Riconosciuto l’esercizio abusivo della professione di medico, psicologo e psicoterapeuta nonchè violenza sessuale aggravata a carico del soggetto che, abusando della condizione di inferiorità psichica del soggetto (affetto da anoressia), abbia commesso atti sessuali di vario genere
Suprema Corte di Cassazione
sezione III penale
sentenza 7 settembre 2016, n. 37166
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AMORESANO Silvio – Presidente
Dott. MOCCI Mauro – Consigliere
Dott. DI NICOLA Vito – rel. Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorsi proposti da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 31-03-2015 della Corte di appello di Milano; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. Vito Di Nicola;
Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FIMIANI Pasquale, che ha concluso per l’inammissibilita’ dei ricorsi;
Uditi per i ricorrenti gli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che hanno concluso per l’accoglimento dei ricorsi;
Uditi per le parti civili gli avvocati (OMISSIS), sostituto processuale degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS), che hanno concluso per l’inammissibilita’ o per il rigetto dei ricorsi con condanna dei ricorrenti alla rifusione delle spese processuali del grado.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione impugnando la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza 18 dicembre 2012 emessa dal Tribunale di Como ha dichiarato, per quanto qui interessa, non doversi procedere nei confronti dei ricorrenti in ordine alle imputazioni sub D1), D2), D3), D4), E6) ed E7) per essere i reati rispettivamente ascritti ai ricorrenti estinti per intervenuta prescrizione e, per l’effetto, ha rideterminato in anni sei e mesi sei di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS); in anni quattro e mesi tre di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS); in anni quattro e mesi sei di reclusione la pena inflitta a (OMISSIS), confermando nel resto l’impugnata sentenza.
1.1. Il procedimento ha avuto ad oggetto, da un lato, una contestata associazione per delinquere finalizzata, attraverso l’esercizio abusivo delle professioni di medico, psicologo e psicoterapeuta, alla consumazione di truffe ai danni di privati ed enti pubblici nonche’, dall’altro, diversi episodi di violenza sessuale ex articolo 609 bis c.p. per i quali ultimi, in definitiva, i ricorrenti hanno riportato condanna a seguito della conclusione dei giudizi di merito, mentre dalle altre imputazioni essi sono stati assolti, in primo grado, perche’ il fatto non sussiste o, in appello, per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione.
Piu’ in dettaglio, sono residuate le seguenti imputazioni:
1) (per il (OMISSIS)) il capo E1) per il delitto di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, articolo 81 cpv. c.p., articolo 604 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1) e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (baci; carezze: sollecitazioni manuali ed orali delle zone erogene) abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti dall’essere stata a lui affidata quale paziente – nell’erronea convinzione, dal (OMISSIS) ingenerata e alimentata, che egli fosse uno psicoterapeuta – per la cura dei gravi disturbi psicogeni dell’alimentazione da cui era affetta, e dall’avere specificamente il (OMISSIS) indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare le inibizioni connesse ai suddetti disturbi. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicoterapeuta e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo al (OMISSIS)). In (OMISSIS), tra la fine del (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al Capo D.1); nonche’ per il capo E4) del delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 11, articolo 604 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (baciandola sulla bocca, palpandole le natiche, praticandole e invitandola a praticare su di se’ in sua presenza la masturbazione), con abuso delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti dall’essersi affidata al (OMISSIS) – nell’erronea convinzione, ingenerata e alimentata da quest’ultimo, di avere a che fare con uno psicoterapeuta – per la cura dei gravi disturbi psicogeni dell’alimentazione da cui era affetta, e dall’avere specificamente il (OMISSIS) indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare le inibizioni connesse ai suddetti disturbi. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra la sedicente psicoterapeuta e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo al (OMISSIS)). In (OMISSIS), tra il dicembre (OMISSIS) e il novembre (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto contestato al Capo D.1);
2) (per il (OMISSIS)) il capo F1) per il delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 11, articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (baci; carezze; masturbazione reciproca; un rapporto genitale) abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti dall’essere stata a lui affidata quale paziente – nell’erronea convinzione, dal (OMISSIS) ingenerata e alimentata, che egli fosse uno psicoterapeuta – per la cura dei gravi disturbi psicogeni dell’alimentazione da cui era affetta, e dall’avere specificamente il (OMISSIS) indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare le inibizioni connesse ai suddetti disturbi. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicoterapeuta e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo al (OMISSIS)). In (OMISSIS), tra la fine del (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al Capo D.2); nonche’ il capo F.2) per il delitto di cui all’articolo 61 c.p., n. 11, articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (baci; carezze; palpamenti del seno; masturbazione reciproca) abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti: a) dalla sua condizione di paziente afflitta da disturbi psicogeni dell’alimentazione, gia’ ricoverata, per questo, presso la Casa di cura (OMISSIS) (Svizzera) e da qui indirizzata all'(OMISSIS) di (OMISSIS), della quale egli era all’epoca Presidente; b) dal fatto che ella versasse nell’erronea convinzione, da lui ingenerata e alimentata, che egli fosse uno psicoterapeuta; c) dal fatto che il (OMISSIS) avesse indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare i malesseri connessi ai disturbi suddetti e, in generale, alla condizione esistenziale della donna. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicoterapeuta e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo al (OMISSIS)). In (OMISSIS), in data imprecisata del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al Capo D.2);
3) (per (OMISSIS), detto (OMISSIS)) il capo H1) per il delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 11, articolo 604 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (baci sulla bocca, toccamenti del seno e dei genitali), abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti dall’essersi affidata a (OMISSIS) – nell’erronea convinzione, ingenerata e alimentata da quest’ultimo, di avere a che fare con uno psicoterapeuta – per la cura dei gravi disturbi psicogeni dell’alimentazione da cui era affetta, e dall’avere specificamente (OMISSIS) indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare le inibizioni connesse ai suddetti disturbi. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicologo e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo a (OMISSIS)). In (OMISSIS), nella primavera del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al Capo D.4); nonche’ il capo H2) per il delitto di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 11, articolo 604 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, indotto (OMISSIS) a compiere e a subire atti sessuali (abbracci con reciproco sfregamento delle zone pelviche, toccamenti delle zone erogene in genere, masturbazione reciproca, rapporti genitali completi), abusando delle condizioni di inferiorita’ psichica in cui la (OMISSIS) versava al momento dei fatti, derivanti: a) dalla tossicodipendenza e dai disturbi psicogeni dell’alimentazione da cui era afflitta, per i quali si era in precedenza ricoverata presso la (OMISSIS) (Svizzera) e si era li’ sottoposta alle terapie del metodo c.d. “neoreichiano” praticatele anche da (OMISSIS); b) dal fatto che ella versasse nell’erronea convinzione, ingenerata e alimentata da (OMISSIS), di avere a che fare con uno psicologo; c) dall’avere specificamente (OMISSIS) indicato quelle attivita’ sessuali quale strumento idoneo a superare le inibizioni connesse ai suddetti disturbi. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicologo e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo a (OMISSIS)). In (OMISSIS), tra il febbraio (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al Capo D.4); ed in fine il capo H3) per il delitto di cui di cui all’articolo 81 cpv. c.p., articolo 61 c.p., n. 11, articolo 604 c.p., articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1 e articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 per avere, in tempi diversi e con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, costretto (OMISSIS) a subire atti sessuali (consistiti nell’appoggiarle contro il proprio pene eretto), mediante violenza consistita nell’imporre quegli atti con sorpresa nonche’ mediante abuso delle condizioni di inferiorita’ psichica della (OMISSIS) al momento dei fatti, derivanti dal fatto che ella versava nell’erronea convinzione, ingenerata e alimentata da (OMISSIS), di avere a che fare con uno psicoterapeuta. Fatto aggravato perche’ commesso con abuso della relazione di prestazione d’opera tra il sedicente psicologo e la paziente (ancorche’ impropriamente instaurata, per la mancanza dei prescritti titoli professionali in capo a (OMISSIS)). In (OMISSIS), tra la fine del (OMISSIS) e i primi mesi del (OMISSIS). Procedibile d’ufficio in quanto connesso con il delitto di esercizio abusivo della professione contestato al capo D.4)
2. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, i ricorrenti, personalmente e/o tramite i loro difensori, articolano i seguenti motivi di gravame, qui enunciati, ai sensi dell’articolo 173 disp. att. c.p.p., nei limiti strettamente necessari per la motivazione.
2.1. (OMISSIS) affida l’impugnazione ad otto motivi.
2.1.1. Con il primo motivo il ricorrente denunzia il vizio di motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), sul rilievo che la sentenza avrebbe di fatto privato l’imputato di un grado di giudizio perche’ totalmente priva di motivazione, trattandosi di mero ed acritico richiamo a quanto statuito dal Tribunale, senza alcuna considerazione dei motivi d’appello che dovevano invece essere valutati nella loro interezza ed organicita’, fornendo valide argomentazioni quand’anche per disattenderne la fondatezza.
2.1.2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte d’appello accolto le eccezioni preliminari relative al difetto di giurisdizione del Giudice italiano, al difetto di competenza territoriale del Tribunale di Como e alla nullita’ del decreto che dispone il giudizio nonche’ l’inosservanza di norme processuali stabilite a pena di nullita’ ed infine per la mancanza, contraddittoria o manifestamente illogica motivazione della sentenza di appello (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e).
Assume il ricorrente come la quasi totalita’ delle condotte incriminate sarebbero state compiute in Svizzera, circostanza del tutto ignorata, a suo avviso, in punto di difetto di giurisdizione del Giudice Italiano, di competenza del tribunale di Como e di nullita’ del decreto che dispone il giudizio.
Quanto al primo aspetto, la doglianza fonda sul rilievo che la giurisdizione del giudice italiano non sarebbe predicabile nel caso in esame ne’ in base all’articolo 604 c.p. e neppure in merito alla ritenuta procedibilita’ d’ufficio affermata in maniera erronea, con la conseguenza che il difetto di giurisdizione del Giudice italiano sussisterebbe in relazione al capo D1) dell’imputazione (richiamato, in sentenza, quale ragione giustificatrice della procedibilita’ d’ufficio delle presunte violenze sessuali commesse dal (OMISSIS)) e cio’ sia per quanto riguarda la posizione dello stesso (OMISSIS) (imputato di nazionalita’ svizzera), stante la carenza sia dei requisiti di cui all’articolo 7 c.p. (assenza di convenzioni internazionali o disposizioni di legge che stabiliscono l’applicabilita’ della legge penale alle fattispecie di reato commesse all’estero), e sia per quanto attiene ai requisiti di cui all’articolo 10 c.p. (soglia edittale non integrata, mancata presenza degli imputati nel territorio dello Stato, assenza di richiesta del Ministero della Giustizia ovvero istanza ovvero querela della persona offesa).
Quanto poi alla denunciata incompetenza per territorio, osserva il ricorrente come il reato piu’ grave fosse configurabile nella fattispecie associativa che fondava sul fatto, successivamente rimasto indimostrato, secondo cui l’associazione a delinquere era stata promossa, organizzata e radicata interamente in Svizzera.
Solo molti anni dopo, l’associazione si manifesto’ in territorio italiano, essendo stato costituito il (OMISSIS) con sede in (OMISSIS), e molto tempo dopo venne costituita, nel 2001 e sempre a (OMISSIS), la (OMISSIS) s.r.l., societa’ di gestione del centro di (OMISSIS) a (OMISSIS).
Risulterebbe pertanto agli atti, dalla lettura delle annotazioni degli inquirenti, che una (mera) cellula del sodalizio criminoso svizzero si sarebbe sviluppata e radicata a (OMISSIS) (non a (OMISSIS) e da qui l’eccezione di impetenza territoriale) alla fine degli anni novanta, dove poi mantenne il centro delle proprie attivita’ legali e finanziarie sul territorio italiano.
Quanto alla nullita’ del decreto che dispone il giudizio, il ricorrente osserva che detto decreto non enuncia in forma chiara e precisa i fatti oggetto dell’imputazione ne’ (soprattutto) offre una doverosa contestualizzazione degli stessi indicando solamente dei lassi temporali di notevole durata, con la conseguenza che, non conoscendo con esattezza i singoli episodi di contestazione, il diritto di difesa viene totalmente compromesso in quanto i fatti sui quali fondano le accuse non sono stati enunciati nella maniera corretta.
Quanto infine alla c.d. connessione investigativa ritenuta dai Giudici del merito per suffragare la tesi della perseguibilita’ d’ufficio, rileva il ricorrente come l’identificazione della connessione di cui all’articolo 609 septies c.p. con le ipotesi previste dall’articolo 12 c.p.p. risulterebbe corroborata da una pluralita’ di indici tra cui le incertezze applicative che la soluzione opposta creerebbe; Inoperativita’ del generale principio del favor rei; la considerazione secondo cui, in materia penale, l’interpretazione restrittiva risulta, in ogni caso, preferibile.
L’opzione pronosticata e’ ritenuta dal ricorrente coerente anche con l’evoluzione giurisprudenziale conosciuta dalla Corte di Strasburgo, posto che, nell’individuare le norme coperte dal principio di legalita’ di cui all’articolo 7 CEDU, la Corte Edu ha enucleato una concezione “autonoma” di norma e sanzione penale, includendovi le previsioni che, a prescindere dalla formale definizione ricevuta dal diritto nazionale, attengono al trattamento punitivo complessivo del soggetto, per cui si ritiene che anche le norme relative al regime di procedibilita’, pur concernendo in via immediata profili processuali, presentino un’indubbia valenza punitivo-sostanziale, con la conseguenza che esse sarebbero insuscettibili di interpretazione analogica in malam partem.
2.1.3. Con il terzo motivo il ricorrente si duole dell’erronea applicazione dell’articolo 225 c.p.p., comma 3, e articolo 222 c.p.p., comma 1, lettera d), per avere, la Corte d’Appello, ritenuto non direttamente acquisibile, al fascicolo processuale, la relazione redatta dal Prof. (OMISSIS) sul rilievo, inesatto, che l’elaborato peritale relativo alla valutazione psicopatologica della defunta (OMISSIS) non fosse direttamente acquisibile agli atti in quanto cio’ sarebbe avvenuto in violazione dell’articolo 225 c.p.p., comma 3, e dell’articolo 222 c.p.p., comma 1, lettera d), secondo cui non puo’ essere nominato consulente tecnico colui il quale abbia assunto preventivamente l’ufficio di testimone nel procedimento (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).
Osserva il ricorrente che il Prof. (OMISSIS), escusso in primo grado come testimone, non e’ mai stato nominato quale consulente tecnico della difesa del Prof. (OMISSIS) mentre in secondo grado e’ stata prodotta unicamente una relazione a sua firma contenente una valutazione psicopatologica della (OMISSIS) sia con riferimento agli scritti racchiusi nei diari e sia con riferimento al suo rapporto con il Prof. (OMISSIS).
Dunque, nessuna incompatibilita’ o violazione di norme sussisteva e da cio’ trae argomento per sostenere il fondamento del vizio denunciato.
2.1.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la mancanza di motivazione nella parte in cui la Corte territoriale non ha ritenuto, benche’ assolutamente necessario, di dover disporre una perizia sulle condizioni psicopatologiche della deceduta (OMISSIS) al momento della redazione dei diari nonche’ la mancata assunzione di una prova decisiva con riferimento alle condizioni psicopatologiche della deceduta (OMISSIS) al momento della redazione dei diari; con riferimento all’attendibilita’ delle persone offese quando hanno riferito in merito a fatti presuntamente avvenuti; con riferimento all’invocata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale ai sensi dell’articolo 603 c.p.p. in relazione ai 27 testimoni indicati nell’atto di appello e la mancanza motivazione, nella parte in cui non sono stati disposti i predetti accertamenti (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e).
Sostiene il ricorrente che la Corte d’Appello ha apoditticamente ritenuto, con conseguente omessa motivazione su un punto decisivo, di non dover disporre una perizia sulle condizioni della deceduta (OMISSIS) al momento della redazione dei diari, laddove era assolutamente indispensabile procedere ad una valutazione psichiatrica della condizioni delle defunta al momento della redazione dei diari stessi al fine di ben comprendere l’attendibilita’ del loro contenuto e, dunque, dell’accusa mossa al (OMISSIS) sfociata, poi, nella illegittima condanna.
