Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 25 gennaio 2016, n. 3098
Ritenuto in fatto
1. V.P. ricorre per cassazione impugnando per saltum la sentenza indicata in epigrafe con la quale il tribunale di Grosseto ha assolto l’imputata con la formula il fatto non è previsto dalla legge come reato.
Alla ricorrente era stato addebitato il delitto previsto dall’articolo 10-ter decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 perché, in qualità di socio amministratore della Autoricambi V. di V. P. s.n.c., avente sede legale in Grosseto, ometteva di versare l’imposta sul valore aggiunto per l’ammontare complessivo di 51.229,00 Euro, dovuta in base alla dichiarazione annuale modello Iva 2010, società di capitali, relativa all’anno di imposta 2009, ovvero non versava detta imposta entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo. In (omissis) e con la recidiva infraquinquennale.
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza la ricorrente, tramite il difensore denuncia la violazione dell’articolo 606, comma 1, lettera b), codice di procedura penale per erronea applicazione della legge penale con particolare riferimento all’articolo 10-ter decreto legislativo n. 74 del 2000 e dell’articolo 530 codice di procedura penale.
Sostiene che il tribunale di Grosseto l’ha assolta dal reato ascritto “in quanto il fatto non è più previsto dalla legge come reato” motivando tale decisione con riferimento all’intervento della Corte costituzionale che, con sentenza 7-8 aprile 2014 n. 80, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 10-ter decreto legislativo n. 74 del 2000 nella parte in cui, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, punisce l’omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla relativa dichiarazione annuale, per importi non superiori, per ciascun periodo di imposta, ad Euro 103.291,38.
Ciò posto, nel ricordare che la contestazione riguarda l’omesso versamento dell’Iva per la somma di 51.229,00 Euro per il periodo di imposta dell’anno 2009, la ricorrente si duole del fatto che il tribunale ha correttamente pronunciato sentenza di assoluzione con formula tuttavia errata “in quanto il fatto non è previsto dalla legge come reato”, rilevando che, con la pronuncia di parziale incostituzionalità della predetta disposizione normativa, la condotta posta in essere dalla ricorrente ed oggetto di contestazione deve essere considerata tamquam non esset per essere venuto meno un elemento costitutivo del fatto di reato (l’originaria soglia di punibilità) che esclude ogni rilevanza, così come peraltro descritto dal primo giudice nella motivazione della sentenza, il quale avrebbe tuttavia dovuto assolvere la ricorrente “perché il fatto non sussiste”, formula che pertanto la ricorrente invoca.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è fondato.
2. Va in primo luogo chiarito che è configurabile l’interesse dell’imputato all’impugnazione di sentenza di assoluzione pronunciata con la formula perché il fatto non è più previsto dalla legge come reato, in considerazione delle potenziali conseguenze sfavorevoli, sia in sede civile, sia in sede amministrativa, riconducibili a tale formula assolutoria (Sez. 1, n. 28846 del 19/05/2009, Presciutti, Rv. 244293).
Si tratta di un principio che è stato convalidato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione (Sez. U, n. 25457 del 29/03/2012, Campagne Rudie, Rv. 252693, e in motivazione) che, attraverso una completa ricognizione della nozione dell’interesse ad impugnare definita dagli interventi nomofilattici prodotti nel tempo da parte delle stesse Sezioni Unite penali (Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, Testini; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009, De Marino; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra; Sez. U, n. 42 del 13/12/1995, Timpani; Sez. U, n.10372 del 27/09/1995, Serafino; Sez. U, n. 6563 del 16/03/1994, Rusconi; Sez. U, n. 12234 del 23/11/1985, Di Trapani), ha chiarito che se una sentenza penale, come quella pronunciata “perché il fatto non è preveduto dalla legge come reato”, produce effetti giuridicamente rilevanti in altri campi dell’ordinamento, con pregiudizio delle situazioni giuridiche soggettive facenti capo all’imputato, questi ha interesse ad impugnare la sentenza penale qualora dalla revisione di essa possa derivare in suo favore, in modo diretto e concreto, l’eliminazione di qualsiasi effetto giuridico extrapenale per lui sfavorevole.
La Corte costituzionale, con la sentenza n. 85 del 2008, ha chiarito che le uniche decisioni totalmente assolutorie sono quelle pronunciate con le formule “il fatto non sussiste” e “l’imputato non lo ha commesso”, mentre tutte le altre formule di assoluzione comportano, con forme e gradazioni diverse, un riconoscimento della responsabilità dell’imputato o comunque l’attribuzione del fatto allo stesso, e quindi, sebbene non applichino una pena, sono sicuramente idonee ad arrecare ugualmente all’imputato significativi pregiudizi di ordine sia morale sia giuridico. All’imputato va quindi normalmente riconosciuto il diritto di impugnare una sentenza di proscioglimento per ottenere una assoluzione con una formula per lui migliore perché totalmente liberatoria o comunque produttiva di effetti extrapenali più favorevoli o meno pregiudizievoli (Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, Guerra cit., in motiv.).
In altri termini – mentre resta salva la facoltà da parte delle competenti autorità extrapenali di procedere alla verifica circa la possibilità di applicare, attraverso un autonomo potere di accertamento e con l’attribuzione di tutte le garanzie procedimentali del caso, le relative sanzioni se per il fatto, estromesso dall’area della illiceità penale, esse siano applicabili – la pronuncia penale non può recare ex se un pregiudizio scaturente dalla pretesa efficacia, radicalmente esclusa, come si è detto, soltanto dalle formule “il fatto non sussiste” o “l’imputato non lo ha commesso”, della sentenza di assoluzione nei giudizi extrapenali, nei quali quindi l’accertamento può tradursi, con riferimento alle altre formule assolutorie, nell’applicazione automatica delle sanzioni, una volta che il giudice penale – quando in sede extrapenale si controverte intorno ad un diritto o ad un interesse legittimo il cui riconoscimento è dipeso dall’accertamento degli stessi fatti materiali che furono oggetto del giudizio penale – abbia espresso un giudizio di applicabilità delle medesime, producendosi perciò un pregiudizio delle posizioni giuridiche soggettive, che è nell’interesse dell’imputato rimuovere, rivendicando la formula di maggiore favore.
3. La questione che il Collegio è chiamato a risolvere e se, nei reati nei quali sia prevista una soglia di punibilità per l’integrazione della fattispecie incriminatrice, debba essere pronunciata, qualora detta soglia non risulti integrata, sentenza con la formula assolutoria “il fatto non sussiste” ovvero “il fatto non è preveduto dalla legge come reato”.
Va precisato che la questione rileva tanto nel caso di specie (dove il limite – soglia per la punibilità del delitto ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 è stato elevato da Euro 50.000 a Euro 103.291,38 con la sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale, con riferimento ai fatti commessi sino al 17 settembre 2011, nei quali rientra ratione temporis quello addebitato alla ricorrente), quanto per le ipotesi che anteriormente o anche successivamente al 17 settembre 2011 debbono essere regolate dal d.lgs. 24 settembre 2015, n.158 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 233 del 7 ottobre 2015, in vigore dal 22 ottobre 2015), che ha elevato ulteriormente la soglia di punibilità prevista in relazione all’art. 10-ter d.lgs. 74/2000, portandola ad Euro 250.000,00.
Orbene, sia per effetto della sentenza n. 80 del 2014 della Corte costituzionale e sia per le nuove previsioni di cui al d.lgs. n. 158 del 2015, è necessario, per la corretta soluzione della questione, stabilire quale ruolo svolgono le soglie di punibilità nella struttura del reato.
3.1. La giurisprudenza di legittimità è divisa nel ritenere le soglie di punibilità come elemento costitutivo del reato o condizione obiettiva di punibilità.
