La massima
In tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino: la valutazione circa il degrado della facciata del fabbricato è oggetto riservato all’indagine del giudice di merito che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 7 settembre 2012, n. 14992
Svolgimento del processo
1.- C.E. , A.M.C. , M.A. e A.D.M. evocavano in giudizio innanzi al Tribunale di Roma B.A. e G. Esponevano che: erano proprietari di tre appartamenti siti in (…) facenti parte di un villino signorile; nel 1993, B.A. aveva acquistato, formalmente in nome dei figlio minore G. , il piano scantinato del suddetto villino e, modificando successivamente l’immobile acquistato, ne aveva ricavato tre appartamenti distinti, due dei quali erano stati venduti a terzi; durante i lavori era stato abbattuto parte di un muro portante, vi era stato abusivo allaccio di acqua e gas, con conseguente alterazione del decoro dell’immobile.
Lamentavano, dunque, perdita del valore dell’immobile, chiedendo la condanna dei convenuti alla riduzione in pristino dell’immobile nello stato in cui si trovava al momento dell’acquisto; in subordine, chiedevano la condanna del medesimo al risarcimento del danno patrimoniale, consistito nel deprezzamento del fabbricato nonché il danno per lo stress da essi patito.
I convenuti si costituivano, eccependo B.A. il proprio difetto di legittimazione passiva per non essere proprietario dell’immobile; entrambi contestavano la domanda assumendo di non aver commesso abusi, ovvero di averli sanati. In via riconvenzionale, chiedevano la condanna degli attori al risarcimento del danno conseguente alla forzosa impossibilità di vendere il proprio appartamento, stante l’opera di dissuasione da essi posta in essere nei confronti degli acquirenti recatisi a visitare l’immobile nonché il risarcimento del danno biologico sopportato.
Con sentenza n. 42087/02 il Tribunale accoglieva la domanda attrice, disponendo la riduzione in pristino per quanto attiene al muro portante ed ai tubi esterni e riconoscendo, altresì, il risarcimento del danno per il deprezzamento dell’immobile; rigettava la riconvenzionale.
Con sentenza dep. il 3 aprile 2005 la Corte di appello di Roma, in parziale riforma della decisione impugnata dai convenuti, rigettava la domanda di risarcimento del danno proposta dagli attori, mentre confermava la condanna degli appellanti alla riduzione in pristino.
Nel ritenere che la parziale demolizione del muro portante integrasse una innovazione vietata, i Giudici affermavano che poteva presumersi l’indebolimento della struttura per effetto di tale intervento, disattendendo le divergenti conclusioni del consulente tecnico d’ufficio che si era limitato a un esame visivo del muro – riscontrato privo crepe o cavillature negli intonaci – e osservando che, seppure la demolizione era stata parziale, la stessa doveva considerarsi rilevante rispetto alle ridotte dimensioni del muro.
Per quel che riguardava il risarcimento del danno, era esclusa la lesione del decoro architettonico della facciata del fabbricato, perché lo stesso era privo di alcun pregio e perché in effetti vi erano stati -prima delle opere realizzate dai convenuti – una serie di interventi edilizi compiuti dai condomini che avevano realizzato verande, apposto caldaie e tubazioni.
Era escluso che la realizzazione di tre appartamenti ricavati nell’originario scantinato e la maggiore densità abitativa conseguente costituisse fonte di danno, non potendo incidere sul valore dell’edificio che non era una villa contraddistinta da poche unità abitative né, d’altra parte, l’incremento de quo avrebbe potuto determinare il passaggio a un altra categoria catastale, mentre i maggiori costi di manutenzione, determinati dall’aumentato numero di condomini, erano compensati dalla ripartizione fra più condomini.
2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione AM. sulla base di cinque motivi.
Resistono con controricorso gli intimati A.B. , R.G. e G.B. (nelle more divenuto maggiorenne), proponendo ricorso incidentale affidato a due motivi, illustrati da memoria.
Il ricorrente ha proposto controricorso al ricorso incidentale.
Motivi della decisione
Preliminarmente il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti, ex art. 335 cod. proc. civ., perché sono stati proposti avverso la stessa sentenza.
Ricorso principale
1.1.- Il primo motivo denuncia: “Mancato riconoscimento della compromissione del decoro architettonico. Difetto di motivazione con violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c.”.