Inoltre la Corte distrettuale avrebbe, secondo il ricorrente, apoditticamente rigettato l’istanza relativa alla escussione di n. 27 testimoni che – contrariamente a quanto affermato in sentenza – sono stati analiticamente indicati su circostanze precise e decisive ai fini della dimostrazione di assoluta estraneita’ dell’imputato ai fatti contestati.
2.1.5. Con il quinto motivo il ricorrente lamenta la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), per non aver la Corte d’appello valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale sia in riferimento alle prove testimoniali assunte, sia alle prove documentali prodotte, in relazione al capo D1) dell’imputazione nonche’ l’nosservanza o l’erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte d’appello mandato assolto nel merito l’imputato in relazione al capo D1) dell’imputazione.
Sostiene che la sentenza ha frettolosamente accertato la responsabilita’ penale dell’imputato (OMISSIS) per il reato di esercizio abusivo della professione di medico, dietologo e psicoterapeuta.
Innanzitutto, con riferimento alla professione di medico, il ricorrente rileva che i Giudici del merito hanno omesso di considerare come nessuno dei testimoni considerati ai fini dell’affermazione di responsabilita’ del Prof. (OMISSIS) (ed escussi in dibattimento) possa essere ritenuto sufficientemente qualificato per poter valutare con cognizione di causa quali siano le “attivita’ riservate e tipiche” della professione medica.
La sentenza impugnata avrebbe altresi’ accertato lo svolgimento (abusivo) dell’attivita’ di dietologo e di psicoterapeuta da parte del Prof. (OMISSIS) senza alcun riferimento (in particolare sul contestato esercizio abusivo della professione di dietologo) alla figura svizzera del “naturopata”, in relazione al quale il (OMISSIS) risultava iscritto all’ (OMISSIS) ( (OMISSIS)) ed era in possesso del relativo attestato ” (OMISSIS)” (circostanze, queste, ritenute non contestate e sulle quali il ricorrente si diffonde con il motivo di ricorso).
Quanto ancora al contestato esercizio abusivo della professione di dietologo, e fermo quanto previsto dalla normativa svizzera sulla naturopatia (sopra citata), il ricorrente osserva che – riguardo all’indicazione di un regime dietetico ai pazienti di (OMISSIS) – il (OMISSIS) non ha mai prescritto farmaci, ne’ diete.
Con riferimento invece alla contestata attivita’ abusiva di psicoterapeuta, la sentenza impugnata si limiterebbe a motivare (in sole quattro righe a pag. 33) che l’imputato “effettuava colloqui personali aventi per oggetto gli aspetti piu’ profondi dell’intimo, come tali riconducibili all’attivita’ dello psicoterapeuta e dello psicoanalista”.
Sennonche’ la Corte avrebbe omesso di considerare come tale assunto frettolosamente accertato risulterebbe – oltre che non motivato in alcun modo letteralmente smentito da una lunga serie di testimonianze dibattimentali che ben rappresentano quale fosse l’ambito di intervento del ricorrente, sempre nei limiti delle attivita’ consentite allo psicologo.
Alla luce di tale disamina, sviluppata nel ricorso, il ricorrente, sulla scorta delle risultanze dibattimentali ignorate, a suo parere, dalla sentenza della Corte territoriale, conclude di aver sempre e solo esercitato l’attivita’ (a lui consentita) di psicologo.
2.1.6. Con il sesto motivo il ricorrente deduce (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale sia con riferimento alle prove testimoniali assunte, sia alle prove documentali prodotte, in relazione ai capi E4, E6 ed E7 dell’imputazione (violenze sessuali) nonche’ l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte d’appello mandato assolto nel merito l’imputato in relazione capi E4, E6 ed E7 dell’imputazione (gli ultimi due reati dichiarati prescritti).
Assume il ricorrente che in tutti e tre i casi sopra indicati, la Corte milanese ha ritenuto la piena attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalle persone offese dal reato non solo per il diretto riferimento alle vicende che le hanno direttamente riguardate ma anche perche’ costituenti importanti riscontri rispetto agli altri episodi contestati al (OMISSIS).
Osserva, anzitutto, il ricorrente che le accuse seguono le campagne stampa condotte contro (OMISSIS) ed il (OMISSIS) da parte di numerosi media, italiani e non, rilevando poi che – oltre al fatto di non essersi mai rivolte all’autorita’ giudiziaria (italiana o elvetica) per denunciare violenze o abusi sessuali – nessuna delle accusatrici ha mai condiviso in gruppo o con i propri famigliari o in colloqui con psicologi, psichiatri, medici o operatori presenti a (OMISSIS) gli episodi (anche gravi) che sarebbero loro occorsi durante la permanenza nella casa di cura. Da tutto cio’ e’ risultato che nessuna delle ospiti di (OMISSIS) che sostiene di avere subito abusi di tipo sessuale) abbia condiviso, almeno in uno degli evidenti poli d’ascolto disponibili, il presumibile disagio conseguente alla violenza denunciata.
La Corte ha, infatti, omesso di considerare come (anche con riferimento a testimoni qualificati ed indicati nel ricorso) le ospiti di (OMISSIS) (che hanno sostenuto di avere subito abusi di tipo sessuale) non abbiano condiviso con alcuno il presumibile disagio conseguente alla violenza denunciata.
Cosi’ come le testimonianze rese dai genitori (i c.d. “polo d’ascolto della famiglia”), che hanno confermato come – neanche i genitori – fossero stati messi al corrente di presunti abusi compiuti a (OMISSIS) nonostante il fatto che frequentassero la struttura anche in ore serali.
Allo stesso modo, da ultimo, la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare il confronto tra testimoni in merito alle singole “presunte” vittime di violenza sessuale, elaborato dalla difesa con analitica analisi indicando – per ogni posizione – la data di permanenza a (OMISSIS) con l’indicazione delle co-ospiti presenti all’interno della struttura nel medesimo periodo.
Sicche’ le premesse necessarie alla commissione dei suddetti reati di violenza sessuale sarebbero quelle di: qualificare giuridicamente come reati gli atti (compiuti o subiti) dalle pazienti; ritenere che le attivita’ sessuali sopra meglio specificate non fossero strumenti idonei a superare le inibizioni connesse ai disturbi psicogeni dell’alimentazione di cui soffrivano le pazienti; ritenere psichicamente inferiori (rispetto al (OMISSIS)) le pazienti di (OMISSIS); ritenere che il Prof. (OMISSIS) si fosse “rappresentato” alle pazienti come uno psicoterapeuta in grado di curare i gravi disturbi psicogeni dell’alimentazione; ritenere mancanti i prescritti titoli professionali in capo al Prof. (OMISSIS).
Alla luce di tali premesse (di per se’ qualificanti e caratterizzanti i reati contestati), la sentenza di secondo grado – preliminarmente all’analisi dei singoli episodi di violenza e dell’esito dell’istruttoria dibattimentale effettuata – avrebbe dovuto superare ed argomentare in relazione: alla bonta’ e fondatezza (o meno) del protocollo di cura neoreichiano; all’inidoneita’ (o meno) delle tipologie di intervento per la cura dei disturbi psicogeni dell’alimentazione (massaggi, terapie di gruppo, terapie singole, vestoterapia ecc.) previste dal protocollo di cura neoreichiano; all’atteggiamento delle pazienti di (OMISSIS) nel momento in cui venivano posti in essere i suddetti interventi; all’esistenza e validita’ (o meno) dei titoli di studio in capo al (OMISSIS); alla spendita della qualifica e professione di psicoterapeuta del (OMISSIS).
Invece entrambe le sentenze di merito hanno affermato che il metodo del (OMISSIS) non era stato oggetto dei processi.
Ne’ la sentenza di primo e ne’ quella di secondo grado hanno affrontato le seguenti tematiche: 1) titoli di studio (e la storia professionale) del Prof. (OMISSIS); 2) metodo neoreichiano applicato a (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS); 3) attivita’ che puo’ compiere (nell’esercizio del suo mandato professionale) uno psicologo, un counselor o uno naturopata.
Detto cio’, sia il tribunale comasco che la Corte d’appello hanno statuito in modo carente e/o contraddittorio in merito all’inquadramento degli episodi di violenza ritenuti commessi dal (OMISSIS).
Tali episodi non sono da inquadrarsi come intromissioni nella sfera sessuale dei pazienti non consenzienti bensi’ come esplicazione metodologica e pratica delle teorie reichiane e neoreichiane che le stesse pazienti ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS)) consentivano venissero applicate.
Viste le costanti pronunce giurisprudenziali, ne discende che il difetto di un’indagine positiva sulla credibilita’ oggettiva e soggettiva delle parti lese da parte del giudice di merito ha viziato la sentenza di primo grado con conseguente motivazione carente ed illogica sulla loro attendibilita’.
L’erronea valutazione delle risultanze processuali (cosi’ come documentato dalla difesa) relativamente ai fatti storici addebitati al (OMISSIS) in relazione ai capi E1), E4), E6) ed E7) – non essendo stati accertati ed, in ogni caso, essendo insufficienti e contraddittorie le prove che i fatti sussistano – porterebbe, ad avviso del ricorrente, alla necessaria cassazione della sentenza impugnata.
2.1.7. Con il settimo motivo il ricorrente lamenta la mancanza, l’illogicita’ e la contraddittorieta’ della motivazione della sentenza della Corte d’Appello di Milano per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale sia in riferimento alle prove testimoniali assunte, sia alle prove documentali prodotte, in relazione ai capi E) dell’imputazione (violenze sessuali) nonche’ l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte d’Appello mandato assolto nel merito l’imputato in relazione ai capi E) dell’imputazione ed infine l’erronea valutazione della scriminante putativa di cui all’articolo 50 c.p.: il tema del consenso della persona offesa, oltre all’omessa e/o carente e/o contraddittoria motivazione su di un punto decisivo per il giudizio (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).
Sostiene in particolare il ricorrente che altro tema che non ha costituito oggetto di doverosa valutazione pro reo da parte dei giudici di secondo grado e’ la possibile ricorrenza della scriminante putativa di cui all’articolo 50 c.p..
Osserva il ricorrente come il tema del consenso delle persone offese alle condotte ascritte all’imputato possa trovare una doppia declinazione.
Se effettivamente sussistente, rileverebbe quale fattore impeditivo all’integrazione dell’elemento oggettivo del reato.
Ma se cosi’ non fosse, andrebbe comunque considerato nella sua dimensione putativa, essendo palese – per le prove formatesi in sede dibattimentale – che l’agente/imputato ritenesse, al piu’ incorrendo in errore di assoluta buona fede, la sussistenza del consenso del titolare del diritto (le odierne persone offese).
E’ infatti chiaro che il (OMISSIS) ritenesse le pazienti perfettamente concordi nel sottoporsi alle sessioni abitualmente tenute presso le strutture di ricovero e dei cui tratti caratteristici le stesse pazienti erano state dettagliatamente informate.
Anche su tale questione non sarebbe dato rinvenire – nella sentenza impugnata – alcuna giustificazione logica-giuridica dell’inapplicabilita’ della scriminante putativa di cui all’articolo 50 c.p..
2.1.8. Con l’ottavo motivo il ricorrente denuncia la mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale sia in riferimento alle prove testimoniali assunte, sia alle prove documentali prodotte, in relazione al capo E1) dell’imputazione: violenza sessuale nei confronti di (OMISSIS) nonche’ la mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale in riferimento all’erronea attribuzione di credibilita’ al “Diario” tenuto da (OMISSIS) ed infine la mancanza, illogicita’ e contraddittorieta’ della motivazione della sentenza impugnata per non aver valutato correttamente l’istruttoria dibattimentale in riferimento all’erronea valutazione in merito alla condotta tenuta dal (OMISSIS), oltre che l’inosservanza o l’erronea applicazione della legge penale per non avere la Corte d’Appello di Milano mandato assolto nel merito l’imputato in relazione al capo E1) dell’imputazione (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e).
2.2. (OMISSIS) affida l’impugnazione a quattro motivi.
2.2.1. Con il primo motivo, in parte sovrapponibile al secondo motivo (OMISSIS), lamenta l’erronea applicazione della legge penale e processuale (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) e c), con riferimento all’articolo 429 c.p.p..
Rileva il ricorrente come la mancanza di termini temporali certi rispetto alle singole condotte contestate, abbiamo menomato gravemente la difesa sotto molteplici aspetti: innanzitutto rispetto alla datazione certa della prescrizione dei reati; in secondo luogo, e di assoluta importanza per quanto riguarda le accuse di violenza sessuale, e’ stata preclusa alla difesa la possibilita’ di invocare un alibi attraverso, ad esempio, la produzione di documentazione tesa a dimostrare che in un certo giorno ad una data ora, il ricorrente si trovasse in un determinato luogo anziche’ in un altro.
2.2.2. Con il secondo motivo (anch’esso simmetrico ad altro punto del secondo motivo del ricorso (OMISSIS)) il ricorrente lamenta violazione di legge circa la procedibilita’ dei reati di cui ai capi F)1 e F)2 ed illogicita’ della motivazione sul punto (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c) ed e)). Sostiene il ricorrente di non aver commesso il reato di esercizio abusivo della professione in quanto egli ha sempre e solo operato quale counselor e mai come psicologo o psicoterapeuta.
Avendo esercitato con le prescritte abilitazioni per tale professione, ne consegue che e’ totalmente mancante la condizione di procedibilita’ rispetto ad entrambi i reati di violenza sessuale contestati all’odierno imputato.
Il ricorrente infine osserva che la connessione tra il reato procedibile d’ufficio e la violenza sessuale presuppone l’esistenza di un collegamento reale secondo la previsione di cui all’articolo 12 c.p.p., e non meramente processuale.
2.2.3. Con il terzo motivo il ricorrente prospetta violazione di legge e mancata applicazione della diminuente premiale prevista dall’articolo 442 c.p.p., comma 2, (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c).
Assume il ricorrente di aver chiesto, durante l’udienza preliminare e poi alla prima udienza dibattimentale, che il processo de quo venisse celebrato con il rito abbreviato condizionato alla produzione di alcuni documenti e all’escussione di alcuni testimoni sottolineando che anche se il rito alternativo e’ stato respinto, i documenti sono stati prodotti e i testimoni ai quali la difesa aveva condizionato la scelta del rito sono stati ascoltati, con la conseguenza che doveva in ogni caso essergli applicata, all’esito del giudizio di merito, la diminuente di cui all’articolo 442 c.p.p. illegittimamente negata.
2.2.4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), nonche’ la manifesta illogicita’ della motivazione e per violazione dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione della legge penale e in particolare degli articoli 530 e 533 c.p.p., sussistendo i presupposti applicativi per l’adozione di formule ampie di proscioglimento nel merito, essendo stato violato il criterio dell’oltre ogni ragionevole dubbio.
2.3. (OMISSIS) affida l’impugnazione a due motivi.
2.3.1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia la carenza o insufficienza di motivazione in ordine al complesso delle risultanze istruttorie (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), per carenza od insufficienza della motivazione e/o per travisamento dei fatti.
Sostiene il ricorrente che, in sede di istruttoria dibattimentale, e’ stato raccolto un imponente materiale probatorio di cui, senza adeguata motivazione, solo una minima parte – peraltro univocamente orientata – e’ stata utilizzata per confezionare le motivazioni delle sentenze dei due gradi di giudizio.
In particolare, per quanto attiene alla posizione del ricorrente, la doglianza e’ nel senso che sarebbero state del tutto ignorate talune deposizioni dei testimoni della difesa (indicate nel ricorso) che pure negavano l’esercizio, da parte dell’imputato, di pratiche proprie della professione di psicologo, riconducendole alla – lecita – attivita’ di animazione teatrale.
Allo stesso modo sarebbero state disattese le dichiarazioni di molteplici testimoni introdotti dalla pubblica accusa (pure citate nel ricorso) i quali, avendo smentito le tesi accusatorie, sono stati de plano – ed ingiustificatamente ignorati.
Sarebbe stato invece doveroso motivare perche’ le dichiarazioni di costoro e di tanti altri dovessero essere ritenute non credibili, incoerenti o non pertinenti.
