Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 14 marzo 2016, n. 4938

Svolgimento del processo

L’”Agenzia delle Entrate” notificava al “Gruppo Torinese Trasporti – G.T.T.” s.p.a. trentaquattro ordinanze – ingiunzioni di pagamento; si era acclarato, con riferimento agli anni 2002 e 2003, che la s.p.a. ingiunta, in violazione dell’art. 53, 9 co., del dec. lgs. 30.3.2001, n. 165, aveva conferito incarichi a dipendenti pubblici in assenza della prescritta autorizzazione e, in violazione dell’art. 53, 11 co., del medesimo dec. lgs., non aveva comunicato alle amministrazioni pubbliche di appartenenza i compensi erogati agli incaricati.
Con ricorso depositato il 19.4.2006 il “Gruppo Torinese Trasporti – G.T.T.” s.p.a. nonché G.G. , in proprio, quale legale rappresentante del “G.T.T.”, e GA.Da. , in proprio, già quale legale rappresentante di “Società Torinese Trasporti Intercomunali – S.A.T.T.I.” s.p.a., proponevano opposizione al tribunale di Torino.
Esponevano che il “G.T.T.” s.p.a. aveva natura di pubblica amministrazione, siccome organismo di diritto pubblico ex art. 3, 26 co., dec. lgs. n. 163/2006, costituito per lo svolgimento del servizio pubblico di trasporto; che a tal fine rilevava la circostanza che l’intero capitale sociale era di spettanza del Comune di Torino; che, dunque, in dipendenza della sua assimilabilità ad una pubblica amministrazione fuoriusciva dalla sfera di applicabilità dei co. 9, 11 e 15 dell’art. 53 dec. lgs. n. 165/2001.
Chiedevano annullarsi le ordinanze – ingiunzioni di pagamento.
Si costituiva l’”Agenzia delle Entrate”; deduceva che la s.p.a. opponente aveva natura di soggetto operante in regime di diritto privato.
Instava il rigetto dell’avversa opposizione.
Con sentenza n. 1617/2007 il giudice adito rigettava l’opposizione e condannava in solido gli opponenti alle spese di lite.
Interponevano appello “G.T.T.” s.p.a., G.G. e GA.Da. , questi ultimi in proprio nelle già precisate qualità.
Resisteva l’Agenzia delle Entrate.
Con sentenza n. 133 dei 7.1/2.2.2011 la corte d’appello di Torino accoglieva l’appello ed annullava le ordinanze – ingiunzioni; compensava integralmente le spese di entrambi i gradi del giudizio.
La corte distrettuale evidenziava che l’”Agenzia delle Entrate” non aveva contestato che l’appellata s.p.a. avesse ad oggetto la prestazione di un servizio – il trasporto pubblico urbano ed interurbano – “considerato pubblico e di interesse generale dalla stessa legge” (così sentenza d’appello, pag. 21), che le concrete modalità di espletamento del servizio risultavano determinate “direttamente dalla legge o a mezzo di provvedimenti amministrativi” (così sentenza d’appello, pag. 21), che il “G.T.T.” operava “in assenza di concorrenza, con l’applicazione di tariffe di trasporto determinate dall’ente locale (…), esclusivamente in favore della Città di Torino” (così sentenza d’appello, pag. 21), che il capitale sociale era integralmente detenuto dalla città di Torino che si faceva carico pur del ripianamento delle eventuali perdite di esercizio.
Evidenziava altresì che “in simile contesto non può negarsi che GTT, indipendentemente dalla veste societaria, funga da emanazione operativa dell’ente locale, e che quest’ultimo eserciti su di essa un controllo analogo a quello esercitato nei confronti delle proprie articolazioni interne nell’ambito di processi di delegazione interorganica” (così sentenza d’appello, pag. 22).
