Corte di Cassazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 30 aprile 2015, n. 8811

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 11517 – 2009 R.G. proposto da:

Avvocato (OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – da se medesimo difeso ed elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS).

  • ricorrente –

contro

(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che lo rappresenta e difende giusta procura speciale a margine del controricorso.

-controricorrente –

(OMISSIS);

  • intimato –

Avverso la sentenza n. 12/2009 della corte d’appello di Cagliari;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 5 febbraio 2015 dal consigliere Dott. ABETE Luigi;

Udito l’avvocato (OMISSIS);

Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso principale sia del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ex articolo 703 c.p.c. al pretore di Cagliari – sezione di Sanluri – depositato in data 5.3.1997 l’avvocato (OMISSIS) esponeva che da epoca risalente, in qualita’ di proprietario, era nel possesso pacifico ed ininterrotto di un immobile adibito a civile abitazione sito in (OMISSIS), e confinante, tra l’altro, con proprieta’ di (OMISSIS);

che il confine con tal ultima proprieta’ era costituito da un muro largo cm. 40 e lungo circa m. 8;

che oltre trenta anni prima aveva costruito un’autorimessa ed un magazzino, appoggiandole al muro di confine, muro in cui aveva infisso le travi portanti della copertura in eternit; che alla sommita’ del muro era posta una tettoia, il cui piovente ricadeva nella sua proprieta’ e, segnatamente, sulla copertura in eternit dell’autorimessa e del magazzino; che nel periodo inverno – primavera dell’anno 1996 (OMISSIS) e tale (OMISSIS) avevano demolito la preesistente limitrofa costruzione ed il muro di confine e nei mesi di aprile -maggio dello stesso anno avevano provveduto a riedificare il muro, occupando il sito ove in precedenza sorgeva per la minore larghezza di cm. 20, per giunta nella porzione di esclusiva proprieta’ e di esclusivo possesso di egli ricorrente;

che (OMISSIS) ed (OMISSIS) sullo muro costruito ex novo avevano aperto una luce, il cui lato inferiore era posto ad un’altezza di 110 cm. dalla prospiciente tettoia in eternit;

che la soglia della luce, costituita da una lastra di marmo, sporgeva nella sua proprieta’ per quasi cm. 7;

che, a seguito della riedificazione con una maggiore altezza del muro, le controparti avevano aggravato la preesistente servitu’ di scolo, giacche’ l’acqua cadeva dalla maggiore altezza di circa m. 2,10;

che i comportamenti di parte avversa valevano ad integrare gli estremi dello spoglio e della turbativa del possesso.

Chiedeva di essere reintegrato nel possesso dei 20 cm. di suolo sottrattigli all’esito della costruzione ex novo del muro, di far ordine ai resistenti di chiudere l’apertura lucifera, di rimuovere la lastra di marmo e di eliminare lo spiovente del tetto che aveva cagionato l’aggravamento della preesistente servitu’.

Si costituiva esclusivamente (OMISSIS); instava per il rigetto dell’avversa domanda.

Con ordinanza in data 22.11.1999 il giudice adito faceva ordine al (OMISSIS) unicamente di rimuovere la lastra di marmo apposta sulla soglia della luce e di predisporre quanto necessario per convogliare le acque piovane sul proprio fondo.

All’esito della successiva fase a cognizione piena, nel cui corso, tra l’altro, veniva disposta ed espletata c.t.u., il tribunale di Cagliari – divenuto nelle more competente – con sentenza n. 9/2007 rigettava ogni domanda nei confronti di (OMISSIS) e, respinta ogni ulteriore istanza nei confronti di (OMISSIS), ne pronunciava condanna “a dotare la copertura della nuova costruzione di una gronda o di altra struttura idonea a convogliare le acque meteoriche dal letto di scorrimento del coppo in uno scarico o, in ogni caso, a fare che esse non precipitino sulla tettoia sottostante del (OMISSIS) da un’altezza non superiore ai cm. 50” (cosi’ ricorso, pag. 7); altresi’, compensava nella misura di Va le spese di lite e condannava il ricorrente a rimborsare a controparte i rimanenti 3/4.

Interponeva appello (OMISSIS).

Resisteva (OMISSIS).