2.3.2. Con il secondo motivo il ricorrente lamenta l’erronea interpretazione e mancata applicazione dell’articolo 533 c.p.p. come novellato, in relazione all’articolo 530 c.p.p., comma 2, sul rilievo che l’attuale formulazione dell’articolo 533 c.p.p. consente la condanna dell’imputato ove la colpevolezza emerga al di la’ di ogni ragionevole dubbio.
Osserva il ricorrente che quantomeno in relazione all’imputazione di cui all’articolo 348 c.p., la colpevolezza non e’ risultata evidente “al di la’ di ogni ragionevole dubbio”. Anzi, le dichiarazioni rese dai pazienti, operatori del settore, psicologi e psichiatri avrebbero smentito quanto erroneamente ritenuto nella sentenza impugnata ossia che l’imputato avesse “esercitato abusivamente la professione di psicologo (….) per aver intrattenuto coi pazienti stessi sedute individuali e di gruppo incentrate su attivita’ di consulenza psicologica (colloqui di sostegno; test; corsi di espressione; tecniche di rilassamento, etc.)”.
3. Il ricorrente (OMISSIS) ha presentato memoria ex articolo 611 c.p.p. con la quale ha approfondito un tema specifico gia’ analizzato con il ricorso con riferimento a talune testimonianze riguardanti le sedicenti persone offese (molestate o violentate) dal ricorrente) nonche’ le condizioni di soggiorno delle stesse a (OMISSIS), come pure i protocolli di cura, entrambe le circostanze, secondo il ricorrente, totalmente ignorate dai giudici del merito.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infondati.
E’ invece inammissibile il ricorso presentato da (OMISSIS).
2. Occorre preliminarmente valutare le eccezioni processuali.
Esse sono prive di giuridico fondamento.
2.1. Le eccezioni riguardanti il difetto di giurisdizione del giudice italiano e la procedibilita’ dei reati sessuali vanno trattate congiuntamente essendo tra loro strettamente connesse.
2.1.1. Quanto alla prima eccezione, sollevata sostanzialmente sul rilievo che le condotte contestate al (OMISSIS) (cittadino svizzero) sarebbero state tutte consumate in territorio svizzero, la Corte d’appello ha correttamente osservato che, in ordine ai delitti ex articolo 609 bis c.p. (con riferimento alle sole due ipotesi – di cui ai capi E1 ed E7, per quest’ultimo reato e’ stata comunque dichiarata la prescrizione – richiamate nei motivi di appello), commessi all’estero, che la norma applicabile e’ quella di cui all’articolo 604 c.p., speciale rispetto agli articoli 7 c.p. e segg..
Essendo le parti lese ( (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS)) cittadine italiane, i reati dei quali sono rimaste vittime, pur se commessi all’estero, ricadono sotto la giurisdizione italiana, trattandosi peraltro di reati perseguibili anche in assenza di querela in quanto connessi con reati perseguibili di ufficio e contestati come commessi, almeno in parte in Italia (in particolare, quanto al (OMISSIS), il delitto sub D1 ex articolo 348 c.p., consumato non solo in Svizzera ma anche in (OMISSIS) e (OMISSIS) ove il (OMISSIS) aveva studi privati) e ricadenti dunque sotto la giurisdizione italiana ai sensi dell’articolo 6 c.p..
La questione e’ stata correttamente risolta perche’ della L. 3 agosto 1998, n. 269, l’articolo 10 ha sostituito l’articolo 604 c.p. stabilendo, tra l’altro, che le norme in tema di delitti contro la personalita’ individuale nonche’, per quanto qui interessa, quelle in tema di delitti contro la liberta’ sessuale sono illimitatamente applicabili anche ai fatti commessi interamente all’estero da cittadino italiano ovvero in danno di cittadino italiano, ampliando, in linea con quanto previsto dalla clausola di rinvio contenuta nell’articolo 7 c.p., n. 5, i limiti di validita’ spaziale della legge penale italiana.
La disposizione e’ stata successivamente implementata con l’aggiunta, in materia di reati sessuali, delle fattispecie di cui agli articoli 609 octies e 609 undecies.
Ne consegue che l’articolo 604 c.p. va interpretato nel senso che, ai fini dell’applicabilita’ della legge penale italiana, i delitti contro la personalita’ individuale ed i reati sessuali, compresi nella lista di cui all’articolo 604 c.p. e commessi all’estero in danno di cittadino italiano, sono incondizionalmente puniti secondo la legge italiana, tanto se commessi da cittadino italiano quanto se commessi da straniero in danno di cittadino italiano. Lo stesso trattamento e’ riservato ai delitti commessi all’estero da cittadino italiano in danno di straniero. Quest’ultimo e’ invece punito, secondo la legge penale italiana, oltre che nell’ipotesi in precedenza scrutinata (ossia, illimitatamente, nel caso di reato commesso in danno di cittadino italiano) anche nell’ipotesi di concorso di reato, ricompreso nell’ambito di operativita’ dell’articolo 604 cod. pen., con cittadino italiano in danno di straniero, a condizione, in tal ultimo caso, che si tratti di delitto per il quale e’ prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni e sempre che vi sia stata richiesta del Ministro della giustizia.
Nel caso in esame, vertendosi in materia di violenze sessuali (articolo 609 bis c.p.) commesse ai danni di cittadini italiani, la giurisdizione penale italiana e’ piena e non soffre alcun condizionamento.
Il ricorrente ha obiettato che l’articolo 7 del codice penale, in relazione all’articolo 604 dello stesso codice, richiamerebbe espressamente, anche in caso di estensione della giurisdizione domestica, l’applicazione dell’articolo 609 septies c.p. per il quale, tra l’altro, il reato previsto dall’articolo 609 bis c.p. e’ perseguibile a querela della persona offesa, elemento che nel caso di specie difetterebbe.
Va rilevato invece che l’articolo 609 septies c.p. non e’ affatto richiamato dalle disposizioni citate dal ricorrente; la ragione di tale omissione, del tutto condivisibile, va ricercata nel fatto che – al pari degli articoli, anch’essi non richiamati, articoli 609 sexies, 609 nonies e 609 decies c.p. – l’applicazione delle predette disposizioni non e’ diretta ma deriva dalla soluzione della questione di giurisdizione, trattandosi pur sempre di norme accessorie rispetto ai delitti contemplati dall’articolo 604 c.p..
In altri termini, una volta stabilito che al reato commesso all’estero si applica la legge penale italiana, ad esso si applicheranno, nel corso del procedimento, anche le disposizioni sull’ignoranza dell’eta’ della persona offesa, sul regime della procedibilita’, sull’applicazione delle pene accessorie in caso di condanna e, nei casi previsti, le disposizioni sugli obblighi di comunicazione al tribunale per i minorenni.
Il ricorrente ha tuttavia osservato che, in via del tutto pregiudiziale, sarebbe preclusa in partenza l’applicazione delle regole sulla procedibilita’ d’ufficio, dettate appunto dall’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4, con la conseguenza che, pur ammettendo l’assoggettabilita’ alla giurisdizione domestica, il reato sessuale sarebbe ex se improcedibile, non avendo le persone offese sporto querela e non potendo essere preso in alcun caso in considerazione il reato di esercizio abusivo della professione perche’ sottratto alla giurisdizione italiana, in quanto reato commesso all’estero da cittadino straniero, laddove i giudici del merito avrebbero erroneamente ritenuto che il reato di cui all’articolo 348 c.p., in quanto procedibile d’ufficio e connesso ai reati di violenza sessuale (connessione che il ricorrente comunque contesta e la cui doglianza sara’ di seguito esaminata) radicasse la procedibilita’ di ufficio anche di questi ultimi.
La rimostranza non e’ fondata, avendo la Corte d’appello correttamente evidenziato come il reato di esercizio abusivo della professione fosse stato commesso dal ricorrente, almeno in parte in Italia (consumato cioe’ non solo in Svizzera ma anche in (OMISSIS) e (OMISSIS) ove il ricorrente aveva studi privati).
Infatti, l’esercizio abusivo della professione e’ un reato eventualmente abituale nel senso che – quando non e’, come nel caso di specie, integrato dal compimento anche di un solo atto tipico o proprio della professione – la configurazione del fatto tipico postula una ripetizione di condotte analoghe, distinte tra loro, ma sorrette da un unico elemento soggettivo ed unitariamente lesive del bene giuridico tutelato, con la conseguenza che la reiterazione degli atti tipici da’ luogo, di regola, ad un unico reato, il cui momento consumativo coincide con l’ultimo di essi, vale a dire con la cessazione della condotta (Sez. 6, n. 20099 del 19/04/2016, Bordi, Rv. 266746).
E’ infatti opinione prevalente che anche un unico atto sia sufficiente, da solo, a costituire l’esercizio abusivo e che non occorra la reiterazione di atti, omogenei od eterogenei, della medesima professione, ne’ necessariamente l’abitualita’. Tuttavia, siccome la norma indica la condotta come un esercizio, vale a dire evoca una ripetizione abituale di atti, la reductio ad unum di un eventuale pluralita’ di atti deve essere operata secondo il criterio del perseguimento dello scopo che con la serie di atti l’agente si ripromette di conseguire, che e’ quello dell’esercizio della professione, sicche’ il reato resta unico, ravvisandosi invece la pluralita’ di reati di esercizio abusivo della professione in presenza di diverse e quindi molteplici professioni esercitate (per il (OMISSIS) e’ stato appunto ritenuto l’esercizio abusivo della professione di medico, di dietologo e di psicoterapeuta), sicche’ e’ possibile, in siffatti casi, ritenere l’ipotesi del reato continuato, in presenza di un medesimo disegno criminoso.
Nel caso in esame, la contestazione del reato ex articolo 348 c.p. (di cui al capo D1 elevato nei confronti del (OMISSIS)) ha tenuto conto di cio’, con la conseguenza che, avuto anche riguardo alla diversificata pratica delle professioni, la consumazione e’ avvenuta in territorio italiano ((OMISSIS) e (OMISSIS)), quindi anche per tale reato si applica la legge italiana sulla base della regola generale fissata nell’articolo 6 c.p., senza che, nel caso di specie, rilevi la disposizione di cui all’articolo 10 c.p., che riguarda il diverso caso del reato commesso dallo straniero interamente all’estero.
2.1.2. Quanto alla seconda eccezione, sollevata anche dal ricorrente (OMISSIS) con il secondo motivo del ricorso, relativa alla mancanza di connessione tra il reato di esercizio abusivo della professione ed i reati di violenza sessuale, i Giudici del merito hanno concordemente ritenuto che, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilita’ d’ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 si verifica non solo quando vi e’ connessione in senso processuale (articolo 12 c.p.p.), ma anche quando v’e’ connessione meramente investigativa.
A cio’ il ricorrente, citando un precedente di questa Corte, ha obiettato che la procedibilita’ d’ufficio dei reati di violenza sessuale, per connessione con altro reato procedibile d’ufficio, presuppone l’esistenza di un collegamento reale secondo la previsione di cui all’articolo 12 c.p.p., e non meramente processuale che si ha quando in un medesimo contesto investigativo si abbia la scoperta di altro reato, perche’ il riferimento a ogni forma “atipica” di connessione si risolve in una interpretazione “in malam partem”, esclusa in campo penale (Sez. 2, n. 31604 del 13/07/2011, Valentino, Rv. 250894).
Sennonche’ l’obiezione del ricorrente, al pari del precedente giurisprudenziale citato e rimasto isolato, non tiene conto che, allo stesso modo che nella previsione dell’abrogato articolo 542 c.p.p. 1930, comma 2, n. 2., la ratio di cui all’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4, secondo cui e’ prevista la procedibilita’ d’ufficio per i fatti connessi ad un altro delitto per il quale pure si deve procedere d’ufficio, risiede nel fatto che tale connessione, determinando inevitabilmente la diffusione della notizia del delitto sessuale, fa venir meno la ragione di condizionare la punibilita’ alla presentazione della querela, con la conseguenza che l’effetto di deroga (della procedibilita’ a querela) si produce in ogni caso in cui l’indagine concernente il reato perseguito d’ufficio comporti la pubblicita’ di quello perseguibile a querela e, quindi, certamente nel caso della connessione teleologica o materiale, ma anche in qualsiasi altra ipotesi di connessione idonea a determinare il venir meno dell’esigenza di riservatezza che e’ alla base dell’attribuzione del diritto di querela alla parte offesa da questo tipo di reato.
In sostanza, e cio’ si comprende facilmente dall’elevato tasso di gravita’ che connota tali reati, il legislatore ha rinunciato a perseguire d’ufficio siffatte odiose infrazioni, radicando un diritto potestativo in capo alla vittima che si risolve nell’attribuirgli il diritto di querela in un margine temporale significativamente piu’ dilatato rispetto ai termini ordinari, per la ponderazione che e’ richiesta per il suo esercizio, a condizione che le ragioni di riservatezza, che sono alla base del conferimento del diritto, restino tali e non siano in qualsiasi modo pregiudicate dal cd. strepitus fori, evenienza, quest’ultima, che si verifica ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, cosicche’ viene meno la ragione per la quale lo Stato ha rinunciato a perseguire ex officio tali reati.
La giurisprudenza di legittimita’, fatto salvo l’unico precedente citato dal ricorrente, e’ compatta nel ritenere che, in materia di delitti di violenza sessuale, la procedibilita’ d’ufficio determinata dalla ipotesi di connessione prevista dall’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 si verifica non solo quando vi e’ connessione in senso processuale (articolo 12 c.p.p.), ma anche quando v’e’ connessione in senso materiale, cioe’ ogni qualvolta l’indagine sul reato perseguibile di ufficio comporti necessariamente l’accertamento di quello punibile a querela, in quanto siano investigati fatti commessi l’uno in occasione dell’altro, oppure l’uno per occultare l’altro oppure ancora quando ricorrono i presupposti di uno degli altri collegamenti investigativi indicati nell’articolo 371 c.p.p. (per tutte, Sez. 3, n. 10217 del 10/02/2015, G., Rv. 262654).
Peraltro, l’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4 non rinvia testualmente all’articolo 12 c.p.p. (che, se cosi’ fosse, renderebbe certamente in malam partem qualsiasi interpretazione protesa ad ampliarne i margini di operativita’) e, dunque, e’ legittima l’interpretazione (letterale), a maggior ragione se coordinata con la ratio legis in precedenza segnalata, del segno linguistico “connesso”, che si rinviene nella legge penale nell’articolo 609 septies c.p., comma 4, n. 4, in termini di legame, unione, relazione tra reato perseguibile d’ufficio e reati sessuali per i quali e’ prevista invece la querela.
In ogni caso e conclusivamente, la Corte d’appello ha ricordato come, nel caso di specie, ricorresse la continuazione, riconosciuta peraltro in sentenza, tra il reato di esercizio abusivo della professione ed i reati di violenza sessuale e quindi proprio una ipotesi anche di connessione ex articolo 12 c.p.p., comma 1, lettera b), seconda parte (… se una persona e’ imputata di piu’ reati (…) commessi con piu’ azioni o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso”), conseguendo anche da cio’ l’infondatezza dell’eccezione.
2.2. Quanto invece all’eccezione di incompetenza per territorio, la Corte d’appello ha ritenuto che la competenza territoriale (quanto alla posizione (OMISSIS), unico imputato che l’aveva eccepita) spettasse al tribunale di (OMISSIS) ai sensi dell’articolo 9 c.p.p., comma 3, (prima iscrizione effettuata dalla Procura della Repubblica di (OMISSIS)) atteso che, commessi all’estero i delitti di violenza sessuale, il reato piu’ grave tra quelli contestati doveva ritenersi il delitto di cui all’articolo 416 c.p., reato permanente rispetto al quale non era dato sapere quale fosse stato l’ultimo luogo in territorio italiano ove si sarebbe realizzata una parte dell’azione.
Il ricorrente ha concordato con la Corte d’appello sul fatto che, ai fini della determinazione della competenza per territorio, dovesse ritenersi come reato piu’ grave il delitto associativo ma ha osservato che l’associazione si manifesto’ in territorio italiano, quando fu costituito il (OMISSIS) con sede in (OMISSIS) e, nel 2001, venne costituita sempre a (OMISSIS) la (OMISSIS) s.r.l., societa’ di gestione del centro di (OMISSIS) a (OMISSIS) (aperto molti anni piu’ tardi), con la conseguenza che una (mera) cellula del sodalizio criminoso svizzero si era sviluppata e radicata a (OMISSIS) alla fine degli anni novanta, dove poi aveva mantenuto il centro delle proprie attivita’ legali e finanziarie sul territorio italiano.
Essendosi quindi l’associazione per delinquere manifestata in (OMISSIS), in tale luogo doveva radicarsi la competenza per territorio individuata sulla base criterio del reato piu’ grave tra quelli connessi e realizzati, anche in parte, nel territorio italiano.
L’errore di fondo nel quale incorre il ricorrente sta nel fatto di aver considerato il reato associativo come interamente commesso nel territorio dello Stato e cio’ contrariamente ad una parte del suo stesso assunto ove cioe’ ha ammesso che l’inizio della consumazione del reato associativo sarebbe avvenuta in territorio elvetico e solo successivamente una cellula si sarebbe insediata in (OMISSIS).
Invece, la Corte territoriale e’ partita dal corretto presupposto secondo il quale, in tema di competenza per territorio in ordine a reati permanenti commessi in parte all’estero, si applica il criterio dettato dall’articolo 8 c.p.p., comma 3 quando la condotta criminosa ha avuto inizio in una individuata localita’ nel territorio nazionale, proseguendo poi all’estero. Invece, il luogo d’inizio della permanenza non puo’ fungere quale criterio di riparto fra i giudici italiani se e’ ubicato al di fuori dello Stato. In tal caso, la competenza si stabilisce secondo il criterio suppletivo di cui all’articolo 9 c.p.p., comma 1, con riferimento all’ultimo luogo in cui e’ avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione (Sez. 6, n. 1972 del 17/12/1993, dep. 1994, Murdocca, Rv. 197365), per cui, non potendo la competenza essere attribuita per il reato associativo ai sensi dell’articolo 9 c.p.p., comma 1, essendo ignoto l’ultimo luogo del territorio nazionale in cui sarebbe avvenuta una parte dell’azione o dell’omissione e neppure con il ricorso al criterio ex articolo 9 c.p.p., comma 2, per essere il ricorrente residente all’estero (il (OMISSIS) e’ risultato residente in (OMISSIS)), la competenza e’ stata determinata secondo il criterio ex articolo 9 c.p.p., comma 3, con attribuzione della cognizione al giudice del luogo in cui ha sede l’ufficio del P.M. (presso il tribunale di (OMISSIS)) che ha provveduto per primo all’iscrizione della notizia di reato.
Ne consegue l’infondatezza dell’eccezione.
2.3. Quanto infine alle eccezioni, sollevate sia dal (OMISSIS) e sia dal (OMISSIS) con il primo motivo del ricorso, riguardanti la nullita’ del decreto dispositivo del giudizio, la Corte d’appello ha ritenuto come non possa costituire motivo di nullita’ la non indicazione del giorno esatto del commesso reato, allorquando la contestazione, con riferimento agli altri elementi, risulti delineata con chiarezza in modo tale da garantire adeguatamente il diritto di difesa, posto che, nel caso di specie, sono stati indicati con precisione, in tutti i capi di imputazione richiamati dai ricorrenti, le modalita’ della condotta abusante, il luogo di consumazione dei fatti contestati e un arco temporale comunque ben delineato e ulteriormente precisatosi nel corso dell’istruttoria dibattimentale attraverso l’esame delle parti lese o la confermata precisa collocazione temporale del diario della (OMISSIS).
A cio’ il (OMISSIS) ha obiettato come il decreto dispositivo del giudizio non abbia offerto una doverosa contestualizzazione dei fatti contestati, essendo stati indicati solamente dei lassi temporali di notevole durata, con la conseguenza che, non conoscendo con esattezza i singoli episodi di contestazione, il diritto di difesa e’ stato totalmente compromesso.
Il (OMISSIS) ha osservato, in aggiunta, come la mancanza di termini temporali certi rispetto alle singole condotte contestate, abbiano impedito di eccepire la prescrizione dei reati e, in buone sostanza, precluso alla difesa la possibilita’ di invocare un alibi attraverso, ad esempio, la produzione di documentazione tesa a dimostrare che in un certo giorno ad una data ora, il ricorrente si trovasse in un determinato luogo anziche’ in un altro.
I rilievi sono infondati.
Nel rigettare l’eccezione i Giudici del merito si sono attenuti ai principi di diritto affermati in proposito dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo i quali, in tema di requisiti del decreto che dispone il giudizio, la mancata precisa enunciazione dell’ambito temporale delle condotte configura una nullita’ ai sensi dell’articolo 178 c.p.p. soltanto quando non sia possibile collocare nel tempo e nello spazio l’episodio criminoso contestato, mentre una indicazione, pur sinteticamente essenziale, di tali requisiti o addirittura l’omissione di essi e’ improduttiva di effetti giuridici caducatori del provvedimento che contiene “reditio actionis” quando dagli altri elementi enunciati, e dai richiami contenuti nel decreto ed eventualmente anche in altri provvedimenti, risultino chiari i profili fondamentali del “fatto” per il quale il giudizio e’ stato disposto (per tutti, Sez. 3, n. 42537 del 21/05/2014, Caputo; Rv. 261147; Sez. 1, n. 12149 del 02/03/2005, Cifarelli, Rv. 231615; Sez. 6, n. 6044 del 22/04/1999, Baldini, Rv. 214066).
Nei casi in esame (capi E1 ed E4 per il (OMISSIS) e capi F1 ed F2 per il (OMISSIS)), e’ stato indicato con precisione l’ambito spaziale nel quale il fatto addebitato e’ stato commesso, e’ stata precisata la condotta materiale del reato ed e’ stato indicato un periodo cronologicamente contenuto (prevalentemente con la fissazione di un anno nel corso del quale il fatto sarebbe stato commesso, es. “in data imprecisata del (OMISSIS)” oppure con la determinazione cronologicamente definita della condotta delittuosa, es. “tra la fine del (OMISSIS) e la fine del (OMISSIS)”), con la conseguenza che alcuna limitazione al diritto di difesa puo’ dirsi realizzata.
Neppure e’ ipotizzabile un nocumento al diritto di difesa a causa della limitazione che sarebbe potuta derivare per formulare l’eccezione circa il tempo necessario a prescrivere sia perche’, con riferimento ad identiche fattispecie, la prescrizione e’ stata invece dichiarata dalla Corte d’appello e sia perche’, in relazione ai reati sub iudice, la prescrizione, avuto riguardo alla collocazione temporale dei fatti in termini di maggiore favore per gli imputati, non sarebbe maturata prima del 1 giugno 2017 (per il capo E4) e del 1 giugno 2018 (per i capi E1, F1 ed F2).
Infine l’indicazione precisa del giorno in cui la condotta delittuosa sarebbe stata realizzata, se auspicabile e necessaria quando l’accertamento del reato consente l’esatta collocazione temporale e spaziale della condotta criminosa (es. omicidio con ritrovamento del cadavere per il quale l’epoca della morte e’ scientificamente pronosticabile), non e’ invece possibile per tipologie di reato, come avviene, a titolo meramente esemplificativo, per i reati sessuali o per lo spaccio delle sostanze stupefacenti, che normalmente scontano, tranne i casi di flagranza o di denuncia ravvicinata all’epoca di commissione del reato, uno stacco temporale tra consumazione ed accertamento, ma la legge processuale non richiede che ogni contestazione sia contrassegnata dalla data precisa di commissione del reato, esigendo soltanto che il fatto delittuoso sia contestato in forma chiara e precisa e che, con accertamento che va condotto caso per caso, l’imputato sia stato messo nelle condizioni di difendersi, situazione nella specie ricorrente perche’ sono state compiutamente descritte le modalita’ di estrinsecazione della condotta abusante, e’ stato indicato con precisione il luogo di consumazione dei fatti contestati ed e’ stato delineato un arco temporale comunque ben definito e ulteriormente precisato, come si evince dal testo della sentenza impugnata, nel corso dell’istruttoria dibattimentale.
2.4. Il (OMISSIS), con il terzo motivo di ricorso, ha eccepito che, in presenza di un illegittimo rigetto dell’istanza di ammissione al rito abbreviato condizionato da parte del Gip e del Tribunale, gli sarebbe stata illegittimamente negata la diminuente di cui all’articolo 442 c.p.p..
Sul punto, la Corte territoriale ha affermato come l’integrazione probatoria richiesta dall’imputato non risultasse “assolutamente necessaria” ai fini della decisione.
Essa (neppure accompagnata da precisa indicazione di circostanze nuove non esplorate) aveva ad oggetto sia l’escussione di due testimoni ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) gia’ dettagliatamente esaminati nel corso delle indagini preliminari (e in modo evidentemente esaustivo atteso che nessuna contestazione o rilevante approfondimento era stato effettuato in dibattimento da parte delle difese nel corso dei rispettivi esami) e sia l’escussione di due testimonianze “nuove” ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) sull’ipotetico stato di impotenza dell’imputato.
La Corte d’appello ha osservato come il Tribunale avesse ritenuto non necessarie le condizioni. poste all’accesso al rito speciale in quanto “di per se’ non sufficienti ad incidere sulla ipotesi accusatoria” per come formulata (baci, carezze, masturbazione reciproca ed un unico rapporto genitale completo, che secondo le dichiarazioni della parte offesa (OMISSIS) sarebbe stato interrotto dal suono del campanello di casa), evidenziando che il fatto che tutti e quattro i testimoni fossero stati poi ammessi ed esaminati in dibattimento dovesse ritenersi circostanza irrilevante attesi i diversi presupposti che regolano l’integrazione probatoria in sede di rito abbreviato (“necessita’” della stessa ai fini della decisione) e la richiesta di ammissione in sede di dibattimento (assenza di divieti di legge, non ritenuta sovrabbondanza o superfluita’).
La Corte territoriale ha infine ricordato che, anche a voler ritenere ex post necessarie le testimonianze dei soli (OMISSIS) e (OMISSIS), il giudice al quale viene avanzata richiesta di procedere con rito abbreviato condizionato non puo’ accogliere solo parzialmente le richieste di integrazione probatoria formulate dalla difesa, cosa che lo porterebbe ad incidere e condizionare le strategie difensive. Non avrebbe potuto dunque il Tribunale, in ipotesi, disporre detta integrazione limitatamente alle citate deposizioni, ne’ siffatta richiesta era stata avanzata dal difensore dopo il rigetto, con la conseguenza che, anche sotto tale profilo, la decisione del Tribunale e’ apparsa alla Corte di appello immune da censure.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte del merito si e’ attenuta ai principi di diritto espressi dalle Sezioni Unite Penali della Corte di cassazione (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, Wajib) secondo i quali il giudice, nell’ipotesi di richiesta di rito abbreviata “condizionata”, non e’ tenuto a consentire, sempre e in ogni caso, l’accesso al rito abbreviato atteso che, quando non ritiene “necessaria ai fini della decisione”, ovvero “compatibile con le finalita’ di economia processuale proprie del procedimento”, l’integrazione probatoria indicata dall’imputato nella richiesta risolutivamente condizionata all’assunzione di quelle prove, ben puo’ deliberare di non ammetterle e, di conseguenza, di non disporre il giudizio speciale. Una volta rigettata, la richiesta, non piu’ “condizionata” o diversamente “condizionata” rispetto alla precedente, puo’ essere riproposta dall’imputato fino al momento in cui sono formulate le conclusioni nell’udienza preliminare (articolo 438 c.p.p., commi 5 e 6) e, ancora, una richiesta condizionata di accesso al rito gia’ respinta dal giudice per le indagini preliminari puo’ essere rinnovata, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, secondo il meccanismo di sindacato introdotto dalla sentenza costituzionale 23 maggio 2003 n. 169 (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, cit., Rv. 229176).
Le Sezioni Unite hanno anche precisato che la prova sollecitata dall’imputato con la richiesta condizionata di accesso al rito abbreviato deve essere integrativa e non sostitutiva rispetto al materiale gia’ raccolto ed utilizzabile, potendo considerarsi “necessaria” quando risulta indispensabile ai fini di un solido e decisivo supporto logico-valutativo per la deliberazione in merito ad un qualsiasi aspetto della “regiudicanda” (Sez. U, n. 44711 del 27/10/2004, cit., Rv. 229175).
Il fatto poi che le prove, poste come condizione per l’accesso al rito speciale, sono state comunque ammesse ed espletate in dibattimento, non determina, di per se’, la conferma ex post della loro necessita’ ed indispensabilita’, ai fini dell’ammissione al rito abbreviato condizionato richiesto dall’imputato, perche’, non perfezionatosi il negozio processuale abdicativo, gli elementi raccolti nel corso delle indagini preliminari sono rimasti tutti (anche quelli rientranti nella apposta condizione) privi di valore probatorio, con la conseguenza che una tale attitudine puo’ essere loro data soltanto nel giudizio che si svolge invece nelle forme ordinarie del dibattimento.
Ne’ i Giudici del merito potevano accogliere parzialmente l’istanza di ammissione al rito abbreviato condizionato ammettendolo limitatamente alle prove integrative ( (OMISSIS) e (OMISSIS)), con esclusione di quelle sostitutive ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) perche’, come ha correttamente, osservato la Corte d’appello sarebbe risultata abnorme l’ordinanza con la quale il Gup, prima, e il Tribunale, dopo, avessero accolto solo in parte la richiesta di integrazione probatoria posta quale condizione dell’istanza di rito abbreviato, potendo il giudice solo accogliere o respingere l’istanza negli esatti termini nei quali e’ formulata, sulla scorta delle valutazioni indicate nell’articolo 438 c.p.p., comma 5, mentre una diversa decisione rispetto a tale alternativa incide in maniera impropria ed irreversibile sulle strategie difensive (per tutte e da ultimo, Sez. 6, n. 17661 del 09/04/2015, Nicolosi, Rv. 263252).
2.5. Conclusivamente, vanno rigettati il secondo motivo del ricorso (OMISSIS), il primo, il secondo ed il terzo motivo di gravame (OMISSIS).
3. Il primo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
La Corte d’appello non ha affatto motivato la sentenza di secondo grado attraverso un mero ed acritico richiamo a quanto statuito dal Tribunale ma ha scrutinato accuratamente i motivi di gravame, analizzandoli compiutamente, fornendo ad essi una esauriente risposta e dando prova come le doglianze non avessero alcuna efficacia dimostrativa per inficiare la sentenza di primo grado, che e’ stata richiamata per dare conto della forza di resistenza posseduta dall’apparato argomentativo contestato rispetto alle censure mosse contro di esso.
In ogni caso, vale il principio secondo il quale e’ legittima la motivazione della sentenza di secondo grado che, disattendendo le censure dell’appellante, si uniformi, sia per la “ratio decidendi”, sia per gli elementi di prova, ai medesimi argomenti valorizzati dal primo giudice, soprattutto se la consistenza probatoria di essi e’ cosi’ prevalente e assorbente da rendere superflua ogni ulteriore considerazione. Nell’ipotesi in cui siano dedotte questioni gia’ esaminate e risolte, oppure questioni generiche, superflue o palesemente inconsistenti, il giudice dell’impugnazione puo’ motivare “per relationem” e trascurare di esaminare argomenti superflui, non pertinenti, generici o manifestamente infondati (per tutte, Sez. 5, n. 3751 del 15/02/2000, Re Carlo, Rv. 215722).
4. Il terzo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ infondato.
La Corte d’appello ha osservato come all’udienza del 27 gennaio 2015 i difensori di (OMISSIS) abbiano prodotto un elaborato datato 13 maggio 2013 a firma del prof. (OMISSIS) con il seguente oggetto: “Valutazione psicopatologica e psichiatrico forense sui testi riguardanti (OMISSIS) e sulla sua anamnesi psicopatologica in relazione al rapporto terapeutico intercorso con il professor (OMISSIS)”.
Sul presupposto che si trattasse, nella sostanza, di una consulenza di parte redatta su richiesta della difesa nelle more tra la sentenza di primo grado emessa in data 18 dicembre 2012 e il grado di appello, la Corte territoriale ha osservato che il documento non fosse direttamente acquisibile al fascicolo processuale incorrendosi in caso contrario nella violazione del disposto di cui all’articolo 225 c.p.p., comma 3, per essere stato il professor (OMISSIS) esaminato come testimone all’udienza del 25 gennaio 2011 e dunque per il combinato disposto dell’articolo 225 c.p.p., comma 3, e articolo 222 c.p.p., comma 1, lettera d), egli non poteva assumere nel medesimo procedimento la veste di consulente tecnico.