3.2. L’orientamento che propende in quest’ultimo senso è stato anche recentemente espresso (Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014, dep. 2015, Libertone, Rv. 262394) e ritiene che, nel prevedere una soglia di punibilità, il legislatore ha inteso riservare la sottoposizione alla più grave delle sanzioni, quella appunto penale, alle ipotesi di evasione ritenute più gravi, proprio perché superiori ad un determinato ammontare: tale valore rappresenta, non un elemento costitutivo del reato, ma una condizione obbiettiva di punibilità, in mancanza della quale (ossia al di sotto della predetta soglia) l’interesse dell’amministrazione finanziaria è presidiato dalle conseguenze civilistiche della violazione dell’obbligo posto a carico del contribuente (interessi di mora e sanzioni).
In precedenza è stato sostenuto che il superamento della soglia, rappresentata dall’ammontare dell’imposta evasa, costituisce una condizione oggettiva di punibilità, come tale sottratta alla rappresentazione del fatto da parte del soggetto agente (Sez. 3, n. 25213 del 26/05/2011, Calcagni, Rv. 250656), sul rilievo che, quando la punibilità del fatto è subordinata alla condizione che da esso sia derivata un’evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto per un determinato ammontare, tale accadimento costituisce una vera e propria condizione oggettiva di punibilità, perché non fa parte del contenuto offensivo della fattispecie e non integra un elemento costitutivo dell’offesa, bensì attiene a un limite quantitativo dell’evento e non all’evento dell’omesso versamento, che è necessariamente riconducibile al dolo specifico, posto che trattasi di uno di quegli accadimenti che, secondo la dottrina, arricchiscono la sfera dell’offesa del reato, perché, pur attenendo alla sfera dell’offesa del bene protetto, tuttavia non accentrano in sé tutta l’offensività del fatto, in quanto comportano solo un ulteriore aggravamento, una progressione dell’offesa tipica: non si richiede, pertanto, nel soggetto agente la rappresentazione dell’ammontare del contributo evaso, ma la sola finalizzazione della condotta all’evasione ed il reato si perfeziona nel momento in cui la condizione si verifica, pure se essa non è voluta dall’agente medesimo.
3.3. L’indirizzo contrario ritiene invece che la soglia di punibilità rientri tra gli elementi costitutivi del reato, pervenendo alla conclusione che la mancata integrazione della soglia nel delitto di cui all’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 comporta l’assoluzione con la formula “il fatto non sussiste” (Sez. 3, n. 36859 del 26/06/2014, Bottaro, Rv. 260187), coerentemente richiedendo che il soggetto attivo del reato abbia la consapevolezza che il tributo evaso superi la soglia di punibilità individuata dalla disposizione incriminatrice (Sez. 3, n. 12248 del 22/01/2014, Faotto, Rv. 259806).
In particolare, è stato affermato, a proposito del delitto ex art. 316-ter cod. pen. che il superamento della soglia quantitativa, oltre la quale l’illecito amministrativo integra il reato, non configura una condizione obiettiva di punibilità, ma un elemento costitutivo della fattispecie, e come tale, deve essere oggetto di rappresentazione e volontà (Sez. 6, n. 38292 del 14/07/2015, Trevisan, Rv. 264609).
Sul punto, è stato osservato come, al fine di escludere o meno che il superamento della soglia possa costituire una “condizione obbiettiva di punibilità”, occorra fare riferimento anzitutto alla “struttura” della norma incriminatrice, per cui la configurazione della fattispecie come reato di danno, piuttosto che di pericolo del quale il superamento della soglia rappresenti una progressione criminosa, appare indice rassicurante per escludere che la soglia rientri nel novero delle condizioni obiettive di punibilità, soprattutto quando poi la scelta di prevedere una “soglia” non risponde a quella di punire o meno il soggetto, bensì di diversamente punirlo con una “sanzione amministrativa” che potrebbe essere più afflittiva rispetto a quella penale, tanto per la “effettività” che la caratterizza anche per la tempestività dell’intervento, cosicché si è in presenza di una scelta di opportunità volta a ridurre l’intervento penale, con la conseguenza che la configurabilità del reato richiede il dolo, altrimenti il fatto non costituisce reato e non potrà che integrare un illecito amministrativo.
