Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza  22 settembre 2015, n. 38380

Ritenuto in fatto

1. F.A. e C.G. hanno proposto ricorso nei confronti della sentenza del Tribunale di Lucca che li ha condannati per il reato di cui all’art. 44 lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001 in relazione all’omessa esposizione nel cantiere della tabella indicante gli estremi degli atti autorizzativi e la descrizione dell’intervento edilizio in corso.
2. F.A. lamenta, con un primo motivo, l’erronea applicazione della legge penale; dopo avere premesso che l’elemento soggettivo che sorregge la condotta è la colpa specifica in relazione alla inosservanza di norme, regolamenti, ordini o discipline, censura che, invece, il Tribunale abbia fondato la colpevolezza sulla colpa generica nell’accezione della negligenza in vigilando (essendo stata pacificamente accertata la sua assenza dal cantiere). Deduce inoltre che la ratto della norma consiste nella sanzionabilità della mancanza del cartello ab origine e per un lasso apprezzabile di tempo e non anche ove il cartello, originariamente apposto (come nella specie risultato dalle testimonianze del teste Ca. ), sia stato successivamente rimosso, non venendo in tal caso intaccato il bene giuridico protetto; e nella specie il Tribunale non ha appurato quale sia stato il lasso temporale di protratta assenza del cartello.
2.1. Con un secondo motivo lamenta la violazione del principio del contraddittorio per avere il Tribunale revocato l’ammissione dei testimoni della Difesa di C. , ovvero R. e F. , di provare, mediante l’escussione, operai presenti in cantiere, dove fossero stati posti i residui del cartello rottosi e se C. avesse dato disposizioni di non rimuovere il cartello. Tuttavia l’ammissione di tali prove, decisive sia sotto il profilo della penale responsabilità sia sotto il profilo dell’entità della pena e della concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stata revocata dal giudice peraltro senza alcuna motivazione sul punto.
2.2. Con un terzo motivo lamenta l’illogicità e carenza di motivazione quanto alle risultanze istruttorie posto che la responsabilità è stata affermata benché la ricorrente, non titolare del permesso a costruire, si sia limitata a comunicare l’inizio dei lavori e abbia fatto legittimo affidamento nei nominati progettista e direttore dei lavori.
2.3. Con un quarto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla determinazione della pena fissata nella misura di Euro 3.000 di ammenda in misura sensibilmente superiore al minimo edittale senza considerare, all’interno dei parametri previsti dalla norma, il contesto e le modalità della omissione, intervenuta in una fase di modifica del cantiere, la minima entità del danno cagionato, la lievità della colpa, il fatto che la documentazione inerente alla pratica edilizia fosse presente nel cantiere e che tutti i lavori erano regolarmente coperti dalle necessarie autorizzazioni amministrative, e lo stato d’incensuratezza dell’imputata.
2.4. Con un quinto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. non avendo il Tribunale concesso, senza alcuna motivazione sul punto, le circostanze attenuanti generiche pur a fronte della incensuratezza, della contestazione dell’imputazione colposa, dell’assenza di un particolare motivo a delinquere e del danno di scarsissima rilevanza.
2.5. Con un sesto motivo lamenta l’erronea applicazione degli artt. 163 e 164 c.p. e la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena pur in mancanza di condizioni oggettive ostative e in presenza di plurimi elementi indicativi di una prognosi di non reiterazione delle condotte.
3. A propria volta C.G. lamenta, con un primo motivo, la erronea applicazione dell’art. 44, lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001 e dell’art. 15 c.p.; deduce in particolare che la previsione dell’assoggettamento di tale fatto sia a sanzione penale che a sanzione amministrativa, si pone in contrasto con il divieto di bis in idem e dunque con l’art.4 del protocollo n.7 della Convenzione edu secondo quanto ripetutamente precisato dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che hanno rilevato come occorra considerare la concreta natura delle sanzioni indipendentemente dalla denominazione formale prevista dalla legislazione interna.
3.1. Con un secondo motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 44 lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001; dopo avere premesso che l’elemento soggettivo che sorregge la condotta è la colpa specifica in relazione alla inosservanza di norme, regolamenti, ordini o discipline, censura che invece il Tribunale abbia fondato la colpevolezza sulla colpa generica nell’accezione della negligenza in vigilando (essendo stata pacificamente accertata la sua assenza dal cantiere). Deduce inoltre che la ratio della norma consiste nella sanzionabilità della mancanza del cartello ab origine e per un lasso apprezzabile di tempo e non anche ove il cartello, originariamente apposto (come nella specie risultato dalle testimonianze del teste Ca. ), sia stato successivamente rimosso, non venendo in tal caso intaccato il bene giuridico protetto; e nella specie il Tribunale non ha appurato quale sia stato il lasso temporale di protratta assenza del cartello.