Il ricorrente ha obiettato che il Prof. (OMISSIS), escusso in primo grado come testimone, non e’ mai stato nominato quale consulente tecnico della difesa del Prof. (OMISSIS) mentre in secondo grado e’ stata prodotta unicamente una relazione a sua firma contenente una valutazione psicopatologica della (OMISSIS) sia con riferimento agli scritti racchiusi nei diari sia al suo rapporto con il Prof. (OMISSIS).
Il rilievo e’ inconsistente, avendo la Corte territoriale correttamente interpretato la natura dell’atto del quale e’ stata chiesta la produzione dibattimentale ed il rapporto tra la parte-difesa e l’autore del documento.
La legge processuale richiede una formale nomina del consulente, come avviene, in ogni caso, per il consulente del pubblico ministero (articolo 359 c.p.p. e articolo 73 disp. att. c.p.p.), o come e’ richiesto per il consulente di parte nel caso di consulenza endoperitale (articolo 225 c.p.p.) o extraperitale (articolo 233 c.p.p.), allorche’ il consulente, in quest’ultimo caso, debba esporre al giudice il proprio parere, anche presentando memorie ai sensi dell’articolo 121 c.p.p..
Negli altri casi, quando la legge processuale non dispone, la nomina del consulente di parte, per il principio della liberta’ delle forme, puo’ avvenire anche oralmente mediante un incarico informale da ritenersi del tutto adeguato a regolare i rapporti interni tra la parte-difesa e l’esperto, fermo restando che, pur non potendosi configurare nel silenzio del legislatore un’invalidita’, nel momento in cui l’esperto e’ chiamato ad agire nel procedimento penale, l’atto scritto deve ritenersi indispensabile quale prova dell’investitura per l’esercizio delle relative facolta’ che, in caso contrario, non potranno essere esercitate e di cio’ dovra’ essere garante il Giudice per il controllo sulla regolare formazione della prova.
Tra la parte-difesa ed il consulente tecnico intercorre, sia nel caso di formale investitura che nell’ipotesi di incarico informale o semplicemente orale, una relazione privatistica per la quale valgono le disposizioni di cui all’articolo 2236 c.c., gli obblighi deontologici e le norme penali poste a tutela della genuinita’ del rapporto.
Ne consegue come sia del tutto inadeguata, rispetto alla ratio decidendi, l’obiezione secondo la quale l’incompatibilita’ non sussisterebbe per il semplice fatto della mancanza di una nomina formale del prof. (OMISSIS), come consulente di parte, perche’ delle due l’una: o la nomina effettivamente mancava e, tuttavia, essendo il contenuto dell’atto da produrre nella sostanza una consulenza tecnica, come ha correttamente ritenuto la Corte d’appello richiamando il tenore esplicito dello scritto, ed allora l’ingresso del documento era precluso dalla mancanza di legittimazione a produrlo da parte dell’autore dell’atto oppure esisteva una nomina informale, come ha ritenuto la Corte territoriale con accertamento di fatto che, siccome adeguatamente e logicamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimita’, ed allora il prof. (OMISSIS) era a tutti gli effetti un consulente di parte e quindi era incompatibile a ricoprire l’incarico di consulente, avendo in precedenza assunto la veste di testimone (articolo 225 c.p.p., comma 3, in relazione all’articolo 222, comma 1, lettera d), stesso codice), derivando da cio’ un impedimento all’ingresso processuale del documento.
5. Il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato e perche’ le doglianze sono state sollevate nei casi non consentiti.
Quanto, infatti, alla richiesta di disporre perizia al fine di accertare quali fossero le condizioni psichiche della deceduta (OMISSIS) al momento della redazione dei diari, la Corte territoriale, con adeguata motivazione priva di vizi logici, ha ritenuto di non dover accogliere l’istanza istruttoria sul rilievo che ne’ dalla consulenza di parte, ne’ dalla testimonianza dello stesso consulente (professor (OMISSIS)), ne’ dal compendio processuale sono stati acquisiti elementi dai quali ipotizzare che la ragazza fosse affetta da una patologia tale da far ritenere che il contenuto dei diari, con riferimento ai rapporti intercorsi con (OMISSIS), potesse essere frutto di distorta fantasia piu’ o meno consapevole.
In altri termini, la Corte d’appello, rifacendosi sostanzialmente alla regola di giudizio espressa dall’articolo 603 c.p.p., ha ritenuto di poter decidere allo stato degli atti, senza dover necessariamente far ricorso alla perizia, come peraltro comprovato dalle ragioni addotte con riferimento alla specifica contestazione.
Sul punto, la giurisprudenza di legittimita’ ha reiteratamente affermato che l’articolo 603 c.p.p., comma 1, – stabilendo che il giudice di appello, allorche’ una parte lo richieda, dispone la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale solo se ritiene di non essere in grado di decidere allo stato degli atti – intende fare riferimento a tutta l’istruzione dibattimentale che puo’ essere assunta in primo grado, con la conseguenza che la rinnovazione dell’istruttoria in appello comprende tutte le prove previste dal libro III dello stesso codice ovvero tutti i fatti che possono essere oggetto di prova ai sensi dell’articolo 187 c.p.p., ivi compresa la perizia: prove che, pertanto, il giudice di appello deve ammettere eccezionalmente solo quando non si ritiene in grado di decidere allo stato degli atti, cosicche’ il rigetto della relativa richiesta di parte, ove congruamente e logicamente motivato dal giudice di appello, e’ incensurabile in cassazione, trattandosi di giudizio di fatto (per tutte, Sez. 3, n. 4646 del 25/02/1999, Quartieri, Rv. 213086).
Per le stesse ragioni, la Corte milanese ha rigettato la richiesta di disporre altra perizia al fine di accertare l’attendibilita’ delle altre persone offese in considerazione dell’estrema genericita’ della richiesta non supportata da alcun specifico elemento nonche’ la richiesta, ancor piu’ generica e immotivata, di escutere, nel giudizio di appello, ben 27 testimoni tutti genericamente indicati senza ulteriore specificazioni “in relazione ai fatti oggetto di condanna”.
Rileva il Collegio che, per consolidata giurisprudenza di legittimita’, avallata nuovamente da una recente decisione delle Sezioni Unite, la rinnovazione dell’istruttoria nel giudizio di appello, attesa la presunzione di completezza dell’istruttoria espletata in primo grado, e’ un istituto di carattere eccezionale al quale puo’ farsi ricorso esclusivamente allorche’ il giudice ritenga, nella sua discrezionalita’, di non poter decidere allo stato degli atti (Sez. U, n. 12602 del 17/12/2015, dep. 2016, Ricci, Rv. 266820; in precedenza, negli stessi termini, Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, Panigoni, Rv. 203974).
Ne consegue che il giudice deve ritenere, nella sua discrezionalita’, indispensabile la integrazione probatoria, nel senso che deve essere non altrimenti in grado di decidere sulla base del solo materiale gia’ a sua disposizione, sicche’, dinanzi a una richiesta di rinnovazione dell’istruttoria, al giudice e’ attribuito, ai sensi dell’articolo 603 c.p.p., comma 1, il potere discrezionale di accogliere o meno la sollecitazione in ossequio alla regola di giudizio della “non decidibilita’ allo stato degli atti”, esplicitando, senza incorrere in vizi di manifesta illogicita’, le ragioni della scelta operata (Sez. U, n. 2780 del 24/01/1996, cit.; Sez. 2, n. 41808 del 27/09/2013, Mongiardo, Rv. 256968; Sez. 6, n. 20095 del 26/02/2013, Ferrara, Rv. 256228; Sez. 2, n. 3458 del 01/12/2005, dep. 2006, Di Gloria, Rv. 233391).
A tali principi si e’ attenuta la Corte del merito e le contrarie deduzioni formulate dal ricorrente – oltre a non tenere conto dell’eccezionalita’ dell’istituto della rinnovazione istruttoria nel giudizio d’appello, con conseguente onere di allegazione e specifica motivazione da parte di chi invoca la rinnovazione in modo da consentire il superamento della presunzione di tendenziale completezza dell’istruttoria dibattimentale di primo grado – trattano, a torto ed anche con riferimenti giurisprudenziali non pertinenti, la questione dell’ingresso delle prove in appello alla stessa stregua del giudizio di primo grado, mirando a contrastare un giudizio di fatto, con censure il cui ingresso e’ precluso nel giudizio di legittimita’, e strutturando le doglianze sulla base di affermazioni apodittiche, prive del requisito dell’autosufficienza, come quando, a fronte della ritenuta genericita’ da parte del giudice d’appello delle formulate richieste istruttorie, il ricorrente si limita, puramente e semplicemente, ad affermare il contrario, ribadendo la convinzione di conservare il diritto alla rinnovazione mediante l’esame in appello di ben 27 testimoni su un capitolo di prova generalizzato (quindi perfettamente identico per tutte le fonti) e, all’evidenza, aspecifico, cosi’ letteralmente formulato: “i quali dovranno riferire alla Corte d’appello di Milano in relazione ai fatti oggetto di condanna per quanto e’ di loro a conoscenza e gia’ oggetto di prova in primo grado” (pag. 21 del ricorso).
La conseguenza e’ che il motivo di gravame e’ anche manifestamente infondato.
6. Il quinto motivo del ricorso (OMISSIS), tutto incentrato sulla doglianza relativa alla ritenuta configurabilita’ del reato di esercizio abusivo della professione, il secondo motivo del ricorso (OMISSIS) sono infondati.
Il primo ed il secondo motivo di gravame (OMISSIS), nella parte in cui anch’essi si sono doluti della ritenuta configurabilita’ del reato di esercizio abusivo della professione, sono inammissibili.
6.1. Sul punto, per quanto concerne il ricorrente (OMISSIS), la Corte d’appello ha ricordato che molti testimoni, le cui deposizioni, nelle parti piu’ significative, sono state riportate in sentenza (pag. 32 e ss.), avevano riferito che il (OMISSIS) non si limitava ad esercitare la professione di psicologo, per la quale era effettivamente abilitato, ma sconfinava anche nella professione medica, prescrivendo in piu’ occasioni psicofarmaci anche modificando le indicazioni date dalla dottoressa < (OMISSIS)>.
Quanto all’attivita’ di dietologo, la Corte – dopo aver chiarito che il dietologo e’ un medico specializzato in dietologia e che esercita una professione diversa dal naturopata, titolo che il (OMISSIS) ha affermato di possedere – ha evidenziato che il cuoco ( (OMISSIS)) aveva dichiarato che le indicazioni di carattere dietetico (le quali riguardavano piu’ che altro il quantitativo di ciascuna pietanza da somministrare in modi individualizzati a ciascuna delle ospiti di (OMISSIS)) gli venivano fornite direttamente dal (OMISSIS), il quale, infine, come dichiarato da molte delle pazienti escusse in dibattimento, effettuava colloqui personali aventi per oggetto gli aspetti piu’ profondi dell’intimo, come tali riconducibili alla attivita’ dello psicoterapeuta e dello psicanalista che richiede iscrizione ad un apposito albo.
I Giudici del merito hanno poi ricordato che, all’atto della radiazione dall’albo degli psicologi, il Consiglio dell’ordine della (OMISSIS) aveva precisato che il ricorrente non era “abilitato a praticare la psicoterapia” aggiungendo che il metodo psicoterapeutico impiegato da (OMISSIS) era “privo di validazione scientifica” ne’ poteva “essere qualificato come metodo sperimentale”.
Il ricorrente obietta che la Corte d’appello non avrebbe considerato alcune deposizioni, riportate per estratto nel ricorso, che escludevano che il (OMISSIS) prescrivesse farmaci o comunque esercitasse la professione medica, la professione di dietologo e quella di psicoterapeuta alla quale erano deputate apposite figure professionali, ribadendo come il ricorrente fosse abilitato all’esercizio della professione di “naturopata” che consentiva di esercitare una serie di attivita’ “paramediche” come la consulenza nutrizionale, la fisioterapia, l’accompagnamento psicologico, l’omeopatia complessa, il massaggio medico, la medicina tradizionale cinese (tra cui l’agopuntura, la consulenza alimentare, la fitoterapia), la naturopatia tradizionale europea (tra cui l’idroterapia, la consulenza nutritiva, massaggi), la chiropratica, le elettroterapia, il massaggio delle psicozone, la medicina antropofisica, la medicina informativa, la medicina ortomolecolare, l’ossigenoterapia, la psicologia. Tali circostanze sarebbero state confermate, secondo assunto del ricorrente, da un teste qualificato, il Dottor (OMISSIS), con la conseguenza che le condotte di esercizio abusivo della professione contestate al (OMISSIS), quanto meno per cio’ che attiene al territorio svizzero avrebbero dovuto essere vagliate alla luce, anche, della peculiare normativa estera atteso che la professione di “naturopata” e disciplinata in Svizzera secondo un’impostazione culturale assai diversa rispetto alla tradizionale formazione vigente in Italia.
Cosi’ pure, secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe omesso di considerare, con riferimento alla contestata attivita’ abusiva di psicoterapeuta, una serie di testimonianze dibattimentali che circoscrivevano esattamente l’ambito di intervento del (OMISSIS), nei limiti delle attivita’ consentite allo psicologo senza che avesse mai sconfinato in quella di psicoterapeuta.
I rilievi sono privi di fondamento.
In primo luogo, con riferimento alle tre professioni (di medico, di dietologo e di psicoterapeuta) abusivamente esercitate, il ricorrente non si confronta con le prove (soprattutto orali) che i giudici del merito hanno declinato e posto a fondamento del loro conforme convincimento, avendo preferito indicarne altre che tuttavia non inficiano il contenuto di quelle valorizzate nella sentenza impugnata, integrata ovviamente dalle risultanze, richiamate per relationem, contenute nella sentenza di primo grado.
Sul punto e’ necessaria una precisazione.
E’ noto, anche dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) introdotta dalla L. n. 46 del 2006, che l’indagine di legittimita’ sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volonta’ del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo, senza possibilita’ di verifica della rispondenza della motivazione alle acquisizioni processuali (Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, Petrella, Rv. 226074).
Da cio’ consegue che non spetta alla Corte di cassazione di procedere ad una “rilettura” degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione e’, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimita’ la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente piu’ adeguata, valutazione delle risultanze processuali (Sez. U, n. 6402 del 30/04/1997, Dessimone, Rv. 207944).
Va infatti ricordato che il vizio di motivazione, che risulti dal testo del provvedimento impugnato o da altri atti del processo specificamente indicati, in tanto sussiste se ed in quanto si dimostri che il testo del provvedimento sia manifestamente carente di motivazione e/o di logica, e non invece quando, come nella specie, si opponga alla logica valutazione degli atti effettuata dal giudice di merito una diversa ricostruzione, magari altrettanto logica (Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205621), con la specificazione che l’illogicita’ della motivazione, come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioe’ di spessore tale da risultare percepibile “ictu oculi” (situazioni del tutto non ricorrenti nella presente vicenda processuale), dovendo il sindacato di legittimita’ al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purche’ le ragioni del convincimento siano spiegate, come nel caso in esame, in modo logico e adeguato (Sez. U, n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794; Sez. U, n. 47289 del 24/09/2003, cit.).
Ne consegue che – pur dopo la modifica dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e) introdotta dalla L. n. 46 del 2006, con la previsione del riferimento del vizio di motivazione anche agli “altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame” – resta immutata la natura del giudizio di legittimita’, che non puo’ dare luogo ad una diversa lettura dei dati processuali o ad una diversa interpretazione delle prove, con la conseguenza che il compito del Giudice di legittimita’ si risolve, come in precedenza ricordato, nel riscontrare appunto l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata, senza doversi spingersi a verificare l’adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito, per sostanziare il suo convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali.
