L’avvocato – in caso di furto d’auto – non è responsabile per aver inoltrato la richiesta di risarcimento danni all’assicurazione fuori dai termini, quando l’incarico sia stato affidato non dal legittimo proprietario ma dal semplice utilizzatore
Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 24 maggio 2016, n. 10700
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SPIRITO Angelo – Presidente
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere
Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere
Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 18597-2013 proposto da:
(OMISSIS), ((OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS) con studio in (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 175/2013 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 04/03/2013, R.G.N. 397/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 11/02/2016 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI;
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito l’Avvocato (OMISSIS);
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. – Con sentenza del novembre 2006, il Tribunale di Pescara respinse la domanda proposta da (OMISSIS) contro l’avv. (OMISSIS) al fine di ottenerne, previo accertamento della responsabilita’ professionale (in quanto inadempiente al mandato ricevuto per richiedere l’indennizzo alla compagnia che aveva assicurato contro il furto l’autovettura sottratta ad esso attore il 1 novembre 1997, avendo inoltrato tardivamente la relativa richiesta il 9 novembre 2001, allorquando era gia’ decorso il termine di prescrizione), la condanna la risarcimento dei danni patiti, “quantificati nell’importo dell’indennizzo dovuto a termini di polizza in relazione al valore dell’autovettura e degli oggetti ivi custoditi al momento del furto”.
2. – Avverso tale decisione proponeva impugnazione il (OMISSIS), che, nel contraddittorio con il (OMISSIS), la Corte di appello di L’Aquila rigettava con sentenza resa pubblica il 4 marzo 2013.
2.1. – La Corte territoriale osservava che, pur prescindendo dall’esame dei motivi di appello, “la circostanza allegata (sin dal primo grado) dall’appellato circa la proprieta’ effettiva dell’autovettura, se non esclude dal (OMISSIS) e, prima ancora, la insussistenza di un effettivo danno per quest’ultimo”.
Il giudice di appello evidenziava, al riguardo, che la “questione della proprieta’ della autovettura oggetto di furto” era stata esaminata in primo grado solo sotto il profilo della legittimazione ad agire e risolta “sulla base del mero dato formale della intestazione dell’autovettura al P.R.A. e della intestazione del contratto di assicurazione contro i danni stipulato con la s.p.a. (OMISSIS) l'(OMISSIS)”, la’ dove i “medesimi dati formali” erano stati “contrapposti dalla difesa dell’appellante alla riproposizione della questione da parte dell’appellato”.
La Corte territoriale riteneva, quindi, che detti dati, ai fini dell’esame nel merito sulla fondatezza della domanda attorea, erano “ampiamente superati dalle emergenze istruttorie”, giacche’ dai verbali del dibattimento del procedimento penale per il reato di simulazione di furto che aveva coinvolto per il (OMISSIS) (poi assolto con formula piena) erano emersi, in base alle dichiarazioni rese dallo stesso imputato e dai testi ivi escussi (tra cui (OMISSIS), futuro suocero dell’attore), “plurimi, precisi ed univoci elementi” atti a “ritenere provato che l’autovettura, pur intestata formalmente al (OMISSIS), era in realta’ di proprieta’ di (OMISSIS) che ne consenti’ al primo l’utilizzazione a titolo di cortesia ed occasionalmente il giorno in cui la stessa fu oggetto di furto”.
Il giudice di secondo grado assumeva, pertanto, che “il furto dell’autovettura non incise sul patrimonio del (OMISSIS), ma su quello del (OMISSIS) e che pertanto l’indennizzo assicurativo al cui conseguimento era finalizzata la attivita’ professionale richiesta all’avv. (OMISSIS) era destinato a reintegrare il patrimonio” del solo (OMISSIS), non avendo il (OMISSIS), quindi, “subito alcun danno dalla prescrizione del diritto all’indennizzo imputata alla negligente condotta dell’appellato”, il quale indennizzo “sarebbe stato destinato alla reintegrazione del patrimonio effettivamente leso dal furto e cioe’ del patrimonio di (OMISSIS)”.
2.2. – Inoltre, la Corte territoriale osservava che la non corrispondenza tra proprietario dell’autovettura assicurata e contraente dell’assicurazione contro il furto comportava “la originaria inesistenza dell’interesse assicurato” e, dunque, la nullita’ del contratto di assicurazione ai sensi dell’articolo 1904 c.c., anche ove fosse stata a favore di terzi o per conto di chi spetta, giacche’ l’unico ad avere interesse ad assicurare il rischio del furto dell’autovettura era l’effettivo proprietario (OMISSIS).