3.2. Con un terzo motivo lamenta la mancata assunzione di prova decisiva legittimamente richiesta avendo il giudice revocato i testimoni R. e F. , in riferimento alla richiesta di controesaminare i testimoni regolarmente inseriti nella lista testi, citati ma non comparsi. Era stata infatti richiesta l’escussione dei testimoni R. e F. , operai presenti in cantiere, per appurare dove fossero stati posti i residui del cartello rottosi e se C. avesse dato disposizioni di non rimuovere il cartello. Tuttavia l’ammissione di tali prove, decisive sia sotto il profilo della penale responsabilità sia sotto il profilo dell’entità della pena e della concessione delle circostanze attenuanti generiche, è stata revocata dal giudice peraltro senza alcuna motivazione sul punto.
3.3. Con un quarto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 133 c.p. e la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla determinazione della pena fissata nella misura di Euro 3.000 di ammenda in misura sensibilmente superiore al minimo edittale senza considerare, all’interno dei parametri previsti dalla norma, il contesto e le modalità della omissione, intervenuta in una fase di modifica del cantiere, la minima entità del danno cagionato, la lievità della colpa, il fatto che la documentazione inerente alla pratica edilizia fosse presente nel cantiere e che tutti i lavori erano regolarmente coperti dalle necessarie autorizzazioni amministrative e lo stato d’incensuratezza dell’imputato.
3.4. Con un quinto motivo lamenta l’erronea applicazione dell’art. 62 bis c.p. non avendo il Tribunale concesso, senza alcuna motivazione sul punto, le circostanze attenuanti generiche pur a fronte della incensuratezza, della contestazione dell’imputazione colposa, dell’assenza di un particolare motivo a delinquere e del danno di scarsissima rilevanza.
3.5. Con un sesto motivo lamenta l’erronea applicazione degli artt. 163 e 164 c.p. e la carenza, contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione quanto alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena pur in mancanza di condizioni oggettive ostative e in presenza di plurimi elementi indicativi di una prognosi di non reiterazione delle condotte.
3.6. Con memoria del 03/07/2015 il ricorrente ha infine avanzato personalmente richiesta di applicazione dell’art. 131 bis c.p. come introdotto dal d. lgs. n. 28 del 2015 stante la particolare tenuità del fatto per cui è intervenuta condanna.

Considerato in diritto

4. Il primo motivo del ricorso di F. ed il secondo motivo del ricorso di C. , di analogo contenuto, sono infondati.
È anzitutto non corretto il presupposto da cui muove essenzialmente la doglianza sollevata, ovvero che l’elemento soggettivo del reato de quo non possa consistere in un atteggiamento di negligenza o trascuratezza. Va premesso che il costante orientamento di questa Corte si è posto, sin dalla pronuncia delle Sez. U., n. 7978 del 29/05/1992, P.M. in proc. Aramini ed altro, Rv. 191176, riferita alla previgente, omologa, disposizione di cui all’art. 20 lett. a) della l. n. 47 del 1985, per giungere fino ad oggi, nel senso di ritenere che la violazione, da parte del titolare del permesso a costruire, del committente, del costruttore o del direttore dei lavori, dell’obbligo della esposizione di un cartello contenente gli estremi della concessione e degli autori dell’attività costruttiva sia penalmente sanzionata a condizione che detto obbligo sia espressamente previsto dai regolamenti edilizi o dalla concessione (cfr., tra le altre, Sez.3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini ed altri, Rv. 255836; Sez.3, n. 46832 del 15/10/2009, Thabet ed altro, Rv. 245613; Sez. 3, n. 16037 del 07/04/2006, Bianco, Rv. 234330).
