Palazzo-Spada

Consiglio di Stato

sezione III

sentenza 22 maggio 2015, n. 2585

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

IL CONSIGLIO DI STATO

IN SEDE GIURISDIZIONALE

SEZIONE TERZA

ha pronunciato la presente

SENTENZA

sul ricorso numero di registro generale 435 del 2015, proposto da:

Ministero dell’Interno, rappresentato e difeso per legge dall’Avvocatura Generale dello Stato, anche domiciliataria in Roma, Via (…);

contro

Gi.Tr., rappresentato e difeso dall’avv. Sa.Di., con domicilio eletto presso Sa.Di. in Roma, (…);

per la riforma

della sentenza breve del T.A.R. MOLISE – CAMPOBASSO, SEZIONE I, n. 00300/2014, resa tra le parti, concernente divieto di detenzione di armi;

Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;

Visto l’atto di costituzione in giudizio di Giovanni Trivisonno;

Viste le memorie difensive;

Visti tutti gli atti della causa;

Visto l’art. 60, cod. proc. amm.;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2015 il Cons. Pierfrancesco Ungari e uditi per le parti l’avvocato Di. e l’avvocato dello Stato M. La.;

Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO e DIRITTO

1. In data 26 marzo 2013 l’odierno appellato ha abbattuto un cinghiale in agro di Oratino.

A suo dire, poiché l’animale, rimasto ferito in una battuta di caccia e quindi ormai pericoloso, si dirigeva verso un centro abitato, con senso civico lo ha inseguito per abbatterlo ed evitare così ogni pericolo per persone e cose.

Sennonché, è sopraggiunto un carabiniere, ivi residente, il quale ha chiamato i colleghi denunciando l’accaduto.

2. Ne è conseguita (oltre all’avvio di un indagine penale, poi conclusasi con l’archiviazione) l’adozione da parte della Prefettura di Campobasso, ai sensi dell’art. 39 del T.U.L.P.S., del divieto di detenzione di armi prot. 2019 in data 15 gennaio 2014.

Il provvedimento è motivato con il rilievo, sostanzialmente basato sul rapporto informativo prot. n. 03510/13 – 1 “P” in data 11 novembre 2013 e sul supplemento istruttorio di cui alla nota prot. n. 03510/13-7 “P” in data 7 novembre 2013 del Comando Provinciale dei Carabinieri di Campobasso in data 7 gennaio 2013, secondo cui i comportamenti dell’interessato denotano la sua sopravvenuta inaffidabilità alla detenzione ed al porto d’armi da fuoco, in quanto attività che richiedono particolari doti di equilibrio psico-fisico e l’osservanza di specifiche cautele per la propria e l’altrui incolumità.

3. Il TAR Molise, con la sentenza appellata (n. 300/2014), ha accolto il ricorso, annullando il provvedimento.

Secondo il TAR, il divieto è privo di adeguata motivazione, in quanto trova la sua unica giustificazione nella richiesta dei Carabinieri senza spiegare le ragioni per cui: (a) – non è stato dato seguito coerente all’avviso, espresso dalla stessa Prefettura in data 12 dicembre, di dover disporre l’archiviazione del procedimento, così riconoscendo che il ricorrente aveva agito in stato di necessità per scongiurare un grave pericolo per la collettività; (b) – è stato attribuito invece valore decisivo al nuovo rapporto dei Carabinieri, che tuttavia non nega l’esistenza della situazione di pericolo; (c) – non si è tenuto conto della richiesta di archiviazione del procedimento penale, successivamente accolta dal GIP.

4. Appella il Ministero dell’interno, sostenendo l’erroneità della sentenza, in quanto, in sintesi:

(a) – la Prefettura non ha mai formulato alcuna indicazione nel senso dell’archiviazione del procedimento;

(b) – la richiesta di archiviazione in sede penale è stata formulata dopo l’adozione del provvedimento impugnato;

(c) – l’episodio giustifica pienamente l’adozione del divieto, se si tiene conto che la condotta dell’appellato (indipendentemente da qualsiasi addebito di responsabilità), ha determinato una situazione pregiudizievole per l’incolumità pubblica certamente superiore al rischio paventato per le eventuali reazioni di un animale in fuga visibilmente provato dalla precedente ferita, la cui pericolosità, oltretutto, non è connaturata ad istintiva aggressività.

5. Resiste, controdeducendo puntualmente, l’appellato.

6. Il Collegio, ritenendo possibile definire il giudizio all’esito della camera di consiglio, ne ha dato avviso alle parti, le quali non hanno formulato eccezioni al riguardo.

7. Il Collegio osserva che i tre elementi sui quali la sentenza appellata ha basato l’accoglimento del ricorso non trovano conferma nelle risultanze processuali.