Anche le Sezioni Unite hanno preso posizione in tal senso affermando, tra l’altro, che, per la commissione del reato ex art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario le ritenute effettuate nel periodo considerato e tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità, che è un elemento costitutivo del fatto, contribuendo a definirne il disvalore (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, non mass. sul punto, in motiv. P.6).
4. Anche la dottrina è divisa sul punto.
4.1. Secondo l’opinione prevalente, la soglia di punibilità rientra tra gli elementi essenziali del reato. La posizione contraria, a sostegno della natura di condizioni obiettive di punibilità delle soglie in questione, fonda prevalentemente la tesi, da un lato, sulla struttura del dolo di evasione nei reati tributari (dolo specifico) e, dall’altro, sul presupposto della indubbia complessità del procedimento di determinazione dell’imposta evasa, nonché dell’opinabilità dei risultati del procedimento di accertamento, con la conseguenza che tali difficoltà ed incertezze farebbero fondatamente ritenere che la misura dell’imposta dovuta non derivi dalla legge (o almeno soltanto dalla legge), scaturendo invece l’ammontare dell’imposta dagli esiti dell’esercizio di una funzione di controllo che conferisce all’amministrazione finanziaria estesi poteri discrezionali, al punto che il dato numerico che fonda la punibilità sarebbe, almeno a priori, inconoscibile. Ne deriva che, se l’evasione fiscale, come conseguenza della condotta, rappresenta l’evento costitutivo del delitto (cui la condotta deve essere finalisticamente orientata proprio per la previsione del dolo specifico), la sua misura appare tuttavia il frutto di un processo di quantificazione e determinazione che prescinde in certa misura dall’agire del contribuente dichiarante ed è quindi funzionale a segnare esclusivamente un limite di rilevanza penale di un comportamento comunque illecito sicché rappresenta esclusivamente una condizione obiettiva di punibilità intrinseca.
4.2. Alla tesi che configura le soglie di punibilità come condizioni obiettive di punibilità è stato obiettato che siffatto inquadramento appare inaccettabile dal punto di vista formale – strutturale, non essendosi al cospetto (come dovrebbe essere se si fosse in presenza di vere e proprie condizioni obiettive di punibilità) di eventi futuri ed incerti rispetto alla condotta del contribuente, ma di una modalità della stessa condotta. Da ciò la conseguenza che l’integrazione delle soglie costituisce un elemento del fatto di reato, non potendosi ricondurre né alla nozione di evento, non essendovi alcun stacco logico e tanto meno temporale tra le soglie e la condotta di presentazione della dichiarazione, né tra i presupposti della condotta, giacché, se anche la percezione del reddito non dichiarato è un fatto che oggettivamente preesiste rispetto alla condotta stessa, il superamento della soglia di evasione in realtà consegue non già dal possesso del reddito ma dall’omessa dichiarazione di esso.
È stato poi sottolineato che una diversa conclusione si porrebbe anche in contrasto con l’intenzione del legislatore di superare il precedente sistema improntato alla tutela della funzione di accertamento, posto che il verificarsi dell’evasione, o quantomeno di una evasione quantitativamente significativa alla luce del principio di sussidiarietà, rappresenta un elemento significativo e, dunque, centrale nell’economia della fattispecie incriminatrice, in quanto integra l’offesa (sub specie di danno) e pertanto assume rilevanza nella prospettiva del bene giuridico tutelato (l’interesse dello Stato alla percezione dei tributi) proprio in relazione al principio costituzionale di offensività. Da ciò è stato tratto solido argomento per sostenere che, in fattispecie che contemplano l’offesa all’interesse patrimoniale alla percezione dei tributi, tale offesa (nella misura in cui è proprio l’integrazione della soglia che le assegna una significatività penalistica) non può essere degradata al mero ruolo di condizione obiettiva di punibilità.
