Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 4 marzo 2014, n. 10248
Ritenuto in fatto
1. La Corte di appello di Palermo, con sentenza del 14.6.2012 ha confermato la decisione con la quale, in data 23.6.2009, il Tribunale di Agrigento aveva riconosciuto la responsabilità penale di M.L. in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv, 609-bis commi 1 e 3, 609-septies, comma 4 nn. 2 e 3 cod. pen., ivi assorbita l’originaria contestazione del reato di cui all’art. 660 cod. pen., perché, in diverse circostanze di tempo e di luogo, nella sua qualità di preside di un istituto scientifico, costringeva la minore V.R. (nata il (omissis) ), alunna dell’istituto e quindi a lui affidata per ragioni di istruzione, a subire diversi atti sessuali, sia chiamandola ripetutamente presso il suo ufficio ed ivi abbracciandola e baciandola, nonché chiedendole di baciarlo, sia baciandola ed abbracciandola nei locali dell’istituto, sia trattenendola al suo corpo, così impedendole di allontanarsi, sia facendole diversi complimenti (in (omissis) ).
Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia.
2. Con un primo motivo di ricorso deduce la violazione dell’art. 609-bis cod. pen. e l’insussistenza del reato per carenza degli elementi costitutivi, rappresentando che, diversamente da quanto ritenuto dai giudici del gravame, le condotte poste in essere non avrebbero la connotazione di atti sessuali, non avendo coinvolto alcuna zona erogena, né essendo tali atteggiamenti caratterizzati dalla finalità di soddisfare la propria concupiscenza o l’istinto sessuale, trattandosi, semmai, di comportamenti inopportuni, peraltro posti in essere nel momento del saluto secondo le abitudini locali, come emerso dalle dichiarazioni rese dalla stessa persona offesa e dai testimoni escussi nel corso dell’istruzione dibattimentale.
Aggiunge che le azioni poste in essere non hanno mai coinvolto oggettivamente ed univocamente la corporeità sessuale della giovane alunna né, tanto meno, avrebbero inciso sulla sua libertà sessuale, restando peraltro invariate nel corso dei diversi episodi e che la Corte territoriale, uniformandosi alle conclusioni del primo giudice, non avrebbe adeguatamente motivato sul punto, senza affrontare nel dettaglio le censure mosse con l’atto di appello.
3. Con un secondo motivo di ricorso deduce la carenza dell’elemento soggettivo del reato, la omessa valutazione di elementi decisivi di prova, la carenza di motivazione e l’illegittima applicazione dell’art. 609-bis cod. pen., osservando come non risulterebbe dimostrato, in base alle risultanze processuali, che gli abbracci ed i baci sulla guancia della persona offesa avessero come movente l’eccitazione sessuale.
Rileva, inoltre, che non sarebbe in alcun modo emerso, nel giudizio del merito, che la persona offesa avesse manifestato il proprio dissenso alle attenzioni rivoltele dal preside dell’istituto da lei frequentato, né che questi avesse comunque percepito un implicito rifiuto di tale atteggiamento, non percependo dunque alcuna valenza illecita nel salutare gli allievi con abbracci e baci.
4. Con un terzo motivo di ricorso lamenta, infine, che la Corte territoriale avrebbe errato nel non ritenere maturata la prescrizione del reato in considerazione del fatto che la stessa contestazione riconosceva già l’ipotesi del fatto di minore gravità di cui al terzo comma dell’art. 609-bis cod. pen., cosicché, ai fini della quantificazione del termine massimo di prescrizione, avrebbe dovuto tenersi conto della pena minore stabilita dalla norma codicistica e riconoscere l’intervenuta prescrizione del reato al momento della pronuncia della sentenza di appello.
Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
5. Il ricorso è infondato.
Occorre preliminarmente rilevare che in questa sede di legittimità non è possibile procedere ad una nuova e diversa valutazione delle risultanze processuali che il ricorrente sembra implicitamente sollecitare attraverso ripetuti richiami a contenuti di atti del procedimento – peraltro riprodotti in maniera frammentaria – il cui accesso è precluso a questa Corte, il cui compito non è, ovviamente, quello di ripetere l’esperienza conoscitiva del giudice del merito.