Evidenziava inoltre che, in considerazione del concreto atteggiarsi delle modalità di svolgimento dell’attività e del rapporto con l’ente comunale, la s.p.a. “G.T.T.” “rientrerebbe comunque appieno (…) nello schema tipico dell’organismo di diritto pubblico” (così sentenza d’appello, pag. 22); che, invero, della veste di “organismo di diritto pubblico” ricorrevano i requisiti postulati dall’art. 3, 26 co., del “codice dei contratti pubblici” (dec. lgs. n. 163/2006); che si trattava “di caratteristiche che escludono, al contempo, che a GTT s.p.a. possa attribuirsi – alternativamente – la qualifica di impresa pubblica sub specie di ente pubblico economico” (così sentenza d’appello, pag. 23); che, in particolare, “il nesso di strumentalità ed asservimento concretamente stabilito con la società ausiliaria (…) esclude in radice, nella specie, l’individuazione di un ente pubblico operante in regime di autonoma e piena imprenditorialità” (così sentenza d’appello, pag. 23).
Evidenziava ancora che la disposizione di cui all’art. 1, 2 co., dec. lgs. n. 165/2001 lascia “ampio margine per includervi anche le società strumentali (…) di emanazione locale” (così sentenza d’appello, pag. 24).
Evidenziava dunque che non vi era margine per irrogare sanzioni amministrative, atteso che, alla stregua della disciplina di cui all’art. 53 dec. lgs. n. 165/2001, “se le omissioni perseguite vengono poste in essere da una pubblica amministrazione, la loro illiceità rileva infatti solo sul piano disciplinare (…); se le stesse omissioni vengono invece realizzate da soggetti privati (o enti pubblici economici), si applica la sanzione amministrativa pecuniaria di cui all’art. 6, comma 1, d. leg. 79/97 (…)” (così sentenza d’appello, pag. 27).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso l’”Agenzia delle Entrate”; ne ha chiesto, sulla scorta di un unico motivo, la cassazione con vittoria di spese.
La s.p.a. “Gruppo Torinese Trasporti – G.T.T.” s.p.a. ha depositato controricorso; ha chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio.
G.G. e GA.Da. non hanno svolto difese.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo la ricorrente deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1 e 53 d.lgs. 165/2001 e dell’art. 3 d.lgs. 163/2006, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.” (così ricorso, pag. 6).
Adduce che “nel caso di specie, ai fini dell’applicazione dell’art. 53, comma 9, d.lgs. 165/2001, la natura di organismo di diritto pubblico è irrilevante” (così ricorso, pag. 6); che “anche a voler ammettere che G.T.T. s.p.a. sia un organismo di diritto pubblico, e che da ciò consegua la sua assimilabilità ad un ente pubblico, l’art. 53, comma 9, d.lgs. 165/2001 prevede l’applicazione delle sanzioni amministrative oggetto della presente controversia anche nei confronti degli enti pubblici economici” (così ricorso, pag. 7).
Adduce, segnatamente, che “anche a voler tralasciare il dato formale della natura privatistica delle società per azioni strumentali (…), deve comunque considerarsi il dato sostanziale della loro equivalenza (tutt’al più) a un ente pubblico economico (non certo a un ente pubblico non economico), ed applicare la disciplina che il legislatore espressamente prevede per l’ente pubblico economico” (così ricorso, pag. 9).
Adduce, al contempo, che non è da condividere l’affermazione della corte di merito secondo cui la “G.T.T.”, “in ragione della particolare influenza esercitata dall’ente locale attraverso gli strumenti societari, non sarebbe riconducibile a un ente pubblico economico ma piuttosto a un’articolazione dell’ente locale stesso” (così ricorso, pag. 10); che tale affermazione non tiene conto “che sia attraverso la costituzione di un ente pubblico economico, sia attraverso quella di una società per azioni a totale capitale pubblico, l’ente controllante svolge comunque un’influenza sull’attività dell’ente controllato” (così ricorso, pag. 10); che “non sussiste, infatti, alcuna differenza sotto il profilo dell’”autonomia” e della “imprenditorialità” tra: a) società strumentale totalmente posseduta dall’ente locale e costituita per l’erogazione di un servizio di trasporto pubblico e b) ente pubblico economico costituito dal medesimo ente (con la forma dell’azienda speciale) per lo svolgimento del servizio di trasporto” (così ricorso, pag. 12); che “anche l’ente pubblico economico (…) è sottoposto a un potere diretto di controllo, direzione e vigilanza dell’ente locale, in nulla diverso dal controllo c.d. analogo tipico del fenomeno in house” (così ricorso, pag. 12); che “se dunque il legislatore ha espressamente stabilito che l’ente pubblico economico, pur avendo natura pubblicistica, per il solo fatto di svolgere attività economica è soggetto a un regime diverso da quello degli enti pubblici non economici, questo deve valere anche per le società a partecipazione pubblica totale locale che, pure, svolgono un’attività d’impresa e non certo un’attività amministrativa” (così ricorso, pagg. 12 – 13).
Adduce, infine, che, per effetto dell’art. 18, co. 2 bis, dec. leg. n. 112/2008, si è estesa la nozione di “Amministrazione Pubblica” alle società “in house” ai fini dell’applicazione unicamente delle disposizioni del dec. lgs. n. 165/2001 concernenti i divieti e le limitazioni alle assunzioni di personale: “il che deve portare a ritenere, a contrario, che il legislatore nel 2008 abbia voluto espressamente mantenere ferma la esclusione della nozione di Amministrazione Pubblica – per tutte le altre disposizioni del d.lgs. 165/2001, ivi incluso l’art. 53 – delle società come l’odierna intimata (così ricorso, pag. 14).
Il ricorso è destituito di fondamento.
Si dà atto previamente che la Corte costituzionale con statuizione n. 98 del 5.6.2015 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione degli artt. 3 e 76 Cost., l’art. 53, 15 co., del dec. lgs. 30.3.2001, n. 165, nella parte (“i soggetti di cui al comma 9 che omettono le comunicazioni di cui al comma 11 incorrono nella sanzione di cui allo stesso comma 9”) in cui assoggetta gli enti pubblici economici e i privati che conferiscono incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza, alla sanzione pecuniaria pari al doppio degli emolumenti corrisposti, in caso di omessa comunicazione dell’ammontare dei compensi (in particolare la Consulta ha specificato, tra l’altro, che la disciplina censurata non risulta riconducibile ai principi o criteri direttivi enunciati nelle leggi di delega succedutesi nel tempo, che non avevano autorizzato il legislatore delegato a prevedere sanzioni amministrative per l ‘inadempimento dell’obbligo di comunicazione dei compensi corrisposti; che, inoltre, la censurata previsione finisce per risultare particolarmente vessatoria, atteso che la sanzione in esame si duplica rispetto a quella già prevista per il conferimento degli incarichi senza autorizzazione, con un effetto moltiplicativo raccordato ad un inadempimento di carattere formale).
Evidentemente la declaratoria di illegittimità costituzionale del 15 co. dell’art. 53 del dec. lgs. n. 165/2001 lascia persistere la res litigiosa con riferimento alle sanzioni inflitte in rapporto alla violazione della disposizione di cui al 9 co. del medesimo art. 53 (“gli enti pubblici economici e i soggetti privati non possono conferire incarichi retribuiti a dipendenti pubblici senza la previa autorizzazione dell’amministrazione di appartenenza dei dipendenti stessi (…). In caso di inosservanza si applica la disposizione (..)”).
Nei limiti teste tracciati una precisazione si impone innanzitutto.
Non può recepirsi l’affermazione della corte torinese secondo cui la s.p.a. “G.T.T.” “rientrerebbe comunque appieno (…) nello schema tipico dell’organismo di diritto pubblico” (così sentenza d’appello, pag. 22).
Al riguardo occorre tener presente, da un canto, che alla nozione generale di imprenditore di cui all’art. 2082 c.c. non è coessenziale il fine di lucro, ovvero la necessità che l’attività sia svolta in modo tale che i ricavi eccedano i costi, giacché è sufficiente il cosiddetto “metodo economico”, ossia che i ricavi siano quanto meno pari ai costi (cfr. Cass. 24.3.2014, n. 6835, secondo cui lo scopo di lucro (c.d. lucro soggettivo) non è elemento essenziale per il riconoscimento della qualità di imprenditore commerciale, essendo individuabile l’attività di impresa tutte le volte in cui sussista una obiettiva economicità dell’attività esercitata, intesa quale proporzionalità tra costi e ricavi (cd. lucro oggettivo)). Dall’altro, che la figura dell’”organismo di diritto pubblico”, di cui all’art. 3, 26 co., del dec. lgs. n. 163/2006, ricorre quando il soggetto è dotato di personalità giuridica (requisito personalistico), la sua attività è finanziata in prevalenza dalle pubbliche amministrazioni o direttamente controllata dalle stesse o orientata da un organo di gestione a prevalente designazione pubblica (requisito dell’influenza dominante) e – il che rileva in special modo in questa sede – le sue finalità non hanno carattere industriale o commerciale (requisito teleologico) (cfr. Cass. (ord.) 1.8.2012, n. 13792, nella fattispecie le sezioni unite di questa Corte hanno escluso che fosse “organismo di diritto pubblico” l’”Ente Sagra dell’Uva di Marino”, che, tra l’altro, avendo finalità statutarie orientate al soddisfacimento delle esigenze di carattere industriale o commerciale, difettava del requisito teleologico).