Dunque, concludeva il giudice di appello, anche se il legale avesse tempestivamente effettuato la richiesta di indennizzo, la nullita’ del contratto sarebbe stata presumibilmente opposta dall’assicuratore e, dunque, non poteva neppure in tal caso ravvisarsi il nesso causale tra inadempimento e danno lamentato dall’attore.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre (OMISSIS) sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. – Con il primo mezzo e’ denunciata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione dell’articolo 346 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe errato a non ritenere decaduto l’appellato dalla “eccezione della legittimazione attiva” di esso (OMISSIS), giacche’ la stessa eccezione era stata disattesa in primo grado e, dunque, il (OMISSIS) avrebbe dovuto sul punto proporre appello incidentale. Cio’ anche al fine di consentire all’appellante di potersi difendere in ordine al “presunto difetto di qualita’ di proprietario”, posto che l’eccezione avanzata in primo grado era generica.
1.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
In disparte il rilievo (che, tuttavia, pone in evidenza l’inconsistenza della censura anche cosi’ come confezionata) assistito da un consolidato orientamento giurisprudenziale in materia (tra le tante, Cass., 26 novembre 2010, n. 24021) per cui il (OMISSIS), in quanto parte pienamente vittoriosa nel merito, non aveva comunque l’onere di proporre impugnazione incidentale in riferimento alle eccezioni non accolte, ma solo l’onere di riproporle nel giudizio di appello (cio’ che lo stesso ricorrente sostiene aver effettuato nella specie l’appellato: cfr. f. 6 del ricorso), la doglianza non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata, giacche’ la legittimazione cui la Corte territoriale ha fatto riferimento non rileva nel presente giudizio come presupposto processuale; cio’ che, invece, sarebbe stato in un eventuale giudizio diretto alla percezione dell’indennizzo che il professionista (come si assume dal (OMISSIS)) avrebbe dovuto introdurre e non ha introdotto.
Nella presente controversia e nella prospettiva assunta dalla Corte di appello di L”Aquila, la questione (i cui relativi presupposti fatti materiali che la sostanziano neppure il ricorrente dubita che siano stati veicolati nei gradi del giudizio di merito) viene in rilievo come accertamento di fatto sulla titolarita’ effettiva, o meno (ossia soltanto intestazione formale), in capo allo stesso (OMISSIS) della proprieta’ dell’autovettura e, come tale, si pone in guisa di mero antecedente fattuale, tendente a dimostrare se l’attore e’ colui che ha effettivamente subito il danno lamentato a seguito della condotta inadempiente del professionista.
Di qui, la non pertinenza della denuncia di violazione dell’articolo 346 c.p.c., nell’ottica fatta propria dal motivo di ricorso.
2. – Con il secondo mezzo e’ dedotta, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 115 e 183 c.p.c..
La Corte territoriale avrebbe errato a decidere in base “alle dichiarazioni del ricorrente fatte nel giudizio penale”, senza che il (OMISSIS) ne avesse richiesto “espressamente l’acquisizione”, non essendo all’uopo sufficiente la “mera allegazione dei verbali del dibattimento penale” in assenza, “nell’originaria memoria di costituzione e nelle successive note istruttorie”, di deduzioni e/o richieste di prova sulla legittimazione attiva dell’attore.
2.1. – Il motivo e’ inammissibile.
Con esso non si deduce affatto che una tale doglianza era stata veicolata gia’ nel giudizio di merito (cio’ non risultando dalla sentenza impugnata in questa sede), ne’ vengono, altresi’, puntualizzati i contenuti pertinenti degli atti processuali rilevanti genericamente richiamati e la sede processuale ove reperirli (secondo quanto previsto dall’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6).
Peraltro, la doglianza neppure coglie appieno, in rapporto alla fattispecie concreta, i principi di diritto dei quali evoca la violazione, giacche’ – indiscusso (alla stregua di orientamento costante: cfr., la stessa Cass., 24 dicembre 2004, n. 23976, richiamata in ricorso) il potere-dovere del giudice di esaminare i documenti prodotti dalla parte solo nel caso in cui la parte interessata ne faccia specifica istanza, esponendo nei propri scritti difensivi gli scopi della relativa esibizione con riguardo alle sue pretese (derivandone altrimenti per la controparte l’impossibilita’ di controdedurre e risultando per lo stesso giudice impedita la valutazione delle risultanze probatorie e dei documenti ai fini della decisione) – nella specie, come risulta dalla sentenza di appello, il tema della legittimazione attiva dell’attore o, meglio, di quella sostanziale (di merito) in funzione della sua titolarita’ sul veicolo oggetto di furto era stato dibattuto in forza di eccezione e/o deduzione avanzate proprio dal convenuto, che aveva depositato la documentazione proveniente dal giudizio penale, cosi’ integrandosi in modo pertinente e congruo l’impianto allegatorio con la produzione documentale, tanto da non impedire alla controparte di difendersi sulla specifica questione (all’uopo anche facendo valere le risultanze del P.R.A. e dell’intestazione del contratto di assicurazione).