6. Fatta tale doverosa premessa, deve osservarsi, per ciò che concerne il primo motivo di ricorso, che la materialità della condotta contestata non è posta in discussione in ricorso, avendo il ricorrente contestato esclusivamente la qualificazione datane dai giudici del merito, sostanzialmente escludendo che detti atti avessero una oggettiva connotazione sessuale, in quanto non avevano coinvolto zone erogene ed erano tipici di un atteggiamento diffuso e tipico dei costumi locali e non sarebbero stati, comunque, invasivi dell’altrui libertà di autodeterminazione nella propria sfera sessuale.
Ciò posto, occorre ricordare, in primo luogo, quanto già affermato dalla giurisprudenza di questa Corte in tema di “zone erogene”, intendendo come tali quelle parti del corpo umano che, se stimolate, sono in grado di determinare piacere sessuale ed eccitazione.
7. Come già si è avuto modo di affermare in una precedente decisione (Sez. III, n. 7059, 23 febbraio 2012, non massimata), i cui contenuti pare opportuno richiamare, tale nozione non è mai stata chiaramente determinata.
In alcune pronunce (Sez. III n.27762, 8 luglio 2008; Sez. III n.27469, 7 luglio 2008. V. anche Sez. III n. 6653, 5 giugno 1998) dette zone sono state individuate nei genitali e nelle parti del corpo che la scienza medica, psicologica e antropologica qualifica come zone erogene ed in quelle considerate tali dall’agente, al fine di distinguere il reato consumato dalle ipotesi di tentativo, ritenuto configurabile allorquando, per la pronta reazione della vittima o per altre ragioni, l’agente non riesca a toccare la parte corporea presa di mira ed il contatto corporeo sia solo superficiale e fugace, fermo restando lo scopo libidinoso, che deve comunque sussistere.
In dette decisioni la condotta oggetto di valutazione era consistita, in un caso, nell’avere toccato le spalle della vittima, allo scopo di slacciarle il reggiseno senza riuscire nell’intento per la sua pronta reazione mentre, nell’altro, il toccamento indirizzato alla coscia e alla zona genitale, aveva attinto la gamba, sempre a causa della opposizione del soggetto passivo.
In altra occasione (Sez. III n.28815, 11 luglio 2008) è stata definita zona erogena “l’area della pelle o delle mucose, la cui stimolazione produce sensazioni piacevoli ed eccitazione sessuale” indicando, quali “principali zone erogene”, le aree genitali, la zona perianale, i capezzoli e la mucosa orale, precisando, tuttavia, che esse non esauriscono le potenzialità erogene del corpo umano, variabili da individuo ad individuo, collocando poi, tra queste, la bocca, cui è attribuita una rilevante funzione di stimolo ed eccitazione sessuale in quanto normalmente adoperata per esplicare la sessualità, dal bacio al coito orale.
Precedentemente, il richiamo alla individuazione della nozione in esame comprendeva tutte quelle zone “ritenute dalla scienza non solo medica, ma anche psicologica ed antropologico-sociologica erogene, tali da dimostrare l’istinto sessuale con esclusione di quelle espressioni di libido connotate da una sessualità particolare (ex. Gr. bacio delle scarpe)” (Sez. III n.7772, 4 luglio 2000).
Si osservava, nella richiamata sentenza 7059/2012, che la mancanza di una puntuale delimitazione della nozione discende, evidentemente, dalla sua indubbia correlazione a connotazioni strettamente soggettive, che ne rende conseguentemente incerta l’efficacia ai fini della collocazione, nell’ambito degli atti sessuali penalmente rilevanti, di tutti quei comportamenti non strettamente attinenti all’area genitale.
Si ricordava anche, in quell’occasione, che la questione relativa all’individuazione della condotta di rilievo penale è stata diffusamente trattata in altra pronuncia (Sez. III n.33464, 5 ottobre 2006), mediante ampi richiami ai precedenti, giungendo alla conclusione che essa comprende, oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo, ancorché fugace ed estemporaneo, tra soggetto attivo e soggetto passivo, o comunque coinvolgendo la corporeità sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato ed idoneo a porre in pericolo la libertà di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, non avendo rilievo determinante, ai fini del perfezionamento del reato, la finalità dell’agente e l’eventuale soddisfacimento del proprio piacere sessuale (V. anche Sez. III n. 45950, 12 dicembre 2011; Sez. III n.41096, 11 novembre 2011; Sez. III n.12506, 28 marzo 2011; Sez. III n.21840, 1 giugno 2011; Sez. III n. 21336, 4 giugno 2010; Sez. IV n. 3447, 23 gennaio 2008; Sez. III n.35365, 27 settembre 2007).
