Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 15 settembre 2014, n. 37748
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNINO Saverio Felice – Presidente
Dott. MULLIRI Guicla – Consigliere
Dott. SAVINO Mariapia Gaeta – Consigliere
Dott. ANDREAZZA Gastone – rel. Consigliere
Dott. ANDRONIO Alessandro M. – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte d’Appello di L’Aquila in data 11/02/2013;
visti gli atti, il provvedimento denunziato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Gastone Andreazza;
udite le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. SPINACI Sante, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udite le conclusioni del Difensore di fiducia, Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento.
2. Il ricorrente lamenta, con un primo motivo, la violazione degli articoli 1 e 2 c.p., articolo 25 Cost., comma 1, articolo 27 Cost., comma 1, e articolo 117 Cost., comma 1, in relazione all’articolo 7 della Convenzione Edu nonche’ mancanza, contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione. In particolare reitera le censure gia’ sollevate dinanzi alla Corte territoriale sul punto della non applicabilita’ della disposizione di cui all’articolo 10 ter, introdotta con la Legge n. 223 del 2006, alla condotta, come quella di specie, caratterizzata dalla presentazione della dichiarazione Iva relativa all’anno 2005 intervenuta ancor prima che detta norma entrasse in vigore, pena la violazione del principio di colpevolezza e l’incostituzionalita’ della norma rispetto ai parametri di cui sopra.
Con un secondo motivo deduce la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla dedotta impossibilita’ materiale di effettuare il pagamento dell’Iva in ragione di fatti indipendenti dalla sua volonta’, ovvero del mancato pagamento di una parte rilevante del fatturato (euro 295.494,45) da parte di un proprio cliente fallito e della intervenuta riduzione dei trasporti conseguenti ad un subito furto.
Con un terzo motivo deduce la violazione del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13 contestando che l’attenuante di cui al predetto possa, come opinato dalla Corte territoriale, ritenersi configurabile, in caso di ammissione a rateizzazione del debito, solo a fronte di pagamento integralmente effettuato prima dell’apertura del dibattimento di primo grado e non anche per il solo fatto dell’accordata rateizzazione.
Il primo motivo e’ sostanzialmente volto a rimettere in discussione, senza inedite prospettazioni, i principi di recente affermati da questa Corte a Sezioni Unite, invocando essenzialmente la mancanza di colpevolezza in ordine alle condotte di omesso versamento relative all’anno di imposta 2005, ovvero situate “a cavallo” delle modifiche normative che hanno configurato come penalmente rilevanti le stesse.
Detta pronuncia ha infatti statuito, risolvendo il contrasto che in effetti era venuto formandosi in precedenza sul punto, che il reato di cui al Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato versamento dell’Iva dovuta in base alla dichiarazione annuale, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo, e’ applicabile anche alle omissioni dei versamenti relativi all’anno 2005, senza che cio’ comporti alcuna violazione del principio di irretroattivita’ della norma penale. Ricostruito il rapporto fra l’illecito amministrativo di cui al Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 1, e l’illecito penale in oggetto come introdotto dal Decreto Legge n. 223 del 2006, articolo 35, comma 7, la Corte ha rilevato che i fatti oggetto di sanzione sono diversi sotto molteplici profili: mentre l’illecito penale richiede, quale presupposto, l’avvenuta presentazione della dichiarazione annuale Iva, cio’ non e’ necessario per l’integrazione dell’illecito amministrativo; inoltre, solo l’illecito penale prevede una soglia di rilevanza, al di sotto della quale il fatto non integra la fattispecie; infine, diverso e’ il termine per effettuare il versamento, la cui inosservanza determina l’integrazione dell’illecito, che viene a cadere per il reato di omesso versamento dell’Iva molti mesi dopo il termine previsto per i versamenti periodici presidiati dalla sanzione amministrativa. A tale diversita’ del fatto consegue, dunque, da un lato, che la concorrente applicazione di entrambi gli illeciti non possa porsi in contrasto col principio del ne bis in idem in materia penale e dall’altro, l’esclusione, ove la nuova norma incriminatrice sia applicata al fatto omissivo del versamento dell’Iva del 2005, di qualsivoglia violazione del principio del divieto di retroattivita’ della norma penale; in particolare, si e’ detto che, se e’ vero che, al momento della scadenza del “termine fiscale” per il versamento periodico dei debiti Iva relativi al 2005, il relativo reato non era ancora stato introdotto, e’ pero’ altrettanto vero che la condotta penalmente rilevante non e’ l’omesso versamento dell’Iva nel termine previsto dalla normativa tributaria ma il mancato versamento sulla base della dichiarazione annuale nel maggior termine stabilito dalla norma incriminatrice e coincidente col termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo di imposta successivo.
Di qui la conclusione secondo cui il soggetto che aveva omesso il versamento dell’Iva per il 2005 nel termine previsto per la normativa tributaria avrebbe avuto ancora, fino al 27 dicembre del 2006, la possibilita’ di assumere le proprie determinazioni in ordine all’effettuazione di un versamento che, in relazione al quantum di Iva mantenesse l’omissione non oltre la soglia di punibilita’. La decisione di non provvedere in tal senso, come tale integrativa del reato, deve dunque, secondo la Corte, essere collocata in un momento ampiamente successivo alla introduzione della nuova fattispecie incriminatrice, alla quale non puo’, pertanto, attribuirsi alcun effetto retroattivo, cio’ trovando indiretta conferma anche nelle ordinanze della Corte costituzionale n. 224 del 2011 e 25 del 2012 con cui e’ stata dichiarata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, sollevata in relazione all’articolo 3 Cost., del Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 10 ter, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, ritenendosi non lesivo del parametro costituzionale evocato il fatto che il debitore Iva per l’anno 2005 disponesse di un termine minore, dall’introduzione della norma, a luglio 2006, al 27 dicembre 2006, di quello accordato ai contribuenti per gli anni successivi.
Va aggiunto, proprio con precipuo riguardo al primo motivo di ricorso, che, come sottolineato gia’ dalla Corte costituzionale, per un verso, il termine di oltre cinque mesi e mezzo riconosciuto al contribuente per il periodo di imposta in oggetto (in luogo dei quasi dodici mesi “ordinari”), non puo’ ritenersi intrinsecamente incongruo, ossia talmente breve da pregiudicare o da rappresentare, di per se’, un serio ostacolo all’adempimento; per altro verso, secondo la costante giurisprudenza costituzionale, non contrasta, di per se’, con il principio di eguaglianza un trattamento differenziato applicato alla stessa categoria di soggetti, ma in momenti diversi nel tempo, poiche’ il fluire del tempo costituisce un valido elemento di diversificazione delle situazioni giuridiche.
4. Anche il secondo motivo e’ inammissibile.
La gia’ richiamata sopra pronuncia delle Sezioni Unite ha, sempre con riguardo al reato di omesso versamento posto in essere sempre in relazione al periodo d’imposta 2005, precisato che non puo’ essere invocata, per escludere la colpevolezza, la crisi di liquidita’ del soggetto attivo al momento della scadenza del termine lungo, ove non si dimostri che la stessa non dipenda dalla scelta, protrattasi, in sede di prima applicazione della norma, nella seconda meta’ del 2006, di non far debitamente fronte alla esigenza predetta.
E, sull’onda di tale assunto, questa sezione ha successivamente precisato (Sez., 3, 05/12/2013, n. 5467/14, Mercutello, Rv. 258055) come ben si possano dare casi, il cui apprezzamento e’ devoluto al giudice del merito e come tale insindacabile in sede di legittimita’ se congruamente motivato, nei quali possa invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilita’ di adempiere l’obbligazione tributaria.
E’ necessario, pero’, a tal riguardo, che siano assolti gli oneri di allegazione e di prova che, per quanto attiene alla crisi di liquidita’, debbono investire non solo l’aspetto circa la non imputabilita’ al soggetto tenuto al pagamento dell’imposta della crisi economica che avrebbe improvvisamente investito l’azienda, ma, anche, il fatto che l’interessato non sia riuscito a fronteggiare lo stato di crisi tramite il ricorso ad idonee misure da valutarsi in concreto.
Si e’ detto, cioe’, essere necessaria la prova che non sia stato altrimenti possibile, per il contribuente, reperire le risorse necessarie a consentirgli il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie, pur avendo egli posto in essere tutte le possibili azioni, se del caso anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, dirette a consentirgli di recuperare, in presenza di una improvvisa crisi di liquidita’, quelle somme necessarie ad assolvere il debito erariale, senza esservi riuscito per cause indipendenti dalla sua volonta’ e ad egli non imputabili (vedi anche, da ultimo, sempre in tal senso, Sez. 3, n. 15176 del 06/02/2014, Iaquinangelo, non massimata).
Nella specie, e’ lo stesso motivo di censura a non farsi carico di investire specificamente tali essenziali profili e, in particolare, l’avvenuto ricorso ad azioni volte a recuperare le somme necessarie, limitandosi invece ad affermare l’impossibilita’ di far fronte al debito tributario per essere venuta meno una parte rilevante del fatturato e per l’intervenuta riduzione dei trasporti conseguenti ad un furto subito.
5. Anche il terzo motivo e’ inammissibile stante la sua manifesta infondatezza. Il Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 13, introducendo una ipotesi di circostanza attenuante, prevede che le pene previste per i delitti di cui allo stesso decreto siano diminuite fino ad un terzo laddove, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributar siano estinti mediante pagamento.
Cio’ posto, e’ anzitutto la stessa conformazione letterale della norma, laddove si richiede appunto la estinzione del debito, a far ritenere che presupposto necessario del trattamento sanzionatorio piu’ favorevole sia l’integrale pagamento di quanto dovuto all’Erario, non essendo dunque sufficiente la mera ammissione al provvedimento di rateazione intervenuta prima della dichiarazione di apertura del dibattimento. Del resto, anche sotto il profilo della ratio della norma, la condotta meritevole del trattamento premiale e’ solo quella effettivamente idonea ad apportare un beneficio in termini patrimoniali all’Amministrazione, essendo invece non significativo sotto tale profilo il mero provvedimento di ammissione alla rateazione posto che l’interessato, una volta ammesso alla rateazione, ben potrebbe restare inadempiente rispetto al pagamento della singole rate. Deve quindi ribadirsi l’assunto per cui l’attenuante speciale del pagamento del debito tributario, prevista dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 13, non e’ applicabile in caso di rateizzazione del debito di imposta gia’ iscritto a ruolo e indicato nella cartella di pagamento, atteso che il riconoscimento del beneficio e’ subordinato all’integrale ed effettiva estinzione dell’obbligazione tributaria (Sez. 3, n. 5681/14 del 27/11/2013, Crocco, Rv. 258691).
Ne’ appare prospettabile alcuna disparita’ di trattamento rispetto al pagamento che avvenga a seguito delle procedure conciliative o di adesione, posto che, anche in tali casi, presupposto della applicabilita’ della circostanza attenuante e’ l’intervenuta integrale estinzione del debito d’imposta (cfr., Sez.3, n. 176/13 del 05/07/2012, Zorzi, Rv. 254146; Sez. 3, n. 30580 del 13/05/2004, Pisciotta, Rv. 229355).
6. L’inammissibilita’ del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000 in favore della cassa delle ammende.
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