In particolare le Sezioni Unite, con la pronuncia menzionata appena sopra, hanno posto l’accento, nel contesto normativo in allora rappresentato dalla legge n. 47 del 1985, sull’art.4 della stessa che, intitolato “vigilanza sull’attività urbanistico-edilizia nel territorio comunale per assicurarne la rispondenza alle norme di legge e di regolamento, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici ed alle modalità esecutive fissate nella concessione o nell’autorizzazione”, prevedeva, all’ultimo comma, che gli ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria dessero immediata comunicazione all’autorità giudiziaria, al presidente della giunta regionale ed al sindaco ove nei luoghi di realizzazione delle opere non fosse esibita la concessione ovvero non fosse stato apposto il prescritto cartello, “ovvero in tutti gli altri casi di presunta violazione urbanistico-edilizia”, da qui testualmente desumendo, in particolare, come anche la sola violazione dell’obbligo di apposizione del cartello fosse appunto considerata dal legislatore come ipotesi di presunta violazione urbanistico-edilizia e, come tale, di particolare rilevanza ai suindicati fini; aveva aggiunto, a riprova, come la sistemazione del prescritto cartello, contenente gli estremi della concessione edilizia e degli autori dell’attività costruttiva presso il cantiere, consentisse una vigilanza rapida, precisa ed efficiente dell’attività rispondendo allo scopo di permettere ad ogni cittadino di verificare se i lavori fossero o meno stati autorizzati dall’autorità competente.
Di qui, dunque, la riconducibilità della condotta omissiva in questione all’interno dell’allora precetto dell’art.20 lett. a) della l.n. 47 del 1985 (e, oggi, dell’omologo precetto di cui all’art. 44 lett. a) del d.P.R. n. 380 del 2001) in relazione alla inosservanza delle norme di cui alla stessa legge.
Deriva dunque, da quanto sin qui ricordato, che tale condotta omissiva ben può essere sorretta dalla colpa generica, secondo, del resto, il generale dettato dell’art. 43 c.p., posto che l’inosservanza del precetto di esposizione del cartello nel quale la condotta si traduce appunto ben può avvenire a seguito anche solo di trascuratezza e di negligenza e non unicamente, come parrebbe sostenere la ricorrente, a seguito della precisa intenzione di non adempiere a quanto prescritto. Anche a non volere considerare che un tale assunto finirebbe, in realtà, per escludere la possibilità di realizzazione del reato a titolo di colpa e far ritenere invece penalmente configurabile unicamente un atteggiamento doloso, senza che la norma sia formulata (a differenza di altre fattispecie contravvenzionali) in termini tali da condurre l’interprete ad un tale approdo esegetico, appare decisiva la considerazione che “l’inosservanza delle norme, prescrizioni e modalità esecutive” è, nella disposizione dell’art. 44 lett. a) cit., la condotta sanzionata e non già, evidentemente, l’atteggiamento psicologico unicamente richiesto per la configurabilità del reato.
Anche l’ulteriore assunto secondo cui la norma punirebbe unicamente la mancanza del cartello che si protragga dall’inizio dei lavori edilizi sino alla fine degli stessi non trova rispondenza nel dettato normativo che, anzi, attesa la ratio cui la previsione è informata, ben può includere anche omesse apposizioni del cartello non coincidenti con tutto l’arco di esecuzione dei lavori stessi solo essendo necessario che le stesse abbiano luogo prima che i lavori siano terminati; e, nella specie, la sentenza impugnata ha dato atto del fatto che il cantiere era ancora attivo e i lavori ancora in corso nel momento in cui venne constatata l’assenza del cartello e che, in ogni caso, nessuna traccia dello stesso, secondo la Difesa asseritamente esposto ab origine ma poi danneggiato e solo successivamente riposizionato, venne rinvenuta al momento del sopralluogo.
5. Il secondo motivo del ricorso di F.A. ed il terzo motivo del ricorso di C.G. , di analogo contenuto, sono inammissibili. Risulta dall’esame degli atti, cui questa Corte può accedere in ragione della natura processuale della doglianza sollevata, che all’udienza del 13/01/2015, il Tribunale, effettuata l’istruzione dibattimentale, ebbe a revocare ogni altra testimonianza per superfluità disponendo procedersi alla discussione senza che, a fronte di detta decisione, nessuna eccezione fosse sollevata dalla Difesa. Ne consegue che ogni doglianza sul punto della revoca è manifestamente infondata: questa Corte ha già chiarito infatti, in plurime occasioni, che la revoca dell’ordinanza ammissiva di testi della difesa, resa in difetto di motivazione sulla superfluità della prova, produce una nullità di ordine generale che deve essere immediatamente dedotta dalla parte presente, ai sensi dell’art. 182, comma 2, c.p.p., con la conseguenza che, in caso contrario, essa è sanata (tra le altre, da ultimo, Sez. 2, n. 9761 del 10/02/2015, Rizzello, Rv. 263210; Sez. 5, n. 51522 del 30/09/2013, Abatelli e altro, Rv. 257891).
6. Il terzo motivo del ricorso di F.A. è manifestamente infondato.
Va ricordato che l’obbligo di esposizione del cartello si rivolge, oltre che al costruttore e direttore dei lavori, anche al committente (Sez. 3, n. 29730 del 04/06/2013, Stroppini e altri, Rv.255836) sulla base di quanto espressamente previsto dall’art. 6 della l. n. 47 del 1985 e, oggi, dall’art. 29, comma 1, del d.P.R. n. 380 del 2001; ne consegue che il committente- proprietario, autonomamente responsabile per legge, non può legittimamente abdicare al proprio obbligo di osservanza semplicemente facendo leva sul fatto di avere affidato i lavori e persona esperta e competente come appunto il direttore dei lavori, non essendo tale solo fatto (né la ricorrente ha allegato né dalla sentenza risulta che il direttore dei lavori – progettista avesse fornito rassicurazioni sull’adempimento della prescrizione) sufficiente a far venire meno la culpa in vigilando incombente sul committente stesso.
Per tali ragioni questa Corte ha del resto, in più occasioni, specificato che la responsabilità del committente trova fondamento nell’omissione della dovuta vigilanza, cui egli è tenuto in considerazione del fatto che l’opera soddisfa un suo preciso interesse; ed infatti ogni committente ha l’obbligo di accertarsi che i lavori siano eseguiti in conformità alle prescrizioni amministrative perché la responsabilità penale, che grava sul destinatario di un obbligo imposto dalla legge, non può essere delegata ad altri (Sez.3 n. 47434 del 24/11/2011, Rossi, Rv. 251636; Sez. 3, n.37299 del 4/10/2006, Mazzotta ed altro, Rv.235075). La sentenza impugnata, correttamente applicando detti principi, ha dunque concluso nel senso che, indipendentemente dal fatto che ella fosse o meno presente sul cantiere, F.A. era tenuta ad esercitare, con la normale diligenza, la necessaria vigilanza circa l’adempimento dell’obbligo di esposizione, anch’ella dunque rispondendo del reato così come (e sia pure con un grado di colpa sicuramente inferiore come più oltre si vedrà) il coimputato progettista e direttore dei lavori.
7. Anche il quarto motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato: quanto alla entità della pena irrogata deve infatti ritenersi sufficiente, ai fini di una corretta motivazione, l’impiego in sentenza del riferimento ai parametri di cui all’art. 133 c.p. atteso che la pena irrogata di Euro 3.000 di ammenda è, a fronte di una pena che, nel massimo, è stata stabilita per legge in Euro 10.329, certamente inferiore al medio edittale (Sez. 3, n. 10095 del 10/01/2013, Monterosso, Rv. 255153).
8. Il quinto motivo di entrambi i ricorsi è parimenti manifestamente infondato: va infatti ribadito che il giudice di merito non è tenuto a riconoscere le circostanze attenuanti generiche, né è obbligato a motivarne il diniego, qualora in sede di conclusioni non sia stata, come nella specie, formulata specifica istanza, non potendo equivalere la generica richiesta di assoluzione o di condanna al minimo della pena a quella di concessione delle predette attenuanti (tra le altre, Sez. 3, n. 11539 del 08/01/2014, Mammola, Rv. 258696; Sez. 1, n. 6943 del 18/01/1990, Angora, Rv. 184311).
9. Anche il sesto motivo di entrambi i ricorsi è manifestamente infondato: va ribadito infatti che il giudice di merito, tanto più laddove la pena irrogata sia unicamente quella pecuniaria, non è obbligato a motivare la mancata concessione della sospensione condizionale della pena né ad esaminare la questione, qualora l’imputato non abbia, come nella specie, fatto espressa richiesta di applicazione del beneficio (tra le altre, Sez. 3, n. 23228 del 12/04/2012, Giovanrosa, Rv. 253057; Sez.6, n. 4374 del 28/10/2008, Maugliani, Rv. 242785).
10. Quanto poi al primo motivo di ricorso di C.G. , lo stesso è inammissibile. La doglianza fonda infatti la pretesa violazione del divieto di bis in idem sulla sola circostanza che per lo stesso fatto sia prevista, accanto alla sanzione penale, che è quella di cui all’art. 44 lett. a) cit., anche una sanzione di natura amministrativa che avrebbe tuttavia le caratteristiche di una sanzione penale, in tal modo dovendo farsi applicazione dell’art. 4 del protocollo n.7 della Convenzione edu di divieto, appunto, di assoggettamento di uno stesso fatto ad una duplice pena.
Va tuttavia considerato, in proposito, che anche a volere ritenere che la violazione del divieto del bis in idem possa essere rilevata in sede di giudizio di legittimità, giacché risolventesi in un “error in procedendo” che, in quanto tale, consentirebbe al giudice di legittimità l’accertamento di fatto dei relativi presupposti (così, Sez. 5, n. 44854 del 23/09/2014 – dep. 27/10/2014, Gentile e altro, Rv. 261311; Sez. 2, n. 33720 del 08/07/2014 – dep. 30/07/2014, Nerini, Rv. 260346; Sez. 6, n. 44632 del 31/10/2013 – dep. 05/11/2013, Pironti, Rv. 257809; contra, tuttavia, Sez. 3, n. 19334 del 11/02/2015, Andreatta, non massimata; Sez. 2, n. 2662 del 15/10/2013 – dep. 21/01/2014, Galiano, Rv. 258593), il ricorrente non ha in alcun modo evidenziato che la sanzione amministrativa sia stata irrogata (e che tale irrogazione sia, tra l’altro, divenuta definitiva), rappresentando tale circostanza un presupposto indispensabile affinchè possa operare la preclusione di un secondo giudizio alla stregua del parametro indicato dall’art. 649 c.p.p. (Sez.3, n. 19334 del 11/02/2015, Andreatta, non massimata; vedi anche Sez. 6, n. 44484 del 30/09/2009, P., Rv. 244856).
11. In ultimo, va affrontata la questione posta da C. con la memoria del 03/07/2015 in ordine alla prospettata configurabilità, nella specie, di una ipotesi di particolare tenuità del fatto tale da condurre all’applicazione dell’art. 131 bis c.p. come introdotto dal d. lgs. n. 28 del 2015, non senza premettere che l’esame di tale questione non può ritenersi limitato alla posizione del solo C. ma deve riguardare anche la posizione di F.A. . Va infatti precisato, sul solco di quanto già affermato dalle prime pronunce di questa Corte intervenute all’indomani del varo delle nuove disposizioni, che, da un lato, il nuovo istituto in questione è applicabile ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore del d. lgs. 16 marzo 2015, n. 28, stante la sua natura sostanziale e la natura di norma di favore come tale applicabile retroattivamente ex art. 2, comma 4, c.p., e, dall’altro, che le condizioni di applicabilità delle nuove norme ben possono essere astrattamente valutate di ufficio ex art. 609, comma 2, c.p.p. (essendo la questione in precedenza non deducibile) anche dalla Corte di cassazione nel giudizio di legittimità sulla base di quanto emergente dalle risultanze processuali e dalla motivazione della decisione impugnata con conseguente annullamento della sentenza con rinvio al giudice di merito in caso di valutazione positiva (Sez. 4, n. 22381 del 17/04/2015, Mauri, Rv. 263496; Sez. 3, n. 15449 del 08/04/2015, Mazzarotto, Rv. 263308). Si è in particolare precisato che la astratta verifica, da parte della Corte, delle condizioni di applicabilità del nuovo istituto non può che avvenire alla stregua degli indici-criteri delineati dallo stesso art. 131 bis cit, laddove, accanto a specifici limiti di pena (potendo l’applicazione riguardare infatti i soli reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni ovvero la pena pecuniaria sola o congiunta alla predetta pena), è stata indicata la particolare tenuità dell’offesa, articolata, a sua volta (secondo la definizione della relazione al provvedimento), in due “indici-requisiti”, quali, da un lato, la modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, da valutarsi sulla base dei criteri indicati dall’art. 133, comma 1, c.p. (natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo ed ogni altra modalità dell’azione, gravità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato e intensità del dolo o grado della colpa) e, dall’altro, la non abitualità del comportamento.
