Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 12 novembre 2015, n. 23121
Svolgimento del processo
Resasi acquirente di un terreno con sovrastante edificio sito in (omissis) , giusta decreto di trasferimento emesso dal giudice dell’esecuzione del Tribunale di Roma in una procedura esecutiva immobiliare contro terzi, la Ardo s.r.l. con citazione notificata nell’ottobre del 2001 conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Roma, sezione distaccata di Ostia Lido, la Attività Turistiche Imprenditoriali – A.T.I. s.p.a. per sentirla condannare al rilascio del fondo, assumendone la detenzione senza titolo.
Nel resistere in giudizio la società convenuta deduceva che l’area in contestazione era stata espropriata con decreto della Regione Lazio n. 1070 dell’11.5.1993 nei confronti degli intestatari catastali del bene, mentre la procedura esecutiva immobiliare era stata instaurata e portata a termine contro il soggetto terzo cui il medesimo bene era stato già precedentemente alienato.
Precisava, quindi, di essere concessionaria dell’area stessa per la realizzazione e la gestione del Porto Turistico di Roma in virtù dell’accordo di programma del 26.7.2000 stipulato ai sensi dell’art. 27 legge n. 142/90 con la Regione Lazio, il comune di Roma, il Ministero dei Beni Culturali e il Ministero dell’Economia e delle Finanze. Pertanto, ritenendosi estranea alla vicenda espropriativa, chiedeva il rigetto della domanda.
Domanda che sia il Tribunale sia la Corte d’appello di Roma respingevano.
Quest’ultima, in quanto la società attrice aveva esercitato un’azione di rilascio per occupazione dell’immobile senza titolo, e dunque un’azione di carattere obbligatorio (recte, personale: nd.r.). Sicché, avendo l’A.T.I. dimostrato di possedere l’immobile in forza di consegna da parte dell’ente pubblico che aveva proceduto all’espropriazione, la domanda non poteva essere accolta. Di conseguenza, concludeva la Corte territoriale, tutte le argomentazioni svolte dalla società Ardo per contestare la legittimità della procedura espropriativa e la sua opponibilità, si sostanziavano in una non consentita modifica della domanda in vera e propria rivendicazione. Inoltre, come emerso da un sopralluogo del 2001, da tempo sul terreno erano state realizzate, come da accordo di programma, opere (la realizzazione del Centro Habitat Mediterraneo – C.H.M.) che concretizzavano in ogni caso un’ipotesi di occupazione acquisitiva.
Per la cassazione di tale sentenza la Ardo s.r.l. propone ricorso, affidato a quattro motivi.
La Attività Turistiche Imprenditoriali – A.T.I. s.r.l. (già s.p.a.) è rimasta intimata.
Motivi della decisione
1. – Col primo motivo è dedotta la violazione o falsa applicazione degli artt. 42 Cost. e 832 e 834 c.c. La Corte territoriale, sostiene parte ricorrente, ha completamente disconosciuto il diritto dell’attrice, privando di qualsivoglia efficacia giuridica il decreto di trasferimento emesso dal Tribunale di Roma il 28.6.2000, regolarmente trascritto il 4.8.2000 in favore della Ardo s.r.l. Nel conflitto fra tale decreto e la convenzione tra un ente pubblico e un soggetto privato, la Corte distrettuale ha ritenuto prevalente quest’ultima, sebbene non vi fosse alcuna trascrizione idonea a legittimare il titolo della detenzione.
2. – Il secondo mezzo d’annullamento lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa l’opponibilità del decreto di esproprio quale titolo legittimante la detenzione e l’occupazione acquisitiva.
Il ragionamento seguito dalla Corte capitolina è contraddittorio lì dove afferma che la ATI ha dimostrato il suo legittimo titolo a detenere il bene, salvo poi far riferimento ad un non meglio precisato sopralluogo del 2001 da cui si ricaverebbe un’ipotesi d’occupazione acquisitiva, venuta a determinarsi comunque dopo, l’emissione del decreto di trasferimento. Né la Corte territoriale ha considerato che il provvedimento di esproprio è stato attuato con delibera della Regione Lazio del 1993, per cui, ove pure sussistente, l’occupazione acquisitiva avrebbe dovuto rispettare l’iter amministrativo di cui all’art. 43 T.U. espropriazioni.
3. – Il terzo motivo espone, ancora, l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sull’interpretazione dell’art. 948 c.c. e degli artt. 99 e 112 c.p.c..
La Corte capitolina si è limitata a qualificare l’azione proposta come intesa al rilascio dell’immobile, senza (ri)qualificarla attribuendole il nomen iuris corrispondente al rapporto dedotto in giudizio.
4. – Anche il quarto mezzo denuncia l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, relativamente alla consequenzialità delle trascrizioni nei registri immobiliari a favore dell’appellante.
