L’art. 1227 c.c., comma 2, non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato ad uniformarsi ad un comportamento attivo ed attento dell’altrui interesse, rientra tra le fonti di integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa “evitabilità” del danno è coordinata con i principi di correttezza e di buona fede oggettiva, contenuti nell’art. 1175 c.c., applicabile ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un’apprezzabile sacrificio a suo carico.
Il limite alla esigibilità del comportamento attivo di cui all’art. 1227 c.c. è costituito dalla “ordinaria” e non “straordinaria” diligenza, nel senso che le attività che il creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell’evitabilità del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II
SENTENZA 31 maggio 2016, n. 11230
Ritenuto in fatto
Con atto 25.9.1995 la Plastic Puglia srl convenne davanti al Tribunale di Bari la Recon srl e la Nuova Marelli Motori spa per ottenere la risoluzione per inadempimento del contratto di vendita di “un motore asincrono trifase” e il risarcimento dei danni. A sostegno della pretesa lamentò la mancata consegna del motore da parte della produttrice Marelli e l’insorgenza di ingenti danni per il ritardo nella produzione determinato dalla ricerca presso altre ditte produttrici.
Si costituirono nel giudizio sia la Recon (intermediaria nella vendita del macchinario) che la Marelli contestando la domanda.
La prima dichiarò di avere operato semplicemente quale agente della Nuova Marelli mentre quest’ultima eccepi’ l’incompetenza territoriale e comunque osservò che nessun contratto era stato concluso per avere la Recon agito senza rappresentanza.
Con sentenza del 783/2006 il Tribunale accolse parzialmente la domanda dichiarando la risoluzione del contratto e condannando la sola Marelli al pagamento della somma di C. 58.876,09 a titolo di risarcimento danni.
La decisione, impugnata dalla Marelli in via principale e dalla Plastic Puglia in via incidentale, venne parzialmente riformata dalla Corte d’Appello di Bari che, con sentenza depositata 30.5.2011, accolse in parte solo l’appello principale della Marelli riducendo l’importo del risarcimento ad Euro 11.568,63.
Per giungere a tale conclusione, la Corte barese, per quanto ancora interessa, osservò che il danno patrimoniale richiesto sotto forma di lucro cessante per la sospensione dell’attività produttiva poteva essere evitato dalla Plastic Puglia con l’ordinaria diligenza, mediante adesione all’offerta formulata dalla società C. disponibile a fornire un altro motore anche nell’arco di 48 ore, come dichiarato dal legale rappresentante, sentito come teste.
Avverso la sentenza la Plastic Puglia ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di due motivi, notificandolo alla Amrelli Motori spa e alla Recon di D.G. e M. & C snc in liquidazione.
La Marelli Motori spa resiste con controricorso.
Resistono altresi’ gli ex liquidatori della, D.G.V. e Ma.Ca. deducendo innanzitutto l’inammissibilità del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cpc.
Motivi della decisione
Preliminarmente, va esaminata l’eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dagli ex liquidatori della Recon (società intermediaria nella vendita) in base al rilievo che al momento della notificazione del ricorso la società in liquidazione, già era stata cancellata dal registro delle imprese e quindi aveva perso la legittimazione giuridica.
Il rilievo è fondato.
Le sezioni unite già nel 2010 affermarono che in tema di società, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 2495, secondo comma, cod. civ., come modificato dall’art. 4 del d.lgs. 17 gennaio 2003, n. 6, nella parte in cui ricollega alla cancellazione dal registro delle imprese l’estinzione immediata delle società di capitali, impone un ripensamento della disciplina relativa alle società commerciali di persone, in virtù del quale la cancellazione, pur avendo natura dichiarativa, consente di presumere il venir meno della loro capacità e soggettività limitata, negli stessi termini in cui analogo effetto si produce per le società di capitali, rendendo opponibile ai terzi tale evento, contestualmente alla pubblicità nell’ipotesi in cui essa sia stata effettuata successivamente all’entrata in vigore del d.lgs. n. 6 del 2003, e con decorrenza dal 10 gennaio 2004 nel caso in cui abbia avuto luogo in data anteriore (v. Sez. U, Sentenza n. 4060 del 22/02/2010 Rv. 612084; v. nello stesso senso, Sez. 1, Sentenza n. 20878 del 08/10/2010 Rv. 614264; Sez. 3, Sentenza n. 9032 del 15/04/2010 Rv. 612486 non massimate).
Sempre le sezioni unite hanno più di recente precisato che la cancellazione della società dal registro delle imprese, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società cancellata, priva la società stessa della capacità di stare in giudizio (con la sola eccezione della ‘fictio iuris’ contemplata dall’art. 10 della legge fallimentare (v. Sez. U, Sentenza n. 6070 del 12/03/2013 Rv. 625324).
