Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 24 novembre 2015, n. 46500
Ritenuto in fatto
1. La Corte di Appello di Catanzaro, con sentenza del 05/03/2015, confermava la sentenza del Tribunale di Cosenza, emessa In data 26/02/2014, con la quale S.F.A. era stato condannato, previo riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche e di quella di cui all’art. 13 D.Lvo 74/2000, alla pena (sospesa alle condizioni di legge) di mesi 10 di reclusione per i reati cui all’art. 5 D.L.vo 74/2000, ascritti in epigrafe, unificati sotto il vincolo della continuazione.
Premetteva la Corte territoriale che il Tribunale aveva ritenuto provato, sulla base di quanto accertato dalla G.d.F., che l’imputato avesse omesso, in qualità di legale rappresentante della “Ocma Group srl”, di presentare la dichiarazione dei redditi per gli anni di imposta 2006 e 2007, pur avendo prodotto redditi, non contabilizzati, per un importo di Euro 801.123,06 per il 2006 e di Euro 968.887,02 per il 2007.
L’accertamento tributario era stato poi cristallizzato con adesione del contribuente che aveva riconosciuto il debito di Euro 423.300,61 per il 2006 e di Euro 467.122,32 per il 2007.
Tanto premesso, la Corte territoriale riteneva destituiti di fondamento i motivi di appello.
Preliminarmente rigettava l’eccezione di inutilizzabilità della testimonianza del M.llo Sc.Ro. , non avendo il predetto riferito su accertamenti compiuti da altri, avendo egli stesso partecipato ad alcune attività accertative e sottoscritto unitamente ai colleghi il verbale di accertamento. Il riferimento anche ad attività svolte da altri non costituiva, comunque, motivo di nullità o inutilizzabilità, trattandosi di atti compiuti nello stesso contesto investigativo.
Quanto al verbale di constatazione, esso era stato acquisito senza opposizione della difesa (ver.ud.16/10/2013) ed era utilizzabile entro i limiti di cui all’art.220 disp.att. cod.proc.pen..
Nel caso di specie la ricostruzione del volume di affari della società era avvenuto sulla base della consultazione della banca dati e dell’acquisizione presso terzi delle fatture emesse dalla società stessa; e tali attività erano avvenute quando era rilevabile solo l’omessa presentazione della denuncia e non anche una condotta penalmente rilevante (tenuto conto peraltro della soglia di punibilità).
Quanto al merito, gli accertamenti della G.d.F., fondati su elementi di natura obbiettiva (e non avendo l’imputato fornito fatture passive), individuavano con certezza la misura della base imponibile, che, peraltro, era stata accettata dall’imputato medesimo che aveva provveduto a pagare il debito di imposta.
Il dolo specifico richiesto dalla norma non poteva poi, certamente, ritenersi escluso per avere l’imputato affidato ad un professionista l’incarico di presentare la dichiarazione annuale.
2. Ricorre per cassazione S.F.A. , a mezzo dei difensori, denunciando la violazione degli artt. 178 e 499 cod.proc.pen..
I Giudici di merito hanno fondato la sentenza di condanna sulla testimonianza del M.llo Sc. , il quale, per sua stessa ammissione, non aveva partecipato all’accertamento tributario; e ciò in palese violazione del principio di oralità e formazione della prova in dibattimento (a norma dell’art. 499 cod.proc.pen. il teste può essere autorizzato a consultare, in aiuto alla memoria, documenti da lui redatti (formati, quindi, e non semplicemente sottoscritti). Vale, perciò, il dato sostanziale e non solo formale.
La testimonianza, come eccepito tempestivamente dalla difesa, è conseguentemente nulla e, comunque, inutilizzabile.
Con il secondo motivo denuncia la violazione degli artt. 178, 431, 555 cod.proc.pen., 220 disp. att. cod.proc.pen..
Secondo la giurisprudenza di legittimità tale verbale, non essendo diretto ad essere utilizzato come prova in dibattimento, va qualificato come documento e, quindi, non acquisibile senza previa escussione di coloro che lo hanno redatto.