Non si costituiva e veniva dichiarato contumace (OMISSIS).

Con sentenza n. 12/2009 la corte d’appello di Cagliari, in parziale riforma della sentenza di prime cure, in ogni altra parte confermata, compensava nella misura dei 3/4 le spese del primo grado e condannava l’appellato a rimborsare all’appellante il residuo 1/4 compensava nella misura dei 1/4 le spese del grado d’appello e condannava l’appellato a rimborsare all’appellante il residuo 1/4.

Esplicitava la corte distrettuale che “l’appellante non ha chiesto di essere reintegrato nella situazione di compossesso del muro (…) come esercitato prima della demolizione e della sua ricostruzione, ma ha domandato, in primo grado, “la reintegrazione … nel possesso di cm. 20 di suolo occupato dai resistenti nella ricostruzione del muro (…)”, formulando quindi conclusioni incompatibili con la fattispecie descritta nel ricorso introduttivo” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8); che “ha manifestato in sostanza l’interesse ad avere a disposizione la parte di suolo di sua competenza, rispetto all’originario spessore del muro, fattispecie che avrebbe dovuto tutelare con altra azione, a carattere petitorio” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8).

Esplicitava altresi’, quanto alla luce, che “essa e’ stata realizzata secondo le indicazioni contenute nell’articolo 901 c.c.” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8); quanto allo spiovente, che il primo giudice aveva fatto proprie le deduzioni dell’appellato, “che (…) aveva fatto presente (…) di voler installare un canale di gronda per convogliare l’acqua dove originariamente si incanalava, cioe’ nella proprieta’ dell’appellante” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8); che in ogni caso la realizzazione di un muro piu’ alto rispetto a quello originario non valeva ad integrare gli estremi di un aggravamento della servitu’ di scolo, “perche’, nella sostanza, la quantita’ d’acqua convogliata sara’ comunque identica” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 9); che, quanto alla lastrina, la stessa non valeva a costituire una molestia o turbativa del possesso dell’appellante, “come si deve ritenere dall’esame delle fotografie allegate alla consulenza in atti” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 9).

Esplicitava infine, “quanto (…) alla posizione di (OMISSIS) (…) che costui, quale mero esecutore, non potesse avere l’animus spoliandi (cosi’ sentenza d’appello, pag. 9).

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’avvocato (OMISSIS); ne ha chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.

(OMISSIS) ha depositato controricorso contenente ricorso incidentale articolato su di un unico motivo; ha chiesto, in accoglimento del ricorso incidentale, dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del grado di legittimita’.

(OMISSIS) non ha svolto difese.

(OMISSIS) ha depositato in data 4.2.2015 memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente principale deduce “legittimazione passiva di (OMISSIS). Vizio di omessa motivazione” (cosi’ ricorso principale, pag. 21).

Adduce che la legittimazione passiva nelle azioni possessorie compete tanto agli autori morali quanto agli autori materiali; che (OMISSIS) “conosceva la situazione pregressa dell’immobile del ricorrente (…) e di conseguenza, di essere stato consapevole della differenza di suolo occupata dal nuovo muro a vantaggio del (OMISSIS) e a danno dell’avv. (OMISSIS)” (cosi’ ricorso principale, pag. 22); che, dunque, “non si puo’ che affermare la sussistenza dell’animus spoliandi in capo al (OMISSIS)” (cosi’ ricorso principale, pag. 22); che “al riguardo e’ facile ammettere il difetto assoluto di motivazione poiche’ l’impugnata statuizione ha omesso di indicare gli elementi da cui ha tratto il proprio convincimento” (cosi’ ricorso principale, pag. 23).

Con il secondo motivo il ricorrente principale deduce “reintegrazione nel possesso di cm. 20, melius cm. 13, di suolo occupato dai resistenti per demolizione e ricostruzione del muro comune divisorio. Vizio di contraddittoria e insufficiente e/o omessa motivazione e violazione degli articoli 1102, 1140 e 1168 c.c.” (cosi’ ricorso principale, pag. 23).

