SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
Sentenza 19 gennaio 2016, n. 768
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Presidente –
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –
Dott. CARLUCCIO Giuseppa – Consigliere –
Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –
sul ricorso 4631/2013 proposto da:
GESTIONE LIQUIDATORE EX USSL N. (OMISSIS) DI LEGNANO (OMISSIS) in persona del COMMISSARIO LIQUIDATORE DOTT.SSA D.C., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 39-F, presso lo studio dell’avvocato BIANCO Giuseppe, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato EDOARDO BIANCHI giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
D.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA IPPOLITO NIEVO 61, presso lo studio dell’avvocato ENNIO MAZZOCCO, rappresentata e difesa dall’avvocato PASTORELLI Ivan giusta procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3107/2012 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/09/2012, R.G.N. 1769/2007;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12/11/2015 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;
udito l’Avvocato GIUSEPPE BIANCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SGROI Carmelo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Il Tribunale di Milano, sez. distaccata di Legnano decidendo con sentenza n. 87/2006 sulla domanda proposta da D.E. nei confronti della Gestione Liquidatoria dell’ex USSL n. (OMISSIS) di Legnano (di seguito, brevemente, Gestione Liquidatoria) e del terzo chiamato Dr. F.M., per il risarcimento dei danni conseguenti ad errata e/o negligente prestazione sanitaria – rigettava la domanda, pur in presenza di accertati postumi invalidanti nella misura del 30-35%, ritenendo che non fosse stata raggiunta adeguata prova in termini di ragionevole certezza della sussistenza del nesso causale tra il ritardo nell’effettuazione dell’intervento di erniectomia praticato all’attrice nell’ospedale di (OMISSIS) e i danni in questione.
La decisione, gravata da impugnazione di D.E., era parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano, la quale con sentenza in data 27.09.2012, accertava e dichiarava la responsabilità della Gestione Liquidatoria nella causazione dei postumi lamentati dall’appellante e la condannava a corrispondere alla medesima, a titolo risarcimento danni, la somma di Euro 150.321,50 oltre a rivalutazione monetaria alla data della sentenza e interessi da calcolarsi previa devalutazione secondo gli indici ISTAT costo vita dalla data del sinistro al saldo; condannava le c.ia assicuratrici Nuova M.A.A. Assicurazioni s.p.a., Assitalia-Le Assicurazioni d’Italia, La Piemontese s.p.a., La Fondiaria Assicurazioni s.p.a., Toro Assicurazioni s.p.a., Società Reale Mutua di Assicurazioni, Società Cattolica di Assicurazioni coop. a r.l., ciascuna secondo la quota di rischio rispettivamente assunta, a manlevare la Gestione Liquidatoria con riguardo alle somme dovute a titolo risarcitorio alla D.; condannava la Gestione Liquidatoria e le predette compagnie assicuratrici a rimborsare all’appellante la metà delle spese dei due gradi, compensata l’altra metà; compensava interamente le spese del secondo grado del giudizio tra l’appellante e il F..
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Gestione Liquidatoria, svolgendo quattro motivi.
Ha resistito D.E., depositando controricorso.
Nessuna attività difensiva è stata svolta da parte degli altri intimati.
1. Con il primo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, relativamente alla sussistenza della responsabilità della Gestione Liquidatoria ex USSL n. (OMISSIS) di Legnano. Al riguardo parte ricorrente deduce che la relazione di c.t.u., cui la Corte di appello ha formalmente mostrato di adeguarsi, non consentiva affatto di pervenire alle conclusioni assunte, avendo il c.t.u. al contrario precisato che “per quanto riguarda la prognosi, in generale, delle sindromi acute della cauda equina, malgrado un intervento eseguito entro 6 ore dall’inizio dei sintomi, nel 30% dei pazienti permangono sequele invalidanti della funzione sfinterica e sessuale”; osserva che, ai fini della riconducibilità causale del fatto omissivo della struttura sanitaria, occorreva che il criterio di probabilità scientifica fosse “qualificato” da ulteriori elementi idonei a tradurre in certezze giuridiche le conclusioni astratte svolte in termini probabilistici e che, al contrario, nel caso di specie, non appariva possibile affermare che l’opera dei medici, se fosse stata correttamente e prontamente eseguita, avrebbe avuto serie e apprezzabili probabilità di successo.
1.1. Il motivo è, per una parte, inammissibile e, per altra, manifestamente infondato.
Prima di ogni altra considerazione si osserva che il motivo è formalmente proposto con riferimento al testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, antecedente al D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 1, lett. b, convertito in L. n. 134 del 2012, che ha sostituito l’originario vizio di “omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio” nei seguenti termini: “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. La nuova formulazione della norma, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 3, si applica “alle sentenze pubblicate dal trentesimo giorno successivo a quello di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto” (cioè alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, e, nella specie, la sentenza impugnata è stata depositata il 27 settembre 2012).
