 Rv. 230428).
E’ pero’ altrettanto vero che nella fase delle indagini preliminari piu’ che di reati deve parlarsi di “ipotesi di reato” ed occorre tener conto della fluidita’ della contestazione, che si concretizza in una imputazione solo al termine delle indagini (Sez. 3, Sentenza n. 231 del 23/01/1996 Cc. dep. 27/02/1996 Rv. 204565).
Nel caso che ci occupa, comunque, non si e’ in presenza di un fatto diverso ritenuto dal Tribunale: il delitto paesaggistico formava infatti oggetto di specifica contestazione riportata nel provvedimento di sequestro e lo stesso GIP, nel provvedimento di sequestro, aveva posto l’accento sull’oggettiva inconsistenza dell’istruttoria che aveva portato al rilascio dei pareri da parte degli organi amministrativi preposti al vincolo, concludendo per l’illegittimita’ del provvedimento autorizzatorio (cfr. pag. 4 ordinanza del impugnata nella parte in cui riassume il contenuto del provvedimento cautelare impugnato).
3 Col terzo motivo di ricorso si denunzia l’errata individuazione della normativa regolatrice della procedura per il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica n. 554/2013 e in particolare l’erronea applicazione del D.P.C.M. 12 dicembre 2005, (richiamato dal Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 146, e successive modifiche) nonche’ la mancata applicazione e violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010, articolo 2.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale ha applicato una disciplina inappropriata alla fattispecie dedotta in giudizio e ribadisce la tesi della non necessarieta’ dell’autorizzazione paesaggistica per le strutture prefabbricate nei villaggi turistici, caratterizzate dall’amovibilita’ e temporaneita’. Ritiene che in ogni caso, trattandosi di intervento di lieve entita’, avrebbe dovuto applicarsi la procedura relativa all’autorizzazione semplificata di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010: a suo dire, gli interventi potrebbero rientrare nelle ipotesi di cui ai nn. 38 e 39 dell’elenco allegato al predetto Decreto del Presidente della Repubblica n. 139 del 2010, (rispettivamente, strutture mobili, chioschi e simili, oppure strutture stagionali non permanenti collegate ad attivita’ turistiche).
Osserva inoltre che la lettura operata dal Tribunale sui contenuti “minimi” della relazione paesistica e dei documenti allegati non appare convincente neppure nel caso di applicabilita’ del DPCM del 2005, pensato per interventi propriamente “edilizi” in grado di determinare modificazioni permanenti degli organismi edilizi o comunque dell’area di riferimento. Dopo avere richiamato la legislazione regionale sulla disciplina dei villaggi turistici (Legge Regionale Toscana n. 42 del 2000, articolo 30) e le innovazioni sulle case mobili introdotte dal Decreto Legge n. 69 del 2013 (c.d. “decreto del fare”) ritiene che l’allestimento di numerose strutture prefabbricate amovibili in un’area assai vasta (36 ettari) non puo’ essere oggetto di un obbligo di esatta preventiva localizzazione delle piazzole ove posizionare le strutture, rientrando tale attivita’ nel margine di discrezionalita’ riservata all’operatore turistico, considerata anche la precarieta’ dei manufatti, facilmente smontabili in una sola giornata lavorativa. Richiama le valutazioni espresse dall’arch. (OMISSIS), Funzionario della Soprintendenza e responsabile del procedimento nonche’ il parere della Regione Toscana indirizzato al limitrofo Comune di (OMISSIS) circa la liberta’ di individuazione delle piazzole e la non necessita’ dell’autorizzazione paesaggistica.
4. Col quarto motivo, si deduce la violazione della Legge n. 2248 del 1865, articoli 4 e 5, all. E, nonche’ del Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articoli 146 e 181, per avere il giudice penale affermato l’illegittimita’ dell’autorizzazione paesaggistica in mancanza di violazione dell’interesse protetto ed invadendo lo spazio insindacabile riservato alla discrezionalita’ amministrativa. Nel riproporre il tema del controllo del giudice penale sugli atti amministrativi in campo edilizio, il ricorrente richiama il controllo di regolarita’ paesaggistica esercitato dalla Soprintendenza col margine di discrezionalita’ che le competeva, formulando le proprie prescrizioni. Riporta alcuni passaggi delle dichiarazioni rese dall’arch. (OMISSIS) (responsabile del procedimento) per dimostrare che l’ufficio era al corrente del numero di manufatti da attrezzare nelle piazzole (654 unita’).