Inoltre, a norma dell’art. 220 disp.att., quando nel corso dell’attività ispettiva emergano indizi di reato, gli atti necessari ad assicurare le fonti di prova debbono avvenire con il rispetto delle garanzie previste dal codice. Il presupposto per l’operatività della norma non consiste certo nell’insorgenza di una prova indiretta ex art. 192 c.p.p., ma la mera possibilità di attribuire rilevanza penale al fatto. Emergendo tale possibilità fin dai primi accertamenti e non essendo state rispettate le garanzie difensive, il verbale di costatazione è inutilizzabile (e l’eccezione può essere sollevata in ogni momento).
Con il terzo motivo deduce l’insussistenza del reato contestato.
Essendo i procedimenti penale e tributario autonomi, è pacifico che non abbiano valenza nel primo le presunzioni legali previste dalla normativa tributaria.
Ma, anche a voler tener conto del processo verbale di constatazione (acquisito agli atti illegittimamente, senza il consenso delle parti, ed inutilizzabile), il Giudice penale avrebbe dovuto considerare, per verificare il superamento della soglia di punibilità, dei costi sostenuti; né si è tenuto conto, come riconosciuto dallo stesso M.llo Sc. , delle numerose operazioni esenti. Se risulta provata l’omissione della denuncia dei redditi, non vi è prova del superamento della soglia di punibilità.
Con il quarto motivo deduce l’insussistenza dell’elemento psicologico di reato.
La omessa dichiarazione è essa stessa la prova dell’assoluta mancanza di dolo (è sufficiente evidenziare che le dichiarazioni fino al 2005 erano state regolarmente presentate).
È vero che l’incarico ad un professionista della trasmissione telematica, non esonera dagli obblighi fiscali, ma da un comportamento colpevole non può certo farsi derivare la prova del dolo specifico richiesto dalla norma.
Con il quinto motivo, infine, deduce questione di legittimità costituzionale per palese disparità di trattamento tra il soggetto che non abbia presentato la dichiarazione e chi l’abbia presentata senza versare l’imposta entro il termine indicato (per quest’ultimo la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.10 ter D.L.vo 74/2000 per i fatti antecedenti al D.L.n.138/2011, ove non fosse superata la soglia di Euro 103.291,38).
Considerato in diritto
1. Il ricorso è infondato
2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte costituisce atto irripetibile e può quindi essere inserito nel fascicolo per il dibattimento, il processo verbale di costatazione redatto dalla Guardia di Finanza per accertare o riferire violazioni a norme finanziarie o tributarie (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3 n. 36399 del 18/05/2011): “Rientrano, infatti, nel novero degli atti irripetibili quelli mediante i quali la p.g. prende direttamente cognizione di fatti, situazioni o comportamenti umani dotati di una qualsivoglia rilevanza penale e suscettibili di modificazione”.
Sicché in materia di accertamento di reati tributari il processo verbale di constatazione redatto in occasione di controlli è inseribile nel fascicolo del dibattimento nella parte in cui riproduce situazioni di fatto esistenti in un determinato momento e suscettibili di subire modifiche; così che possono essere utilizzati i riscontri documentali e contabili amministrativi quando riproducono una situazione obiettiva neppure contestata (Cass. sez. 3 n. 1944 del 15/01/1998).
D’altra parte, il processo verbale di constatazione redatto dalla guardia di finanza o dai funzionari degli uffici finanziari è un atto amministrativo extraprocessuale, come tale, comunque, acquisibile ed utilizzabile a fini probatori (Cass. sez. 3 n.7820 del 01/04/1998; sez. 3 n.6881 del 18/11/2008).
2.1. Qualora, però, nel corso dell’attività ispettiva, emergano indizi di reato, occorre procedere secondo le modalità previste dall’art.220 disp.att.c.p.p., altrimenti la parte del documento redatta successivamente a detta emersione non può assumere efficacia probatoria e, quindi, non è utilizzabile” (cfr. Cass.pen. sez. 3 n.6881/2008 cit; Sez. 3 n. 15372 del 10/02/2010).