Sotto altro profilo, ma con identico risultato, è stato sostenuto che le soglie minime di punibilità sono un elemento costitutivo del reato sul rilievo che il superamento di un determinato ammontare dei componenti reddituali non dichiarati o di imposta evasa non è altro che il risultato dell’azione posta in essere dal soggetto.
Infine, partendo ancora una volta dalla ricognizione degli interessi tutelati, è stato sottolineato come le scelte politico-criminali di perseguire non più le violazioni formali e prodromiche all’evasione fiscale, ma soltanto una porzione dei comportamenti lesivi dell’interesse dello Stato alla percezione dei tributi, siano state tradotte dal legislatore della riforma con una precisa strategia diretta a costruire i reati di evasione come delitti di danno assegnando consistenza penale a comportamenti di pregnante e concreta offensività per gli interessi dell’erario attraverso lo spostamento in avanti della rilevanza penale della condotta, incentrando la costruzione delle fattispecie – tipo, da un lato, sul momento dichiarativo e su quello dell’imposta e, dall’altro, procedendo ad individuare un filtro selettivo di carattere quantitativo idoneo a fungere da spartiacque tra l’illecito penale e l’illecito amministrativo.
Cosicché, in questo orizzonte di tutela, la soglia di punibilità, come è stato detto, diviene necessariamente il centro, il nocciolo, il nucleo fondamentale della fattispecie penale in quanto qualifica, definisce e costituisce l’interesse tutelato, di cui determina la misura e l’essenza, ponendosi come un requisito di fattispecie e come il topos in cui si incarna e vive la scelta politico-criminale del legislatore della riforma, non sussumibile nella categoria della condizione di punibilità, quantunque c.d. intrinseca e peraltro di discutibile configurabilità dogmatica, perché non approfondisce, ispessisce, né rimodula gli interessi oggetto di tutela bensì li forma.
4.3. Ritiene il Collegio che, nell’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 e nelle fattispecie analoghe, che condividono la stessa struttura quanto agli enunciati di tipicità che caratterizzano la fattispecie incriminatrice, la soglia di punibilità rientra tra gli elementi costitutivi del reato.
Le “soglie” non possono quindi essere inquadrate tra le condizioni di punibilità, neppure c.d. intrinseche, consistendo queste ultime in eventi che rendono attuale l’offesa all’interesse protetto dalla norma violata o che costituiscono una progressione o un aggravamento di tale offesa, con la conseguenza che siffatti eventi, concorrendo a delineare il disvalore penale del fatto, sono in realtà elementi costitutivi del reato, cosicché devono essere necessariamente coperti dal dolo o, secondo i casi, dalla colpa dell’agente.
È fondamentale pertanto considerare che l’integrazione della soglia quantitativa necessaria per il perfezionamento del reato non dipende da un evento futuro ed incerto (ossia da una condicio) ma dallo stesso comportamento dell’agente che, nella presentazione della dichiarazione annuale ai fini dell’Iva, sottrae all’imposizione, con il mancato versamento e, dunque, con una condotta omissiva, una quantità di tributo che, integrata la soglia, contribuisce alla realizzazione del fatto tipico.
L’attività di accertamento circa il superamento o meno della soglia quantitativa – che il legislatore indica per l’integrazione di un fatto penalmente rilevante (cioè del fatto di reato) – costituisce un posterius rispetto alla consumazione dell’illecito e svolge lo stesso ruolo che in altre fattispecie è spiegato dalle tecniche di accertamento processuale per provare che è stato realizzato un elemento del fatto tipico che costituisce il reato.
L’obbligazione tributaria è infatti un’obbligazione legale (art. 23 Cost.), sottratta, nel momento in cui essa sorge, al potere negoziale delle parti, e il suo contenuto, anche in relazione alla determinazione e quantificazione dell’imposta, non dipende dalla volontà dell’amministrazione finanziaria che, pur godendo di poteri autoritativi, non ha alcuna facoltà discrezionale in proposito.
Quanto poi alla struttura del dolo, a parte il fatto che sarebbe tutta da dimostrare la situazione di incompatibilità strutturale tra la soglia di punibilità come elemento costitutivo del fatto di reato e la costruzione di fattispecie a dolo specifico, deve ritenersi, risolvendosi definitivamente la questione, che l’elemento soggettivo del reato ex art. 10-ter è sostenuto dal dolo generico (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, cit., in motiv. P.6).
In definitiva, la soglia di punibilità si traduce nella fissazione di una quota di rilevanza quantitativa e/o qualitativa del fatto tipico (ciò avviene, a titolo esemplificativo, nell’usura, ove il requisito della usurarietà del tasso di interesse risulta da una complessa operazione di determinazione di esso; avviene poi nei casi in cui si ricorre alla fissazione di limiti tabellari che servono a qualificare la tossicità degli alimenti, o il tasso alcoolemico del conducente di veicoli), con la conseguenza che, alla mancata integrazione della soglia, corrisponde la convinzione del legislatore circa l’assenza nella condotta incriminata di una “sensibilità” penalistica del fatto, sicché il comportamento sotto soglia è ritenuto non lesivo del bene giuridico tutelato, consistente, nel caso in esame, nella salvaguardia degli interessi patrimoniali dello Stato connessi alla percezione dei tributi, anche in ossequio alla necessità di esaltare il principio di offensività, dovendo alla soglia di punibilità spettare – come si legge nella Relazione di accompagnamento al decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 – anche il compito, conformemente alla previsione dell’articolo 9, comma 1, lettera b), della legge delega, di “limitare l’intervento punitivo ai soli illeciti di significativo rilievo economico”, consentendo di riflesso un conseguente alleggerimento del carico penale.
Nella stessa relazione è poi significativamente affermato che le soglie di punibilità sono “da considerarsi alla stregua di altrettanti elementi costitutivi del reato e che in quanto tali debbono essere investiti dal dolo”.
È il caso poi di segnalare come la Corte costituzionale (sentenza n. 241 del 2004), convalidando siffatte opzioni interpretative, abbia assegnato alle soglie di punibilità (nel caso dello scrutinio di costituzionalità si trattava delle soglie contemplate dalla previgente formulazione dell’art. 2621 cod. civ.) il ruolo di “requisiti essenziali di tipicità del fatto”.
La soglia di punibilità rientra perciò tra gli elementi costitutivi (del fatto di) reato in quanto completa la realizzazione della condotta punibile e dunque partecipa pienamente all’integrazione giuridica della fattispecie penale, non potendo collocarsi tra le condizioni obiettive di punibilità che invece presuppongono un reato già strutturalmente perfetto nei profili oggettivi e soggettivi cosicché il verificarsi di un evento futuro ed incerto ne condiziona esclusivamente la punibilità, la quale è un elemento esterno alla struttura del reato.
Conclusivamente, in conformità all’insegnamento delle Sezioni Unite Romano, l’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 configura reato omissivo proprio (di mera condotta e, dunque, c.d. formale) e di danno, il cui oggetto specifico della tutela penale è costituito dall’interesse dello Stato alla percezione dei tributi ed i cui elementi costitutivi sono: a) la situazione tipica da cui sorge l’obbligo di agire; b) la condotta omissiva (non tacere quod debetur) la quale deve risolversi in un mancato versamento che raggiunge o supera la soglia quantitativa richiesta per l’integrazione del fatto tipico; c) il termine, esplicito o implicito, alla cui scadenza l’inadempimento dell’obbligo assume rilevanza e si consuma l’illecito; d) il dolo generico, con la conseguenza che, per la commissione del reato, è sufficiente la coscienza e volontà di non versare all’Erario l’imposta sul valore aggiunto legalmente dovuta. Ne consegue che tale coscienza e volontà deve investire anche la soglia di punibilità (ora di Euro duecentocinquantamila a seguito del d.lgs. n. 158 del 2015), che è un elemento costitutivo del fatto di reato, contribuendo a definirne il disvalore e che dunque deve rientrare, in uno agli elementi costitutivi del fatto tipico, nel fuoco del dolo, con la sottolineatura che la prova del dolo è insita in genere nella presentazione della dichiarazione annuale, dalla quale emerge quanto è dovuto a titolo di imposta, e che deve, quindi, essere saldato o almeno contenuto non oltre la soglia, ora, di Euro duecentocinquantamila, entro il termine lungo previsto.