Censura la sentenza gravata laddove aveva escluso la compromissione del decoro architettonico del fabbricato, osservando che agli atti esisteva la prova che lo stabile fu edificato a seguito di licenza edilizia rilasciata dal Governatore di Roma in data 9.3.1931 ed è di comune scienza che le costruzioni realizzate negli anni ‘20 e negli anni ‘30 sul lungomare di Ostia dovevano conformarsi ai dettami architettonici dello stile “liberty”, e ciò al fine di ottenere un insediamento uniforme e consono alle finalità di sviluppo perseguite. Deduce che era stata apodittica la negazione del pregio architettonico del fabbricato così come immotivati erano stati i riferimenti ai plurimi interventi senza tenere conto della natura, la funzione e l’incidenza di tali interventi.
La Corte di Appello aveva omesso del tutto di considerare l’illiceità del comportamento tenuto dal B. per avere: realizzato opere edilizie senza autorizzazione ed in violazione delle norme di piano regolatore del Comune di Roma; effettuato un cambio di destinazione ed un frazionamento attraverso interventi edilizi iniziati nell’anno 1994, ma falsamente indicati come effettuati nell’anno 1993, al fine di potere usufruire della sanatoria edilizia, cui non aveva diritto ; destinato ad uso abitativo porzioni immobiliari prive dei requisiti previsti dal decreto 9.6.1999 del Ministero della Sanità; realizzato interventi sui muri portanti con attentato alla stabilità del fabbricato ed alla sicurezza di chi vi abita, mediante l’apertura di un varco nel muro di spina, oltre che di una finestra nel muro pieno che volge verso l’esterno; realizzato impianti di riscaldamento senza il rispetto delle disposizioni legislative in materia e senza la idonea canna fumaria progettata in conformità delle norme UNI 7129/92 e art. 5 del D.P.R. 412/93, con attentato alla salute di coloro che abitano nelle unità immobiliari contigue.
1.2.- Il secondo motivo lamenta “Pretesa insussistenza del danno.
Omessa ed insufficiente motivazione sul punto. Violazione dell’art. 360, primo comma, n. 5?.
Censura la sentenza impugnata laddove aveva escluso che non vi fosse stata compromissione dei diritti degli altri condomini in conseguenza dell’aumentato numero di unità immobiliari, non avendo considerato l’usura cui inevitabilmente le parti comuni sono soggette in presenza di un più intenso utilizzo, in presenza di più persone.
Osserva che il diritto di proprietà si esplica nella libertà del proprietario di potere utilizzare o non utilizzare il proprio bene ma che tale principio in una comunione si confronta e si integra con il rispetto degli altrui diritti e delle altrui volontà per cui un maggior numero di proprietari (otto anziché cinque) viene anche a restringere lo spazio di libertà e lo stesso diritto di proprietà in quanto pone il singolo condomino in relazione ad un maggiore numero di soggetti ed altera anche le maggioranze previste dalla legge.
Inoltre, nella specie, le unità realizzate, proprio per la loro natura (dimensioni ridotte e la collocazione al piano seminterrato), sono destinate ad essere abitate da persone di più precarie condizioni economiche, circostanza che, come nel caso di specie, fa si che vi sia una conseguente opposizione a qualsiasi spesa, sia ordinaria che straordinaria. La CTU, richiamata dai Giudici non conteneva alcun riferimento alla problematica dell’aumento delle unità immobiliari. La sentenza impugnata aveva altresì omesso di motivare l’assunto secondo cui non appariva suffragato il giudizio del consulente di parte appellata, che aveva indicato come l’aumento delle unità immobiliari comportasse un declassamento della categoria catastale, tenuto conto che il classamento viene operato sulla base dei criteri fissati dalla legge e, quindi, secondo le indicazioni del Regio Decreto Legge 13.4.1939 n. 56, in base al quale il villino che ci occupa, essendo passato da cinque ad otto unità non rispetta più i parametri che ne permettevano la classificazione nella categoria A/7 relativa appunto alle costruzioni a villino. Il che si traduceva in un deprezzamento dei singoli immobili.
1.3.- Il terzo motivo denuncia: “Compromissione del decoro architettonico del fabbricato. Omessa considerazione di punti decisivi della causa e violazione e falsa applicazione di norme di diritto. Violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”.