Sulla scorta dell’operata duplice puntualizzazione si rappresenta che l’attività di trasporto pubblico urbano ed interurbano cui la s.p.a. “Gruppo Torinese Trasporti” attende, è appieno ascrivibile alla previsione di cui all’art. 2195, n. 3, c.c.. Al contempo, che la circostanza per cui “la città di Torino (…) si fa carico del risultato economico di gestione; anche nel ripianamento (…) delle perdite di esercizio” (così sentenza d’appello, pag. 21), non osta al riscontro del “metodo economico” e, quindi, alla riconducibilità della s.p.a. “G.T.T.” alla generale figura dell’art. 2082 c.c. (di cui le species contemplate all’art. 2195 c.c. sono mere sottoprevisioni del più ampio genus – imprenditore (commerciale) – delineate ai fini della determinazione dell’ambito di operatività dell’obbligo di iscrizione nel registro delle imprese).
I premessi rilievi, ben vero, lasciano insoluta la quaestio che in fondo segna la vicenda in disamina, quaestio concernente la possibilità di ascrivere la s.p.a. “G.T.T.” alla species – di imprenditore pubblico – “ente pubblico economico”, sì che – accolta l’opzione positiva – a pieno titolo si imporrebbe l’operatività della previsione del 9 co dell’art. 53 del dec. lgs. n. 165/2001 (che espressamente contempla accanto ai soggetti privati gli enti pubblici economici).
Ebbene, contrariamente a quanto prospetta la ricorrente (che ad ulteriore conforto dei suoi assunti deduce che “diversamente si giungerebbe al paradosso che un ente pubblico economico, che venga privatizzato e sia trasformato in società per azioni, per ciò solo usufruisce di un regime pubblicistico che prima gli era precluso”: così ricorso, pag. 9), la delineata quaestio non può esser risolta in senso affermativo.
La s.p.a. “G.T.T.”, cioè, non è qualificabile in guisa di “ente pubblico economico”; né in pari tempo è un soggetto privato.
La s.p.a. “G.T.T.”, viceversa, è da considerare alla stregua di una pubblica amministrazione.
Propriamente vanno condivise le argomentazioni della corte territoriale secondo cui “non può negarsi che GTT, indipendentemente dalla veste societaria, funga da emanazione operativa dell’ente locale, e che quest’ultimo eserciti su di essa un controllo analogo a quello esercitato nei confronti delle proprie articolazioni interne nell’ambito di processi di delegazione interorganica” (così sentenza d’appello, pag. 22).
Più esattamente “G.T.T.” s.p.a. è da qualificare in guisa di società “in house providing” (i requisiti qualificanti la società in house providing costituita per finalità di gestione di pubblici servizi sono (a) la natura esclusivamente pubblica dei soci, che ne detengono integralmente il capitale, (b) l’esercizio dell‘attività esclusivamente o quanto meno in prevalenza a favore dei soci stessi e (c) la sottoposizione a controllo corrispondente a quello esercitato dagli enti pubblici sui propri uffici (cd. requisito del controllo analogo); con il requisito del cd. controllo analogo non si allude all’influenza dominante dell’ente pubblico sulla società in house, ma a un potere di comando direttamente esercitato sulla gestione dell’ente fino al punto che all’organo amministrativo della società non resta affidata nessuna rilevante autonomia gestionale).
Conseguentemente imprescindibile diviene il riferimento all’elaborazione giurisprudenziale a sezioni unite di questa Corte di legittimità in tema di riparto di giurisdizione in materia di responsabilità degli organi sociali di società con partecipazione dello Stato o di enti pubblici per i danni cagionati al patrimonio dell’organismo societario.
