Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 16 giugno 2015, n. 24965
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio F. – Presidente
Dott. AMORESANO Silvio – Consigliere
Dott. GAZZARA Santi – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere
Dott. MENGONI Enrico – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza pronunciata dal Tribunale di Monza in data 9/4/2014;
visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal consigliere Enrico Mengoni; lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, che ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 9/4/2014, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Monza applicava a (OMISSIS) – ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., – la pena di un anno e due mesi di reclusione in ordine ai reati di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli 81 cpv., articolo 2, articolo 646 c.p.; era inoltre disposta la confisca di quanto in sequestro e, comunque, per equivalente, fino all’ammontare di 90.614,92 euro.
2. Propone ricorso per cassazione il (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore, deducendo due motivi:
– violazione del combinato disposto dell’articolo 322 ter c.p., Legge 24 dicembre 2007, n. 244, articolo 1, comma 143. Il Giudice avrebbe ordinato la confisca della somma in sequestro pur a fronte dell’integrale pagamento, da parte del (OMISSIS), dell’intera somma dovuta a tutolo di imposte, interessi e sanzioni; cio’, in forza di una lettura errata della nozione di profitto (suscettibile di confisca per equivalente), invero riferibile soltanto all’imposta evasa, non gia’ all’intera somma indicata nella fattura di cui all’articolo 2 cit.;
– difetto assoluto di motivazione, e contraddittorieta’ della stessa, quanto all’entita’ della somma sottoposta a vincolo. La sentenza non permetterebbe di comprendere in forza di quale calcolo sia stata disposta la confisca della somma di 90.614,92 euro, se non per il fatto che trattavasi dell’importo ancora sottoposto a vincolo. Non si comprenderebbe, quindi, quale e quanta parte dell’imposta evasa non sarebbe stata ancora versata; cio’, peraltro, pur a fronte di documentazione che attesterebbe l’avvenuto, completo versamento della stessa.
3. Con requisitoria scritta del 15/7/2014, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto dichiarare inammissibile il ricorso. I profili trattati, invero, atterrebbero al merito della vicenda e, comunque, sarebbero superati dalla richiesta di “patteggiamento” che comporta la confisca per equivalente del profitto del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ fondato nei termini che seguono; al riguardo, i due motivi possono essere trattati congiuntamente, attesane l’identita’ sostanziale di contenuto.
Costituisce indirizzo pacifico in tema di reati tributari quello per cui il profitto del reato oggetto del sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, e’ costituito dal risparmio economico derivante dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale; vincolo che non puo’ avere ad oggetto beni per un ammontare eccedente il profitto medesimo, sicche’ il Giudice e’ sempre tenuto a valutare l’equivalenza tra il valore degli stessi e l’entita’ di detta utilita’. Ne consegue che, qualora il debito tributario sia stato successivamente versato, almeno in parte, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente non puo’ essere mantenuto sull’intero ammontare del profitto derivante dal mancato pagamento dell’imposta evasa, ma deve essere ridotto in misura corrispondente, poiche’, altrimenti, verrebbe a determinarsi una inammissibile duplicazione sanzionatoria, in contrasto con il principio secondo il quale l’ablazione definitiva di un bene non puo’ mai essere superiore al vantaggio economico conseguito dall’azione delittuosa (Sez. 3, n. 6635 dell’8/1/2014, Cavatorta, Rv. 258903; Sez. 3, n. 3260 del 4/4/2012, dep. 22/1/2013, Curro, Rv. 254679).
Cio’ premesso in termini generali, osserva la Corte che il ricorso – nel contestare che il Giudice avrebbe confermato il vincolo sulla somma residua pur a fronte dell’integrale pagamento dell’imposta evasa – appare fondato.
Il Giudice di Monza, pur dando atto dell’effettivo pagamento di una determinata somma da parte del (OMISSIS) (indicata nella misura di 900.000 euro circa), afferma che la stessa non sarebbe comunque sufficiente a “coprire” l’intero profitto del reato, che deriverebbe – oltre che dall’imposta evasa – anche dal complessivo ammontare delle fatture in esame. Orbene, ritiene la Corte che questo assunto sia errato, atteso che il valore di queste ultime deve esser considerato – ai fini che occupano – con caratteri non assoluti, ma necessariamente relativi; in altri termini, il profitto illecito derivante dalla fattura (e suscettibile di sequestro, quindi di confisca) non e’ dato dall’importo in se’, nella sua totalita’, ma dall’ammontare di imposta che lo stesso consente di evadere, attraverso una indebita indicazione di elementi passivi fittizi nella dichiarazione annuale.
Imposta che deve essere calcolata inserendo quella fattura nel complesso degli elementi attivi e passivi risultanti dalla dichiarazione medesima, e che non coincide affatto – ex se – con l’importo che la fattura contiene quale valore (assoluto), ma si identifica con il risultato contabile (relativo) ricavabile solo dalla piu’ ampia lettura di tutti i dati indicati dal dichiarante.
Una volta individuato tale risultato, il vincolo ben puo’ esser disposto e poi confermato, anche con una sentenza ex articolo 444 c.p.p.; a condizione, pero’, che lo stesso operi sui beni per un ammontare non eccedente il profitto medesimo, sicche’ il Giudice – come gia’ ricordato – e’ sempre tenuto a valutare l’equivalenza tra i due valori.
Orbene, di cio’ la sentenza non contiene alcuna traccia motivazionale, cosi’ incorrendo nel vizio censurato dalla difesa.
Il Giudice di merito, infatti, avrebbe dovuto prima calcolare l’imposta complessiva evasa alla luce dei criteri sopra indicati, quindi verificare se la somma effettivamente versata fosse sufficiente ad estinguere il debito tributario; e solo in caso di accertamento negativo avrebbe potuto disporre la confisca – in termini corrispondenti alla somma cosi’ individuata – sull’importo ancora in sequestro, ovvero su parte di esso.
La sentenza, pertanto, deve essere annullata con rinvio, limitatamente alla confisca di quanto in sequestro, affinche’ il Giudice compia la detta verifica.
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla confisca e rinvia al Tribunale di Monza.
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