CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 22 luglio 2014, n. 16649

Fatto e diritto

Rilevato che:
1. Il Tribunale di Benevento, con Sentenza n.2146/2009, ha dichiarato la separazione dei coniugi M.E. e F.M. con condiviso dei figli En. , D. e V. e fissando la loro residenza presso la madre cui ha assegnato la casa familiare. Ha posto a carico di M.E. l’obbligo di contribuire al mantenimento dei figli mediante la corresponsione alla F. di un assegno mensile di 800 Euro.
2. Ha proposto appello F.M. chiedendo che fosse addebitata al M. la separazione e che fosse rideterminato, elevandone l’importo, l’assegno di mantenimento in favore dei figli.
3. Ha proposto appello incidentale M.E. chiedendo la pronuncia di addebito della separazione a carico della F. e la riduzione della porzione della casa familiare assegnata alla F. con attribuzione in suo favore dell’appartamento al primo piano dell’immobile, previe opere di chiusura della comunicazione con l’appartamento sito al piano terreno da riservare all’abitazione della moglie insieme ai figli.
4. La Corte di appello ha accolto parzialmente l’appello principale rideterminando in 1.000 Euro mensili l’assegno a carico del M. e ha respinto l’appello incidentale compensando le spese del giudizio di secondo grado.
5. Ricorre per cassazione M.E. affidandosi a due motivi di impugnazione illustrati da memoria difensiva da parte del nuovo difensore.
6. Si difende con controricorso F.M. .
7. Con il primo motivo di ricorso il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 155 e 155 qua ter c.c. in riferimento al secondo motivo dell’appello principale. Il ricorrente lamenta che, pur essendo stato disposto l’affidamento condiviso dei figli in luogo del previgente provvedimento presidenziale di affidamento esclusivo alla madre, la Corte di appello, al fine della decisione sulla contestata misura dell’assegno, non abbia considerato che:
a) la misura dell’assegno, disposto in fase presidenziale, si accompagnava, giustificandolo, all’esercizio esclusivo, da parte della madre della potestà sui figli e che pertanto l’assegno poteva essere rideterminato in funzione perequativa, avuto riguardo al sistema del mantenimento diretto di cui alla nuova formulazione dell’art. 155 c.c. introdotta dall’art. 1 della legge n. 54/2006 che si accompagna, giustificandolo, al diverso regime dell’esercizio bigenitoriale della potestà; b) la situazione economico-reddituale degli ex coniugi era evoluta nel corso del giudizio; c) nel contributo economico goduto dalla F. doveva valutarsi anche l’assegnazione della casa coniugale di proprietà esclusiva del ricorrente.
8. Con il secondo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 155 quater c.c. guanto al rigetto dell’appello incidentale in relazione all’assegnazione dell’autonomo appartamento mai adibito a casa coniugale. Secondo il ricorrente non è e conforme alla previsione dell’art. 155 quater del codice civile intendere come casa coniugale, in assenza di comprovata destinazione, un intero immobile con relative pertinenze, costituito da due spaziose e autonome unità urbane divise per impianti, ingressi ed anche catastalmente, e pertanto disporre l’assegnazione dell’intero fabbricato al coniuge prevalentemente convivente con la prole nonostante che il nucleo familiare abbia sempre occupato uno solo degli appartamenti e che non siano ravvisabili come sussistenti i presupposti genetico – funzionali di tutela dell’interesse della prole a permanere nell’ambiente domestico in cui sono cresciuti.
Ritenuto che:
9. Il primo motivo di ricorso è infondato. Il passaggio dal regime di affidamento esclusivo a quello di affidamento condiviso dei figli non comporta (e tanto meno automaticamente) una riduzione della misura del contributo al mantenimento dei figli disposto nel regime di affidamento esclusivo. Tale riduzione può essere disposta solo con riguardo a concrete evidenze di riduzione del carico di spesa e di impiego di disponibilità personali derivanti dall’affido condiviso. La giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. civ., sezione I, n. 18187 del 18 agosto 2006 e n. 16736 del 29 luglio 2011) ha chiarito che l’affidamento congiunto dei figli ad entrambi i genitori – previsto dall’art. 6 della legge sul divorzio (1 dicembre 1970, n. 898, come sostituito dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11), analogicamente applicabile anche alla separazione personale dei coniugi – è istituto che, in quanto fondato sull’esclusivo interesse del minore, non fa venir meno l’obbligo patrimoniale di uno dei genitori di contribuire, con la corresponsione di un assegno, al mantenimento dei figli, in relazione alle loro esigenze di vita, sulla base del contesto familiare e sociale di appartenenza, rimanendo per converso escluso che l’istituto stesso implichi, come conseguenza “automatica”, che ciascuno dei genitori debba provvedere paritariamente, in modo diretto ed autonomo, alle predette esigenze. Nella specie nessun riferimento specifico a tali evidenze derivanti da una diversa organizzazione della vita dei tre figli di M.E. e F.M. risulta essere stato portato all’attenzione dei giudici di merito.