8. Infatti, con riferimento alle circostanze precisate nella nota del Comandante provinciale dei Carabinieri di Campobasso prot. 3510/13-7 “P” in data 7 gennaio 2014 (non specificamente censurata in primo grado dall’odierno appellato), la situazione di pericolo per l’incolumità pubblica sembra logicamente riconducibile, non tanto alla presenza del cinghiale (che, pacificamente, “era vistosamente ferito e camminava lentamente”), quanto alla condotta dell’appellato, il quale “esplodeva nr. 3 (tre) colpi di arma da fuoco, a circa 20 (venti) metri dall’abitazione di un residente, presente nel suo giardino al momento dei fatti” (nota in data 7 gennaio 2014, cit.).

A ben vedere, tale ricostruzione dei fatti non diverge nella versione data dall’appellato (nel ricorso di primo grado e nell’atto di costituzione in appello), se non rispetto alla occasionalità dell’abbattimento ed alle modalità di posizionamento del tiratore, posto che, secondo la nota, l’appellato “quale passeggero dell’autovettura d’interesse, avendo notato l’animale, si sporgeva dal finestrino e imbracciando un fucile di grosse dimensioni faceva fuoco in direzione dello stesso”, mentre l’appellato sostiene che “al fine di poterlo abbattere definitivamente … metteva in moto la sua auto per poterlo raggiungere e, sicuro di averlo anticipato, scendeva e si posizionava in un ampio raggio dagli immobili e di spalle ad essi. Egli si proteggeva dietro lo sportello della sua auto utilizzandolo come scudo aspettando il suo arrivo.”.

Ora, sembra evidente che ogni considerazione sulla correttezza o meno del posizionamento nello sparare del cacciatore, al fine di minimizzare il pericolo per i terzi, resta assorbita dal rilievo secondo il quale non è compito del cacciatore inseguire gli animali feriti in area interdetta all’attività venatoria (100 metri dai fabbricati, ex art. 21, comma 1, lettera e), della legge 157/1992), nemmeno se ciò avviene con l’intento di tutelare le persone dal loro prevedibile comportamento. Potrebbe farsi eccezione, qualora si versi in stato di necessità, per l’esistenza di un pericolo imminente alle persone, non altrimenti ovviabile. Ma la Prefettura non ha mai riconosciuto all’appellato di aver agito in stato di necessità, né, come esposto, le circostanze in cui è avvenuto l’abbattimento giustificano una simile conclusione, sembrando invece logico ipotizzare che sarebbe stato corretto limitarsi ad avvisare le Forze di polizia ed i residenti della presenza dell’animale.

9. Poi, né da parte della Prefettura (cfr. nota prot. 58264 in data 12 dicembre 2013), né da parte del Comandante provinciale (cfr. nota ult. cit., di riscontro della precedente), risulta espresso un parere positivo riguardo all’archiviazione del procedimento; in realtà, tale opzione è menzionata dalla Prefettura, asetticamente, in relazione alla richiesta formulata in tal senso dall’appellato, ma in ordine ad essa, come esposto, il Comandante provinciale si è espresso negativamente.

10. Infine, le valutazioni del giudice penale (che, peraltro, condizionano quelle dell’Amministrazione per quanto concerne l’accertamento dei fatti – ma non risulta, né viene prospettato che il G.I.P. abbia affermato che l’appellato aveva agito in stato di necessità – e non per quanto concerne la valutazione discrezionale del comportamento dell’indagato ai fini del mantenimento del titolo di p.s.) risultano successive all’adozione del divieto, in quanto (come sottolinea l’Avvocatura dello Stato, non confutata sul punto da controparte) la richiesta di archiviazione è stata avanzata dal P.M. al G.I.P. del Tribunale di Campobasso soltanto in data 28 gennaio 2014 (ed accolta in data 4 febbraio 2014).

Per cui, anche l’omessa considerazione di eventuali valutazioni sulla condotta dell’appellato effettuate in sede penale non potrebbe inficiare il provvedimento.

11. Nonostante l’ampia prospettazione contenuta nella memoria dell’appellato, non si ravvisano nel ricorso di primo grado profili di censura ulteriori rispetto a quelli considerati dal TAR e sopra esaminati.

12. Pertanto, l’appello deve essere accolto, con riforma della sentenza appellata e rigetto del ricorso di primo grado.

13. Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

 

P.Q.M.

 

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Terza), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo accoglie e, per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso proposto in primo grado.

Condanna l’appellato al pagamento in favore dell’Amministrazione appellante della somma di euro 2.000,00 (duemila/00), oltre agli accessori di legge, per spese di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 febbraio 2015 con l’intervento dei magistrati:

Giuseppe Romeo – Presidente

Bruno Rosario Polito – Consigliere

Dante D’Alessio – Consigliere

Silvestro Maria Russo – Consigliere

Pierfrancesco Ungari – Consigliere, Estensore

Depositata in Segreteria il 22 maggio 2015.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *