Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 20 maggio 2014, n. 11079
Ritenuto in fatto
1.- P.S. conveniva in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, B.A. , B.C. , B.M. e l’Amministrazione Provinciale di Taranto, chiedendone la condanna al risarcimento del danno subito allorché, sulla strada provinciale (omissis) , la sua macchina operatrice, trasportata su un rimorchio, aveva urtato contro un ramo d’olivo che da un fondo di proprietà dei predetti B. sporgeva sulla indicata strada provinciale.
1.1 – Il Tribunale adito rigettava la domanda.
2. – Avverso tale sentenza proponeva appello P.S. .
Nel corso del giudizio di gravame, dichiarato interrotto per la morte dell’appellato B.A. , si costituiva la Provincia di Taranto e, degli altri appellati, soltanto B.M. .
2.1. – La Corte d’appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza resa pubblica il 6 giugno 2007, rigettava l’impugnazione, osservando, al pari di quanto ritenuto dal primo giudice, che, seppure a carico dei convenuti si potessero riscontrare elementi di colpa, tuttavia, posto che “il ramo in questione era sicuramente ben visibile”, la condotta del conducente il mezzo sul quale era trasportata la macchina operatrice danneggiata (“trasporto di per sé pericoloso”) non si era adeguata alla richiesta prudenza ed attenzione, cosi da porre in essere “una serie causale sopravvenuta, di per sé idonea a provocare l’evento dannoso, sicché le cause concorrenti e preesistenti restavano prive di effetto perché inadeguate rispetto ad esso, che si poneva fuori della normale linea evolutiva delle conseguenze proprie delle cause pregresse”.
3. – Per la cassazione di tale sentenza ricorre P.S. , affidando le sorti dell’impugnazione a un unico motivo di ricorso.
Resiste con controricorso B.M. , che ha anche depositato memoria.
Non hanno svolto attività difensiva in questa sede gli intimati Amministrazione Provinciale di Taranto e B.C.M. .
3.1. – Il 25 febbraio 2014, data fissata per l’udienza pubblica, le parti non si sono presentate per la discussione.
L’avviso di detta udienza era stato comunicato all’unico difensore del ricorrente presso la cancelleria di questa Corte in data 15 gennaio 2014 e al ricorrente P.S. personalmente, tramite notifica ricevuta dalla moglie convivente in data 16 gennaio 2014; ciò a seguito del rilievo, da parte della stessa cancelleria, della cancellazione dall’albo, in data 28 gennaio 2011, del difensore del medesimo ricorrente, avvocato Cosimo Damiano Saracino.
Alla parte controricorrente la comunicazione dell’udienza è stata ritualmente effettuata nel domicilio eletto.
Considerato in diritto
1. — Preliminarmente, va ritenuta la ritualità dell’avviso ex art. 377, secondo comma, cod. proc. civ. anche nei confronti della parte ricorrente, senza doversi disporre il rinvio dell’udienza per una nuova comunicazione dell’avviso medesimo.
Nella specie, P.S. – che non ha eletto domicilio in Roma, ma presso lo studio del proprio unico difensore, avvocato Cosimo Saracino, in Sava (Taranto) — ha ricevuto personalmente, a seguito della cancellazione del predetto difensore dal relativo albo riscontrata dalla cancelleria di questa Corte, la comunicazione dell’avviso di udienza, che gli è stata tempestivamente e ritualmente notificata a mezzo di ufficiale giudiziario (oltre che notificata presso la cancelleria di questa Corte). Con ciò risulta tutelato il diritto difesa del ricorrente, essendogli stato consentito, in forza della notificazione anzidetta, effettuata direttamente nei suoi confronti, di provvedere, entro un lasso di tempo ragionevole, alla sostituzione del difensore cancellato dall’albo.