Si rammenta – in conformità all’esegesi svolta dalla Sezioni Unite di questa Corte (v. SU n. 8053 del 2014) che la riforma deve essere valutata, alla luce dei canoni ermeneutica dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Le Sezioni Unite hanno aggiunto che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nel testo rinnovato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, determinerebbe un esito diverso della controversia), con la conseguenza che, nel rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, ai fini della ammissibilità del vizio in questione, il ricorrente deve indicare il “fatto storico” il cui esame sia stato omesso, il “dato” – testuale o extratestuale – da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”.
1.2. Nella specie “il fatto” dedotto a fondamento del motivo – e cioè, nella sostanza, il non avere il c.t.u. affermato, contrariamente a quanto ritenuto dai Giudici di appello, che un tempestivo intervento avrebbe avuto una “elevata probabilità” di successo – non presenta, all’evidenza, dette caratteristiche.
Al contrario si rileva che i fatti rilevanti ai fini dell’accertamento del nesso causale risultano esaminati nella sentenza impugnata, dovendo ritenersi che la censura, pur se riguardata con riferimento al “vecchio” testo, sia comunque, inammissibile; ciò in quanto il motivo si sostanzia nella mera sollecitazione ad una lettura e interpretazione delle risultanze peritali diversa da quella operata dalla Corte di appello, allorchè, sulla scorta di una valutazione complessiva della relazione, ha affermato che il c.t.u., “pur evidenziando l’impossibilità di accertare con esattezza il grado di emenda della situazione menomativa riscontrata sulla persona dell’appellante ove l’intervento chirurgico fosse stato tempestivo”, aveva altresì rimarcato che, in caso di intervento entro le 24 h. dal c.d. punto zero, “la probabilità di permanenza di “sequele invalidanti della funzione sfinterica e sessuale” si attesta su una percentuale del 30%”, così arguendo, sulla scorta della percentuale residua del 70%, che, in caso di tempestivo intervento, sussisteva una “elevata probabilità di pervenire ad una guarigione totale, del tutto esente da postumi” (cfr. pag. 10 della sentenza impugnata).
1.3. E’ il caso di aggiungere – dal momento che, nel motivo, si denuncia anche l’errata applicazione dei principi affermati in materia di causalità per fatto omissivo in materia di attività sanitaria – che, sotto questo versante, la censura è inammissibile per altro e più radicale ordine di considerazioni; e cioè perchè il vizio motivazionale riguarda solamente la quaestio facti e non si riferisce alle questioni di diritto, in relazione al quale soccorre il potere integrativo-correttivo di cui all’art. 384 c.p.c..
In ogni caso le conclusioni assunte dai Giudici di appello risultano coerenti con la consolidata giurisprudenza di questa Suprema Corte, secondo cui: a) i principi generali che regolano la causalità materiale (o di fatto) sono anche in materia civile quelli delineati dagli artt. 40 e 41 c.p. e dalla regolarità causale; b) ciò che differenzia l’accertamento del nesso causale in sede penale ed in sede civile è la regola probatoria, valendo per il primo il principio dell'”oltre ogni ragionevole dubbio”, mentre nel secondo vale il principio della preponderanza dell’evidenza o “del più probabile che non”, fermo restando che la regola della “certezza probabilistica” non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa-statistica delle frequenze di classe di eventi (c.d. probabilità quantitativa), ma va verificata riconducendo il grado di fondatezza all’ambito degli elementi di conferma disponibili nel caso concreto (c.d. probabilità logica).
Nella fattispecie la Corte territoriale ha risolto la relativa problematica lungo le direttrici segnate dalle Sezioni unite, segnatamente con le sentenze 30 ottobre 2001, n. 13533 e 11 gennaio 2008 n. 577, muovendosi nell’ottica che l’inadempimento rilevante nell’ambito dell’azione di responsabilità per risarcimento del danno nelle obbligazioni c. “di comportamento” – coincidenti con quelle tradizionalmente definite di mezzi, in cui è la condotta del debitore ad essere dedotta in obbligazione – non è qualunque inadempimento, ma solo quello, per così dire, “vestito”, e cioè astrattamente efficiente alla produzione del danno. In particolare la Corte milanese non si è limitata a dar conto della frequenza statistica dell’eventuale esito negativo in caso di intervento eseguito in emergenza chirurgica o anche solo nelle 24 ore, ma ha verificato tutte le circostanze del caso concreto (individuazione del c. “punto zero”, chiarezza della sintomatologia sin dal momento del ricovero, ritardo nell’iter diagnostico e nel conseguente intervento chirurgico), pervenendo al convincimento che l’intervento, nella specie, venne eseguito più di 48 h. dopo il ricovero e, quindi, ben oltre il timing ottimale, con la conseguenza che alla D. risultava essere stata negato l’accesso a quella “elevata probabilità” di guarigione del tutto esente da postumi, che, in caso di tempestivo intervento, avrebbe avuto. In definitiva i fatti rilevanti ai fini della conclusione della sussistenza di nesso causale (da apprezzarsi, appunto, come grado di probabilità logica) tra il comportamento omissivo della struttura sanitaria e l’evento, risultano ampiamente esposti e le conclusioni assunte risultano del tutto in linea con i principi sopra enunciati.
