Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 30 aprile 2015, n. 8824
Svolgimento del processo
P.E. con ricorso ex art. 1137 cc., ritualmente notificato conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Roma il Condominio di via (…) n. 170 Roma, per sentire dichiarare la nullità delle delibere condominiali assunte in data 27 marzo 1998 e 23 aprile 1999 perché, pur essendo condomina del predetto condominio non era stata convocata e in via subordinata il criterio legale di riparto delle spese.
Si costituiva il Condominio eccependo che la P. non aveva mai notificato la sua qualità, risultando al Condominio che i locali interrati erano di proprietà di S.P. marito della P. che era stato sempre convocato. In merito al riparto delle spese deduceva che erano state ripartite in conformità al Regolamento condominiale e concludeva chiedendo il rigetto della domanda.
Il Tribunale di Roma con sentenza n. 25436 del 2002 rigettava la domanda dell’attrice e condannava la stessa al pagamento delle spese di lite. Avverso tale sentenza proponeva appello la P. per un motivo . Si costituiva anche in questa fase il Condominio chiedendo il rigetto dell’appello perché infondato.
La Corte di appello di Roma con sentenza n. 3729 del 2008 rigettava l’appello e condannava la stessa al pagamento delle spese del grado. Secondo la corte capitolina dalla documentazione acquista agli atti del processo risultava che alla riunione condominiale aveva sempre partecipato il marito dell’appellante, comportandosi come titolare del diritto di proprietà dei locali posti nel condominio, e la P. non aveva mai comunicato di essere lei l’effettiva proprietaria ingenerando con il suo comportamento il ragionevole convincimento negli organi condominiali che il di lei marito fosse l’effettivo’ proprietario dei locali di cui si dice.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da P.E. con ricorso affidato ad un motivo, illustrato con memoria. Il Condominio di via Cardano n. 170 Roma ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. È pregiudiziale l’esame della eccezione di inammissibilità proposta dal controricorrente per tardività della notifica del ricorso.
1.1. L’eccezione è infondata.
Va qui premesso che il ricorso è stato notificato a mezzo del servizio postale dallo stesso procuratore della ricorrente (omissis), il quale, essendone autorizzato dal Consiglio dell’Ordine, si è avvalso della facoltà concessagli dalla legge 21 gennaio 1994 n. 53. La notifica è stata effettuata a mezzo del servizio postale per cui, ai sensi dell’art. 3 c. 3 della citata legge, per il perfezionamento della stessa sono applicabili le disposizioni di cui alla legge 20 novembre 1982 n. 890. Ovviamente, anche il difensore che effettui personalmente la notifica a mezzo del servizio postale deve spedire al destinatario copia dell’atto a mezzo di lettera raccomandata con avviso di ricevimento (art. 3 c. 1 lett. a) L. 53/94) non diversamente da quanto è prescritto se la notifica è effettuata dall’Ufficiale Giudiziario (arti. 3 e segg. L. 890/82).
Ora, secondo la giurisprudenza costante di questa Corte, la notifica a mezzo del servizio postale non si esaurisce con la spedizione dell’atto, ma si perfeziona con la consegna del relativo plico al destinatario da parte dell’agente postale e l’avviso di ricevimento prescritto dall’art. 149 c.p.c. è il solo documento che fa piena prova dell’avvenuta notificazione. Tuttavia, la data in cui la notificazione stessa deve ritenersi compiuta, ai fini della verifica del rispetto del termine di impugnazione, va individuata, in applicazione di quanto è stato deciso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 477/2002, in quella della consegna del plico all’ufficio postale, anche nel caso di notificazione compiuta direttamente dall’avvocato (v. cass. n. 15234/14). e poiché nella specie tale consegna è avvenuta il 5 novembre 2009 (meno di un anno e 46 giorni dopo la pubblicazione della sentenza di appello, risalente al 24 settembre 2008) si deve concludere nel senso che il ricorso è stato proposto tempestivamente.
2. Con l’unico motivo del ricorso la sig.ra P.E. lamenta la violazione dell’art. 1136 cc., in relazione all’art. 360 n. 3 cpc.). Secondo la ricorrente, nel nostro ordinamento non assume rilievo giuridico la figura del cosiddetto condomino apparente in quanto manca tra amministratore e singoli condomini quel rapporto di alterità che consente di far prevalere l’apparenza sulla realtà a tutela dei terzi di buona fede. Pertanto, la Corte di appello, sempre secondo la ricorrente, sarebbe incorsa in errore per quanto abbia affermato l’applicabilità del principio dell’apparentia iuris in spregio del costante orientamento della Suprema Corte di Cassazione espresso in più occasioni e, per altro, anche dalla Sezioni unite della stessa Corte con la sentenza n. 5035 del 2002. L’acclarata illegittimità della convocazione della P. delle assemblea dei 27 marzo 1998 e del 23 aprile 1999 determinerebbe ipso iure la conseguente annullabilità delle predette adunanze Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di cassazione se sia o meno applicabile il principio dell’apparenza del diritto in materia condominiale e, così, se vi sia stata nella fattispecie in esame violazione o falsa applicazione dell’art. 1136 cc., in relazione all’art. 360 n. 3 cpc, per avere la Corte d’appello di Roma nell’impugnata sentenza ritenuta legittima la costituzione dell’assemblea condominiale e così valide le delibere adottate a seguito di convocazione dei solo condomino apparente e, non anche, del vero proprietario della porzione immobiliare, facente parte del condominio.
2.1. Il motivo è fondato
Come è stato affermato in più occasioni da questa Corte (sent. n. 7849 del 2001, n. 2616 del 2005, in coerenza con il principio enunciato dalle Sezioni Unite con la sentenza n. 5032 del 2002) nelle assemblee condominiali devono essere convocati solo i condomini, cioè i veri proprietari e non coloro che si comportano come tali senza esserlo. Nei rapporti tra il condominio ed i singoli partecipanti ad esso, infatti, mancano le condizioni per l’operatività del principio dell’apparenza dei diritto volto, essenzialmente, alla tutela dei terzi di buona fede; e terzi, rispetto al condominio non possono essere ritenuti i condomini. D’altra parte, ed in generale, la tutela dell’apparenza del diritto non può essere invocata da parte del soggetto (nel nostro caso dal Condominio) che abbia trascurato di accertare l’effettiva realtà sui pubblici registri, contro ogni regola di prudenza. Del resto, il regime giuridico di pubblicità rappresenta un limite invalicabile all’operatività del principio dell’apparenza: pubblicità ed apparenza sono, infatti, istituti che si completano l’un l’altro, rispondenti alle medesime finalità di tutela dei terzi di buona fede; ma proprio per ciò stesso alternativi. La tutela dell’apparenza non può tradursi in un indebito vantaggio per chi abbia colpevolmente trascurato di accertarsi della realtà delle cose, pur avendone la concreta possibilità.
In definitiva, il ricorso va accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa ad altro giudice (non ricorrendo le condizioni perché’ la causa possa essere decisa nel merito in questa sede), che si designa in una diversa sezione della Corte d’appello di Roma, cui viene anche rimessa la pronuncia sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Roma, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.
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