Nel giudizio di primo grado, si sostiene, era chiaramente emerso il contrasto tra due posizioni apparentemente legittime. L’ATI affermava di essere concessionaria dell’area per averla ricevuta in concessione dal comune di Roma, a sua volta divenutone proprietario in forza di decreto di esproprio del 1993. Da parte sua l’Ardo sosteneva di essere proprietaria dell’immobile in base al decreto di trasferimento. A far data dal 22.11.1973 il bene in oggetto è stato trasferito dai sig.ri C.A. e D.L.A. alla nuova proprietaria, I.L. , e dal 31.7.1987 su tale immobile gravano pignoramenti immobiliari tutti regolarmente trascritti. A fronte di tutto ciò l’ATI ha opposto un decreto di esproprio che non solo era relativo ad una procedura attivata nei confronti di chi non era più proprietario del bene dal 22.11.1973, ma che non risultava neppure trascritto.
5. – I suddetti motivi, da esaminare congiuntamente per la loro complementarietà, sono fondati nei termini e nei limiti che seguono.
Come recentemente chiarito e ribadito dalle S.U. di questa Corte, “l’azione personale di restituzione, come già dice il nome, è destinata a ottenere l’adempimento dell’obbligazione di ritrasferire una cosa che è stata in precedenza volontariamente trasmessa dall’attore al convenuto, in forza di negozi quali la locazione, il comodato, il deposito e così via, che non presuppongono necessariamente nel tradens la qualità di proprietario. Essa non può pertanto surrogare l’azione di rivendicazione, con elusione del relativo rigoroso onere probatorio, quando la condanna al rilascio o alla consegna viene chiesta nei confronti di chi dispone di fatto del bene nell’assenza anche originaria di ogni titolo. In questo caso la domanda è tipicamente di rivendicazione, poiché il suo fondamento risiede non in un rapporto obbligatorio personale inter partes, ma nel diritto di proprietà tutelato erga omnes, del quale occorre quindi che venga data la piena dimostrazione, mediante la probatio diabolica. La tesi opposta comporta la sostanziale vanificazione della stessa previsione legislativa dell’azione di rivendicazione, il cui campo di applicazione resterebbe praticamente azzerato, se si potesse esercitare un’azione personale di restituzione nei confronti del detentore sine titolo” (così, in motivazione, la sentenza n. 7305/14).
La rivendica, a sua volta, per costante giurisprudenza di questa Corte è esperibile contro chiunque di fatto possegga o detenga il bene rivendicato e sia in grado, quindi, di restituirlo (cfr. Cass. nn. 13973/06,9851/97,1613/87 e 3312/80).
5.1. – Nel qualificare come personale la domanda proposta, e nel ritenere che la contestazione della legittimità del procedimento di espropriazione, da cui era derivato il titolo concessorio opposto dalla società convenuta, facesse virare la domanda verso un’inammissibile mutatio libelli in senso petitorio, la Corte territoriale si è discostata da tale indirizzo. Essendo diretta ad ottenere il rilascio del fondo in virtù a) del titolo di proprietà vantato dalla società attrice e b) dell’assenza di qualsivoglia rapporto giuridico tra questa e la società convenuta, la domanda in oggetto è univocamente qualificabile come rivendica, ai sensi dell’art. 948 c.c..
Di riflesso, come è insufficiente che la parte attrice si limiti a dimostrare di essere l’attuale intestataria del bene, dovendo essa assolvere il più gravoso onere probatorio della continuità dei trasferimenti di proprietà dai propri danti causa, fino a coprire un arco temporale di possesso effettivo idoneo all’acquisto per usucapione; così è irrilevante che la parte convenuta dimostri di detenere in virtù di un titolo formalmente valido proveniente da un terzo, titolo che per il fatto di attribuire soltanto l’ius detinendi e di non essere opponibile all’attore, non vale a paralizzare né l’accertamento della proprietà né la consequenziale pronuncia di condanna al rilascio.
5.1.1. – Né vale la circostanza che – come nella specie – la detenzione del convenuto rimandi ad un acquisto a titolo originario da parte del proprio dante causa. Nell’azione di rivendica il conflitto fra i titoli di provenienza, ove anche il convenuto provveda a dedurne, si risolve in ragione di un giudizio di prevalenza dell’un titolo sull’altro, all’esito del quale non vi può essere che un solo acquisto a titolo originario efficace al momento della decisione.
6. – In accoglimento del ricorso la sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che nel decidere la causa nel merito si atterrà al seguente principio di diritto: “l’azione di condanna al rilascio di un fondo esercitata dall’attore in base all’esistenza di un proprio titolo di proprietà e all’assenza, per contro, di qualsivoglia titolo che giustifichi il possesso o la detenzione del medesimo bene da parte del convenuto, va qualificata come azione di rivendica, ai sensi dell’art. 948 c.c., a paralizzare la quale è irrilevante che il convenuto deduca di possedere o di detenere l’immobile in forza di un titolo proveniente da un terzo”.
7. – Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese di cassazione, il cui regolamento gli è rimesso ai sensi dell’art. 385, 3 comma c.p.c..
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà anche sulle spese di cassazione.
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