Deduce che, oltre a quanto già detto con il primo motivo, la sentenza gravata aveva omesso di considerare alcuni punti di sicura rilevanza ai fini dell’accertamento della compromissione del decoro architettonico perpetrata attraverso gli interventi edilizi posti in essere dai sigg.ri B. In particolare era stato omesso di considerare che la creazione di tre unità immobiliari in un piano seminterrato privo di affacci, di cortili e terrazzi, fa si che coloro che vi abitano siano necessitati ad utilizzare le unità immobiliari senza il dovuto rispetto delle norme regolamentari e di legge, esponendo nelle parti comuni e dietro le prese d’aria indumenti ed oggetti che rendono il complesso edilizio non già un villino di categoria A/7 ma una residenza ultrapopolare;non era stato tenuto conto di quanto dedotto dagli appellati e cioè che bene le tubazioni aggiuntive potevano essere poste in opera in maniera sottotraccia ovvero con accorgimenti che scongiurassero, o quanto meno contenessero, il vulnus al decoro architettonico inferto dall’intervento edilizio posto in essere dal B. La sentenza impugnata aveva poi omesso di considerare che la situazione preesistente all’intervento operato dal sig. B. non era dovuta ad interventi posti in opera dagli appellati, ma da una situazione creata dall’unico precedente proprietario, di talché lo stato del fabbricato al momento della alienazione originariamente effettuata dalle sigg.re S. , permetteva la legittima aspettativa dei proprietari delle singole unità immobiliari di vedere rispettato quel quadro architettonico all’epoca esistente. La condotta tenuta dai convenuti non poteva essere giustificata dalla preesistenza di altro atto o fatto che non aveva di per sé comportato una compromissione del decoro architettonico.
1.4.- Il quarto motivo lamenta “Pretesa insussistenza del danno. Omessa valutazione di elementi decisivi ed erronea applicazione di norme di diritto. Violazione dell’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.”.
Deduce che la Corte territoriale aveva omesso considerare che la realizzazione delle tre unità immobiliari dall’originario scantinato aveva infatti arrecato un sicuro aggravio sulle parti comuni: la mancata valutazione al riguardo configurava la violazione di omessa motivazione, e di omesso accertamento della violazione del diritto del ricorrente di non sentirsi gravato delle maggiori spese per il mantenimento e la ricostruzione di parti comuni o di elementi atti a fornire un servizio comune. La sentenza impugnata non aveva considerato che la mancanza delle condizioni igieniche, quali l’allaccio ad una canalizzazione di smaltimento di fumi ed odori, comportava la violazione del diritto degli altri condomini di non dover subire immissioni di fumi ed odori che compromettono l’utilizzo delle loro unità immobiliari e conseguentemente ne diminuiscono il valore. I Giudici non avevano tenuto conto che l’appellante si era allacciato alle utenze condominiali senza autorizzazione e aveva installato dei sub contatori all’interno degli appartamenti; la rete fognaria era stata oggetto di abusiva manomissione con allaccio alle unità realizzate.
2.- Vanno esaminati congiuntamente il primo e il terzo motivo, stante la stretta connessione: le censure sono infondate.
Occorre premettere in tema di condominio, non può avere incidenza lesiva del decoro architettonico di un edificio un’opera modificativa compiuta da un condomino, quando sussista degrado di detto decoro a causa di preesistenti interventi modificativi di cui non sia stato preteso il ripristino: la valutazione circa il degrado della facciata del fabbricato è oggetto riservato all’indagine del giudice di merito che è insindacabile in sede di legittimità se adeguatamente motivato.
Nella specie, la sentenza con motivazione immune da vizi logici o giuridici, ha evidenziato come le originarie linee della facciata erano state stravolte dai diversi interventi che nel corso degli anni erano stati effettuati dai singoli condomini con la realizzazione di verande, apposizioni di tubazioni con colori differenti.
Per quel che riguarda le violazioni indicate nel primo motivo le stesse sono di natura amministrativa e non concretano di per sé la violazione di un diritto soggettivo degli attori. Orbene, le critiche formulate dalle ricorrenti non sono idonee a scalfire la correttezza e la congruità dell’iter logico giuridico seguito dalla sentenza: le censure lamentate, in realtà, non denunciano un vizio logico della motivazione ma si concretano in argomentazioni volte a sostenere – attraverso la disamina e la discussione delle prove raccolte – l’erroneo apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dai giudici laddove, in contrasto con quanto sarebbe emerso dalle prove, era stata esclusa la compromissione del decoro architettonico denunciata dagli attori. Al riguardo, va sottolineato che il vizio deducibile ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. deve consistere in un errore intrinseco al ragionamento del giudice che deve essere verificato in base al solo esame del contenuto del provvedimento impugnato e non può risolversi nella denuncia della difformità della valutazione delle risultanze processuali compiuta dal giudice di merito rispetto a quella a cui, secondo il ricorrente, si sarebbe dovuti pervenire: in sostanza, ai sensi dell’art. 360 n. 5 citato, la (dedotta) erroneità della decisione non può basarsi su una ricostruzione soggettiva del fatto che il ricorrente formuli procedendo a una diversa lettura del materiale probatorio, atteso che tale indagine rientra nell’ambito degli accertamenti riservati al giudice di merito ed è sottratta al controllo di legittimità della Cassazione che non può esaminare e valutare gli atti processuali ai quali non ha accesso, ad eccezione che per gli errores in procedendo (solo in tal caso la Corte è anche giudice del fatto).
