Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza del 23 novembre 2012, n. 20731
Svolgimento del processo
La Banca di (…) di (…) s.c. a r.L, conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Gorizia, la D., di Z. F.e C. s.a.s. per sentirla condannare al pagamento della somma di lire 100.000.000 a titolo di risarcimento dei danni da risoluzione di diritto per inadempimento di un contratto preliminare di permuta, stipulato con scrittura privata del 23.4.1997, con conguaglio in denaro di lire 25.000.000, di una porzione di un lastrico solare di un immobile sito a Grado, con un posto auto sito al piano terra del confinante edificio di proprietà della stessa D. s.a.s..
La società convenuta resisteva in giudizio sostenendo che il contratto non individuava il posto auto oggetto di pattuizione, né il conguaglio coincideva con quello preteso dall’attrice in base alle precedenti trattative, nel corso delle quali la D. si era riferita ad un posto macchina del valore di lire 35.000.000, sicché, in sostanza, il contratto definitivo non era stato stipulato per la mancata individuazione dell’oggetto.
Il Tribunale accoglieva in parte la domanda, condannando la D. s.a.s. al risarcimento del danno, che quantificava in Euro 38.734,26.
Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Trieste, con sentenza n.121/06 pubblicata il 9.3.2006, che sull’impugnazione della D. s.a.s. rigettava la domanda.
Riteneva la Corte territoriale che la dedotta promessa di permuta non trovava alcun riscontro nella documentazione assuntavi a base, poiché sia la prima lettera dell’I 1.7.1996, con la quale la D. aveva formulato l’iniziale proposta, sia la successiva del 4.9.1996 con cui la Banca aveva chiesto alcuni chiarimenti, ed ancora quella del 20.9.1996, di risposta della D. e quella del 23.4.1997 proveniente dalla Banca, che vi aveva attribuito, in ragione dell’accettazione della D. , valenza contrattuale, contenevano chiari riferimenti a due distinti contratti di vendita, uno avente ad oggetto il posto auto, l’altro il lastrico solare, e di fronte a tali univoche espressioni nulla autorizzava a ritenere che le parti volessero stipulare il diverso contratto di permuta dei due immobili con conguaglio in denaro. Se era vero, proseguiva la Corte triestina, che la citata documentazione doveva essere letta in un’ottica unitaria, essendo il suo contenuto espressione di un complessivo assetto negoziale che entrambe le parti intendevano raggiungere, non poteva per ciò solo ritenersi che con la sottoscrizione per accettazione della lettera 23.4.1997 si fosse concluso il contratto di vendita, sia pure con il solo effetto obbligatorio, data la soggezione dei beni al regime tavolare. Infatti, in tale lettera mancava l’individuazione del requisito essenziale del prezzo di vendita del posto auto, non ricavabile attraverso l’indicazione della somma di lire 25.000.000, giacché le vendite oggetto del previsto regolamento negoziale erano due e nulla consentiva di ritenere che – come invece affermato dal giudice di primo grado – tale somma fosse il risultato della sottrazione dall’originario prezzo di lire 35.000.000 richiesto dalla D. , della somma di lire 10.000.000 concernente il prezzo della vendita della porzione del lastrico solare.
Concludeva la Corte territoriale nel senso che la lettera del 23.4.1997, per il suo contenuto e per l’assenza in essa di qualsiasi espresso riferimento alla volontà di obbligarsi al trasferimento della proprietà dei due immobili, non eccedesse un mero atto preparatorio, indicante semplici intese sulle condizioni ivi espresse in vista dei futuri due contratti di vendita.
Per la cassazione di detta sentenza la Banca di (…) di (…) propone ricorso, affidato a otto motivi.
Resiste con controricorso la D. , di Z. F. e C. s.a.s..
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. per aver la Corte d’appello affrontato, incorrendo nel vizio di ultrapetizione, la questione relativa alla qualificazione del contratto ancorché questa non fosse stata oggetto di specifico motivo d’impugnazione da parte della D. s.a.s. e su di essa si fosse, pertanto, formato il giudicato interno.
Parte ricorrente correda il motivo con il seguente quesito di diritto, ai sensi dell’art.366-bis c.p.c.: “il giudice d’appello incorre in violazione dell’art. 112 c.p.c. qualora decida una controversia concernente il mero risarcimento del danno da inadempimento in base ad una diversa qualificazione del negozio giuridico dedotto dall’attore e non contestato dal convenuto neanche con specifica censura della sentenza appellata?”.
2. – Il secondo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c. nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione sull’individuazione dei beni oggetto del contratto.