Si è altresì precisato (Sez. III n.25112, 2 luglio 2007), sempre alla luce delle precedenti elaborazioni giurisprudenziali, che una formulazione maggiormente convincente della nozione è quella che ricomprende negli atti sessuali tutti quegli atti oggettivamente idonei a compromettere la libertà sessuale del soggetto passivo, invadendo la sua sfera sessuale, mediante un rapporto corpore corpori, non riguardante, necessariamente, le zone genitali e che può estendersi anche a tutte le altre zone ritenute erogene prevenendo, così, ad una nozione definita “oggettiva” di atto sessuale, rispetto alla quale il dolo (generico) del reato si rinviene nella coscienza e volontà di compiere un atto lesivo della libertà sessuale della persona offesa, senza che assuma rilevanza l’ulteriore fine dell’agente, che è in genere quello di soddisfare la sua concupiscenza, ma può anche essere un fine ludico o di umiliazione della vittima.
Si è poi chiarito che, con riferimento alla fattispecie esaminata, concernente un’ipotesi di bacio sulla bocca, il riferimento alle zone erogene va integrato anche con un’attenta valutazione del contesto sociale e culturale in cui la condotta è realizzata e ciò al fine di evitare eccessive dilatazioni della connotazione sessuale del comportamento contrarie al senso comune ed al principio di determinatezza della fattispecie penale.
Date tali premesse, nella più volte richiamata sentenza 7059/2012 si perveniva alla conclusione che il giudice di merito, anche alla luce dei summenzionati principi, deve procedere all’esame della fattispecie concreta attraverso una verifica globale della condotta posta in essere dal soggetto attivo, della sua incidenza sulla libertà sessuale della persona offesa, del contesto relazionale intercorrente tra i soggetti coinvolti e di ogni altro dato fattuale qualificante.
8. Va altresì ricordato, che, con riferimento al bacio, la giurisprudenza di questa Corte è uniformemente orientata nel ritenerlo quale “atto sessuale” anche nel caso in cui si risolva nel semplice contatto delle labbra (Sez. III n. 41536, 29 ottobre 2009, non massimata, relativa a fattispecie in cui l’imputato, afferrandola per il collo, aveva tentato di baciare il viso della parte lesa senza assicurarsi il suo previo consenso).
Nella medesima decisione si precisava anche che, ai fini della configurabilità del reato, non può essere operata alcuna distinzione con riferimento all’intensità del bacio, tale da escludere la natura sessuale per i baci caratterizzati soltanto dal contatto delle labbra e riservare la nozione di atto sessuale solo quelli più penetranti, considerando che entrambe le tipologie sono idonee a ledere la libertà e integrità sessuale del soggetto passivo, concretandosi in un atto idoneo a invadere la sua sfera intima ed integrare, pertanto, uno degli elementi materiali del reato di violenza sessuale, tranne nel caso in cui si tratti di baci leggeri scambiati in contesti non erotici che ne escludano la connotazione sessuale (si richiamava, in quell’occasione, anche Sez. III, n. 25112/2007 cit.).
In precedenza, anche il mero sfioramento con le labbra del viso altrui per dare un bacio era stato collocato tra gli atti avente tipica connotazione sessuale (Sez. III n. 549, 11 gennaio 2006. In senso difforme, la più risalente Sez. III n. 11318, 22 novembre 1995, ove tale connotazione si è esclusa con riferimento a due fugaci baci sulla guancia e sul collo, dati fuggevolmente e senza insistenza. V. anche Sez. III n. 6651, 5 giugno 1998, nella quale è stata ritenta la valenza sessuale un caso in cui il bacio, indirizzato sulla bocca, era stato dato su una guancia).
9. A conclusioni non dissimili deve peraltro pervenirsi con riferimento all’abbraccio, condotta che, in determinate situazioni, può dimostrarsi maggiormente invasiva rispetto al bacio, potendo coinvolgere l’intero corpo del soggetto passivo e comportare un contatto anche con zone indubbiamente erogene, ma che, in altre circostanze, si risolve in una condivisa manifestazione di affetto e confidenza del tutto avulsa da connotazioni tipicamente sessuali.
Come si è visto, manca dunque, in ipotesi quali quelle in precedenza descritte, la certezza delle finalità dell’atto, che va pertanto ricercata attraverso l’analisi di altri dati fattuali significativi.
10. Ribadendo quindi quanto già in precedenza sostenuto nella citata sentenza 7059/2012 deve affermarsi il principio secondo il quale, non essendo possibile classificare aprioristicamente come atti sessuali tutti quelli che, in quanto non direttamente indirizzati a zone chiaramente individuabili come erogene, possono essere rivolti al soggetto passivo con finalità diverse, come nel caso del bacio o dell’abbraccio, la loro valutazione deve essere attuata mediante accertamento in fatto da parte del giudice del merito, evitando improprie dilatazioni dell’ambito di operatività della fattispecie penale contrarie alle attuali condizioni di sviluppo sociale e culturale ma valorizzando ogni altro elemento fattuale significativo, tenendo conto della condotta nel suo complesso, del contesto in cui l’azione si è svolta, dei rapporti intercorrenti tra le persone coinvolte ed ogni altro elemento eventualmente sintomatico di una indebita compromissione della libera determinazione della sessualità del soggetto passivo.
11. Ciò posto, ritiene il Collegio che tale analisi sia stata adeguatamente svolta nella fattispecie in esame, diversamente da quanto affermato in ricorso.
Invero, i giudici del gravame hanno considerato i fatti oggetto di incolpazione non soltanto nella loro oggettività, prendendo in esame ogni altro aspetto ritenuto significativo e, così facendo, non hanno formulato il loro giudizio attribuendo la natura di atti sessuali ai baci ed agli abbracci di cui all’imputazione sulla base di valutazioni meramente soggettive, ma hanno invece valutato la vicenda nel suo complesso, ricavando dalle emergenze istruttorie dati fattuali significativi opportunamente valorizzati.
Tali elementi, che, come si è già detto, non possono essere riesaminati in questa sede, sono stati oggetto di verifica i cui esiti vengono spiegati attraverso un percorso logico che non presenta alcun cedimento o manifeste contraddizioni.
In sostanza, i giudici del merito hanno posto in evidenza come l’imputato avesse in più occasioni convocato l’alunna al suo cospetto senza plausibili ragioni, inducendola in un caso a seguirlo sul terrazzo della scuola e, in un’altra occasione, all’interno del suo studio lasciato al buio ed, in tali contesti, l’avrebbe baciata sulle guance avvicinandola a se trattenendola per i fianchi quando si trovavano sul terrazzo della scuola e chiedendole di baciarlo mentre erano all’interno dello studio.
Rilevano inoltre i giudici del merito che, secondo quanto riferito da alcuni testi e contrariamente a quanto sostenuto dall’imputato, questi non era solito salutare con baci ed abbracci gli studenti, tanto che coloro che ebbero ad assistere a tali atteggiamenti avevano manifestato perplessità nel corso della loro deposizione. Pur non escludendo che detto comportamento potesse aver riguardato anche altri studenti, la Corte territoriale ne evidenzia comunque la reiterazione, considerando anche la presenza di altri dati significativi.
Tra questi, viene posta in evidenza la circostanza della non veridicità delle dichiarazioni rese dall’imputato per giustificare i propri incontri con l’alunna, dimostrata da positivi elementi di riscontro puntualmente elencati e l’evidente disagio provato dallo stesso imputato di fronte alle reazioni di un docente che aveva assistito alle effusioni ed al quale aveva riferito che la ragazza era un’amica di famiglia.
12. Dalla semplice descrizione degli episodi effettuata dalla Corte territoriale emerge chiaramente che, del tutto correttamente, la condotta dell’imputato è stata definita come inusuale ed, altrettanto correttamente, tenuto conto del contesto in cui è stata posta in essere, ne è stata ritenuta la indubbia connotazione sessuale, escludendo che fosse limitata ad accompagnare il saluto.
Del resto un altro dato significativo, pure evidenziato dai giudici del gravame, è quello relativo alle frasi che l’imputato rivolgeva alla persona offesa in occasione dei loro incontri. Si ricorda infatti nella sentenza impugnata che lo stesso imputato, nel corso dell’esame cui si è sottoposto, aveva riconosciuto di aver rivolto complimenti alla ragazza per il suo corpo e per l’aspetto fisico.
Si tratta, dunque, di una valutazione del tutto corretta, cui si aggiunge quella, altrettanto puntuale, concernente l’evidente dissenso manifestato dalla persona offesa, che i giudici ritengono dimostrato dal turbamento manifestato dalla ragazza dopo gli incontri con il preside, dichiarato da più testimoni che avevano raccolto le confidenze della giovane e dal tenore di quanto dalla stessa riferito e testualmente riportato in sentenza (f.8) circa l’accaduto sul terrazzo della scuola e nell’ufficio del preside, trattandosi di frasi in cui la persona offesa evidenzia inequivocabilmente non soltanto le evidenti finalità degli approcci, ma anche la propria disapprovazione per le attenzioni rivoltele.
13. Va poi rilevato che le considerazioni svolte dalla Corte territoriale non perdono consistenza, contrariamente a quanto si sostiene in ricorso, per il fatto che tutti gli incontri sarebbero avvenuti con le medesime modalità, senza, cioè, che l’imputato andasse oltre i baci e gli abbracci verso l’alunna, poiché una tale evenienza, lungi dall’escludere la finalità di soddisfare l’impulso sessuale, consente soltanto di collocare la condotta, come in effetti è avvenuto, nel novero dei casi di minore gravità che giustificano l’applicazione dell’attenuante di cui all’art. 609-bis, ultimo comma.
14. La sentenza impugnata chiarisce anche in maniera adeguata le ragioni per le quali si è ritenuta la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di cui tratta il secondo motivo di ricorso.
Per il reato in esame, invero, non si richiede che l’atto sessuale sia finalizzato al soddisfacimento del piacere erotico, essendo necessario e sufficiente, a fronte del dolo generico del reato, che l’agente abbia la coscienza e volontà di realizzare gli elementi costitutivi del medesimo (Sez. III n. 21336, 4 giugno 2010; Sez. III n. 39718, 12 ottobre 2009; Sez. III n. 28815, 11 luglio 2008; Sez. III n. 4402, 10 aprile 2000) e la prova del dolo, quando difettino esplicite ammissioni del soggetto attivo del reato, può essere desunta da elementi esterni e, segnatamente, da quei dati della condotta che, per la loro offensività o per l’obiettivo disvalore sociale, siano i più idonei ad esprimere il fine perseguito dall’agente (Sez. III n. 11866, 26 marzo 2010).
Tali elementi significativi sono agevolmente desumibili dai dati fattuali in precedenza richiamati, posto che le modalità degli incontri, le frasi ed i gesti rivolti all’indirizzo dell’alunna, le sue reazioni, il comportamento tenuto dal preside a fronte delle richieste di spiegazioni da parte di un docente, manifestano la piena coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale di una persona non consenziente.
15. Infine, anche il terzo motivo di ricorso è infondato.
Alla fattispecie in esame è pacificamente applicabile la disciplina della prescrizione attualmente in vigore, introdotta dalla legge 5 dicembre 2005, n. 251, avuto riguardo alla data della pronuncia della sentenza di primo grado (23.6.2009).
Altrettanto pacifica risulta la natura di circostanza attenuante del fatto di minore gravità di cui tratta l’ultimo comma dell’art. 609-bis cod. pen..
Ciò posto, deve rilevarsi come l’art. 157, comma 2 cod. pen. stabilisca che “per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tener conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad effetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante”.
Ai fini del calcolo della prescrizione deve dunque tenersi, conto, nella fattispecie, della pena massima di anni 10 prevista dall’art. 609-bis, comma 1 cod. pen. (non operando il raddoppio dei termini di cui all’ultimo comma dell’art. 157 cod. pen.) e non anche, come sostenuto in ricorso, della pena risultante dopo aver operato la riduzione prevista dal terzo comma dell’art. 609. Ne consegue che il reato non è ancora prescritto.
16. Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con le consequenziali statuizioni indicate in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
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