Il motivo va, dunque, rigettato.
2. Con il secondo motivo di ricorso si denuncia difetto assoluto di motivazione, mancato esame di un punto decisivo della controversia.
Al riguardo parte ricorrente lamenta che la Corte di appello non abbia esaminato i rilievi critici esposti dal proprio consulente di parte e da essa richiamati nella comparsa di costituzione in appello, in ragione dei quali il “punto zero” (vale a dire l’inizio della sintomatologia) dovrebbe collocarsi trenta ore prima del ricovero ospedaliero, con la conseguenza che anche se l’iter fosse stato più sollecito non sarebbe, comunque, consentito supporre che le possibilità di completa guarigione sarebbero state maggiori.
2.1. Il motivo è inammissibile.
Invero la motivazione certamente si sottrae alle uniche possibili censure tuttora deducibili sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (e cioè la mancanza totale, la mera apparenza, l’irriducibile contraddittorietà, l’assoluta incomprensibilità).
Va, altresì, ribadito che la parte che denuncia il vizio motivazionale, sub specie di omesso esame del fatto decisivo, deve specificamente indicare il “fatto” controverso o decisivo che si assume non esaminato, intendendosi per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 c.c., od anche un fatto secondario, purchè controverso e decisivo. In particolare, secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità costituisce fatto decisivo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, quello la cui differente considerazione è idonea a comportare, con certezza, una decisione diversa (v. tra le altre Cass. n. 18368 del 2013 oltre la già citata SU 8053 del 2014), occorrendo un rapporto di causalità fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità (v. tra numerose altre Cass. n 25608 del 2013). Inoltre l’omesso esame di elementi istruttori, in quanto tale, non integra l’omesso esame circa un fatto decisivo previsto dalla norma, quando il fatto storico rappresentato sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè questi non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie astrattamente rilevanti.
Nel caso di specie i fatti storici rilevanti per l’individuazione del ed. punto zero sono stati certamente presi in considerazione dalla Corte di appello, sia pure pervenendo ad una conclusione sfavorevole alla ricorrente, che non può qui proporre una valutazione meramente alternativa.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Al riguardo parte ricorrente – premesso che la Corte di appello ha affermato che nella liquidazione del danno avrebbe tenuto conto della percentuale del 70% di probabilità di successo in caso di tempestivo intervento, precisando di adottare le tabelle del Tribunale di Milano del 2011 – osserva che, applicando le indicate tabelle e facendo la media dei risarcimenti previsti per le percentuali di invalidità del 33% e del 35%, il danno non patrimoniale dovrebbe risultare pari a Euro 183.938,00 con la conseguenza che il 70% sarebbe pari a Euro 128.756,60 e non già a Euro 150.000,00.
3.1. Anche il presente motivo – così come formulato, profilando un (presunto) errore di calcolo – esula dai canoni sopra enunciati del novellato art. 360 c.p.c., n. 5 e degli stessi vizi deducibili per cassazione.
In disparte si rileva che la censura prescinde totalmente dalla considerazione che le tabelle milanesi, qui applicate, prevedono un range di personalizzazione, di cui ha fatto uso la Corte territoriale, operando una valutazione dichiaratamente equitativa che, pur tenuto conto della percentuale probabilistica di un risultato utile dell’intervento, non è (nè deve essere) ancorata ad una media matematica.
4. Con il quarto motivo di ricorso si denuncia ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, errata o falsa applicazione dell’art. 1223 c.c.. Al riguardo parte ricorrente deduce che erroneamente, sulla somma liquidata dalla Corte di appello è stata riconosciuta la rivalutazione monetaria alla data della presente sentenza: ciò in quanto se la liquidazione viene effettuata all’attualità, già sconta gli effetti negativi dell’inflazione.
4.1. Il motivo è infondato in quanto è errata la premessa da cui muove la censura e, cioè, che il danno sia stato liquidato all’attualità; giacchè, come evidenziato nella decisione impugnata, la liquidazione ha fatto riferimento alle tabelle 2011, donde la necessità di rivalutare l’importo così determinato al momento della decisione (luglio/settembre 2012), mentre gli interessi sono stati riconosciuti, previa devalutazione, dalla data del sinistro al saldo.
In definitiva l’esame complessivo dei motivi comporta il rigetto del ricorso.
Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. n. 55 del 2014, seguono la soccombenza.
Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 8.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre accessori come per legge e contributo spese generali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 12 novembre 2015.
Depositato in Cancelleria il 19 gennaio 2016
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