Proprio la lettura unitaria della documentazione versata in causa, evidenza, a giudizio della parte ricorrente, che il primario interesse delle parti era rivolto, dal lato della Banca di (…) di (…), all’acquisizione del posto auto, e dall’altro lato, all’acquisto del lastrico solare. Ciò avrebbe dovuto indurre la Corte triestina ad abbandonare il criterio d’interpretazione meramente letterale ritenendo conclusa non una compravendita, ma un contratto preliminare di permuta con conguaglio in denaro.
Segue il quesito: “nell’interpretazione dei contratti ex art.1362 c.c. e segg., deve darsi comunque prevalenza al criterio ermeneutico letterale quando le espressioni letterali utilizzate dai soggetti negoziali risultano, in tutto o in parte, difformi rispetto all’assetto di interessi dagli stessi voluto così come accertato dal giudice e desumibile dal loro comportamento complessivo?”.
3. – Col terzo motivo è dedotta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, costituito dalla concorde volontà delle parti.
Secondo la parte ricorrente le censure precedenti evidenziano che il ricorso al solo criterio interpretativo letterale, oltreché illegittimo, risulta motivato in maniera insufficiente e contraddittoria nella sentenza impugnata.
4. – Il quarto motivo deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 c.c., 1470 e 1552 e segg. c.c.
Corollario dei motivi sopra esposti, sostiene parte ricorrente, è il ricorso ai criteri interpretativi sussidiari e in particolare a quello di buona fede, in quanto evidentemente più consono, siccome rivolto a individuare il contenuto del contratto su cui le parti potevano e dovevano fare ragionevole affidamento, stante la prevalenza degli elementi della permuta.
Al motivo accede il seguente quesito: “in applicazione dei criteri ermeneutici di cui agli artt. 1362 e segg. c.c., è qualificabile quale permuta (o preliminare di permuta) con conguaglio in denaro il negozio in cui risulti accertato che al centro della volontà delle parti vi era il reciproco trasferimento del diritto di proprietà su determinati beni?”.
5. – Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1346, 1418 e 1552 e segg. c.c. nonché l’omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto controverso e decisivo ai fini del giudizio, costituito dal lastrico solare quale oggetto di permuta.
La Corte territoriale, deduce parte ricorrente, è incorsa in un lapalissiano errore dal momento che, al contrario di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, il conguaglio era determinato, e pari a 25 milioni del vecchio conio, e il lastrico solare era stato prontamente individuato dalle parti mediante scambio delle planimetrie tra i contraenti, con specificazione delle rispettive proprietà e delle porzioni da trasferire.
Le attività di cui ai docc. 1 e 7 della produzione della Banca di (…), ossia l’esecuzione di un muretto e lo spostamento di una canna fumaria, lungi dal configurarsi come costi secondo la definizione del giudice d’appello, sono in realtà collegate all’uso che la D. intendeva fare del lastrico solare acquisito, cioè adibirlo a terrazza. Tali attività non sono accessorie, né partecipano al significato economico e funzionale del sinallagma, e ad ogni modo, anche ammettendo, senza tuttavia concedere, che quelle attività riguardassero il sinallagma contrattuale, non è dato di comprendere in base a quale ragionamento della Corte esse incidano sul valore del conguaglio rendendolo indeterminato.
Segue il quesito: “in un contratto preliminare di permuta con conguaglio di denaro, si qualificano accessorie le prestazioni di una pur te che si concretano in attività rivolte a regolarizzare la modifica dell’originaria destinazione del bene acquisito per un suo specifico interesse? In un contratto preliminare di permuta con conguaglio in denaro, il valore delle suddette attività quali prestazioni accessorie può essere anche indeterminato senza incorrere nella nullità di cui agli artt. 1346 e 1418, comma 2 c.c.?”.
6. – Il sesto motivo lamenta l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul prezzo della (negata) compravendita.
Se, stando a quanto ritenuto dalla Corte territoriale, il contratto in questione era da ritenersi un preliminare di vendita, la somma di lire 25 milioni non potrebbe che riferirsi al prezzo del posto auto, tanto essendo desumibile da tutta la pregressa corrispondenza fra le parti, richiamata nell’incipit dell’ultima nota (doc. 1 produzione Banca di …), ove si arguisce facilmente che esso è il bene con il valore più elevato. Appare quindi evidente la contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata, poiché la Corte territoriale, pur affermando correttamente la necessità di una lettura unitaria di tutta la documentazione di causa, non ha avvertito che il prezzo della negata compravendita del posto auto è desumibile dalla stessa (e particolarmente dai docc. 1 e 7 della produzione della Banca).