Percio’, quanto all’abusivo esercizio della professione medica, i giudici del merito hanno innanzitutto precisato che il reato e’ integrato anche dal compimento di un solo atto tipico della professione abusivamente esercitata ed hanno posto in evidenza che diverse pazienti avevano riferito, sia pure per periodi o in occasioni limitate, come il ricorrente facesse diagnosi di carattere psichiatrico e prescrivesse vari psicofarmaci (antidepressivi, ansiolitici, calmanti). Il fatto che la “prescrizione” medica e formale venisse poi richiesta alla dottoressa (OMISSIS) (che era l’unica a poter emettere delle ricette mediche) e’ stata ritenuta di alcuna incidenza sul compimento della diagnosi fatta da parte del ricorrente e sulla individuazione del farmaco. In questo senso le dichiarazioni della coimputata (OMISSIS), sulle quali si insiste nel ricorso, non sono state riscontrate, secondo il motivato convincimento espresso dai giudici del merito, dall’istruttoria testimoniale e la stessa non e’ risultata complessivamente credibile; in una caso la testimone (OMISSIS) ha riferito che la dottoressa (OMISSIS) osservo’ che il medicinale indicato dal (OMISSIS) non era piu’ attuale e, per tale motivo, preferi’ prescriverne uno aggiornato, continuando pero’ a seguire l’indicazione di (OMISSIS); nel caso della paziente (OMISSIS), la stessa ha anche precisato che il (OMISSIS) le aveva prescritto veri e propri farmaci, prima di tipo omeopatico e poi psicofarmaci come la fluoxetina e Lexotan. Analoghe indicazioni quanto alla prescrizione di medicinali su indicazione del (OMISSIS) sono venute dalle pazienti (OMISSIS) e (OMISSIS); un esplicito riferimento alla prescrizione di psicofarmaci da parte del (OMISSIS) e’ stato fatto anche dalla testimone (OMISSIS). La testimone (OMISSIS) (un’operatrice ausiliaria che lavoro’ per circa 10 giorni (OMISSIS)) ha dichiarato che una paziente, all’uscita da un incontro individuale con il (OMISSIS), le aveva detto esplicitamente di aver ricevuto dal professore (cioe’ dal ricorrente) una diagnosi di disturbo borderline, attivita’ diagnostica che competerebbe esclusivamente al medico psichiatra.
E’ di tutta evidenza, allora, come l’esercizio abusivo della professione medica da parte del (OMISSIS), al di la’ dei rilievi formulati nel ricorso, sia stato desunto sulla base di un testimoniale articolato, del tutto ignorato con l’articolazione del motivo di gravame, che consente di ritenere che la motivazione sia in parte qua adeguata e priva di vizi logici nonche’ del tutto autosufficiente in ordine al tema di prova.
Per quanto attiene, invece, all’esercizio abusivo della professione del dietologo, oltre alla richiamata testimonianza assistita del cuoco della struttura (in quanto la fonte di prova e’ stata esaminata con le forme della testimonianza assistita, trattandosi di coimputato che aveva definito con il patteggiamento la sua posizione), il quale ha confermato che tutte le indicazioni di carattere dietetico provenivano dal ricorrente; anche diverse pazienti ascoltate come testimoni hanno confermato tale dato ed e’ di tutta evidenza, per quanto e’ stato gia’ precisato in tema di giurisdizione, che rilevano le sole condotte realizzate nel territorio dello Stato italiano, con la conseguenza che appare del tutto irrilevante esplorare la posizione del ricorrente, secondo la legislazione svizzera e per le condotte realizzate fuori dal territorio dello Stato italiano, e stabilire se ed eventualmente in quale misura la professione di naturopata fosse o meno sovrapponibile a quella del dietologo, attivita’ professionale che il ricorrente non era abilitato svolgere in Italia, come hanno evidenziato in maniera diffusa le sentenze del merito.
Quanto infine all’esercizio abusivo della professione di psicoterapeuta, i giudici del merito hanno ricordato come la quasi totalita’ delle pazienti effettuava anche colloqui personali con il (OMISSIS) e tutti i colloqui incontri individuali venivano descritti come inerenti gli aspetti piu’ profondi dell’intimo della paziente e, con logica ed adeguata motivazione, sono stati ricondotti alle attivita’ dello psicoterapeuta e dello psicanalista, con la conseguenza che il ricorrente, pur essendo iscritto all’ordine degli psicologi, non aveva conseguito alcuna abilitazione che gli consentisse di svolgere anche questa ulteriore attivita’, come e’ stato anche accertato dal consiglio dell’ordine degli psicologi della (OMISSIS) secondo il quale il (OMISSIS) non era abilitato a praticare la psicoterapia ed il metodo psicoterapeutico impiegato dal ricorrente era privo di validazione scientifica e non poteva essere qualificato neppure come metodo sperimentale.
6.2. Quanto al (OMISSIS), la Corte di appello ha osservato che, a confutazione della tesi sostenuta dalla difesa secondo la quale mai l’imputato ebbe a sconfinare abusivamente nell’attivita’ di psicologo o psicoterapeuta limitandosi a quella di counselor e mai ebbe a presentarsi con il titolo di “dottore”, militassero le deposizioni di molte delle testimoni escusse in dibattimento, persone affette da disturbi molto gravi, che avevano precisato di aver intrattenuto con l’imputato colloqui aventi per oggetto aspetti molto profondi e intimi (teste (OMISSIS)).
A solo titolo di esempio, con particolare riferimento al (OMISSIS), la Corte d’appello ha citato la deposizione di (OMISSIS) che si stupi’ del colloquio avuto con il (OMISSIS) finalizzato al possibile ricovero in (OMISSIS) perche’ il ricorrente prese una cartelletta bianca ed inizio’ ad elencare i suoi sintomi e problemi (“tu soffri di questo e questo… inizio’ a parlare dicendomi che ero grave… che c’era questa struttura, (OMISSIS), che poteva aiutarmi”).
Come dimostrato dalla documentazione indicata in sentenza, il (OMISSIS) era solito presentarsi e firmarsi effettivamente “Dr. (OMISSIS)” a conferma di quanto dichiarato da molte delle testimoni escusse e invece negato dall’imputato.
Il quale ha obiettato come la motivazione sul punto sia apparsa viziata da illogicita’, sul rilievo che il ricorrente sarebbe laureato in scienze del comportamento umano e dunque l’appellativo “Dottore” gli spetterebbe di diritto, con la conseguenza che il fatto di aver basato la motivazione solo sul suindicato presupposto farebbe ritenere la motivazione viziata da illogicita’.
Egli inoltre ha insistito sul fatto di aver esercitato la professione di counselor in Italia.
Il primo rilievo, oltre ad essere non autosufficiente, e’ smentito dallo stesso imputato che ha assunto di aver conseguito solo un diploma in scienze del comportamento e, in ogni caso, la ratio decidendi non fonda esclusivamente su tale presupposto. Inoltre, che il ricorrente fosse abilitato a svolgere la professione di counselor, non lo autorizzava a svolgere quella di psicologo e (soprattutto) di pscicoterapeuta, avendo anche la giurisprudenza amministrativa nettamente distinto la professione dello psicologo, in quanto regolamentata per legge e dunque riservata a chi abbia conseguito la relativa abilitazione, da quella del counselor, atteso che la L. 18 febbraio 1989, n. 56, nel definire la professione di psicologo dispone che essa “comprende l’uso degli strumenti conoscitivi e di intervento per la prevenzione, la diagnosi, le attivita’ di abilitazione-riabilitazione e di sostegno in ambito psicologico rivolte alla persona, al gruppo altri organismi sociali e alle comunita’”, ricomprendendo in tale definizione ogni forma di disagio psichico ed in qualsiasi contesto ed abilitando percio’ lo psicologo, non anche il counselor, al trattamento del disagio psichico, quale condizione che attiene alla sfera della salute e che rientra tra le attivita’ sanitarie riservate a chi abbia conseguito una speciale abilitazione.
6.3. Quanto a (OMISSIS), di professione attore addetto alla cosiddetta “teatro terapia”, la Corte territoriale ha richiamato la testimonianza di Don (OMISSIS), presso la cui comunita’ per tossicodipendenti il ricorrente ebbe a lavorare prima di approdare a (OMISSIS). Il sacerdote ha sottolineato che per la sua comunita’ (OMISSIS) si occupava di “animazione teatrale” che e’ cosa ben diversa dalla teatro-terapia, in quanto l’animazione teatrale serve ad utilizzare il corpo come mezzo di espressione delle proprie idee in maniera corretta, delle proprie emozioni, dei propri sentimenti, mentre la teatroterapia implica un intervento strutturato “nel senso che occorrono delle persone che abbiano fatto veramente dei corsi di teatroterapia perche’ il ragazzo viene buttato in aria e poi bisogna ricomporlo quindi e’ molto piu’ profondo, molto piu’ incisivo, sono due cose diverse”, risultando quindi con chiarezza dalle emergenze processuali adeguatamente e logicamente riassunte dai Giudici del merito che l’imputato, di professione attore, non si limito’ ad un sostegno tecnico alla teatro-terapia, consistente cioe’ nella realizzazione di drammatizzazioni che favorissero l’emergere delle emozioni piu’ profonde e intime, ma condusse personalmente e da solo gruppi di lavoro collettivo ma anche colloqui individuali realizzando la drammatizzazione dei cosiddetti cinque movimenti della teoria neoreichiana, in particolare quelli della “zattera per naufraghi”, del “sergente maggiore” e della “seduzione”, attivita’ volte a favorire l’emersione di sensazioni e emozioni molto profonde e di difficile gestione.
Alle testimonianze rese in tal senso da (OMISSIS) e (OMISSIS) e richiamate nella sentenza di primo grado, la Corte del merito ha elencato quelle di (OMISSIS), (OMISSIS) e della (OMISSIS) che hanno descritto come le sedute esulassero completamente dall’attivita’ di animazione teatrale, senza che il ricorrente abbia preso una specifica posizione in proposito.
Opportunamente i Giudici del merito hanno quindi evidenziato come non fosse in discussione la efficacia e validita’ scientifica o meno di queste terapie ma il fatto che esse si concretizzavano in attivita’ e situazioni particolarmente delicate soprattutto perche’ incidenti su soggetti affetti da gravi disturbi psicofisici e che dunque andavano gestite quanto meno alla costante presenza di uno psicologo, cosa questa mai avvenuta durante le sedute di teatro-terapia gestite direttamente ed esclusivamente da (OMISSIS).
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte lombarda ha compiuto un accertamento di fatto che, siccome logicamente ed adeguatamente motivato, non e’ censurabile in sede di legittimita’, rendendo inammissibili le doglianze formulate in proposito dal ricorrente.
7. Devono essere congiuntamente esaminati il sesto e l’ottavo motivo, tra loro strettamente connessi, del ricorso (OMISSIS) e, laddove le doglianze sono state rivolte nei confronti della sentenza impugnata con riferimento all’affermazione di responsabilita’ per i reati di violenza sessuale, il quarto motivo del ricorso (OMISSIS) nonche’ i due motivi del ricorso (OMISSIS).
7.1. I motivi (sesto ed ottavo) proposti dal (OMISSIS), non sono fondati per le ragioni di seguito indicate.
La Corte del merito ha considerato che uno degli aspetti centrali della c.d. teoria “neo-reichiana”, elaborata e praticata dal (OMISSIS) fosse quello relativo alla sessualita’, nel senso di ritenere che all’origine del disturbo alimentare, unitamente ad altri fattori, vi fosse un problema di sessualita’ bloccata che a sua volta, in una sorta di circolo chiuso, comportasse un’ulteriore compressione della sfera della sessualita’ con il conseguente aggravarsi della situazione. Da cio’ la convinzione che le pazienti dovessero riacquistare la capacita’ di vivere pienamente la loro sessualita’, risultato questo da ottenersi anche attraverso l’esasperazione in funzione terapeutica dei tratti femminili.
Da qui l’elaborazione di alcune strategie terapeutiche quali la “vesto terapia” consistente nella necessita’ per le ragazze di riprendere familiarita’ con il proprio corpo e con la propria femminilita’, oggetto spesso di rifiuto da parte della persona affetta da disturbi del comportamento alimentare, abbandonando ad esempio tute e maglioni abbondanti per utilizzare un abbigliamento piu’ femminile e seducente, al limite della provocazione; i “blocchi energetici” di natura psicofisica provocati, secondo la teoria di (OMISSIS), dal disturbo alimentare. Per rimuoverli venivano praticati a (OMISSIS) massaggi la cui tecnica era mostrata dal terapeuta e poi messa in pratica reciprocamente tra le pazienti; “i 5 movimenti” (pianificazione, sottomissione, diffidenza, seduzione e aggressivita’), dove, in particolare e per quanto interessa, quello della “seduzione” era finalizzato a far recuperare alla paziente la propria femminilita’ e sessualita’, attraverso la richiesta di sguardi e atteggiamenti fortemente provocatori e allusivi facendo cosi’ riemergere le capacita’ seduttive mortificate dalle precarie condizioni psicofisiche, mentre quello della “sottomissione” era finalizzato a far superare alla ragazza il proprio desiderio di isolamento per affidarsi totalmente al terapeuta facendosi guidare da lui.
7.1.1. I Giudici del merito non hanno preso posizione sulla validita’ scientifica di siffatte teorie, ritenendo che non vi fosse, per le ragioni che saranno di seguito precisate, connessione tra applicabilita’ delle teorie neoreichiane, esercizio abusivo della professione e fatti di violenza sessuale, avendo comunque il Tribunale precisato, con argomentazioni condivise dalla Corte d’appello, che sulle teoriche patrocinate, in quanto tali, non potessero fondarsi prove significative di comportamenti di rilevanza penale.
Cio’ depotenzia al massimo grado il tasso delle critiche mosse alle sentenze di merito, a torto censurate di non avere tenuto conto della scientificita’ delle teorie praticate, posto che il rimprovero mosso agli imputati, ed al (OMISSIS) in particolare, non e’ quello di aver praticato le teorie neoreichiane, bensi’ di avere, in taluni casi, debordato da esse esercitando professioni per le quali i ricorrenti non erano abilitati o compiendo atti di compromissione della liberta’ di autodeterminazione sessuale di talune pazienti approfittando delle particolari condizioni nelle quali versavano, prescindendo percio’ dal loro consenso o procurandosi consapevolmente un consenso viziato.
Con riferimento alla “vesto terapia”, per esempio, i Giudici del merito hanno concordemente affermato che, se e’ vero che alcune testimoni hanno ritenuto la pratica volgare e sconveniente, e’ altrettanto vero che altre, a conferma dell’inevitabile approccio soggettivo al tema, hanno sottolineato come non vi fosse alcuna indicazione vincolante a questo proposito e come la scelta dell’abbigliamento fosse rimessa al buongusto di ciascuna, salvo il divieto di presentarsi con tute e maglie abbondanti, come tali mortificanti la femminilita’; e anche diversi testimoni, genitori delle pazienti, hanno ricordato di essersi fermati piu’ volte a cena e di non aver constatato nulla di particolarmente sconveniente. Un teste qualificato come il dottor (OMISSIS) ha rammentato, ad esempio, con piacere ed interpretato all’epoca come un inizio di guarigione il momento in cui ebbe a constatare il diverso atteggiamento che la figlia mostrava verso se stessa anche con una maggior cura nell’abbigliamento fino ad allora costituito esclusivamente da capi extra large indossati all’evidente scopo di nascondere agli occhi degli altri l’eccessiva magrezza.
Cio’ posto, la Corte territoriale, in conformita’ all’approdo cui e’ pervenuto il Tribunale, ha ritenuto provato che la proposta terapeutica elaborata dal (OMISSIS), da attuare peraltro sempre nell’ambito dei gruppi collettivi e delle occasioni di socializzazione, e’ in alcune circostanze degenerata trasformandosi, in occasione di incontri individuali, nel veicolo utilizzato dagli imputati per indurre alcune delle ragazze, che lo stesso (OMISSIS) definiva “cavalli di razza”, a cedere ai loro desideri sessuali, che venivano soddisfatti abusando della condizione di inferiorita’ psichica di giovani pazienti che si erano con fiducia affidate alle cure del terapeuta e a cio’ indotte dalla suggestione che non solo il recupero della femminilita’, nel senso in precedenza riassunto, ma l’effettiva attivita’ sessuale con il terapeuta fosse uno strumento necessario per guarire dalle loro malattie.