Adduce che aveva rappresentato alla corte cagliaritana che “le controparti della traccia di cm. 45 del muro preesistente ne hanno, pero’, occupato solamente cm. 32 (…), godendo, cosi’, abusivamente di uno spazio vuoto di cm. 13 per tutta la lunghezza del muro, mutando, cosi’, lo stato di compossesso a proprio ed esclusivo vantaggio con evidente danno del vicino comproprietario” (cosi’ ricorso principale, pag. 24); che la sentenza impugnata, “discostandosi dai motivi proposti in violazione del principio ex articolo 345 c.p.c., non ha in alcun modo tenuto conto dell’insieme delle circostanze (…) che l’appellante aveva posto a base dell’impugnazione” (cosi’ ricorso principale, pagg. 25 – 26); che comunque, “atteso che non avrebbe piu’ avuto modo di essere reintegrato nella situazione di compossesso del muro (…) che, ormai, era stato da controparte distrutto ed eliminato” (cosi’ ricorso principale, pag. 26), “la domanda attrice era stata ben radicata sulla porzione di suolo, di cui si erano impossessati i convenuti e sulla quale (…) vantava una situazione qualificata di possesso” (cosi’ ricorso principale, pag. 26); che, “in effetti vi e’ stata da parte del giudice dell’appello un’erronea ricognizione del merito della fattispecie concreta” (cosi’ ricorso principale, pag. 27); che invero “diversamente da come riporta l’impugnata sentenza, l’azione proposta non puo’ essere configurabile petitoria poiche’ questa e’ da ravvisarsi solo con riguardo a controversie in cui sia discusso il diritto di proprieta’” (cosi’ ricorso principale, pag. 27); che in ogni caso e’ indubitabile l’impossibilita’ da parte sua “di utilizzare (e quindi possedere) il bene come avrebbe potuto fare prima dello spoglio” (cosi’ ricorso principale, pag. 27), “ne’ puo’ dubitarsi che il muro di confine, il quale divide entita’ prediali omogenee, come nel caso di cui ci occupiamo, si presume ex articolo 880 c.c., comune ai proprietari limitrofi (…)”(cosi’ ricorso principale, pag. 28).

Con il terzo motivo il ricorrente principale deduce “reintegrazione del ricorrente nel possesso dell’immobile de quo ordinando la rimozione della lastra di marmo apposta nell’apertura luce o ridurla di cm. 2,50. Omessa e/o insufficiente motivazione e violazione degli articoli 1140 e 1168 c.c.” (cosi’ ricorso principale, pag. 28).

Adduce che “la lastra di marmo (…), della sporgenza di cm. 2,50 nella proprieta’ (OMISSIS) (…), costituisce una privazione del possesso che restringe e riduce le facolta’ inerenti al potere” (cosi’ ricorso principale, pag. 29) da egli ricorrente esercitato; che “le fotografie allegate in atti (…) dimostrano inequivocabilmente uno spossessamento, seppure di alcuni centimetri, dell’immobile del ricorrente” (cosi’ ricorso principale, pag. 29).

Con il quarto motivo il ricorrente principale deduce “aggravamento dello stillicidio” (cosi’ ricorso principale, pag. 30).

Adduce “contraddittorieta’ e insufficienza della motivazione” (cosi’ ricorso principale, pag. 30).

Adduce segnatamente che il rilievo del primo giudice, recepito dalla corte di merito -secondo cui (OMISSIS) “aveva fatto presente di non aver terminato l’opera e di voler installare un canale di gronda per convogliare l’acqua dove originariamente si incanalava, cioe’ nella proprieta’ dell’appellante” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8) – riflette una circostanza che “non corrisponde al vero se si riesamina le risposte del (OMISSIS) al suo interrogatorio” (cosi’ ricorso principale, pag. 31); che, “oltretutto e’ mancata una qualsiasi dimostrazione, come su progetto, della prevista installazione di simile gronda” (cosi’ ricorso principale, pag. 31); che, quanto all’ulteriore affermazione – secondo cui la realizzazione di un muro piu’ alto rispetto a quello originario non valeva ad integrare gli estremi di un aggravamento della servitu’ di scolo – alla corte di merito era sfuggita, nel segno dell’articolo 1067 c.c, “la disamina non dell’opera in se stessa che, stando alla differenza di altezza gia’ e’ indicativa dell’illiceita’ attuata, ma delle implicazioni che derivano a carico del fondo assoggettato” (cosi’ ricorso principale, pag. 32); che, invero, e’ indubitabile “il fatto del maggior sacrificio del fondo servente che, ricevendo le acque da un’altezza di metri 2,10, invece che da cm. 50, e’ esposto ad un altrettanto maggiore pregiudizio dell’erosione delle acque” (cosi’ ricorso principale, pag. 32).