7. – Il settimo motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt.1362 e segg., 1346, 1418, comma 2, e 1470 c.c., nonché ulteriori profili di omessa, contraddittoria ed insufficiente motivazione sull’esatta determinazione del prezzo della (negata) compravendita.
Pur continuando a negare che nell’ipotesi in oggetto siano ravvisabili gli estremi di una vendita, parte ricorrente desume la violazione delle norme indicate da ciò, che dalla lettura del punto e) del doc. 7 della produzione della Banca si evince che sin dall’origine delle trattative la D. si era assunta tutti gli oneri, peraltro in conformità col disposto dell’art. 1475 c.c. che, salvo patto contrario, li pone a carico dell’acquirente. Di conseguenza, poiché tali esborsi non concorrono alla formazione del prezzo e il ricorso al solo dato letterale non è stato minimamente argomentato dal giudice per supportare la diversa ipotesi sostenuta in sentenza, appare evidente tanto il difetto di motivazione, quanto la conseguente violazione degli articoli di legge sopra individuati.
Segue il quesito: “in un contratto preliminare di compravendita la mancata determinazione delle spese di vendita e degli altri oneri determina nullità del contratto ai sensi degli artt. 1346 e 1418 comma 2 c.c. ?”.
8. – Con l’ottavo motivo si deduce l’insufficiente e contraddittoria motivazione sull’avvenuta stipulazione del contratto.
La Corte triestina ha preso in considerazione solo una parte dell’incipit dell’ultima nota (doc. 1) senza spiegare per quale ragione non assume la medesima valenza il richiamo espresso a tutto lo scambio epistolare precedente contenuto nella medesima nota, contenente nel complesso tutti gli elementi del contratto preliminare. In secondo luogo, la Corte d’appello non ha tenuto in minima considerazione che nell’ultima nota si richiede espressamente la firma per accettazione, espressione, questa, che è usata nella prassi proprio per manifestare l’adesione a una proposta. Infine, la Corte d’appello, ipotizzata come alternativa la stipula di un preliminare di permuta con conguaglio in denaro, avrebbe dovuto spiegare perché anche in tale seconda ipotesi l’accordo non potesse ritenersi concluso.
9. – Tutti i motivi d’impugnazione sono inammissibili.
9.1. – Il primo – depurato il quesito di diritto del vano riferimento al tipo di azione esercitata, di per sé affatto ininfluente sulla quaestio iuris dedotta non coglie neppure la ratio decidendi della decisione impugnata.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, il vizio di extrapetizione o di ultrapetizione ricorre solo quando il giudice, interferendo nel potere dispositivo delle parti e pronunciando oltre i limiti del petitum e delle eccezioni hinc et inde dedotte, ovvero su questioni che non siano state sollevate e che non siano rilevabili d’ufficio, attribuisca alla parte un bene non richiesto, e cioè non compreso nemmeno implicitamente o virtualmente nella domanda proposta. Ne consegue che tale vizio deve essere escluso qualora il giudice, contenendo la propria decisione entro i limiti delle pretese avanzate o delle eccezioni proposte dalle parti, e riferendosi ai fatti da esse dedotti, abbia fondato la decisione stessa sulla valutazione unitaria delle risultanze processuali, pur se in base ad argomentazioni o considerazioni non prospettate dalle parti medesime (Cass. nn. 2297/11, 21745/06 e 1440/80).
9.1.1. – Nel caso in esame, la Corte d’appello non ha modificato, né per sottrazione, né per incremento, le componenti oggettive della pretesa azionata, ed è pervenuta al rigetto della domanda non già per effetto di una diversa qualificazione del rapporto sostanziale dedotto in giudizio, ma in virtù del fatto che come non vi erano elementi per ritenere configurabile nella corrispondenza intercorsa fra le parti gli estremi della formazione di un contratto preliminare di permuta (v. pag. 6 della sentenza impugnata), così neppure poteva ritenersi raggiunta la prova dell’avvenuto perfezionamento di un contratto, sia pure soltanto obbligatorio, di vendita (v. pag. 7 sentenza impugnata).
In altri termini, la Corte giuliana non ha riqualificato il rapporto così come accertato, nei suoi profili storici e contenutistici, dal giudice di prime cure, ma ha escluso proprio e soltanto la possibilità di ricavare dai fatti secondari la conclusione di un valido contratto, vuoi di permuta, vuoi di vendita. Si legge, infatti, nella sentenza impugnata (v. pagg. 8 e 9) che “… sia che la citata scrittura del 23.4.1997 costituisca un contratto di vendita, oppure un preliminare di vendita, si sarebbe in presenza di un contratto nullo, per mancanza, nell’oggetto, del requisito della determinatezza o determinabilità di cui all’art. 1346 c.c. (ex art. 1418, secondo comma, c.c.), e, trattandosi di una nullità riguardante il fatto costitutivo della domanda, essa va rilevata d’ufficio. Ad analoghe conclusioni, poi, deve giungersi quand’anche si ritenesse che le parti abbiano stipulato, come ha sostenuto la B.C.C., un preliminare di permuta, con conguaglio di denaro: anche in tal caso, infatti, mancherebbe qualsiasi riferimento all’ammontare esatto del conguaglio dovuto (dato che la somma di L. 25.000.000 era comprensiva di una serie di costi assolutamente non determinati o determinabili, sicché, in definitiva, tale incertezza si riverbera anche sull’ammontare del conguaglio), ed inoltre mancherebbero gli elementi necessari per l’esatta individuazione di uno dei beni immobili promessi in permuta, cioè della porzione di lastrico solare, che non risulta individuata, né individuabile, neanche attraverso l’iniziale proposta della D. s.a.s., posto che i disegni cui essa fa riferimento non sono stati prodotti in atti”.
E ad ulteriore conferma che le parti non avevano stipulato, in realtà, nessun contratto, la Corte territoriale ha concluso nel senso che “… il documento su cui si è fondata la decisione (s’intende, di primo grado: n.d.r.), cioè la lettera del 23.04.97, quand’anche sottoscritto “per accettazione” dalla D. s.a.s., non ha l’indicata valenza di contrattò” (v. pag. 9 sentenza impugnata).
10. – Tutti gli altri motivi soffrono di una carente formulazione del quesito di diritto prescritto dall’art. 366 bis c.p.c., ovvero di un adeguato momento di sintesi delle ragioni poste a base del dedotto vizio motivazionale.
10.1. – Pur senza pretendere dalla parte il dispiego di forme e termini propri di una corretta massimazione, deve ritenersi che il quesito di cui all’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis al ricorso in esame) debba essere formulato attraverso una comprensibile sintesi logico-giuridica della questione, così da consentire al giudice di legittimità di enunciare una regula iuris dotata di propria valenza semantica, completa nei referenti normativi o nei principi generali presupposti, chiara nei limiti applicativi delineati e astrattamente esportabile in una molteplicità di casi ulteriori rispetto a quello deciso dalla sentenza impugnata (così, in motivazione, Cass. n. 6594/12).
10.2. – Nella fattispecie, la ricorrente, sulla premessa – del tutto autoreferenziale, perché non verificabile in questa sede dati i limiti interni del sindacato di legittimità – di un’erronea valutazione dei fatti di causa da parte del giudice d’appello, per non aver questi apprezzato determinai circostanze di fatto in maniera conforme alle aspettative della stessa parte, sollecita risposte ad interrogativi sostanzialmente retorici (o addirittura incomprensibili, come nel caso del quesito che conclude il quinto motivo), consistenti nel domandare se le norme denunciate possano essere interpretate in maniera vistosamente difforme dal loro senso esplicito. Tale modalità di formulazione – che si traduce in una vana captatio responsionis – contrasta con lo spirito e con la funzione del quesito ex art.366 bis c.p.c., volto ad esaltare la funzione nomofilattica della Corte di cassazione facilitando l’individuazione della questione di diritto sottoposta ad essa, e mal cela il tentativo di proporre una rilettura di puro merito della controversia.
10.2.1. – Quanto alle censure veicolate sub art.360, n.5 c.p.c., va rilevato, infine, che ai sensi dell’art.366 bis, seconda ipotesi, c.p.c., non è sufficiente l’indicazione del fatto controverso e decisivo (omesso il quale, il motivo neppure sarebbe riconducibile al vizio di motivazione), essendo necessario operare una sintesi dei rilievi di carattere logico-giuridico attraverso i quali si coglie la disfunzione del ragionamento svolto nella sentenza impugnata (cfr. in materia, Cass. S.U. n. 16528/08), disfunzione che, a sua volta, non può che essere interna alla stessa logica della decisione e non già frutto di un confronto esterno tra questa e le risultanze di causa.
E nella specie, non solo la sintesi, ma anche la sola allegazione dei rilievi critici è del tutto carente nelle censure mosse, essendo queste ultime basate unicamente sulla prevalenza che la parte ricorrente attribuisce a determinate circostanze di fatto rispetto a quelle, di segno opposto, valorizzate dalla Corte territoriale.
11. – In conclusione il ricorso va respinto.
12. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.
Depositata in Cancelleria il 23.11.2012
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