2.- Con l’unico articolato mezzo, assistito da quesiti ex art. 366 bis cod. proc. civ., è prospettata: in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., “nullità od erroneità della sentenza e/o del procedimento”; in subordine, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., “violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di norme di diritto processuale” e, in particolare, degli artt. 112-116 cod. proc. civ. e degli art. 1227, 2043, 2051 e 2697 cod. civ., “in quanto la sentenza ha ritenuto di attribuire la responsabilità dell’evento alla sola condotta di guida dell’autoveicolo dell’attore ed ha pure falsamente ritenuto che i convenuti, pur avendo degli elementi di colpa a loro carico, andassero esenti da responsabilità risarcitoria”; in subordine, e in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., “omessa o insufficiente o contraddittoria motivazione in ordine agli stessi punti decisivi della controversia”.
Nella sentenza impugnata mancherebbe un riferimento all’istruttoria che renda sicuro come la determinazione dell’evento dannoso fosse da ricondurre alla condotta del conducente il veicolo. La Corte territoriale, infatti, avrebbe errato nel ritenere che il conducente non poteva non avvistare il pericolo costituito dal ramo sporgente sulla strada in quanto vi era bel tempo, sia perché “è fatto naturale che nei luoghi dell’evento sinistrorso il tramonto si verifica prima delle ore 20:30 circa (per l’esattezza alle ore 20:23) sia perché il testimone, proprio in quella parte della testimonianza ricordata dalla Corte territoriale, aveva ricordato che al momento dell’incidente era già buio”.
L’iter motivazionale della sentenza sarebbe, inoltre, privo di coerenza logico-giuridica, nella misura in cui, pur rilevando l’esistenza di elementi di colpa a carico dei convenuti, si riconosce la responsabilità dell’evento dannoso in capo al solo conducente.
2.1. – Il motivo non può trovare accoglimento.
In primo luogo la censura di violazione processuale, ai sensi del n. 4 del primo comma dell’art. 360 cod. proc. civ. si appalesa inammissibile, giacché risulta soltanto indicata in rubrica, ma del tutto priva di ragioni a sostegno nel corpo del motivo, oltre a non essere rappresentata nel formulato quesito di diritto [il quale cosi recita: “1mo) voglia compiacersi la Suprema Corte di affermare o negare se sia conforme al disposto normativo rinveniente negli artt. 112-116 c.p.c. e degli artt. 1227, 2043, 2051 e dell’art. 2697 c.c. ritenere la condotta del conducente del mezzo attoreo unica causa del sinistro per cui è causa, pur riconoscendo elementi di colpa a carico delle altre parti nell’avere creato una condizione di pericolo reale e senza alcun riferimento ad un sicuro esito istruttorio che renda certe l’esistenza di condizioni di avvistabilità e/o prevedibilità del suddetto pericolo; 2ndo) nel caso in cui ritenga la non conformità, dica la Corte se tale difetto abbia comportato “violazione, erronea interpretazione e falsa applicazione di legge” in riferimento alle norme indicate in epigrafe del presente motivo di ricorso”].
Per il resto, il motivo mira essenzialmente a censurare l’apprezzamento di fatto che sorregge la decisione della Corte territoriale, surrogandosi inammissibilmente al potere di delibazione delle prove spettante soltanto al giudice del merito e ciò attraverso una interpretazione delle risultanze processuali diversa ed alternativa a quella fornita dal medesimo giudice.
Tentativo, questo, che si palesa evidente là dove il ricorrente – sia attraverso una allegazione documentale inserita in ricorso (in violazione dell’art. 372 cod. proc. civ., in quanto non previamente prodotta nel giudizio di merito) concernente una “scheda dei comuni di (omissis) e di (…), con indicazione delle effemeridi”, sia adducendo che il teste escusso nel corso del giudizio aveva affermato che al momento del sinistro era già buio, senza tuttavia trascrivere il contenuto di tale deposizione testimoniale, né indicare il “luogo” processuale ove poterla reperire (in violazione, dunque, del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione e dell’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ.) – ha inteso contrastare l’accertamento della Corte territoriale, basato proprio sulla anzidetta deposizione testimoniale, in ordine alla visibilità dell’eventuale insidia (costituita dal ramo sporgente sulla strada provinciale), in ragione del fatto che “l’evento de quo è avvenuto alle ore 20,30 circa, con l’ora legale, e in una giornata di bel tempo, il 7 luglio, e cioè soltanto 15 giorni dopo il solstizio d’estate”.