Adduce “vizio di ultrapetizione con violazione dell’articolo 112 c.p.c., con omessa pronuncia” (cosi’ ricorso principale, pag. 32).

Adduce segnatamente che, allorquando la corte di merito ha disposto, cosi’ confermando la prima decisione, che il (OMISSIS) dotasse la copertura della nuova costruzione di un canale di gronda per convogliare l’acqua, ha violato l’articolo 112 c.p.c.; che invero in tal senso egli ricorrente non aveva formulato alcuna richiesta; che viceversa si imponeva la condanna di (OMISSIS) alla distruzione dell’opera atta a rendere piu’ gravosa la servitu’ e, dunque, atta a tradursi nella denunciata turbativa del suo possesso.

Adduce “omessa pronuncia per l’omesso dispositivo nella sentenza del Tribunale di Cagliari – Sezione distaccata di Sanluri del 20.11.200 e violazione degli articoli 132, 156 e 161 c.p.c.” (cosi’ ricorso principale, pag. 33).

Adduce segnatamente che, sebbene avesse censurato in sede di gravame le omissioni inficianti il dispositivo della sentenza di primo grado, “il giudice di appello si e’ ben guardato di deliberare al riguardo la giuridica inesistenza ex articolo 161 c.p.c. e (…) dichiararne la nullita’” (cosi’ ricorso principale, pag. 33).

Con il quinto motivo il ricorrente principale deduce “violazione dell’articolo 91 c.p.c., nel governo delle spese processuali” (cosi’ ricorso principale, pag. 34).

Adduce che la corte d’appello, nel riformare la regolamentazione delle spese operata dal primo giudice, “non ha tenuto conto dell’intero andamento del giudizio con fondatezza, seppur non totale, della domanda avanzata dal ricorrente” (cosi’ ricorso principale, pag. 35); che “in ogni caso e’ mancata la conoscenza del metodo di liquidazione da entrambi i giudici di merito” (cosi’ ricorso principale, pag. 35).

Con l’unico motivo il ricorrente incidentale deduce “ex articolo 360 c.p.c., n. 3, per violazione del disposto di cui all’articolo 345 c.p.c., in relazione alle domande nuove proposte dall’appellante nel primo giudizio di gravame” (cosi’ ricorso incidentale, pag. 5).

Adduce che “le conclusioni formulate dall’avv. (OMISSIS) nell’atto di appello (…) sono totalmente diverse da quelle proposte nel primo grado del giudizio e sulle quali la causa e’ stata tenuta in decisione” (cosi’ ricorso incidentale, pag. 5); che al riguardo egli controricorrente “ha eccepito in limine l’inammissibilita’, dichiarando contestualmente di non accettare il contraddittorio” (cosi’ ricorso incidentale, pag. 5); che “la Corte di merito invece, scordandosi di prendere in esame tale eccezione – di natura assolutamente assorbente (…)- si e’ addentrata nell’esame del merito della vicenda, pur pervenendo ad un sostanziale rigetto del gravame proposto, con riforma parziale solo in ordine alla distribuzione dell’onere delle spese di lite” (cosi’ ricorso incidentale, pag. 5); che “detta omissione (…) e’, incontestabilmente, pregiudizievole (…), posto che una dichiarazione di inammissibilita’ dell’appello (…) avrebbe definito la controversia” (cosi’ ricorso incidentale, pag. 5).

Si rileva previamente che non e’ a tenersi conto della memoria ex articolo 378 c.p.c. del controricorrente.

La memoria risulta depositata in data 4.2.1015 ovvero il giorno precedente il di 5.2.2014 – dell’udienza di discussione e, dunque, in violazione di quanto dal medesimo articolo 378 c.p.c. prescritto.