Solo in tali casi, dunque, si è aggiunto, si potrebbe considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità. Va solo aggiunto che in ragione della necessità di contemperare l’obbligo di rilevazione d’ufficio della particolare tenuità del fatto, discendente dal disposto dell’art. 129 c.p.p., con la fisiologia del giudizio di legittimità, che preclude a questa Corte di esprimere valutazioni in fatto, spettanti al solo giudice di merito, l’apprezzamento della Corte non può che essere limitato ad un vaglio di astratta non incompatibilità dei tratti della fattispecie, come risultanti dalla sentenza impugnata e dagli atti processuali, con gli indici- criteri e gli indici – requisiti indicati dalla novella e appena sopra menzionati.
11.1. Ciò posto, e considerati dunque necessariamente tali parametri, ritiene il Collegio che, alla stregua dei dati processuali e di quanto risultante dalla sentenza impugnata, una valutazione di astratta sussistenza della particolare tenuità del fatto non possa essere esclusa a priori per la sola F. spettando al Tribunale di Lucca, quale giudice di rinvio, secondo quanto già detto, verificare in concreto se tale esame possa approdare ad un esito favorevole con conseguente non punibilità del fatto stesso. Premessa infatti la conformità della fattispecie al parametro della pena edittale (il reato, come già osservato sopra, è punito con la sola pena dell’ammenda), la condotta tenuta da F.A. , per come risultante dalla stessa sentenza, non pare incompatibile, nei profili relativi alla modalità della condotta (semplicemente concretatasi nella omessa esposizione del cartello addebitata in ragione del mero negligente adempimento di un obbligo di vigilanza da parte del proprietario), all’esiguità del danno o del pericolo (quanto a natura, specie, mezzi, oggetto, tempo, luogo e gravita del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa non risultando dalla sentenza elementi che depongano in senso contrario ad una esiguità ordinariamente discendente dalla stessa condotta di omessa esposizione di un cartello) e alla non abitualità del comportamento (non risultando dalla stessa sentenza fatti della medesima indole in precedenza intervenuti), con una valutazione di particolare tenuità; in particolare, quanto all’elemento soggettivo (che, vale la pena di precisare, non può essere escluso dal prisma degli indici – requisiti valutabili atteso che l’art. 133, comma 1, c.p. è stato richiamato dal legislatore nella sua interezza) il grado della colpa attribuibile all’imputata non può che essere rapportato, a quello, sicuramente esiguo, derivante da un atteggiamento di mera negligenza tra l’altro fondato, sia pure erroneamente (per quanto già detto sopra) in ordine all’esenzione da propria responsabilità, sulla presenza di un direttore dei lavori. Al contrario, proprio il criterio del grado della colpa considerato deve condurre a ritenere a non prospettabile una valutazione di particolare tenuità quanto alla omissione posta in essere dal direttore dei lavori, rientrando il rispetto delle prescrizioni degli strumenti urbanistici tra i compiti precipui propri di chi, come C. , rivesta il ruolo di direttore dei lavori – progettista.
12. In definitiva, rigettato il ricorso di C.G. , la sentenza impugnata va annullata con rinvio limitatamente alla posizione di F.A. affinché il Tribunale di Lucca verifichi la possibilità di applicazione della causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto. Va, solo per completezza, precisato che, atteso il principio della formazione progressiva del giudicato, l’infondatezza del ricorso quanto agli altri motivi determina l’irrevocabilità della sentenza in punto di affermazione della responsabilità penale (atteso che il reato, alla data della decisione di questa Corte, non è ancora prescritto, maturando il relativo termine nella data del 23/07/2015), dovendo quindi il giudice del rinvio solo verificare in fatto l’applicabilità della causa di esclusione della punibilità.
Infatti, qualora venga rimessa dalla Corte di cassazione al giudice di rinvio la sola questione relativa all’accertamento dell’esistenza di una causa di non punibilità, tale sicuramente essendo, per stessa definizione normativa, quella derivante dalla particolare tenuità del fatto, si verifica una situazione analoga quella in cui l’annullamento con rinvio venga disposto per la sola determinazione della pena, sicché la formazione del giudicato progressivo riguarda esclusivamente l’accertamento del reato e la responsabilità dell’imputato, essendo quindi impedito al giudice del rinvio di dichiarare (ed al ricorrente di eccepire) l’avvenuta estinzione del reato per la prescrizione maturata successivamente alla decisione di questa Corte (da ultimo, Sez.3, n. 50308 del 15/10/2014, Carignano, Rv. 261393).

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente a F.A. e rinvia al Tribunale di Lucca quanto al giudizio ex art. 131 bis c.p.; rigetta nel resto il ricorso della F.. Rigetta il ricorso di C. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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