Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 15 settembre 2014, n. 19408
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. MATERA Lina – Consigliere
Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere
Dott. MANNA Felice – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 30321/2008 R.G. proposto da:
(OMISSIS) c.f. (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in (OMISSIS), n. 20, presso lo studio dell’avvocato MIRAGLIA Giacinto, che unitamente agli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) c.f. SNTSLD47A28E463Y e (OMISSIS) c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che unitamente all’avvocato (OMISSIS) li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 891/2008 della corte d’appello di Genova, dep. il 9/7/2008;
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 4 giugno 2014 dal consigliere Dott. Luigi Abete;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per i ricorrenti;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per i controricorrenti:
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del primo e del secondo motivo di ricorso e per l’accoglimento del terzo.
Esponevano, tra l’altro, che i convenuti, proprietari di un fabbricato adibito a civile abitazione insistente sul terreno limitrofo al terreno di proprieta’ di essi attori, avevano ampliato il loro stabile in violazione della distanza minima di m. 5 dal confine stabilita dal p.r.g. del comune di (OMISSIS).
Chiedevano, tra l’altro, che i convenuti fossero condannati alla demolizione del corpo di fabbrica costruito in ampliamento ed al risarcimento dei danni.
Si costituivano e resistevano i convenuti.
All’esito dell’istruttoria con sentenza n. 182/2003 il Tribunale di La Spezia rigettava, tra l’altro, e la domanda volta a conseguire la condanna alla demolizione dell’ampliamento e la domanda risarcitoria.
Segnatamente il primo giudice reputava che l’ampliamento, benche’ a distanza dal confine “inferiore a quella prescritta dal piano regolatore generale del Comune della (OMISSIS) del 1988 e dal P.U.C, attuativo dello stesso” (cosi’ ricorso, pagg. 1 – 2), non fosse illegittimo, giacche’ realizzato in forza della facolta’ accordata a (OMISSIS) e (OMISSIS) dal dante causa di (OMISSIS) ed (OMISSIS) “con atto pubblico, la cui efficacia di deroga le dette norme edilizie espressamente ammettevano rispetto alla distanza minima dal confine che fissavano” (cosi’ ricorso, pag. 2).
Interponevano appello (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Resistevano (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS).
Con sentenza n. 891/2008 la corte d’appello di Genova in riforma della gravata sentenza condannava in solido gli appellati “a demolire il fabbricato costruito in ampliamento sul mappale 1150, arretrandolo in modo che nel suo punto piu’ vicino al confine col mappale 1237 (di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS)) si trovi ad una distanza di metri 5 dal confine stesso” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 11), a pagare ad (OMISSIS) e (OMISSIS) la somma di euro 8.111,79 a titolo risarcitorio, a rimborsare ad (OMISSIS) e (OMISSIS) le spese del doppio grado, a farsi carico in via definitiva, nella misura di 1/3 ciascuno, delle spese delle consulenze tecniche d’ufficio.
In particolare il giudice del gravame evidenziava che “il regolamento edilizio del 1955 (rimasto in vigore fino al 1988) prevedeva nell’articolo 55 che non sara’ permesso di edificare a distanza inferiore ai mt. 4 dal confine di proprieta’…” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 6-7); che “pertanto, nel 1983 la pattuizione con cui venditore ed acquirenti convennero il diritto di questi ultimi di edificare senza il rispetto delle distanze di legge fu nulla, per contrasto con una normativa inderogabile (in considerazione degli interessi generali con questa tutelati)” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7); che “nessuna servitu’ era stata validamente costituita” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7); che “lo strumento urbanistico sopravvenuto attribuisce rilevanza… ad un accordo tra vicini e cio’ puo’ escludere l’illegittimita’ dell’opera, che altrimenti vi sarebbe” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7); che, nondimeno, “dato che il consenso prestato nel 1983 era in contrasto con norme inderogabili, si tratta allora di vedere se esso… possa valere in relazione alla nuova disciplina che ad esso attribuisce rilievo” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 7-8); che, “perche’ questo effetto si determini, e’ necessario che la nuova legge operi retroattivamente, incidendo sulla qualificazione degli atti compiuti prima della sua entrata in vigore” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 8); che “nella specie… non risulta vi sia stata una previsione per la quale quegli accordi che in precedenza erano privi di valore giuridico possano ora valere…; di conseguenza la nullita’ dell’accordo del 1983 rimane e su di esso non si puo’ fondare… una sopravvenuta legittimita’ della costruzione” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 8-9).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS); ne chiedono sulla scorta di tre motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione anche in ordine alle spese di lite.
(OMISSIS) ed (OMISSIS) hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile e comunque rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimita’.
I ricorrenti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..
Del pari hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c. i controricorrenti.
Adducono che la corte di merito “ha… adottato un argomento nuovo mai dedotto nel giudizio e fondato su un fatto, la nullita’ dell’accordo di deroga alle distanze regolamentari, estraneo al tema controverso e quindi all’attivita’ istruttoria, siccome non dedotto negli atti del giudizio di primo grado; e sulla cognizione di una norma regolamentare, la cui esistenza l’appellante non aveva tempestivamente dedotto in primo grado e il cui testo, irritualmente prodotto a corredo dell’atto di appello, in violazione dell’articolo 346 c.p.c., non avrebbe potuto prendere in esame” (cosi’ ricorso, pagg. 4-5); che “neppure nel giudizio d’appello, in effetti, i coniugi (OMISSIS) dedussero tale nullita’ nei termini espressi nella sentenza” (cosi’ ricorso, pag. 5); che il rilievo della nullita’ operato dalla corte di merito finisce “per connotarsi come officioso, e percio’ irrituale” (cosi’ ricorso, pag. 6), sicche’ “la sentenza gravata e’… affetta da vizio di ultrapetizione, per avere il giudice a quo presupposto ed apprezzato una causa petendi diversa da quella indicata dalla parte attrice – appellante e non rilevabile d’ufficio” (cosi’ ricorso, pag. 6).
Il motivo e’ destituito di fondamento.
In primo luogo non puo’ che evidenziarsi che sono gli stessi ricorrenti a riferire e a dar atto che i medesimi appellati, (OMISSIS) ed (OMISSIS), censurarono la statuizione di prime cure “nell’atto di appello…, deducendo l’invalidita’ di detto accordo, per la pretesa inderogabilita’ delle norme sulle distanze” (cosi’ ricorso, pag. 3).
In secondo luogo non puo’ che ribadirsi l’insegnamento di questa Corte alla cui stregua, se e’ vero che il potere del giudice di dichiarare d’ufficio la nullita’ ex articolo 1421 c.c., va coordinato con il principio della domanda fissato dagli articoli 99 e 112 c.p.c., nondimeno, ove sia in contestazione l’applicazione o l’esecuzione di un atto, la cui validita’ rappresenta un elemento costitutivo della domanda, e’ fuor di dubbio che il giudice e’ tenuto a rilevare in qualsiasi stato e grado del giudizio, e indipendentemente dall’attivita’ assertiva delle parti, l’eventuale nullita’ dell’atto stesso (cfr. Cass. 15.2.1991, n. 1589).
Su tale scorta e’ innegabile che nella fattispecie si controverte in ordine alla validita’ ed efficacia dell’accordo derogatorio che (OMISSIS) e (OMISSIS) ebbero sin dal giudizio di prime cure a dedurre quale eccezione onde paralizzare l’avversa pretesa, volta a conseguir l’affermazione a carico dei medesimi attuali ricorrenti dell’obbligazione di demolire l’ampliamento da costoro realizzato.
In terzo luogo non puo’ che reiterarsi la duplice affermazione di questa Corte (cfr. Cass. 22.9.1977, n. 4051) secondo cui il principio jura novit curia deve trovare applicazione anche per i regolamenti comunali in materia di edilizia e secondo cui l’autorita’ giudiziaria – eventualmente la medesima Corte di legittimita’ – onde acquisire, in adempimento del principio jura novit curia, diretta conoscenza di regolamenti comunali segnatamente in materia edilizia, puo’ tener conto di documenti ufficiali prodotti dalle parti.
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 872, 873 e 875 c.c. e del regolamento edilizio del Comune di (OMISSIS) emanato nell’anno 1955.
Adducono che “la circostanza che nella specie il regolamento edilizio della (OMISSIS) del 1955, dopo la norma posta dalla Corte genovese a fondamento della sentenza…, prevedesse che “e’ permessa la costruzione a muro cieco sul confine” impone di ricondurre la fattispecie nell’ambito di applicazione del criterio della prevenzione” (cosi’ ricorso, pag. 8), cosicche’ “l’attivita’ edilizia degli appellati (OMISSIS) e (OMISSIS) sarebbe… legittima” (cosi’ ricorso, pag. 8).
Il motivo e’ destituito di fondamento.
E’ bastevole, da un canto, reiterare gli insegnamenti di questa Corte (il riferimento e’ a Cass. 11.8.1990, n. 8222), alla cui stregua il criterio della prevenzione, quale si evince dal combinato disposto degli articoli 873 e 875 c.c., e’ derogato dal regolamento comunale edilizio nel caso in cui questo fissi la distanza non solo tra le costruzioni, ma anche delle stesse costruzioni dal confine; che siffatta deroga non opera allorche’ il regolamento edilizio, pur imponendo il rispetto di una data distanza altresi’ dal confine, consenta anche le costruzioni in aderenza o in appoggio, con la conseguenza che in tale ipotesi il primo costruttore ha la scelta tra il costruire alla distanza regolamentare dal confine e l’erigere la propria fabbrica fino ad occupare l’estremo limite del confine medesimo; che, tuttavia, in tal ultima evenienza il preveniente non ha anche la possibilita’ di costruire a distanza inferiore dal confine.
E’ bastevole, dall’altro, evidenziare che i medesimi ricorrenti riconoscono che il piano regolatore generale del comune di (OMISSIS) – da applicare al caso di specie – prefigurava la distanza di m. 4 dal confine ed ancora che e’ fuor di discussione, siccome il secondo giudice ha evidenziato, che “l’ampliamento – per una larghezza di cm. 192 dal filo del preesistente fabbricato – si spinge fino a cm. 173 dal confine col terreno mappale 1237 degli attori” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 5).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli articoli 872 e 873 c.c., come integrati dal regolamento edilizio del Comune della (OMISSIS) emanato nell’anno 1955; vizio di contraddittoria motivazione.
Adducono che la corte d’appello, “dopo avere asserito che il regolamento sopravvenuto e’ inapplicabile alla fattispecie,… afferma poi (a pag. 9) e dispone che l’arretramento che ordina agli stessi esponenti, rispetti la distanza imposta da quest’ultima normativa” (cosi’ ricorso, pag. 9); che, “a voler… ammettere che la costruzione a distanza inferiore a quella minima dal confine stabilita dal regolamento edilizio fosse illegittima, la porzione della costruzione da eliminare… sarebbe stata quella realizzata oltre la immaginaria linea retta, parallela al confine, e posta alla distanza di m. 4 da questo” (cosi’ ricorso, pag. 9).
Il motivo e’ fondato e meritevole di accoglimento.
E’ fuor di dubbio che l’illegittimita’ dell’ampliamento realizzato dagli originari convenuti, attuali ricorrenti, e’ stata riscontrata sulla scorta del regolamento edilizio del 1955, il cui articolo 55 – siccome anticipato – inibiva l’edificazione a distanza dal confine inferiore a m. 4.
D’altro canto, l’insegnamento di questa Corte e’ nel senso che, nel caso di successione nel tempo di norme edilizie, se le norme successive siano piu’ restrittive, la nuova disciplina non e’ applicabile alle costruzioni che al momento della sua entrata in vigore possano considerarsi gia’ sorte (cfr. Cass. 3.9.1991, n. 9348).
Dal che ne discende che in sede ed ai fini dell’arretramento dell’ampliamento realizzato i ricorrenti hanno da conformarsi alla distanza di metri 4 (quattro) dal confine.
Nulla osta a che questa Corte attenda, giusta la previsione dell’articolo 384 c.p.c., comma 1, all’enunciazione del principio di diritto per relationem, merce il rinvio al gia’ menzionato insegnamento n. 9348/1991.
La sentenza n. 891/2008 della corte d’appello di Genova, in accoglimento del terzo motivo di ricorso e nei rigorosi limiti del terzo motivo, va conseguentemente cassata.
Al contempo, giacche’ non vi e’ necessita’ di ulteriori accertamenti di fatto, nulla osta a che questa Corte, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., comma 2, ultima parte, decida nel merito e, quindi, condanni – cosi’ come condanna – (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) a demolire il fabbricato costruito in ampliamento sul mappale 1150, arretrandolo in modo che nel suo punto piu’ vicino al confine col mappale 1237 – di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) – si trovi ad una distanza di metri 4 (quattro) dal confine stesso.
Si giustifica la compensazione fino a concorrenza di 1/3 (un/terzo) delle spese e competenze dei gradi tutti del giudizio; (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) vanno in solido condannati a rimborsare ad (OMISSIS) e (OMISSIS) i rimanenti 2/3 (due/terzi).
La liquidazione segue come da dispositivo; segnatamente, per il primo ed il secondo grado si conforma alla liquidazione operata ai punti 3) (1) e 3) (2) del dispositivo della sentenza d’appello, nel senso che e’ pari ai 2/3 (due/terzi) degli importi complessivi quivi – ai medesimi punti 3) (1) e 3) (2) – indicati.
Rimane ferma ed impregiudicata la statuizione di cui al punto 4) del dispositivo della sentenza d’appello relativa alle spese di consulenza tecnica d’ufficio.
accoglie il terzo motivo di ricorso e, nei rigorosi limiti del motivo accolto, cassa la sentenza n. 891/2008 della corte d’appello di Genova e, pronunciando nel merito, condanna (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) a demolire il fabbricato costruito in ampliamento sul mappale 1150, arretrandolo in modo che nel suo punto piu’ vicino al confine col mappale 1237 – di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS) – si trovi ad una distanza di metri 4 (quattro) dal confine stesso;
compensa fino a concorrenza di 1/3 (un/terzo) le spese e competenze dei gradi tutti del giudizio;
condanna in solido (OMISSIS) (in proprio e quale erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) a rimborsare ad (OMISSIS) e (OMISSIS) i rimanenti 2/3 (due/terzi); liquida l’intero importo (1/1) delle complessive spese – su cui andranno computati i 2/3 (due/terzi) – del giudizio di legittimita’ in euro 3.600,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfetario delle spese generali e agli accessori di legge;
liquida l’intero importo (1/1) delle complessive spese – su cui andranno computati i 2/3 (due/terzi) – del giudizio di primo grado cosi’ come da punto 3) (1) del dispositivo della sentenza d’appello;
liquida l’intero importo (1/1) delle complessive spese – su cui andranno computati i 2/3 (due/terzi) – del giudizio di secondo grado cosi’ come da punto 3) (2) del dispositivo della sentenza d’appello.
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