Si tenga conto in ogni caso che l’articolo 134 disp. att. c.p.c., comma 5, a norma del quale il deposito del ricorso e del controricorso, nei casi in cui sono spediti a mezzo posta, si hanno per avvenuti nel giorno della spedizione, non e’ applicabile per analogia al deposito della memoria, radicalmente diverse essendo le funzioni delle due attivita’ processuali: l’una (quella di deposito del ricorso e del controricorso) sostanzialmente analoga a quella che, nella fase di merito, e’ la costituzione delle parti, l’altra (il deposito della memoria) esclusivamente diretta al assicurare al giudice ed alle altre parti la possibilita’ di prendere cognizione dell’atto con quel congnio anticipo, rispetto alla udienza di discussione, che il legislatore ha ritenuto necessario e che l’applicazione del principio dell’articolo 134 disp. att. c.p.c., comma 5, finirebbe con il ridurre, se non con l’annullare, con discapito del diritto di difesa; ne consegue l’inammissibilita’ della memoria che, benche’ anteriormente spedita a mezzo del servizio postale, sia pervenuta nella cancelleria della Corte di Cassazione oltre il termine ultimo di cinque giorni dalla data dell’udienza di discussione fissato dall’articolo 378 c.p.c. (cfr. Cass. 26.7.1997, n. 6996).

Il primo motivo del ricorso principale non merita seguito.

Vero e’ che questa Corte spiega che sono passivamente legittimati all’azione di reintegrazione sia l’autore materiale dello spoglio che quello morale, intendendosi per tale il mandante e colui che ex post abbia utilizzato a proprio vantaggio il risultato dello spoglio, sostituendo coscientemente il proprio al possesso dello spogliato (cfr. Cass. 6.5.1978, n. 2177). Nondimeno soggiunge che, affinche’ colui il quale abbia collaborato con l’autore morale dello spoglio sia passivamente legittimato alla relativa azione nella qualita’ di spogliatore in senso tecnico, occorre che stabilisca con la cosa un rapporto materiale che ne comporti il potere di disposizione, senza di che egli non avrebbe nulla da restituire, onde la funzione di reintegrazione, propria dell’azione di spoglio, non potrebbe attuarsi nei suoi confronti (cfr. Cass. 6.5.1978, n. 2177).

Su tale scorta si rappresenta che (OMISSIS) ha si’ riferito nel corso del suo interrogatorio di aver partecipato personalmente ai lavori di costruzione del muro (cfr. ricorso, pagg. 21 e 22); tuttavia per nulla risulta che abbia con la res una relazione tale da cui possa desumersi che ne abbia altresi’ il potere di disposizione.

II secondo motivo del ricorso principale e’ fondato e meritevole di accoglimento nei termini che seguono.

E’ fuor di dubbio che il muro largo cm. 40 e lungo circa m. 8, che gia’ valeva a segnare il confine tra la proprieta’ del ricorrente e la proprieta’ di (OMISSIS), fosse da ricondurre alla previsione dell’articolo 880 c.c. e, dunque, come tale da presumersi a costoro (di proprieta’) comune.

E’ fuor di dubbio, al contempo, alla stregua dell’insegnamento di questa Corte, che chi intraprende la ricostruzione di un muro comune e non intende estenderla a tutto lo spessore del muro stesso, ha l’obbligo di iniziarla dal confine della sua proprieta’ esclusiva: diversamente attrarrebbe nella sua sfera di proprieta’ esclusiva una porzione della cosa comune in violazione del disposto dell’articolo 1102 c.c. (cfr. Cass. 1.4.1993, n. 3923).

E’ fuor di dubbio, inoltre, siccome ha affermato la corte distrettuale, sulla scorta degli esiti degli accertamenti demandati al c.t.u., che “il muro de quo, originariamente, aveva uno spessore maggiore rispetto a quello ricostruito dal (OMISSIS)” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7). Piu’ esattamente, che ha trovato riscontro la prospettazione di parte ricorrente, secondo cui “a partire dal limite confinario dell’avv. (OMISSIS)” (cosi’ ricorso principale, pag. 24) la base del muro costruito ex novo occupa unicamente cm. 32 dell’originaria traccia del muro preesistente, sicche’ (OMISSIS) ha attratto alla sua proprieta’ esclusiva per l’intera lunghezza del muro la striscia di terreno “inutilizzata” di cm. 13 di larghezza.

D’altro canto, e’ indiscutibilmente vero che (OMISSIS) ha chiesto, in prime cure, “a) disporre la reintegrazione del ricorrente nel possesso di cm. 20 di suolo occupato dai resistenti nella costruzione del muro che divide la proprieta’ dell’avv. (OMISSIS) da quell’altra di (OMISSIS). Ordinando, all’uopo, ai convenuti di arretrare la propria costruzione di cm. 20” (cosi’ ricorso principale, pag. 3). E che, in seconde cure, ha cosi’ concluso: “a) reintegrare l’appellante nel possesso di cm. 13 del proprio suolo occupato da (OMISSIS) e (OMISSIS) nella ricostruzione del muro comune che divide la proprieta’ dell’attore (…) da quell’altra di (OMISSIS), ordinando, per l’effetto, agli appellati di arretrare la costruzione di proprieta’ di (OMISSIS) di cm. 13 secondo la relazione del c.t.u.” (cosi’ ricorso principale, pag. 3).

Nondimeno l’avvocato (OMISSIS) di certo ha, nell’originario ricorso, denunciato lo spoglio sofferto e realizzato in suo danno ed ha, coi motivi d’appello (siccome testualmente riprodotti nel corpo del ricorso principale a questa Corte, alle pagg. 9 e ss.), non solo prospettato, in dipendenza del regime di comunione ex articolo 880 c.c. del muro divisorio, che “il comproprietario del muro comune abbattuto arbitrariamente dall’altro comproprietario ha diritto alla costruzione del manufatto secondo le primitive caratteristiche” (cosi’ ricorso principale, pag. 12), ma ha debitamente soggiunto, sulla scorta della elaborazione di questa Corte, che “in tema di compossesso fra condomini, come nella fattispecie, la mancata utilizzazione da parte di uno di essi della cosa – muro non esclude l’animus spoliandi da parte del condominio che si impossessi del bene comune trasformando l’utilizzazione uti condomini con l’uso uti dominus” (cosi’ ricorso principale, pag. 13).

Su tale scorta devesi tener conto di quanto segue.

Ovvero, per un verso, che il giudice del merito, nell’indagine diretta all’individuazione del contenuto e della portata delle domande sottoposte alla sua cognizione, non e’ tenuto ad uniformarsi al tenore meramente letterale degli atti nei quali esse sono contenute, ma deve, per converso, avere riguardo al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere, come desumibile dalla natura delle vicende dedotte e rappresentate dalla parte istante, mentre incorre nel vizio di omesso esame ove limiti la sua pronuncia alla sola prospettazione letterale della pretesa, trascurando la ricerca dell’effettivo suo contenuto sostanziale (cfr. Cass. 14.11.2011, n. 23794; Cass. sez. lav. 18.3.2014, n. 6226, secondo cui, in tema di interpretazione della domanda giudiziale, il giudice non e’ condizionato dalle formali parole utilizzate dalla parte, ma deve tener conto della situazione dedotta in causa e della volonta’ effettiva, nonche’ delle finalita’ che la parte intende perseguire).

Ovvero, per altro verso, che non si ha mutamento di domanda, ne’ vizio di ultrapetizione quando, chiestasi la reintegrazione nel possesso esclusivo di un immobile, la reintegra venga poi chiesta o accordata all’attore per essere egli, anziche’ possessore esclusivo, semplicemente compossessore, in quanto il fatto costitutivo dell’azione resta in ogni caso il possesso, mutando solo il profilo giuridico dell’azione, ed in quanto non puo’ ritenersi inibito al giudice, chiamato ad emettere l’interdetto possessorio, di scorgere, nel sovrano apprezzamento delle prove, anziche’ una situazione di possesso solitario, una convergenza di poteri di fatto che si traducano in un compossesso (cfr. Cass. 25.7.1962, n. 2109; cfr. Cass. 4.3.1972, n. 635, secondo cui il vizio di extra o ultrapetizione si verifica solo se il giudice attribuisce alla parte un bene non richiesto o maggiore di quello richiesto, mentre non e’ ipotizzabile se il giudice accoglie una domanda, ancorche’ non espressamente formulata, la quale sia implicitamente e virtualmente contenuta nella domanda dedotta in giudizio (nella specie e’ stato ritenuto che una domanda avente per oggetto la tutela dello spoglio del possesso di un bene ricomprende in se’ anche la tutela di una eventuale situazione di compossesso).