Segnatamente le sezioni unite di questa Corte disconoscono la giurisdizione del giudice ordinario a vantaggio della giurisdizione della Corte dei Conti, quando possa dirsi superata l’autonomia della personalità giuridica rispetto all’ente pubblico, ossia quando la società possa definirsi “in house” (cfr. Cass. sez. un. 10.3.2014, n. 5491).
Difatti la natura “in house providing” della società partecipata vanifica il dato formale della sua distinta personalità giuridica e giustifica in toto l’assimilazione della stessa società alle articolazioni organiche dell’ente pubblico, degli enti pubblici che al suo capitale partecipano in forma totalitaria; la società “in house” in fondo è una sorta di “impresa – organo”.
Orbene, se tale è la s.p.a. “Gruppo Torinese Trasporti”, devesi concludere, per un verso, che la medesima s.p.a., a dispetto della sua formale personalità giuridica, è sostanzialmente una mera articolazione organica della “Città di Torino”, che, per il tramite del socio unico “FCT Holding” s.r.l., ne detiene integralmente il capitale sociale; per altro verso, che, conformemente a quanto ha opinato la corte distrettuale (secondo cui, “una volta riscontrata la sostanziale equiparazione funzionale tra tali società da una parte, e gli organi ed organismi variamente inseriti nell’amministrazione comunale dall’altra (pacificamente rientranti nella definizione (…) n.d.e.: di cui all’art. 1, 2 co., citi), ogni differenziazione finirebbe (…) con il risultare ingiustificata”: così sentenza d’appello, pag. 24), l’illecito de quo agitur rileva, ai sensi dell’8 co. dell’art. 53 cit., “solo sul piano disciplinare” (così sentenza d’appello, pag. 27).
Si rimarca, da ultimo, che i surriferiti postulati non appaiono per nulla contraddetti dal disposto dell’art. 18, co. 2 bis, dec. leg. n. 112/2008 (il co. 2 bis è stato inserito dall’art. 19, 1 co., del dec. leg. 1.7.2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3.8.2009, n. 102, e successivamente sostituito e modificato).
Invero, non si giustifica il corollario esegetico che merce l’argomento a contrario la ricorrente ha inteso trarre dal menzionato art. 18, co. 2 bis (il cui attuale dettato così recita: “le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo si attengono al principio di riduzione dei costi del personale, attraverso il contenimento degli oneri contrattuali e delle assunzioni di personale. A tal fine l’ente controllante, con proprio atto di indirizzo, tenuto anche conto delle disposizioni che stabiliscono, a suo carico, divieti o limitazioni alle assunzioni di personale, definisce, per ciascuno dei soggetti di cui al precedente periodo, specifici criteri e modalità di attuazione del principio di contenimento dei costi del personale, tenendo conto del settore in cui ciascun soggetto opera. Le aziende speciali, le istituzioni e le società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo adottano tali indirizzi con propri provvedimenti e, nel caso del contenimento degli oneri contrattuali, gli stessi vengono recepiti in sede di contrattazione di secondo livello. Le aziende speciali e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali ed educativi, scolastici e per l’infanzia, culturali e alla persona (ex IPAB) e le farmacie sono escluse dai limiti di cui al precedente periodo, fermo restando l’obbligo di mantenere un livello dei costi del personale coerente rispetto alla quantità di servizi erogati. Per le aziende speciali cosiddette multiservizi le disposizioni di cui al periodo precedente si applicano qualora l’incidenza del fatturato dei servizi esclusi risulti superiore al 50 per cento del totale del valore della produzione”).
Anzi, vi è margine per ritenere che la disposizione di cui all’art. 18, co. 2 bis, cit. sia espressione di una più generale tendenza ad assimilare alla P.A. le “società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo”.
Il rigetto del ricorso giustifica la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.
La liquidazione segue come da dispositivo.
G.G. e GA.Da. non hanno svolto difese. Nonostante il rigetto del ricorso, pertanto, nessuna statuizione va nei loro confronti assunta in ordine alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente “Agenzia delle Entrate” a rimborsare alla s.p.a. controricorrente le spese del presente grado di legittimità, che si liquidano nel complesso in euro 2.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, i.v.a. e cassa come per legge.

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