3. – Con il terzo mezzo e’ prospettata, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1416 e 2645 c.c..
La Corte territoriale avrebbe “travisato” i principi giurisprudenziali (si richiama Cass., sez. 3, 12 ottobre 2010, n. 21011) in punto di “legittimazione attiva per la richiesta risarcitoria dei danni relativi alla circolazione dei veicoli”, in forza dei quali anche all’utilizzatore e’ consentito di avanzare detta pretesa.
Peraltro, potendo anche l’intestatario del veicolo essere legittimato a richiedere i danni subiti dalla autovettura, avrebbe errato il giudice di appello – che “ha implicitamente, ma sostanzialmente, ritenuto che nella fattispecie fosse intervenuta una intestazione fiduciaria tra il (OMISSIS) ed il (OMISSIS)” – a non considerare che detta intestazione “fiduciaria o simulatoria non avrebbe avuto alcun effetto nei confronti dei terzi”, la cui natura reale legittimava comunque l’intestatario all’azione risarcitoria e “comunque, nella fattispecie, una tale eccezione poteva avanzarla la soc. assicuratrice”.
In ogni caso, la motivazione della sentenza sarebbe “apparente ed apodittica” per non aver valutato la responsabilita’ professionale del (OMISSIS) anche sotto il profilo del mancato avvertimento delle conseguenze relative all’intestazione del veicolo e, quindi, in ordine alla legittimazione attiva, tralasciando comunque di attivarsi per la richiesta risarcitoria nei confronti dell’assicuratore.
Nondimeno, non sarebbe stato considerato il profilo di responsabilita’ del legale per mancata informazione del cliente sugli esiti di una possibile eccezione di difetto di legittimazione passiva della controparte.
3.1. – Il motivo non puo’ trovare accoglimento.
La Corte territoriale (cfr. sintesi ai parr. 2.1. e 2.2. del “Ritenuto in fatto” che precede) ha fondato la decisione di rigetto in punto di assenza di nesso causale tra inadempimento del professionista ed il danno lamentato (in linea con le coordinate piu’ generali della materia: cfr., tra le tante, Cass., 5 febbraio 2013, n. 2638), oltre che sulla ritenuta assenza di danno al patrimonio del (OMISSIS) (essendo (OMISSIS) l’unico effettivo proprietario del veicolo oggetto di furto e non avendo l’attore “neanche allegato di avere risarcito – o di essere stato richiesto di risarcire – il suocero della perdita patrimoniale”), anche sull’assenza originaria di interesse all’assicurazione contro i danni, determinante la nullita’, ai sensi dell’articolo 1904 c.c., del contratto stipulato dal (OMISSIS).
La prima ratio decidendi e’ impugnata solo in parte, mancando il ricorrente di farsi carico di censurare l’affermazione della Corte territoriale circa l’assenza di un risarcimento (o di una richiesta in tal senso) in favore dell’effettivo proprietario dell’autovettura, con cio’ non potendo applicarsi (modulandolo alla fattispecie di furto e, dunque, venendo in rilievo il ristoro dovuto a chi era proprietario o titolare di altro diritto reale sull’automezzo sottratto) il principio di diritto richiamato (solo in modo parziale) in ricorso, secondo cui, per l’appunto, “legittimato a domandare il risarcimento del danno patrimoniale consistente nel costo di riparazione di un autoveicolo, danneggiato in un sinistro stradale, non e’ necessariamente il proprietario od il titolare di altro diritto reale sul bene mobile, ma anche chi, avendo il possesso o la detenzione del veicolo, risponda nei confronti del proprietario dei danni occorsi allo stesso e abbia provveduto a sue spese, avendovi interesse, alla riparazione del mezzo” (Cass., 12 ottobre 2010, n. 21011).
La seconda ratio decidendi non e’ stata affatto oggetto di censura.
Con cio’ diventano di per se’ inammissibili gli ulteriori profili di denuncia, giacche’ non in grado di determinare, comunque, la cassazione della sentenza impugnata, essendosi ormai formato il giudicato sulle anzidette rationes decidendi (stante la rilevata inammissibilita’ delle doglianze contro di esse veicolate), entrambe autonome ed idonee a sorreggere la decisione (in tale prospettiva, tra le altre, Cass., 14 febbraio 2012, n. 2108).
4. – Il ricorso va, dunque, rigettato e il ricorrente condannato, ai sensi dell’articolo 385 c.p.c., comma 1, al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, come liquidate in dispositivo in conformita’ ai parametri introdotti dal Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
P.Q.M.
LA CORTE
rigetta il ricorso e condanna la societa’ ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimita’, che liquida, in favore della parte controricorrente, in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato articolo 13, comma 1-bis.
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