Nel pervenire a tale conclusione, la Corte territoriale si e’ attenuta ai principi affermati dalla giurisprudenza di legittimita’ in base ai quali, in tema di violenza sessuale, la condizione di inferiorita’ psichica della vittima al momento del fatto prescinde da fenomeni di patologia mentale, in quanto e’ sufficiente ad integrarla la circostanza che il soggetto passivo versi in condizioni intellettive e spirituali di minore resistenza all’altrui opera di coazione psicologica o di suggestioni, posto che siffatte situazioni psichiche devono ritenersi idonee ad elidere comunque, in tutto o in parte, la capacita’ della vittima di esprimere un valido consenso, si’ da impedirle di respingere efficacemente gli atti sessuali dell’agente (Sez. 3, n. 38261 del 20/09/2007, Fronteddu, Rv. 237826).
In questo senso, e’ stato chiarito che, ad escludere la configurabilita’ del reato di violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorita’ fisica o psichica della persona offesa, di cui all’articolo 609 bis c.p., comma 2, n. 1, non e’ sufficiente che sia stato prestato l’altrui consenso, ossia che la persona con la quale e’ intercorso il rapporto sessuale abbia acconsentito a compiere o a subire l’atto sessuale, ma e’ necessario accertare se tale consenso non si configuri quale conseguenza di una strumentalizzazione della inferiorita’ della vittima da parte dell’autore del fatto, che abbia sfruttato le condizioni di minorata capacita’ di resistenza o di comprensione della natura dell’atto da parte del soggetto passivo (Sez. 3, n. 24212 del 21/04/2004, Piras, Rv. 228697) mediante una condotta di induzione, consistente in un’opera di persuasione spesso sottile o subdola con cui il partner e’ spinto o convinto a sottostare ad atti che diversamente non avrebbe compiuto, e di abuso che si verifica quando le condizioni di menomazione sono strumentalizzate per accedere alla sfera intima della persona che, versando in una situazione precaria, viene ridotta a mezzo per soddisfare l’altrui libidine. Pertanto i rapporti consensuali sono da considerare leciti soltanto se non connotati da induzione o abuso delle condizioni di menomazione, anche dovute a fattori ambientali, di consistenza tale da incidere negativamente sulla volonta’ e sulla liberta’ sessuale della vittima, si’ da determinare in quest’ultima un’assente o diminuita capacita’ di resistenza agli stimoli esterni. Spetta, quindi, al giudice la verifica della consapevolezza da parte dell’agente non solo delle minorate condizioni del soggetto passivo, ma anche quella dell’abuso di tale stato per fini sessuali (Sez. 3, n. 15910 del 12/02/2009, Figus, Rv. 243403 e in motiv.).
Va subito chiarito come tutti i ricorsi prescindano totalmente da tali insegnamenti non confrontandosi con essi e, in definitiva, con la ratio decidendi che informa la sentenza impugnata.
7.1.2. I Giudici del merito hanno infatti proceduto alla predetta verifica e sono pervenuti alla conforme convinzione, della quale hanno fornito logica ed adeguata motivazione, circa la sussistenza da parte dei ricorrenti della consapevolezza delle minorate condizioni nelle quali versavano le vittime e delle condotte abusanti da loro realizzate per perseguire fini sessuali.
Sul punto, e’ stata ritenuta particolarmente significativa, con riguardo alla posizione (OMISSIS), la testimonianza di (OMISSIS), non solo con riferimento allo specifico capo di imputazione sub E6 (dichiarato prescritto), ma piu’ in generale per quel che riguarda la condotta suggestiva che, con logica ed adeguata motivazione, i Giudici del merito hanno ritenuto sia stata posta in essere dal (OMISSIS) esclusivamente nei confronti di alcune delle ragazze ricoverate, approfittando della loro evidente debolezza psicologica e allo scopo di ottenerne piu’ o meno spinti favori sessuali in palese contrasto con il corretto svolgimento del rapporto con la paziente.
La (OMISSIS) ha infatti parlato di una “selezione”, nel senso che il ricorrente si comportava con lei in maniera diversa rispetto alle altre, mostrando un interesse che con tutte le altre non aveva.
La Corte distrettuale ha opportunamente segnalato come la deposizione in parte qua riscontrasse significativamente le affermazioni della (OMISSIS) che, nel riferire le confidenze fattale da un’altra paziente, aveva ricordato che quest’ultima, confidandosi un giorno con lei, alla domanda di cosa facesse negli incontri con (OMISSIS), quando la chiamava, e perche’ chiamasse solo lei, le disse: “erano tutte seduzioni, io dovevo fare delle cose per lui (…) (OMISSIS) chiama solo il cavallo di razza, cioe’ che lui considera un cavallo di razza…”.
Peraltro la (OMISSIS) aveva manifestato il suo disagio per la condotta del (OMISSIS) su taluni poli d’ascolto, come quello rappresentato dal forum internet (OMISSIS), dove, intervenendo in risposta ad un messaggio di altra persona, scriveva: “Innanzitutto vorrei salutare (OMISSIS) perche’ l’ho conosciuta ed e’ una gran donna, nonostante questo io sono stata vittima del grande (OMISSIS) cosi’ come si faceva chiamare quel fenomeno da baraccone di (OMISSIS). A me durante le sedute mi spogliava, mi toccava, mi baciava, mi faceva il lavaggio del cervello, dicendomi che io ero innamorata di lui e che dovevo rimanere con lui che mi avrebbe mantenuta, mi portava al ristorante e perfino a casa sua, uno schifo, una vergogna, grazie a Dio sono riuscita ad andarmene dopo otto mesi serviti solo a creare ulteriori problemi, e’ vero non e’ stato cosi’ per tutte perche’ lui le selezionava, selezionava la vittima quella che gli piaceva, non a caso la sua morosa era una ex paziente, anche il caro dottor (OMISSIS) andava a letto con una ragazza ricoverata li’, due porci cosi’ dovrebbero essere seviziati e messi ai lavori forzati e noi povere vittime dovremmo anche essere risarcite per tutto”.
La Corte d’appello ha ricordato come la (OMISSIS) avesse poi confermato in dibattimento quanto scritto nel precedente messaggio aggiungendo particolari e precisazioni di notevole interesse non solo perche’ confermative della sua attendibilita’ con riferimento alla vicenda che direttamente la riguarda ma perche’ costituenti importanti riscontri anche rispetto agli altri episodi contestati al (OMISSIS).
Dopo aver affermato di essere entrata in (OMISSIS) in quanto sofferente di “problemi di alimentazione”, la (OMISSIS) ha precisato di aver inizialmente eseguito terapie di gruppo ma successivamente segui’ terapie individuali col (OMISSIS), che si definiva (OMISSIS), nel senso che era il grande Dio, ossia quello che le avrebbe salvate tutte, essendo egli “il capo di tutto”.
Secondo la (OMISSIS), il (OMISSIS), quindi, organizzava e precostituiva sedute individuali nel corso delle quali la terapia prendeva indirizzi non proprio rispettosi del rapporto paziente/terapeuta e cio’ e’ stato confermato dalle dichiarazioni di altre parti lese, in linea peraltro con quanto riportato nei diari di (OMISSIS).
L’attendibilita’ della teste ha trovato conferma, secondo la Corte del merito, anche nel fatto che la medesima, nonostante l’evidente atteggiamento di forte critica mostrato nei confronti dell’imputato, non ha in alcun modo infierito sul medesimo, allorquando si e’ trattato di precisare in quali comportamenti concreti, sessualmente connotati, si era concretizzata la avvolgente condotta del ricorrente.
La (OMISSIS) ha infatti limitato gli approcci a baci in bocca e a palpeggiamenti del sedere e del seno.
Non dissimile e’ stato ritenuto il racconto fatto da (OMISSIS), in ordine ai suoi rapporti con (OMISSIS) e alle modalita’ con cui questi conduceva i colloqui individuali. Anche in tal caso il reato contestato (E7) e’ stato dichiarato prescritto ma le dichiarazioni rese dalla teste hanno costituito, secondo la Corte d’appello, un ulteriore riscontro alle dichiarazioni rese dalle altre parti lese in ordine alla avvolgente metodologia seguita dal (OMISSIS) e allo sfruttamento delle proprie teorie al fine di ottenere in alcuni casi e nel corso di sedute individuali favori a chiaro contenuto sessuale (pag. 44 della sentenza impugnata).
Di analogo tenore le “esperienze” vissute da (OMISSIS) (capo E4) con il (OMISSIS) nel corso delle sedute individuali. Si tratta, come ha evidenziato la Corte distrettuale, di narrazione intrinsecamente attendibile in quanto coerente, reiterata, priva di contraddizioni, non mossa da motivi di rancore e soprattutto, da un punto di vista estrinseco, perfettamente in linea con le precedenti dichiarazioni e con la descrizione delle sedute individuali fatte da altre pazienti (pag. 45 della sentenza impugnata).
Quanto ai motivi per i quali la ragazza ebbe ad accettare di sottoporsi a pratiche sessuali, essi non avevano, secondo l’accertamento in fatto compiuto dai Giudici del merito, nulla a che vedere con l’esplicazione di un libero consenso, essendo stata la vittima chiaramente indotta dalla convinzione, per la fiducia nutrita nei confronti del suo terapeuta, che si trattasse di passaggi necessari per conseguire la agognata e completa guarigione (“Mi sono sempre fidata io di queste persone. La prevengo so gia’ dove vuole parare, nel senso che io mi sono affidata totalmente a queste persone, ero arrivata in un momento in cui ero totalmente disperata, che avrei fatto qualsiasi cosa pur di guarire e i miei genitori pure”. E alla domanda del PM se le pratiche richieste dal (OMISSIS), compresa quella della masturbazione, fossero da lei percepite o fossero state a lei presentate come funzionali alla terapia, la teste ha risposto: “Si, se non l’avessi fatto mi e’ stato detto che sarei rimasta malata a vita, che sarei morta…”).
In siffatto contesto nel quale i Giudici del merito hanno motivatamente accertato l’anomala metodologia seguita dal (OMISSIS) con alcune delle pazienti di (OMISSIS) ritenute “cavalle di razza”, l’argomento difensivo, secondo il quale la responsabilita’ dell’imputato con riferimento al delitto di cui al capo E1, commesso ai danni della deceduta (OMISSIS), era stata fondata esclusivamente sui diari da quest’ultima redatti, e’ stata contrastata dalla Corte d’appello con il puntuale rilievo che le narrazioni della (OMISSIS), della (OMISSIS) e della (OMISSIS) costituivano un importante riscontro alla attendibilita’ di quanto narrato in quei diari.
L’obiezione poi che quanto descritto nei diari non fosse altro, come ipotizzato nella consulenza della difesa (OMISSIS)- (OMISSIS), che il frutto della fantasia della ragazza, la rappresentazione dei suoi desideri amorosi che l’avrebbero portata a scrivere fatti immaginati come realmente accaduti o a dare una valenza maggiore rispetto a quella reale, e’ stata superata dalla considerazione, del tutto logica, che la lettura dei diari di (OMISSIS) riportalo alla memoria, con grande dovizia di particolari, situazioni, fatti e circostanze del tutto analoghe a quelle certamente vissute, in particolare, dalla (OMISSIS) e dalla (OMISSIS), rendendo percio’ difficile anche solo ipotizzare che nel solo caso della (OMISSIS) non fosse accaduto quanto nei diari descritto.
Secondo i Giudici del merito, i diari sono stati dunque redatti (pag. 47 della sentenza impugnata) da una persona precisa, meticolosa, non farneticante che aveva riportato esattamente tutti gli accadimenti della sua vita presso la struttura Svizzera e di quelli che seguiranno alle dimissioni.
Peraltro, la sovrapponibilita’ delle narrazioni contenute nel diario della (OMISSIS) con le dichiarazioni della (OMISSIS), della (OMISSIS) e della (OMISSIS) non e’ stato ritenuto dai Giudici l’unico elemento di riscontro a conferma della veridicita’ di quanto riportato nel diario.
Gia’ la (OMISSIS) alla domanda del pubblico ministero circa la sua conoscenza di (OMISSIS) aveva significativamente risposto di averla conosciuta superficialmente ma di sapere che lei “aveva dei rapporti particolari, si diceva che fosse un po’ la preferita di (OMISSIS)”.
Anche piu’ importante, ai fini di riscontro, e’ stata poi ritenuta la testimonianza della (OMISSIS) che, nel ricordare la sua amicizia con (OMISSIS), aveva precisato che una volta che entrambe erano uscite da (OMISSIS) ed erano tornate a casa, l’amica le confido’ (“ci ha provato con me”) alcune cose sul suo rapporto con (OMISSIS).
La veridicita’ di quanto narrato nel diario ha trovato, secondo la Corte d’appello, ulteriore importante conferma nelle dichiarazioni rese da (OMISSIS), la madre di (OMISSIS), che ha ripercorso il calvario della figlia dalla comparsa dei primi sintomi della anoressia ai tentativi di cure tradizionali, dal ricovero a (OMISSIS) fino al rientro a casa avvenuto nel dicembre (OMISSIS), per concludere con la tragica fine della figlia suicidatasi il (OMISSIS).
Ha anche ricordato che dal (OMISSIS) la ragazza ebbe ad interrompere le terapie di gruppo per passare direttamente sotto le cure di (OMISSIS) presso il cui studio a (OMISSIS), ove si recava tutti i giorni compreso il sabato e la domenica, ricevendo dalla figlia le notizie sugli abusi sessuali che subiva ad opera del ricorrente.
Solo successivamente alla morte della figlia, la (OMISSIS) pote’ leggere i diari della ragazza, il cui contenuto e’ per larghi tratti riportato in sentenza (pag. 61 ss.), avendo cosi’ definitiva conferma che quanto confidatole corrispondeva a verita’ e che anzi vi era molto di piu’.
La Corte d’appello ha dunque concluso come fosse emerso con chiarezza, tanto dalla lettura del diario quanto dalle prove dichiarative, l’approfittamento da parte dell’imputato della malattia fisiopsichica in cui versava la ragazza, l’inganno realizzato avendo spacciato la pratica sessuale con il terapeuta come uno strumento di guarigione, suggestionando enormemente la donna che versava in condizioni emotive e psicologiche particolarmente precarie senza neppure disdegnare di prospettarle la necessita’ di cambiare analista qualora non avesse accettato la “terapia sessuale” proposta. Una simile condotta, a ragione ritenuta dalla Corte del merito di chiara rilevanza penale, e’ stata giudicata, come si desume dal testo della sentenza impugnata, dall’ordine degli Psicologi della (OMISSIS) al cui albo l’imputato era iscritto, contraria alle piu’ fondamentali ed elementari regole deontologiche tanto da comportarne la radiazione proprio a seguito di quanto emergente dalla lettura del diario.
7.1.3. La Corte di appello ha dunque preso posizione ed ha risposto a tutte le doglianze mosse nei confronti della prima sentenza, motivando adeguatamente su tutti gli aspetti della vicenda ed in particolare sull’attendibilita’ di quanto dichiarato dalle parti lese, dimostrando che dette dichiarazioni erano corredate da riscontri esterni, nel senso che si corroboravano tra loro, essendo pienamente sovrapponibili, senza che potesse accreditarsi una loro contaminazione per effetto della circolarita’, neppure ipotizzabile e ne’ ipotizzata, delle notizie; che analoghi riscontri investivano anche le narrazioni contenute nel diario della (OMISSIS).
7.2. Quanto alla doglianza sollevata dal (OMISSIS), il ricorrente premette di aver sostenuto come le persone offese non fossero attendibili sul presupposto che le sue condizioni cliniche, all’epoca dei fatti, fossero tali da impedirgli di intrattenere rapporti sessuali, essendo affetto da disfunzione erettile in considerazione dei farmaci antidepressivi e anticoagulanti che da tempo gli venivano somministrati. Per comprovare cio’, aveva prodotto documentazione e chiesto l’assunzione delle testimonianze del dott. (OMISSIS), esaminato all’udienza del 10 giugno 2012, e della ex moglie (OMISSIS), esaminata all’udienza del 10 maggio 2012.