3.- Vanno esaminati congiuntamente il secondo e il quarto motivo, stante la stretta connessione: le censure sono infondate.
Con riferimento al rigetto della domanda di danni che sarebbero conseguenti al deprezzamento dell’immobile per effetto degli appartamenti realizzati dai convenuti, la Corte ha esaminato e tenuto conto della aumenta densità abitativa anche relativamente alle maggiori spese di manutenzione – e, quindi, implicitamente alla maggiore usura derivante facendo riferimento non soltanto ai vantaggi derivanti dalla ripartizione fra un numero maggiore di condomini ma anche al non rilevante incremento subito dall’edificio che non è un villa ma è costituito da un popoloso condominio costituito da molti piani e numerosi appartamenti. D’altra parte, va pure considerato che il valore di un immobile si determina in base alle quotazioni di mercato che evidentemente tengono conto dell’ubicazione e delle caratteristiche obiettive dell’immobile. In effetti, anche sotto il profilo in esame, i motivi si risolvono nella censura dell’apprezzamento delle risultanze processuali, sollecitando un inammissibile riesame del merito.
4. Il quinto motivo (erronea regolazione delle spese; erronea e falsa applicazione di norme di diritto), denuncia l’erronea e ingiusta compensazione delle spese processuali, tenuto conto che il contenzioso era stato determinato dal comportamento tenuto dai convenuti che avevano costretto gli attori ad agire a tutela dei loro diritti.
4.1.- Il motivo è infondato.
Ai sensi dell’art. 92, secondo comma, cod. proc. civ., pure nel testo applicabile “ratione temporis” prima della modifica introdotta dall’art. 2, comma 1, lett. a), della legge 28 dicembre 2005 n. 263, la scelta di compensare le spese processuali è riservata al prudente, ma quanto accertato dal consulente d’ufficio e che i Giudici in modo illogico avevano disatteso. Il consulente non aveva fatto alcun riferimento fra apertura del varco e dimensioni del muro. Al riguardo andavano considerati gli effetti che l’ordine di ripristino avrebbe comportato, posto che gli appartamenti realizzati dai convenuti erano stati venduti a terzi. Eventualmente, i Giudici avrebbero dovuto richiamare il consulente a chiarimenti. La sentenza aveva invertito l’onere della prova circa la compromissione statica che gli attori avrebbero dovuto dimostrare e che non avevano provato.
1.3.- I motivi, che vanno trattati congiuntamente stante la loro connessione, sono infondati.
La sentenza impugnata ha esaminato e valutato quanto al riguardo era stato esposto nella relazione del consulente d’ufficio ma, nell’ambito dell’apprezzamento critico che il giudice di merito deve compiere delle risultanze processuali e quindi evidentemente anche delle conclusioni e delle argomentazioni dell’ausiliario, ha con motivazione immune da vizi logici o giuridici disatteso quanto ritenuto dal consulente, osservando che il tecnico si era limitato a un indagine estremamente superficiale (meramente visiva) del muro il quale era, peraltro, un muro portante : pertanto, in considerazione della natura del muro e in base a una massima di comune esperienza, ha ritenuto provato l’indebolimento permanente della struttura, correttamente determinando gli effetti causalmente collegabili all’intervento, tenuto conto dell’incidenza – sulla funzione statica svolta dal manufatto – dell’apertura anche in relazione alle complessive dimensioni ridotte del muro medesimo; la già ricordata funzione statica del muro portante in questione rende del tutto inconferenti i principi della giurisprudenza di legittimità richiamati in tema di apertura di varchi nel muro perimetrale condominiale.
Rientra nei poteri del giudice di merito valutare se ricorre la necessità o l’opportunità di sentire a chiarimenti il consulente; ogni altra considerazione circa gli effetti del ripristino appare del tutto ultronea, una volta che è stata accertata la illegittimità della demolizione del muro comune la quale, incidendo sulla destinazione dello stesso, integrava una innovazione vietata ex art. 1120 cod. civ. Anche il ricorso incidentale va rigettato.
Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese della presente fase, attesa la reciproca soccombenza.
P.Q.M.
Riunisce i ricorsi e li rigetta. Compensa spese.
Depositata in Cancelleria il 07.09.2012
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