Queste due censure – che ben si prestano a trattazione unitaria – sono anch’esse infondate.
Innanzitutto, la premessa da cui muove la prima di esse investe un tipico accertamento in fatto, cioe’ la natura dell’intervento posto in essere dalla societa’ immobiliare, che il ricorrente considera di “lieve entita’”, mentre invece il Tribunale si e’ mostrato di tutt’altro avviso laddove ha richiamato le disposizioni relative agli “interventi di grande impegno territoriale”….”trattandosi di opere che caratterizzano e modificano vaste parti del territorio” e la autorizzazione riguardante il posizionamento di “654 casette in legno” (v. pagg. 18 e 19 ord. impugnata).
Del resto, la contestazione provvisoria di cui al capo c) ha ad oggetto non gia’ l’ipotesi contravvenzionale, bensi’ il delitto di cui al Decreto Legislativo n. 42 del 2004, articolo 181, comma 1 bis, e precisamente la realizzazione in zona di notevole interesse pubblico e sottoposta a vincolo paesaggistico di 193 casette in legno (oltre ulteriori cento in corso di realizzazione indicate nei richiamati capi precedenti) con le opere di urbanizzazione, la realizzazione di verande, dei vialetti di accesso in cemento, il taglio di alberi e la modifica della duna costiera.
Avendo il giudice di merito escluso la “lieve entita’”, si rivela allora inutile discutere della procedura riguardante l’autorizzazione “semplificata”, osservandosi, per completezza, che secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, ai fini del riscontro del connotato della precarieta’ dell’opera e della relativa esclusione della modifica dell’assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l’agevole rimovibilita’, ma le esigenze temporanee alle quali l’opera eventualmente assolva (cfr. piu’ di recente, Sez. 3, Sentenza n. 38682 del 2014, Ble’, non massimata; cfr. altresi’ in tema di assoggettabilita’ a permesso di costruire., sez. 3 , 21.3.2006, Cavallini; 3.6.2004, Mando’; 10.6.2003, n. 24898, Nagni; 18.2.1999, n, 4002, Bortolotti).
Quanto alla critica sul controllo dell’atto autorizzativo compiuto dal Tribunale del Riesame, la giurisprudenza di questa Corte ritiene ammissibile il sindacato del giudice ordinario anche sugli atti della P.A. espressione di discrezionalita’ tecnico – amministrativa (tra le varie, Sez. 3, Sentenza n. 14228 del 28/01/2009 Ud. dep. 01/04/2009 Rv. 243401 proprio in tema di reato paesaggistico; cfr. altresi’ Sez. 3, Sentenza n. 514 del 18/02/1994 Cc. dep. 11/03/1994 Rv. 196811). L’illegittima invasione dello spazio insindacabile riservato alla discrezionalita’ amministrativa, dunque, non sussiste, essendosi il giudice di merito mosso nei limiti del controllo che l’ordinamento gli consente laddove ha ravvisato, sulla scorta delle previsioni del D.P.C.M. 12 dicembre 2005, l’insufficienza della documentazione allegata alla domanda (relazione paesaggistica e planimetrie) rispetto allo standard tecnico che dovrebbe connotare tale documentazione, rilevando in sostanza, attraverso una specifica analisi “la mancanza in generale di quell’approfondito studio dello stato attuale e dello stato modificato che, calibrato sui profili di rilievo dal punto di vista del paesaggio, rappresenta il contenuto essenziale della valutazione di compatibilita’ paesaggistica delle soluzioni adottate, con particolare riferimento all’incidenza dell’intervento sulle aree boschive e dunali” (v. pagg. 19 e 20). Una tale conclusione, esplicitata attraverso un ragionamento immune da vizi logici e fondato sul rilievo della mancata indicazione, nella relazione illustrativa, della tipologia delle casette da installare, della loro effettiva collocazione all’interno dell’area, nonche’ della ubicazione ed estensione delle opere accessorie, appare sicuramente sufficiente a giustificare, nei limiti della sommarieta’ dell’indagine legata alla natura cautelare del procedimento, la disapplicazione dell’atto autorizzatorio.
5 Con la quinta censura, relativa al capo d) dell’imputazione, si deduce l’errata applicazione della normativa antisismica (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articoli 3 e 83, 93 e 94): secondo il ricorrente, il Tribunale, pur avendo in altra parte del provvedimento escluso la ricorrenza dei presupposti di qualificazione richiesti dalla norma (cioe’ il concetto di “costruzione”), perviene ad una conclusione contraddittoria laddove poi ritiene che le opere debbano essere assoggettate alla normativa antisismica che, invece, si applica solo alle “costruzioni”. Da una premessa corretta, quindi, si sarebbe giunti ad una conclusione errata.
Il motivo e’ inammissibile nella parte in cui denunzia la contraddittorieta’ della motivazione, vizio non deducibile in materia cautelare reale, come si evince dal chiaro disposto dell’articolo 325 c.p.p., comma 1, e come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte: si ritiene infatti ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perche’ sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l'”iter” logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato (tra le varie, Sez. 6, Sentenza n. 6589 del 10/01/2013 Cc. dep. 11/02/2013 Rv. 254893; Sez. U, Sentenza n. 25932 del 29/05/2008 Cc. dep. 26/06/2008 Rv. 239692). Nel caso di specie si e’ fuori da tale caso-limite, come agevolmente si evince dalla lettura del provvedimento impugnato che, sulla sussistenza del fumus del reato antisismico, si esprime in senso positivo spiegandone le ragioni.
Per il resto il motivo e’ infondato perche’ la denunzia dei lavori e la presentazione dei progetti (Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 93) non riguarda solo le costruzioni, ma anche altri interventi (riparazioni e sopraelevazioni). Inoltre, l’articolo 94 richiede, in caso di inizio di “lavori” nelle localita’ sismiche (ad eccezione di quelle a bassa sismicita’) la preventiva autorizzazione scritta: la norma, dunque, ha una portata ampia.
Nel caso di specie, il Tribunale, attraverso un accertamento di fatto, ha affermato che l’area e’ classificata a rischio sismico e che pertanto le case in legno, “anche se non sono nuove costruzioni ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 3” rientrano nel perimetro di efficacia del Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 93 e ss., disposizioni non rispettate (v. pag. 15 ordinanza impugnata).
La censura, dunque, ancora una volta, non coglie nel segno anche perche’ – ed e’ bene sottolinearlo – il Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 6, nell’individuare gli interventi rientranti nella attivita’ edilizia libera, al primo comma fa espressamente salvo il rispetto… “delle norme antisismiche”, mentre per giurisprudenza costante, le disposizioni in materia antisismica di cui alla Legge 2 febbraio 1974, n. 64 (oggi abrogata e sostituita dalle corrispondenti disposizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380) si applicano a tutte le costruzioni la cui sicurezza possa “comunque” interessare la pubblica incolumita’, a prescindere dalla natura dei materiali impiegati e delle relative strutture (cfr. tra le varie, sez. 3, Sentenza n. 33767 del 10/05/2007 Ud. dep. 03/09/2007 Rv. 237375; Sez. 3, Sentenza n. 38142 del 26/09/2001 Ud. dep. 24/10/2001 Rv. 220269 e, piu’ di recente, Sez. 3, Sentenza n. 30224 del 21/06/2011 Ud. dep. 29/07/2011 Rv. 251284; Sez. 3, Sentenza n. 6591 del 24/11/2011 Ud. dep. 17/02/2012 Rv. 252441). La discussione sul Decreto del Presidente della Giunta Regionale Toscana 9 luglio 2009, n. 36 R, articolo 12, lettera b), riguarda una violazione di legge che non risulta dedotta ne’ in sede di riesame ne’ nel ricorso per cassazione e pertanto, ai sensi dell’articolo 606, u.c., il Collegio non puo’ prenderla in esame.
6. Col sesto motivo il ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 111 Cost., comma 6, articolo 324 c.p.p., comma 6, e articolo 125 c.p.p., comma 3, dolendosi del difetto di motivazione e travisamento della prova in ordine al contenuto della relazione sul rischio sismico, redatta dal proprio tecnico ing. (OMISSIS) e richiamata nelle deduzioni scritte allegate al verbale di udienza camerale.
Anche questa doglianza e’ infondata: la motivazione sul fumus del reato antisimico esiste e, come si e’ visto nell’esame della precedente censura, e’ tutt’altro che apparente, dovendosi il percorso argomentativo valutare globalmente. Ne’ il ricorrente ha dimostrato che la mancata risposta ai rilievi del consulente tecnico di parte sulle modalita’ di infissione al suolo dei pali e sulla assoggettabilita’ o meno dei manufatti alla legislazione antisismica possa da sola intaccare l’intero apparato motivazionale dell’ordinanza impugnata che, come si e’ visto, si fonda anche sulla fattispecie del delitto paesaggistico e, come si vedra’, sulla contestazione della contravvenzione di cui all’articolo 734 c.p..
7. Con il settimo ed ultimo motivo di ricorso si denunzia l’errata applicazione dell’articolo 734 c.p., (alterazione di bellezze naturali) e la mancanza assoluta di motivazione sul fumus del reato contestato: si rimprovera al Tribunale di non avere motivato sulle dichiarazioni rese dall’archi. (OMISSIS) in ordine all’impatto ambientale delle opere nonche’ le relazioni dei CT di parte (allegati 1 e 2 alla memoria 9.1.2015) circa l’assenza di alterazione del paesaggio, trattandosi anzi di interventi addirittura migliorativi rispetto alle strutture precedentemente esistenti (palafitte in legno in luogo delle piattaforme in cemento delle capanne e uso di conglomerato per i sentieri): tale omissione, secondo il ricorrente, rappresenta una violazione non solo dell’articolo 734 c.p., ma anche dell’articolo 125 c.p.p., comma 3, e articolo 111 Cost..
Anche tale censura e’ infondata e segue pertanto la sorte di tutte le altre.
In tema di tutela del patrimonio paesistico ed ambientale, ai fini della applicabilita’ della ipotesi contravvenzionale di cui all’articolo 734 c.p., l’accertamento della sussistenza della distruzione o alterazione delle bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’autorita’ e’ demandata al giudice penale, atteso che trattasi di reato di danno per il quale l’accertamento dell’evento concretante la contravvenzione spetta al giudice, e cio’ indipendentemente da ogni valutazione effettuata dalla pubblica amministrazione,il cui provvedimento puo’ assumere rilevanza nella valutazione dell’elemento psicologico del reato (Sez. 3, Sentenza n. 15299 del 03/03/2004 Ud. dep. 30/03/2004 Rv. 228538). Pronunce piu’ recenti di questa Corte hanno delineato le differenze col reato paesaggistico (e l’ammissibilita’ di concorso tra le due figure di reato) ribadendo comunque la natura di reato di danno della contravvenzione prevista dal codice penale (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 37472 del 06/05/2014 Cc. dep. 11/09/2014 Rv. 259942; Sez. 3, Sentenza n. 14746 del 28/03/2012 Ud. dep. 17/04/2012 Rv. 252625).
Ebbene, il Tribunale di Livorno, sulla scorta di tali principi e, all’esito di un accertamento di tipo fattuale, ha ravvisato l’alterazione soprattutto in relazione alla posa in opera delle 193 unita’ abitative ed alle connesse opere di scavo, livellamento e sistemazione della duna, ritenuta una delle qualita’ naturalistiche dell’area.
L’accertamento sul fumus della contravvenzione appare congruamente motivato e pertanto la critica ancora una volta non coglie nel segno, richiamandosi infine – quanto alla mancata risposta alle dichiarazioni del funzionario della Sovrintendenza e alle note dei consulenti di parte – le argomentazioni esposte nella trattazione del motivo che precede.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
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