La Corte d’appello ha ritenuto che, quanto all’asserita irreversibile impotenza, la circostanza fosse sfornita di adeguata prova emergendo dagli atti chiari elementi di segno contrario, al di la’ delle dichiarazioni delle parti lese, atteso che non vi era agli atti alcuna documentazione redatta dal medico specialista nel settore di competenza che avesse, in concreto, accertato l’effettiva disfunzione dedotta ricorrente. Quanto alla moglie dell’imputato, la teste aveva affermato che il marito in epoca successiva ad un’ischemia cerebrale verificatasi nel (OMISSIS) “a livello sessuale non provava piu’ nulla e non aveva piu’ nessuno stimolo”, dato questo che costitui’, a suo dire, una delle cause della successiva separazione, con la conseguenza che anche da tale testimonianza non poteva certamente dirsi provato che l’imputato fosse affetto da una definitiva ed irreversibile impotenza erettile, fenomeno che, come e’ noto, puo’ dipendere non solamente da cause fisiologiche (non provate nel caso concreto) ma anche psicologiche come tali superabili laddove mutino le condizioni interiori o anche quelle esterne, dipendendo come e’ noto la libido anche dal partner con il quale ci si rapporta. E agli atti del procedimento vi erano tre testimonianze di giovani pazienti di (OMISSIS) che deponevano per un evidentemente ritrovato aumento della libido, degli stimoli e dell’interesse sessuale da parte del ricorrente. Oltre infatti alle testimonianze (OMISSIS) e (OMISSIS), anche (OMISSIS) aveva ricordato di essere stata piu’ o meno volontaria partecipe di episodi confermativi del fatto che l’imputato non fosse affatto insensibile a pratiche erotiche.
Ha pertanto osservato il ricorrente che, per la sentenza di secondo grado, i documenti medici prodotti, la testimonianza resa dal dott. (OMISSIS) e quella della (OMISSIS) non sarebbero stati sufficienti a provare l’impossibilita’ della condotta contestata ai capi F1) e F2) in quanto contrastanti con le testimonianze rese da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS).
Tuttavia il contrasto tra le testimonianze rese dai testi della difesa e da quelli dell’accusa, sarebbe stato superato dalla Corte d’Appello dando atto che le testimonianze si erano rivelate tutte veritiere ma che quelle dedotte dalla difesa erano superabili e superate sotto un duplice aspetto.
In primo luogo, le condizioni cliniche dell’imputato erano state esaminate dal teste (OMISSIS) sulla sola base della documentazione medica senza procedere ad esame diretto del soggetto e senza che il medesimo si fosse sottoposto ad esami specialistici, cosicche’ il dott. (OMISSIS), molto correttamente, si era limitato ad affermare che i farmaci beta bloccanti e antidepressivi potevano avere quali effetti collaterali disturbi dell’erezione, dunque nessuna certezza ma solo un’eventualita’ da valutare caso per caso. In sostanza ne’ piu’ ne’ meno di cio’ che si puo’ leggere su ogni “bugiardino” inserito nelle confezioni dei medicinali ove sono elencati tutti gli effetti collaterali che questo o quel farmaco potrebbe comportare.
In secondo luogo, l’affermazione dell’ex moglie dell’imputato, in precedenza richiamata (cioe’ che il marito in epoca successiva ad un’ischemia cerebrale verificatasi nel (OMISSIS) “a livello sessuale non provava piu’ nulla e non aveva piu’ nessuno stimolo”, dato questo che costitui’ a suo dire una delle cause della successiva separazione), non comprovava affatto che l’imputato fosse affetto da una definitiva ed irreversibile impotenza erettile, potendo questa dipendere non solamente da cause fisiologiche (non provate nel caso concreto) ma anche psicologiche come tali superabili laddove dovessero mutare le condizioni interiori o anche quelle esterne e dipendendo come e’ noto la libido anche dal partner con il quale ci si rapporta.
Secondo il ricorrente sussisterebbe, allora, un contrasto tra prove ugualmente credibili e veritiere, non avendo i Giudici di secondo grado stimato come mendaci le affermazioni dei testi dedotti dalla difesa e cio’, ingenerando un ragionevole dubbio, avrebbe dovuto portare all’assoluzione dell’imputato con l’applicazione del principio statuito dal combinato disposto degli articoli 530 cpv. e 533 c.p.p..
Nel caso di specie – non essendo remota la possibilita’ che l’imputato soffrisse di una disfunzione erettile e non potendosi fare affidamento sulle testimonianze delle parti lese perche’ tutte connotate da un rilevante interesse ad avvalorare la propria tesi accusatoria, sia per una sorta di rivendicazione morale nei confronti degli antagonisti, che per un interesse strettamente economico – la Corte d’appello avrebbe dovuto assolvere l’imputato.
Il motivo e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato, aspecifico e presentato per i casi non consentiti.
Il ricorrente, pur ricostruendo correttamente i passaggi argomentativi attraverso i quali si e’ sviluppato il discorso giustificativo della Corte di appello, fornisce una lettura decisamente incongrua della ratio decidendi della sentenza impugnata, emergendo cio’ dalla ricostruzione fatta dallo stesso ricorrente.
La Corte d’appello ha ritenuto le testimonianze delle persone offese, richiamate per larghi tratti nella sentenza impugnata, autosufficienti per l’affermazione della responsabilita’ dell’imputato, il quale apoditticamente deduce l’inattendibilita’ di quelle dichiarazioni, laddove i giudici del merito le hanno ritenute, con adeguata motivazione priva di vizi di manifesta illogicita’, intrinsecamente ed estrinsecamente attendibili.
A tale conclusione, la Corte di appello e’ peraltro giunta, dopo avere evidenziato come le testimonianze a discarico dell’imputato fossero inidonee a dimostrare il fatto da provare, ossia che, all’epoca dei commessi reati, l’imputato fosse affetto da una disfunzione erettile.
Ora – a prescindere dal dato, che pure si evince dal testo della sentenza impugnata, secondo il quale la condotta abusante si e’ estrinsecata in atti sessuali consistiti in toccamenti, baci e masturbazioni – il ricorrente presume, senza fondamento, che nella mente del giudice residuasse un ragionevole dubbio, del tutto insussistente, in ordine alla colpevolezza dell’imputato.
Il quale, oltre ad affermare in modo assertivo che le dichiarazioni rese dalle persone offese fossero inattendibili, non ha preso alcuna specifica posizione sul contenuto di esse, in relazione al quale la Corte territoriale si e’ ampiamente soffermata per fondare il proprio ragionevole convincimento e cio’ rende il motivo del tutto generico.
Infine, la censura si connota per il suo aspetto fattuale, il cui ingresso e’ precluso nel giudizio di legittimita’, in quanto il ricorrente sovrappone una propria ricostruzione del fatto e delle prove a quella, del tutto congrua e logica, offerta dalla Corte del merito, derivando anche da cio’ l’inammissibilita’ del quarto motivo del ricorso.
7.3. I motivi sollevati da (OMISSIS) con i quali si duole dell’affermazione della responsabilita’ in ordine ai reato di cui ai capi H1), H2) ed H3) sono inammissibili.
Va premesso come le doglianze siano state principalmente strutturate ed in maniera del tutto aspecifica con riferimento al tema, gia’ in precedenza esaminato e ai cui esiti si rinvia, dell’insussistenza del reato di esercizio abusivo della professione.
Con specifico riferimento, invece, ai reati sessuali, il ricorrente, al di la’ di una generica e dunque inammissibile doglianza circa l’omessa valutazione di prove a discarico che la Corte territoriale, a suo dire, non avrebbe esaminato, lamenta esclusivamente che la Corte del merito, nel giudicare la sussistenza del reato di violenza sessuale nei confronti di (OMISSIS), avrebbe omesso qualunque valutazione circa la rilevanza della relazione sentimentale tra la stessa e l’imputato, con progetti di futura collaborazione lavorativa e convivenza, come dichiarato dalla stessa “parte lesa”.
L’assunto e’ totalmente privo di fondamento perche’, secondo la Corte territoriale, la circostanza dedotta dalla difesa (che e’ stata dunque ampiamente esaminata) e’ apparsa di ben poco rilievo e, comunque, non proprio netta come prospettata dal ricorrente.
La (OMISSIS) ha infatti spiegato i rapporti con il ricorrente nel senso che, pur nutrendo “una sorta di attrazione, il classico transfert che succede con lo psicologo e lo psicoterapeuta”, l’imputato le aveva chiesto di fare la sua assistente (come teatroterapeuta) e che avrebbero avuto una relazione insieme una volta uscita, confermando che l’iniziativa delle avances partiva dall’imputato con condotte che il ricorrente poneva in essere nel corso di terapie individuali ad ulteriore conferma del non essersi limitato alla attivita’ di teatroterapia espletata in gruppi collettivi e che dunque vi era stato un diretto rapporto tra “terapia” e rapporti di natura sessuale. Quest’ultima affermazione ha poi trovato precisa conferma nella deposizione della stessa (OMISSIS), laddove ha rammentato di aver avuto diversi incontri “terapeutici” individuali con l’imputato nel corso dei quali la terapia seguita era quella del “massaggio bioenergetico” nella versione rivista e corretta dall’imputato consistente nel fare spogliare la (OMISSIS) toccandola nelle parti intime e baciandola in bocca.
La Corte d’appello ha pertanto funditus esaminato la doglianza ed il ricorrente non si e’ neppure fatto carico di censurarla specificamente avendo preferito affermare, contrariamente al vero, che la Corte territoriale non l’aveva esaminata e confezionando pertanto un motivo di ricorso del tutto inammissibile.
8. Il settimo motivo del ricorso (OMISSIS) e’ inammissibile per manifesta infondatezza.
Con esso il ricorrente reclama la sussistenza della scriminante, in ultima analisi anche putativa, dell’articolo 50 c.p. (consenso dell’avente diritto), con riferimento a tutte le ipotesi contestate ex articolo 609 bis c.p..
Ha sostenuto che le persone offese avevano prestato il consenso al compimento degli atti sessuali e che, in ogni caso, l’imputato ben poteva, erroneamente e in buona fede, ritenere sussistente detto “consenso” dato che gli episodi in contestazione non sarebbero da inquadrarsi come intromissioni nella sfera sessuale di pazienti non consenzienti, bensi’ come esplicazione metodologica e pratica delle teorie reichiane e neoreichiane che le stesse pazienti (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) consentivano venissero applicate.
La Corte d’appello, nel disattendere le ragioni della doglianza, ha spiegato come il ricorrente, da un lato, avesse la qualifica di psicologo e dunque il bagaglio culturale piu’ che sufficiente a comprendere quanto fosse viziato l’apparente consenso delle sue pazienti e, dall’altro, come partisse in realta’ da un presupposto errato: tutto cio’ che avveniva negli incontri individuali tra il (OMISSIS) e le parti lese non aveva in realta’ nulla a che vedere con le cosiddette terapie reichiane o neo-reichiane.
E’ in alcune pazienti (le cosiddette “cavalle di razza”) che veniva indotta la convinzione che le pratiche sessuali sopra descritte direttamente intercorrenti fra terapeuta e persona malata fossero necessarie alla guarigione.
A conferma di cio’ e dunque della consapevolezza da parte del ricorrente di porre in essere una condotta abusante, situazione del tutto incompatibile con la reclamata causa di giustificazione, la Corte del merito ha riportato in sentenza una domanda rivolta dal pubblico ministero alla teste (OMISSIS), pedagoga che per un certo periodo ha lavorato a (OMISSIS), moglie separata di (OMISSIS), teste qualificata perche’ conoscitrice e anche sostenitrice delle teoria “neoreichiana” e che ad un certo punto ebbe ad allontanarsi dalla “galassia (OMISSIS)” perche’ in disaccordo con il progressivo venir meno dell’iniziale spirito di umana solidarieta’ verso chi soffre essendo diventata la struttura solo una “macchina per far soldi” ove venivano accolte esclusivamente pazienti che potevano “pagare molto”.
Alla domanda del pubblico ministero (Vorrei che lei mi dicesse se queste cose che leggero’ sono ortodosse, diciamo cosi’, nell’ambito di un rapporto analista paziente in base alla teoria neo-reichiana, le frasi sono queste: “ci siamo messi sul materassino e mi ha detto di immaginare una ragazza immaginata con un ragazzo e poi di comportarmi come quella ragazza, ho cominciato ad accarezzarlo tra le sue braccia e a baciarlo, ero molto trattenuta mi ha detto di fare l’ottanta per cento di quello che pensavo, l’ho toccato con la lingua e gli ho anche mordicchiato il labbro e poi lui ha fatto lo stesso, mentre lui era sopra mi toccava, prima ha fatto guidare a me le mani dove volevo io e poi e’ andato lui”), che chiedeva se questo tipo di attivita’ fosse riconducibile ad un approccio terapeutico neo-reichiano, la teste (OMISSIS) ha risposto “No”.
Escluso, per le ragioni in precedenza enunciate, che il ricorrente si trovasse al cospetto di persone che avessero validamente prestato il consenso, la Corte territoriale ha correttamente scartato la ricorrenza della scriminante putativa del consenso dell’avente diritto, sul rilievo che essa non e’ applicabile quando debba escludersi, in base alle circostanze del fatto, la ragionevole persuasione di operare con l’approvazione della persona che puo’ validamente disporre del diritto (Sez. 6, n. 20944 del 15/04/2011, Cavalli, Rv. 250065).
9. Nel corso della discussione orale e’ stato eccepito che l’atto di impugnazione dei coimputati non e’ stato notificato alle altre parti, come prescritto dall’articolo 584 c.p.p..
L’eccezione non produce effetti in quanto l’omessa notifica dell’atto di appello della pubblica accusa alla parte privata o viceversa non e’ causa di nullita’ di ordine generale ne’ da’ luogo all’inammissibilita’ del gravame, comportando unicamente la mancata decorrenza del termine per la proposizione, da parte del soggetto interessato, dell’eventuale appello incidentale, se consentito (Sez. 3, n. 3266 del 10/12/2009,dep. 2010, Esposito, Rv. 245859).
10. Con note di udienza e’ stato chiesto alla Corte di ritenere il reato di violenza sessuale attenuato dall’ipotesi della minore gravita’, come titolo autonomo del reato, e di conseguenza dichiarare la prescrizione ovvero, qualora l’ipotesi della minore gravita’ dovesse ritenersi una circostanza attenuante, si chiede di sollevare la questione di legittimita’ costituzionale dell’articolo 157 c.p. laddove non prevede che per determinare il tempo necessario prescrivere si tenga conto anche delle circostanze attenuanti a effetto speciale quando tramite la loro contestazione sia gia’ chiara la pena massima da infliggere.
Le richieste sono prive di fondamento.
La giurisprudenza di legittimita’ e consolidata nel ritenere che l’articolo 609 bis c.p., al comma 3 configura una circostanza attenuante (Sez. 3, n. 47311 del 24/09/2015, GN, Rv. 265270).
La questione di legittimita’ costituzionale sarebbe poi, in partenza, irrilevante perche’, se anche si computassero le circostanze attenuanti ad effetto speciale, la prescrizione, nel caso di specie, non sarebbe comunque maturata.
Infatti, il riconoscimento della circostanza attenuante ad effetto speciale del fatto di minore gravita’ di cui all’articolo 609 bis c.p., comma 3, secondo il quale la pena per il reato di violenza sessuale e’ diminuita in “misura non eccedente i due terzi”, implica che il massimo edittale da porre a base del computo deve essere determinato applicando la riduzione, nella misura minima prevista, pari ad un giorno, senza che rilevi l’abbattimento di pena concretamente operato dal giudice (quanto alla disciplina previgente alla L. n. 251 del 2005, v. Sez. 3, n. 14585 del 03/12/2014, dep. 2015, M A, Rv. 263046).
11. Conclusivamente i ricorsi (OMISSIS) e (OMISSIS) sono infondati ed i ricorrenti vanno pertanto condannati al pagamento delle spese processuali.
Il ricorso (OMISSIS) e’ invece inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali.
Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato da (OMISSIS) senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 1.500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Tutti i ricorrenti, come da pedissequo dispositivo, vanno infine condannati alla rifusione delle spese processuali del grado sostenute dalle parti civili.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso di (OMISSIS), che condanna al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1500,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di (OMISSIS) e (OMISSIS) che condanna al pagamento delle spese processuali.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili, (OMISSIS), nella qualita’, e (OMISSIS), che liquida in Euro 4.200,00 complessivi, oltre accessori di legge.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge.
Condanna (OMISSIS) alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile (OMISSIS), che liquida in complessivi Euro 3500,00 oltre accessori di legge
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