In questo quadro gli assunti della corte di merito, secondo cui l’appellante avrebbe formulato “conclusioni incompatibili con la fattispecie descritta nel ricorso introduttivo” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8) e secondo cui, conseguentemente, il medesimo appellante “ha manifestato in sostanza l’interesse ad avere a disposizione la parte di suolo di sua competenza, rispetto all’originario spessore del muro, fattispecie che avrebbe dovuto tutelare con altra azione, a carattere petitorio” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8), si risolvono in affermazioni supportate da motivazione deficitaria ed incongrua (cfr., mutatis mutandis, Cass. 18.4.2006, n. 8953, secondo cui l’interpretazione della domanda spetta al giudice del merito, per cui, ove questi abbia espressamente ritenuto che una certa domanda era stata avanzata – ed era compresa nel thema decidendum – tale statuizione, ancorche’ erronea, non puo’ essere direttamente censurata per ultrapetizione, atteso che, avendo comunque il giudice svolto una motivazione sul punto, dimostrando come una certa questione debba ritenersi ricompresa tra quelle da decidere, il difetto di ultrapetizione non e’ logicamente verificabile prima di avere accertato che quella medesima motivazione sia erronea; in tal caso, il dedotto errore del giudice non si configura come error in procedendo, ma attiene al momento logico relativo all’accertamento in concreto della volonta’ della parte, e non a quello inerente a principi processuali, pertanto detto errore puo’ concretizzare solo una carenza nell’interpretazione di un atto processuale, ossia un vizio sindacabile in sede di legittimita’ unicamente sotto il profilo del vizio di motivazione).

In pari tempo, al cospetto di una innegabile violazione del compossesso al ricorrente spettante sul muro comune, il dictum del secondo giudice si e’ risolto nella denegata applicazione al caso di specie della tutela ex articolo 1168 c.c. (cfr. Cass. 3.6.1978, n. 2778, secondo cui, poiche’ la privazione del compossesso anche di una ridotta striscia di terreno, sostanziando la violazione della sfera giuridica del compossessore, ne legittima la domanda di reintegra dello spoglio, la proposizione di tale domanda non puo’ configurare un atto di emulazione).

Fondato e meritevole di accoglimento nei termini che seguono e’ altresi’ il terzo motivo del ricorso principale.

Il ricorrente principale adduce che, siccome comprovato dagli esiti della c.t.u. e dalle fotografie all’uopo allegate, la lastra di marmo, che funge da soglia dell’apertura lucifera che (OMISSIS) ha realizzato ex novo nel piu’ alto muro divisorio, sporge per cm. 2,50, cosi’ invadendo seppur per tale minimale misura la proiezione della res oggetto del suo ius possessionis e cosi’ menomando il suo potere di fatto.

Al cospetto di siffatta prospettazione, l’assunto della corte di merito dapprima riferito (la “lastrina non pare affatto costituire una molestia o turbativa del possesso dell’avv. (OMISSIS), come si deve ritenere dell’esame delle fotografie allegate alla consulenza in atti”: cosi’ sentenza d’appello, pag. 9), analogamente si risolve in un’affermazione supportata da motivazione sicuramente deficitaria (cfr. Cass. sez. lav. 2.2.2007, n. 2272, secondo cui il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione con il ricorso per cassazione del motivo previsto dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n.5), e’ configurabile soltanto quando dell’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento).

Si tenga conto che, nonostante il carattere marginale della menomazione che lo spoliatus denuncia con l’actio ex articolo 1168 c.c., ad alcun vaglio in termini di rilevanza – irrilevanza della concreta fattispecie il giudice del merito e’ abilitato, giacche’, diversamente, il medesimo giudice avrebbe facolta’ di disapplicare la volonta’ della legge sulla scorta di una valutazione di mera opportunita’.

Immeritevole di seguito e’ il quarto motivo del ricorso principale.

In relazione al primo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente sostanzialmente sollecita questa Corte a rivalutare gli esiti istruttori, e’ sufficiente rimarcare che e’ propriamente inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), qualora esso prospetti un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e percio’ in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresi’ Cass. sez. Lav. 7.6.2005, n. 11789).

In relazione al secondo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente ha prefigurato la violazione dell’articolo 112 c.p.c., e’ sufficiente rimarcare che, denunciato ex articolo 1170 c.c. l’aggravio ex articolo 1067 c.c., comma 1, per il fondo servente (l’aggravio invero riveste anche valenza di turbativa del possesso), la riduzione in pristino, cui e’ diretta l’azione di manutenzione, puo’ consistere non gia’ nella mera riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata da una determinata condotta, ma nell’esecuzione di un quid novi, non solo qualora il rifacimento puro e semplice sia inidoneo a realizzare il ripristino dello status quo ante (cfr. Cass. 23.11.1987, n. 8627), ma pur quando il quid novi sia comunque idoneo – e’ il caso di specie – ad eliminare la piu’ gravosa – per il fondo servente – condizione di operativita’ della servitu’ cui il proprietario del fondo dominante abbia dato vita.

In relazione al terzo profilo addotto, profilo con cui il ricorrente ha prefigurato il vizio di omessa pronuncia, e’ sufficiente rimarcare che la corte di Cagliari ha rigettato il gravame ed, in tal guisa, ha reputato immeritevoli di seguito le doglianze tutte (al di la’ di quelle afferenti alla regolamentazione delle spese) che l’avvocato (OMISSIS) aveva formulato avverso la statuizione di prime cure.

E’ da escludere, dunque, che omessa pronuncia vi sia stata.

In tal guisa questa Corte non puo’ che reiterare il proprio insegnamento, alla cui stregua, ad integrare gli estremi del vizio di omessa pronuncia non basta la mancanza di una espressa statuizione del giudice, ma e’ necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento che si palesa indispensabile alla soluzione del caso concreto; il che non si verifica quando la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti il rigetto di tale pretesa anche se manchi in proposito una specifica argomentazione (cfr. Cass. 6.4.2000, n. 4317; Cass. 16.5.2012, n. 7653; Cass. 11.4. 1975, n. 1397).

Non merita seguito il quinto motivo del ricorso principale.

E’ sufficiente rimarcare in ogni caso – al di la’ ossia della cassazione della statuizione di seconde cure atta a scaturire dall’accoglimento del secondo e del terzo motivo del ricorso principale – che la valutazione delle proporzioni della soccombenza reciproca e la determinazione delle quote in cui le spese processuali debbono ripartirsi o compensarsi tra le parti, ai sensi dell’articolo 92 c.p.c., comma 2, rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, che resta sottratto al sindacato di legittimita’, non essendo egli tenuto a rispettare un’esatta proporzionalita’ fra la domanda accolta e la misura delle spese poste a carico del soccombente (cfr. Cass. 31.1.2014, n. 2149).

Immeritevole di seguito e’ del pari (l’unico motivo che sorregge) il ricorso incidentale. E’ sufficiente dar atto che il mero raffronto delle conclusioni rassegnate nell’iniziale ricorso ex articoli 1168 e 1170 c.c. (siccome riprodotte nel corpo del ricorso a questa Corte di legittimita’ a pag. 3) e delle conclusioni rassegnate nell’atto di gravame (siccome riprodotte nel corpo del ricorso a questa Corte di legittimita’ a pag. 17) vale a dar ragione della loro sostanziale perfetta coincidenza e, dunque, dell’infondatezza delle censure da (OMISSIS) esperite con l’impugnazione incidentale.

Alla luce dei rilievi pregressi va quindi accolto unicamente il ricorso principale in relazione al secondo ed al terzo motivo; conseguentemente la sentenza n. 12/2009 della corte d’appello di Cagliari va cassata in relazione alle censure accolte con rinvio ad altra sezione della medesima corte distrettuale, che provvedere altresi’ alla regolamentazione delle spese del presente grado di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso principale in relazione e limitatamente al secondo ed al terzo motivo; respinge gli ulteriori motivi del ricorso principale; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza n. 12/2009 della corte d’appello di Cagliari in relazione e limitatamente alle censure accolte; rinvia ad altra sezione della medesima corte distrettuale che provvedere altresi’ alla regolamentazione delle spese presente grado di legittimita’.

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