Infatti, il debito verso il fisco relativo ai versamenti Iva è collegato al compimento delle operazioni imponibili sicché ogni qualvolta il soggetto d’imposta effettua tali operazioni riscuote già (dall’acquirente del bene o del servizio) l’Iva dovuta e deve, quindi, tenerla accantonata per l’Erario, organizzando le risorse disponibili in modo da poter, alla scadenza, adempiere all’obbligazione tributaria (Sez. U, n. 37424 del 28/03/2013, Romano, cit., in motiv.).
5. A questo punto, la formula assolutoria da utilizzare in ipotesi di mancata integrazione della soglia di punibilità nel delitto previsto dall’art. 10-ter d.lgs. n. 74 del 2000 – vuoi perché, essendo stato contestato un fatto integrante la soglia, lo stesso è invece risultato, a seguito dell’accertamento processuale, sotto-soglia oppure vuoi perché, come nel caso di specie, la soglia di punibilità è stata elevata a seguito della declaratoria di incostituzionalità della disposizione che la prevede o, ancora, vuoi perché tale elevazione sia da attribuire allo ius superveniens – è di semplice soluzione, avendo le Sezioni Unite penali affermato che nel caso in cui manchi un elemento costitutivo, di natura oggettiva, del reato contestato, l’assoluzione dell’imputato va deliberata con la formula “il fatto non sussiste”, non con quella “il fatto non è previsto dalla legge come reato”, che riguarda la diversa ipotesi in cui manchi una qualsiasi norma penale cui ricondurre il fatto imputato (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, Rv. 250975; Sez. U, n. 40049 del 29/05/2008, cit.) e che, dunque, non potrebbe essere utilizzata neanche nell’ipotesi di mancanza di una condizione obiettiva di punibilità.
In buona sostanza, secondo il dictum delle Sezioni Unite Orlando, l’adozione della formula “il fatto non è previsto dalla legge come reato” dipende dal tenore formale dell’imputazione, dalla circostanza cioè che con essa si assume la riconducibilità della fattispecie concreta ad una fattispecie astratta mai esistita, abrogata o dichiarata (in toto) costituzionalmente illegittima. Mentre, quando il fatto storico, così come ricostruito, non è idoneo, come nella specie, ad essere sussunto nella fattispecie astratta, per la mancanza di un elemento costitutivo del reato, occorre adottare la formula “il fatto non sussiste” (Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011, Orlando, cit.).
6. Resta soltanto da chiarire – per una ragione che è, per un verso, speculare rispetto a quella per la quale è stata ritenuta la presenza dell’interesse ad impugnare – che l’insussistenza del fatto dichiarata, come nel caso in esame, per la mancata integrazione della soglia di punibilità, attiene all’inconfigurabilità della fattispecie incriminatrice quanto all’accertamento che non sussiste il fatto che sia stata raggiunta una soglia pari o superiore a quella prevista per la realizzazione del reato, con la conseguenza che è esclusivamente rispetto a tale fatto che, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., la sentenza penale irrevocabile di assoluzione pronunciata a seguito di dibattimento ha efficacia di giudicato, restando impregiudicata, come in precedenza anticipato, l’eventuale mancato versamento dell’Iva in misura inferiore alla soglia di punibilità (che integra un fatto diverso, penalmente irrilevante e sanzionabile in via amministrativa) e potendo l’amministrazione finanziaria quindi procedere in via amministrativa all’accertamento della violazione e all’irrogazione delle relative sanzioni in relazione all’imposta dovuta e non versata, purché sotto soglia.
7. Ne deriva l’accoglimento del ricorso e l’annullamento senza rinvio dell’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.
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