Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 26 novembre 2012, n. 20893
Presidente Mazzacane – Relatore Correnti
Svolgimento del processo
M.N. proponeva opposizione al d.i. per lire 7.501.489 concesso dal Tribunale di Forlì alla snc falegnameria P. F.e S. sulla base di copia commissione e bolla di consegna relativa a fornitura di mobili esponendo che gli stessi non corrispondevano a quanto ordinato per materiale e colore, come tempestivamente lamentato, posto che si era pattuito legno pino di Svezia mentre erano in parte in laminato e di colore diverso dai mobili con i quali dovevano accompagnarsi.
Invano era stata promessa la sostituzione della cucina inutilizzata ed a disposizione della venditrice.
Resisteva l’opposta.
Concessa l’esecutorietà ed istruita la causa, con sentenza 12.5.2001 veniva respinta l’opposizione mentre la Corte di appello di Bologna con sentenza 1214/2005, revocava il d.i., dichiarava risolto il contratto per inadempimento dell’opposta, condannata al ritiro della merce, alla restituzione di quanto percepito ed alle spese, valutando le testimonianze, il tenore letterale della commissione “cucina in pino di Svezia” e tenuto conto del criterio della buona fede.
Ricorre falegnameria F. P. F. e S. & C. snc ora Arredamenti P.F. & C. snc con sei motivi, resiste M.
Le parti hanno presentato memorie.
Motivi della decisione
Col primo motivo si deduce erronea e contraddittoria motivazione per giustificare l’attendibilità del teste C.D.
Col secondo motivo si lamentano vizi di motivazione sempre in ordine alla presenza del teste D. alla contrattazione concretatasi nell’ordine/commissione.
Col terzo motivo si lamenta violazione degli artt. 1366 e 1371 perché, se il giudice intendeva interpretare la volontà contrattuale delle parti, doveva vagliare anche le qualità personali.
Col quarto motivo si denunzia violazione degli artt. 1453 e 1455 cc in ordine all’importanza dell’inadempimento, posto che le parti in laminato non erano visibili. Col quinto motivo si lamenta violazione degli artt. 115 cpc e 2697 cc per avere la Corte trascurato che il M. non aveva mai provato di non aver utilizzato la cucina che, a suo dire, giacerebbe inutilizzata nella sua tavernetta ormai da 13 anni. Col sesto motivo si deduce omessa motivazione sull’esistenza di un contratto misto per la fornitura di molteplici beni, non contestati. Le censure non meritano accoglimento.
La Corte di appello ha determinato l’oggetto del contratto in una cucina in pino di Svezia, come specificato dal tenore letterale della commissione ed ha richiamato e valutato le testimonianze, come elemento ulteriore, dando luogo ad una interpretazione sistematica.
Non sono, pertanto, decisive le critiche contenute nei primi due motivi mentre, relativamente al terzo va osservato che l’opera dell’interprete, mirando a determinare una realtà storica ed obiettiva, qual è la volontà delle parti espressa nel contratto, è tipico accertamento in fatto istituzionalmente riservato al giudice del merito, censurabile in sede di legittimità soltanto per violazione dei canoni legali d’ermeneutica contrattuale posti dagli artt. 1362 ss. CC, oltre che per vizi di motivazione nell’applicazione di essi; pertanto, onde far valere una violazione sotto entrambi i due cennati profili, il ricorrente per cassazione deve, non solo fare esplicito riferimento alle regole legali d’interpretazione mediante specifica indicazione delle norme asseritamente violate ed ai principi in esse contenuti, ma è tenuto, altresì, a precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito siasi discostato dai canoni legali assuntivamente violati o questi abbia applicati sulla base di argomentazioni illogiche od insufficienti.
Di conseguenza, ai fini dell’ammissibilità del motivo di ricorso sotto tale profilo prospettato, non può essere considerata idonea – anche ammesso ma non concesso lo si possa fare implicitamente – la mera critica del convincimento, cui quel giudice sia pervenuto, operata, come nella specie, mediante la mera ed apodittica contrapposizione d’una difforme interpretazione a quella desumibile dalla motivazione della sentenza impugnata, trattandosi d’argomentazioni che riportano semplicemente al merito della controversia, il cui riesame non è consentito in sede di legittimità (e pluribus, da ultimo, Cass. 9.8.04 n. 15381, 23.7.04 n. 13839, 21.7.04 n. 13579, 16.3.04 n. 5359, 19.1.04 n. 753).
Ad ulteriore specificazione del posto principio generale d’ordinazione gerarchica delle regole ermeneutiche, il legislatore ha, inoltre, attribuito, nell’ambito della stessa prima categoria, assorbente rilevanza al criterio indicato nel primo comma dell’art. 1362 CC eventualmente integrato da quello posto dal successivo art. 1363 CC per il caso di concorrenza d’una pluralità di clausole nella determinazione del pattuito – onde, qualora il giudice del merito abbia ritenuto il senso letterale delle espressioni utilizzate dagli stipulanti, eventualmente confrontato con la ratio complessiva, idoneo a rivelare con chiarezza ed univocità la comune volontà degli stessi, cosicché non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l’intento effettivo dei contraenti – ciò che è stato fatto nella specie dalla corte territoriale, con considerazioni sintetiche ma esaustive – detta operazione deve ritenersi utilmente compiuta, anche senza che si sia fatto ricorso al criterio sussidiario del secondo comma dell’art. 1362 CC, che attribuisce rilevanza ermeneutica al comportamento delle parti successivo alla stipulazione (Cass. 4.8.00 n. 10250, 18.7.00 n. 9438, 19.5.00 n. 6482, 11.8.99 n. 8590, 23.11.98 n. 11878, 23.2.98 n. 1940, 26.6.97 n. 5715, 16.6.97 n. 5389).
Il riferimento alle qualità personali si ritorce contro perché l’espressione cucina in legno di pino di Svezia non può che avere per il cliente un significato univoco.
Il quarto motivo non tiene conto che la valutazione dell’importanza e della gravità dell’inadempimento è prerogativa del Giudice di merito, il quinto omette di considerare che l’onere della prova riguarda le circostanze oggetto della domanda con l’ulteriore rilievo che l’opposto è attore in senso sostanziale, mentre l’eventuale utilizzazione della cucina potrebbe essere fatta valere in sede di esecuzione; il sesto motivo è contraddetto dalla indicazione della copia commissione e prospetta questioni nuove.
In definitiva il ricorso va rigettato, con la conseguente condanna alle spese.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese liquidate in Euro 1700 di cui 1500 per compensi, oltre accessori.
Depositata in Cancelleria il 26.11.2012
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