10. Quanto alla pretesa mancata considerazione dell’evoluzione della situazione economica degli ex coniugi nel corso del giudizio di appello e del valore dell’assegnazione della casa di proprietà esclusiva del ricorrente ci si trova di fronte a una contestazione prettamente di merito della sentenza della Corte di appello, con deduzioni di fatti che il ricorrente non dimostra di aver portato tempestivamente all’attenzione dei giudici del merito e che peraltro non si basa su una chiara evidenza logica perché non è dato comprendere su quali presupposti il ricorrente ritiene che la assegnazione della casa familiare alla F. (provvedimento che non può essere disposto, e quindi valutato, se non indirettamente, sotto il profilo delle sue conseguenze patrimoniali) non sia stata tenuta in conto dai giudici di merito nel determinare il contributo al mantenimento dei figli. D’altra parte non è dato comprendere perché il giudice del gravame, nel rideterminare in 1.000,00 Euro, anziché 800,00, il contributo imposto al M. per il mantenimento dei figli, abbia violato gli artt. 155 e 155 quater c.c., disattendendo l’evoluzione della situazione economica dei coniugi, laddove i redditi documentati da parte dei due ex coniugi nel giudizio di appello e messi in comparazione dalla Corte di appello coincidono sostanzialmente con quelli indicati nel ricorso.
11. Il secondo motivo di ricorso è anch’esso infondato. La Corte di appello è pervenuta alla sua decisione in merito all’assegnazione della casa familiare partendo dal principio ispiratore dell’istituto che è quello di conservare, nell’interesse esclusivo dei figli, l’habitat domestico, inteso come il centro degli affetti, degli interessi e delle consuetudini in cui si esprime e si articola la vita familiare (cfr. Cass. civ. n. 14553 del 4 luglio 2011). Nella specie – ha rilevato la Corte di appello – anche se è vero che si tratta di una casa familiare di ampie dimensioni, articolata su due livelli abitativi, ciascuno dotato di autonomi servizi e comunque collegati da una scala interna, è altrettanto vero che al di là delle concrete possibilità accertate di creazione di due distinte ed autonome unità abitative il “fabbricato-villetta” è stato progettato e destinato a unitaria abitazione della famiglia M. -F. , con verosimile destinazione a zona giorno del primo livello e a zona notte del secondo. Sulla base di questo accertamento di fatto la Corte distrettuale ha ritenuto non sacrificabile l’interesse dei figli a mantenere quell’habitat domestico nelle dimensioni valute e realizzate dagli stessi genitori. Inoltre ha ritenuto la Corte napoletana che la conflittualità dei due ex coniugi, emersa nel corso del giudizio, potrebbe essere di pregiudizio per i minori in caso di convivenza nello stesso stabile dei genitori.
12. Il ricorrente si richiama alla giurisprudenza di legittimità secondo cui non può disporsi l’assegnazione parziale della casa familiare, a meno che l’unità immobiliare sia del tutto autonoma e distinta da quella destinata ad abitazione della famiglia, ovvero questa ecceda per estensione le esigenze della famiglia e sia agevolmente divisibile (Cass. civ. I sezione, n. 23631 dell’11 novembre 2011 e n. 26586 del 17 dicembre 2009) e d’altra parte deduce che uno dei due appartamenti non ha mai costituito una porzione dell’abitazione familiare deducendo che “il nucleo familiare prima dell’anno 2005 (nel corso del quale la F. ha richiesto la separazione), ha sempre utilizzato esclusivamente l’appartamento al piano seminterrato, in quanto l’appartamento rialzato, prima della realizzazione del tetto di protezione (conclusa nel gennaio 2005, ossia solo sei mesi prima del deposito del ricorso per separazione) non era praticabile a causa delle particolari condizioni climatiche e delle frequenti infiltrazioni di acque piovane”.
13. A tali deduzioni deve replicarsi che esse, oltre ad apparire contraddittorie, sono, per un verso, superate dalla valutazione della Corte di appello che ha ritenuto la divisibilità dell’abitazione non conforme all’interesse dei minori – da ritenersi preminente (si veda Cass. civ. sezione I n. 23591 del 22 novembre 2010) e compatibile con le condizioni economiche del padre – di conservare la disponibilità dell’intero immobile che è stato concepito, realizzato e adibito a unitaria abitazione familiare, e di non subire, nella loro vita quotidiana, il peso e i rischi di ulteriori conflitti familiari che sai ebbero, presumibilmente, incentivati dall’abitazione dei genitori nello stesso fabbricato.
14. Per altro verso le deduzioni del ricorrente, relative all’adibizione di una sola parte dell’immobile a residenza familiare, costituiscono una deduzione del tutto nuova e della quale la Corte di appello non risulta essere stata investita. In ogni caso esse non sono né decisive né idonee a smentire i rilievi della Corte di appello circa la effettiva progettazione e destinazione dell’intero immobile per l’uso di abitazione familiare circostanza di fatto che l’odierno avrebbe dovuto smentire tempestivamente dimostrando una destinazione personale e estranea alle esigenze familiari dell’appartamento di cui contesta l’assegnazione all’altro coniuge convivente con i figli.
15. Il ricorso va pertanto respinto con condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 5.200 Euro di cui 200 Euro per esborsi, oltre spese forfetario e accessori di legge.
Dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

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