Tale norma prescrive, infatti, che, quando emergano indizi di reato, gli atti necessari per assicurare le fonti di prova e raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale sono compiuti con l’osservanza delle norme delle codice. Da detta disposizione si evince, per converso, che l’obbligo non ricorre quando, ancora, non sono emersi elementi di colpevolezza nei riguardi di chi è sottoposto all’atto ispettivo o di vigilanza (Cass. sez. 6 n.11076 del 10/05/1999).
È stato, anche, affermato che, in tema di omesso versamento delle ritenute previdenziali e assistenziali, il controllo formale relativo alla regolarità della posizione contributiva del datore di lavoro, compiuto dall’Istituto previdenziale sulla base dei documenti già in suo possesso, non possa considerarsi attività ispettiva o di vigilanza ai sensi e per gli effetti di cui all’art.220 disp. att. cod.proc.pen., che impone l’osservanza delle norme a garanzia della difesa previste dal codice di rito (Cass. sez. 3 n. 27682 di 17/06/2014).
2.2. La Corte distrettuale, nel rigettare l’eccezione di inutilizzabilità del verbale di constatazione, ha, richiamando la giurisprudenza di legittimità sopra ricordata, opportunamente rilevato che la ricostruzione del volume d’affari della società era avvenuto sulla base di dati oggettivi, ricavati dalla banca dati in cui confluiscono gli elenchi dei fornitori presentati dagli operatori economici, nonché dall’acquisizione presso terzi delle fatture emesse dalla stessa società nei confronti dei clienti individuati attraverso la banca dati in questione (pag. 2). L’accertamento era quindi fondato su elementi ricognitivi.
In ogni caso, il verbale di constatazione era stato acquisito senza opposizione della difesa (si legge infatti nella trascrizione del verbale di udienza del 16/10/2013, che la difesa, invitata dal Presidente, affermava : “Nessuna osservazione”).
Infine, il contenuto del verbale di constatazione era stato confermato in dibattimento dal teste.
E, quanto alla presunta violazione dell’art. 220 disp. att., ha rilevato che il ricorrente non aveva neppure indicato quale parte del verbale di constatazione fosse inutilizzabile.
Peraltro l’attività di ricerca della documentazione sopra evidenziata risultava compiuta in un momento in cui era rilevabile solo l’omessa presentazione della dichiarazione annuale, ma non era certo ipotizzabile il superamento della soglia di punibilità.
Invero, a voler seguire l’interpretazione della norma sollecitata dal ricorrente, si finirebbe, per rendere applicabili le garanzie difensive di cui all’art. 220 disp.att. all’inizio di ogni attività ispettiva e di vigilanza.
3. Corretta è anche la ritenuta utilizzabilità delle dichiarazioni rese dal M.llo Sc. , avendo il predetto riferito su attività accertative da lui stesso compiute e riportate nel verbale di constatazione, nonché sottoscritto, unitamente agli altri agenti operanti, il verbale in questione “avendo conoscenza di tutti i documenti esaminati, dai quali sono derivate le conclusioni riportate nell’atto” (pag. 2).
Peraltro, il divieto di cui all’art.195, comma 4, cod.proc.pen., previsto per gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria, non si applica nell’ipotesi in cui il verbalizzante riferisca sulle attività di indagine svolte da altri ufficiali o agenti di p.g. nello stesso contesto investigativo (cfr. Cass. Sez. 2 n.36286 del 21/09/2010; anche sez. 2 n.23005 del 16/01/2015).
4. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile.
In tema di reati tributari, l’accertamento induttivo compiuto dagli uffici finanziari può rappresentare un valido elemento di indagine per stabilire, in sede penale, se vi sia stata evasione e se questa abbia raggiunto le soglie di punibilità previste dalla legge, a condizione che il Giudice non si limiti a constatarne l’esistenza e non faccia apodittico richiamo agli elementi in essi evidenziati, ma proceda a specifica autonoma valutazione degli elementi nello stesso descritti comparandoli con quelli eventualmente acquisiti “aliunde” (cfr. Cass. sez. 3 n. 1904 del 21/12/1999, Zarbo; conf. Cass. sez. 3, 20/10/1995 Perillo).
Anche più di recente è stato ribadito che, ai fini dell’accertamento della soglia di punibilità di cui all’art.5 del D.L.vo n.74 del 2000, il giudice possa legittimamente avvalersi dell’accertamento induttivo dell’imponibile compiuto dagli uffici finanziari (Cass. pen. sez. 3 n. 24811 del 28/04/2011, Cass. pen. sez. 3 n.40992 del 14/05/2013).
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione di tali principi, assumendo che: a) l’accertamento era fondato su dati obbiettivi, derivando dalla sommatoria degli importi portati dalle fatture emesse dalla società e non contabilizzate; b) non erano state fornite dall’imputato fatture passive; c) era ininfluente la presenza di eventuali operazioni esenti da iva, dal momento che la condotta omissiva in contestazione riguardava esclusivamente l’imposta diretta sul reddito (IRES); d) la base imponibile determinata in sede di accertamento era stata accettata dallo stesso imputato che aveva provveduto al pagamento delle imposte dovute; e) la soglia di punibilità risultava pertanto ampiamente superata (pag. 3 sent.)
4.1. Il ricorrente, invece di confrontarsi con tale motivazione, contestandola con argomentazioni in fatto ed in diritto, si limita a riproporre, parola per parola, il motivo di
appello (addirittura, come risulta a pag. 11 del ricorso, non viene neppure eliminata l’affermazione: “Nella fattispecie portata alla cognizione di questa Ecc.ma Corte di Appello…”).
Eppure l’art.581 cod.proc.pen. richiede espressamente che l’atto di impugnazione contenga, a pena di inammissibilità ex art. 591 co. 1 lett. c) c.p.p., a) i capi o i punti della decisione ai quali si riferisce l’impugnazione; b) le richieste; c) i motivi, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta.
5.Quanto all’elemento soggettivo, è pacifico che l’affidamento ad un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la dichiarazione annuale dei redditi non esoneri il soggetto obbligato dalla responsabilità penale per il delitto di omessa dichiarazione (art.5 D.L.vo 10 marzo 2000 n.74), in quanto, trattandosi di reato omissivo proprio, la norma tributaria considera come personale e non delegabile il relativo dovere (Cass. pen. sez. 3 n.9163 del 29/10/2009).
A parte il fatto che risulta indimostrato che la omessa presentazione delle dichiarazioni possa attribuirsi a negligenza del professionista incaricato e che deve ritenersi irrilevante che negli anni precedenti esse siano state presentate regolarmente, la Corte territoriale ha osservato che il dolo specifico richiesto dalla norma, oltre che dalla mancata presentazione della denuncia, era desumibile “anche dalla mancata esibizione delle fatture emesse dalla società e dall’effettuazione del pagamento delle imposte solo dopo la contestazione” (pag. 3 sent).
6. La sollevata questione di illegittimità costituzionale è irrilevante sotto un duplice profilo: a) perché la contestazione riguarda la dichiarazione dei redditi (IRES); b) perché, in ogni caso, per quanto accertato dalla Corte di merito sarebbe di gran lunga superata la soglia di punibilità indicata dalla sentenza della Corte Costituzionale n.80 del 7/4/2014 in relazione all’omesso versamento dell’iva fino al 17/9/2011.
7. Non essendo il ricorso manifestamente infondato (in relazione ai primi due motivi), va dichiarata la prescrizione del reato di omessa denuncia per l’anno 2006 perché estinto per prescrizione, anche se intervenuta dopo l’emissione della sentenza impugnata.
Il termine massimo di prescrizione di anni 7 e mesi 6 è, infatti, maturato in data 27/6/2015, risultando il reato commesso alla data del 27/12/2007.
La sentenza impugnata va, pertanto, annullata sul punto, senza necessità di rinvio, potendosi eliminare in questa sede l’aumento apportato a titolo di continuazione per detto reato (vale a dire mesi 2 di reclusione – cfr. pag. 4 sent. Trib.).
P.Q.M.
Annulla, senza rinvio, la sentenza impugnata limitatamente al reato di omessa denuncia per l’anno 2006 perché estinto per prescrizione ed elimina la relativa pena di mesi 2 di reclusione. Rigetta nel resto il ricorso.
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