In ogni caso, i profili di censura che, invero genericamente, si indirizzano in iure (almeno secondo la declinazione del quesito che li sorregge) contro il convincimento della Corte territoriale in punto di efficienza causale della condotta del danneggiato e di esistenza di una condizione di pericolo (a tal riguardo facendo valere promiscuamente la violazione degli artt. 2043 e 2051 cod. civ., senza tuttavia introdurre temi diversi da quelli relativi all’endiade colpa del danneggiato/insidia stradale, unicamente avuta di mira dall’impianto del motivo), non sono tali da scalfirne l’idoneità a sorreggere la decisione, posto che le affermazioni del giudice del merito non collidono affatto con i principi della materia. Ed invero la Corte territoriale, pur riconoscendo “elementi di colpa” a carico dei convenuti, ha ritenuto assorbente l’efficienza causale delle condotta del conducente del mezzo sul quale era trasportata la macchina operatrice, cosi allineandosi al principio secondo il quale “in tema di responsabilità civile aquiliana, il nesso causale è regolato dai principi di cui agli artt. 40 e 41 cod. pen. per i quali un evento è da considerare causato da un altro se, ferme restando le altre condizioni, il primo non si sarebbe verificato in assenza del secondo (cosiddetta teoria della condicio sine qua non) nonché dal criterio della cosiddetta causalità adeguata, sulla base della quale, all’interno della serie causale, occorre dar rilievo solo a quegli eventi che non appaiono – ad una valutazione ex ante – del tutto inverosimili. Il rigore del principio dell’equivalenza delle cause, di cui all’art. 41 cod. pen., in base al quale, se la produzione di un evento dannoso é riferibile a più azioni od omissioni, deve riconoscersi ad ognuna di esse efficienza causale, trova il suo temperamento nella causalità efficiente, desumibile dal secondo comma dell’art. 41 cod. pen., in base al quale l’evento dannoso deve essere attribuito esclusivamente all’autore della condotta sopravvenuta, solo se questa condotta risulti tale da rendere irrilevanti le altre cause preesistenti, ponendosi al di fuori delle normali linee di sviluppo della serie causale già in atto” (tra le altre, cfr. Cass., 10 ottobre 2008, n. 25028).
Del pari coerente con l’orientamento stabile di questa Corte è l’affermazione del giudice di secondo grado – una volta ritenuta accertata la sussistenza della duplice circostanza della visibilità del pericolo e della evitabilità dello stesso mediante l’adozione di una condotta più prudente – in ordine al carattere colposo della condotta tenuta nella specie dal danneggiato, giacché, in caso di sinistri riconducibili a situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, la conseguente responsabilità derivante dal difetto di manutenzione – come affermato, tra le altre da Cass., 16 maggio 2013, n. 11946 e Cass., 22 ottobre 2013, n. 23919 (nella medesima ottica anche Cass., 13 luglio 2011, n. 15375; Cass., 18 ottobre 2011, n. 21508; Cass., 28 settembre 2012, n. 16542; Cass., 12 marzo 2013, n. 6101; Cass., 20 gennaio 2014, n. 999) – può essere attenuata o esclusa in funzione dell’accertamento della concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo. E, nel compiere tale ultima valutazione, si dovrà tener conto che quanto più questo è suscettibile di essere previsto e superato attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più il comportamento della vittima incide nel dinamismo causale del danno, sino ad interrompere il nesso eziologico tra la condotta attribuibile al responsabile e l’evento dannoso.
3. – Il ricorrente, in quanto soccombente, va condannato al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, come liquidate in dispositivo.
Nulla è da disporsi quanto alla regolamentazione di dette spese nei confronti degli altri intimati, che non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida, in favore di B.M. , in complessivi Euro 1.500,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge
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