Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 23 luglio 2014, n. 16777
Svolgimento del giudizio
Nell’aprile 1998 C.P. conveniva in giudizio, avanti al tribunale di Taranto, M.C. ed il Banco di Napoli proponendo disconoscimento in via principale della sottoscrizione apparentemente apposta a suo nome su cinque effetti cambiari, poi risultati protestati dalla banca convenuta con pubblicazione pregiudizievole del suo nominativo da coniugata (L.P. ) sul bollettino dei protesti presso la Camera di Commercio. Concludeva pertanto per l’accertamento della non autenticità di tali sottoscrizioni; per la declaratoria di inesistenza dell’obbligazione cambiaria; per la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni; per la cancellazione dei protesti.
Nella costituzione in giudizio della sola M. , interveniva la sentenza n. 1087/03 con la quale il tribunale di Taranto rigettava le domande dell’attrice.
Interposto gravame, veniva emessa la sentenza n. 377 del 28 novembre 2007 con la quale la corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, rigettava il gravame.
Avverso tale sentenza viene dalla C. proposto ricorso per cassazione sulla base di un unico ed articolato motivo. Resiste con controricorso la M. . È stata depositata da entrambe le parti memoria ex art. 378 cod.proc.civ..
Motivi della decisione
p.1.1 Con l’unico motivo di ricorso si lamenta – ex articolo 360, 1^ co. nn. 3) e 5) cod.proc.civ. – omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nonché violazione e falsa applicazione dell’articolo 2730 cod.civ., nonché delle norme in tema di onere della prova e di verificazione di scrittura privata. Ciò perché la corte di appello, dopo aver correttamente affermato l’ammissibilità per la parte di effettuare in via principale il disconoscimento di scrittura privata, aveva poi respinto la sua domanda accollandole un onere di prova della non autenticità delle sottoscrizioni apposte sulle cambiali che non le competeva: sia perché la M. non aveva richiesto la verificazione delle scritture, sia perché, in ogni caso, quest’ultima aveva reso nella comparsa di costituzione e risposta in primo grado, da lei personalmente sottoscritta, delle dichiarazioni confessorie circa l’effettiva non autenticità di tali sottoscrizioni; né la corte di appello aveva ritenuto di ordinare alle controparti, come da lei richiesto fin dall’atto introduttivo del giudizio ex articolo 210 cod.proc.civ., di produrre in giudizio gli originali dei titoli cambiari.
p.1.2 Il motivo è infondato.
Sul piano dell’applicazione normativa, la corte di appello ha dato corretta attuazione al principio per cui la parte che sostenga la non autenticità della propria apparente sottoscrizione apposta su scrittura privata non riconosciuta e per la quale non sia necessario esperire querela di falso, può sì agire in via principale per far accertare tale non autenticità, ma questo accertamento dovrà essere effettuato secondo le ordinarie regole probatorie e non già, dunque, con l’applicazione della speciale procedura di verificazione prevista dagli articoli 214 segg. cpc per la differente ipotesi di disconoscimento incidentale in corso di causa (in tal senso, oltre a Cass. n. 12471 del 12/10/2001, citata dalla corte di appello, anche Cass. n. 974 del 18/01/2008).
Ne consegue che in tanto la domanda della C. avrebbe potuto trovare accoglimento, in quanto quest’ultima – assolvendo l’onere probatorio posto a suo carico per regola generale ex articolo 2697 cod.civ. – avesse fornito la prova della non autenticità delle sottoscrizioni a suo nome apposte sulle cambiali protestate.
Ciò premesso sul piano dell’inquadramento normativo della fattispecie, rileva che il giudice di merito ha nel caso di specie escluso (sent. pag. 7) il raggiungimento della prova della quale la C. era così onerata.
Questa valutazione di inidoneità probatoria non può essere qui censurata.
La C. non indica né quali prove il giudice di merito avrebbe omesso di disporre al fine di vagliare la non autenticità delle firme, né sotto quale profilo tali prove sarebbero state certamente decisive allo scopo. In assenza di tale indicazione, nemmeno il mancato ordine di esibizione dei titoli in originale ex articolo 210 cod.proc.civ. potrebbe concretare – stante la sua finalità meramente strumentale e di ingresso ad accertamenti istruttori successivi posti a carico di parte attrice – il vizio lamentato nel ricorso.
Vero è che la ricorrente censura, nel ragionamento del giudice di appello, la mancata attribuzione di valore confessorio della falsità alle dichiarazioni sottoscritte personalmente dalla M. nella comparsa di costituzione in giudizio; così riportate: “se la C. dice di non aver lei sottoscritto i titoli per cui è causa, e noi non abbiamo motivi per dubitarne, ella non è debitrice, non deve alcunché ad alcuno e né tantomeno deve ritenersi danneggiata dal protesto”.
Orbene, questa mancata attribuzione di valore confessorio da parte del giudice di appello non è dipesa da un’ erronea affermazione in diritto circa la generale inidoneità delle dichiarazioni contenute negli atti difensivi sottoscritti dalla parte a fungere da prova ex articoli 2730 segg. cc e 229 cod.proc.civ. (in senso opposto: Cass. 26686/05; Cass.7523/01 ed altre), bensì da un’implicita valutazione negativa della natura e dell’efficacia dimostrativa a tale titolo in concreto ascrivibile alle dichiarazioni in esame.
E una siffatta valutazione negativa da parte del giudice di merito deve reputarsi, in quanto del tutto sostenibile sul piano logico-giuridico, senz’altro incensurabile; dal momento che tali dichiarazioni apparivano prive di un reale animus confitendi, risolvendosi essenzialmente in affermazioni retoriche di natura puramente ipotetica e concessiva (del tipo: “se davvero….; ammesso e non concesso…; quand’anche…”) . Deve in definitiva escludersi che la C. abbia fornito la dimostrazione del necessario nesso eziologico tra la mancata considerazione di tali dichiarazioni (di natura confessoria solo nell’apodittica qualificazione della ricorrente) e la decisione impugnata. Nesso eziologico (la cui sussistenza è richiesta da Cass.2602/01; Cass.11501/06 ed altre) che va anzi qui positivamente escluso, proprio in ragione della mancanza, nelle dichiarazioni riportate in ricorso, dell’asserito carattere confessorio e, di conseguenza, di concludenza e decisività tali da certamente indurre al ribaltamento della decisione del giudice di merito in ordine alla effettiva falsità delle firme apposte sulle cambiali.
Ne segue il rigetto del ricorso, con condanna di parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate, come in dispositivo, ai sensi del DM Giustizia 20 luglio 2012 n.140.
P.Q.M.
La Corte:
– rigetta il ricorso;
– condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione a favore della intimata controricorrente, che liquida in Euro 1800,00, di cui Euro 200,00 per esborsi ed il resto per compenso professionale; oltre accessori di legge.
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