Venendo al caso di specie, dalla visura camerale allegata al controricorso risulta l’avvenuta cancellazione sin dal 19.6.2006 della Recon d.G. e M. e & C. snc in liquidazione per cui al momento della notifica del ricorso (avvenuta il 12.12.2011) essa aveva da tempo perduto la propria soggettività giuridica e, quindi, la relativa capacita processuale.
Da ciò consegue l’inammissibilità del ricorso nei confronti della predetta società in liquidazione, con compensazione delle spese per giuste ragioni, non avendo in ogni caso la ricorrente mosso censure sulla ritenuta estraneità alla vicenda della predetta società, chiamata nel presente giudizio di legittimità (seppur erroneamente) evidentemente solo per ragioni di litisconsorzio processuale.
1 bis Passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo di essi la ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 n. 3 e 5 cpc, violazione dell’art. 1227 secondo comma cc e l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, dolendosi del mancato accoglimento della richiesta di risarcimento danni per lucro cessante, nella misura pari al valore della merce che avrebbe potuto produrre nel tempo intercorrente tra il rifiuto della Marelli a vendere il motore e l’acquisto e installazione di altro motore presso una diversa ditta (la Helmke). Rileva in particolare che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello le attività che essa avrebbe dovuto svolgere per evitare gli ulteriori danni erano indiscutibilmente gravose e straordinarie, e quindi andavano ben oltre la ‘ordinaria diligenza’ di cui al secondo comma dell’art. 1227 cc. Fa presente di avere tempestivamente proposto la domanda di danni per lucro cessante e ne evidenzia la avvenuta quantificazione da parte del CTU ing. S.G. .
Il motivo – che prevalentemente investe il vizio di motivazione della sentenza sul dovere di ordinaria diligenza del creditore nell’evitare il danno (art. 1227 comma 2 cc) – è infondato.
In tema di risarcimento del danno, il primo comma dell’art. 1227 cod. civ. attiene all’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, mentre il secondo comma ha riguardo a situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell’evento ma abbia omesso, dopo la relativa verificazione, di fare uso della normale diligenza per circoscriverne l’incidenza; l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della suindicata disciplina integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se assistita da motivazione congrua (v. Sez. 3, Sentenza n. 5511 del 08/04/2003 Rv. 561983; Sez. 3, Sentenza n. 2422 del 09/02/2004 (Rv. 569992).
Ebbene, la Corte d’Appello di Bari ha ritenuto che, a seguito della mancata consegna del motore richiesto, la Plastic Puglia completò l’impianto solo nell’ottobre 1995 allorché ricevette altro motore da una terza ditta, la Helmke, sostenendo peraltro oneri maggiori pari a E. 5.862,30. Ha accertato però che le Officine C. in data 22.2.1995 formularono offerta di fornitura di un impianto usato comprensivo di motore per il prezzo di lire 135.000.000 e l’equivalente di nuova produzione al prezzo di lire 291.000.000. La Corte, ha rilevato altresi’ sulla scorta di quanto precedentemente riscontrato dal CTU, che il motore ordinato alla Marelli era identico a quello contemplato nella più ampia offerta della C. . Ancora, ha affermato che dalla deposizione del teste C.O. , amministratore delegato della omonima società, era emersa la disponibilità della sua azienda a fornire ‘il motore’ in questione anche nell’arco delle 48 ore.
E, sulla base di tali argomentazioni, la Corte di merito ha concluso che correttamente era stato negato dal primo giudice il risarcimento del danno patrimoniale per la temporanea sospensione dell’attività produttiva in applicazione dell’art. 1227 secondo comma cc: secondo i giudici di merito, con l’ordinaria diligenza il danno poteva essere evitato ben potendo la società indirizzare l’ordine alla fornitrice titolare dell’esclusiva (cioè la C. ), che lo avrebbe prontamente evaso (v. pagg. 9 e 10). La sentenza ha altresi’ affermato che dalla deposizione del teste C. risultava una disponibilità alla fornitura ‘tanto dell’intero macchinario, quanto dello specifico motore’ (v. pag. 10).
Trattasi, come si vede, di un percorso argomentativo basato su tipici accertamenti in fatto, congruamente motivato ed immune da vizi logici, nonché giuridicamente corretto perché aderente alla giurisprudenza di questa Corte.
Infatti, con riferimento al contenuto dell’ordinaria diligenza esigibile è stato in più occasioni affermato che l’art. 1227 c.c., comma 2, non si limita a prescrivere al danneggiato un comportamento meramente negativo, consistente nel non aggravare con la propria attività il danno già prodottosi, ma richiede un intervento attivo e positivo, volto non solo a limitare, ma anche ad evitare le conseguenze dannose. La norma che onera il danneggiato ad uniformarsi ad un comportamento attivo ed attento dell’altrui interesse, rientra tra le fonti di integrazione del regolamento contrattuale, per cui la stessa ‘evitabilità’ del danno è coordinata con i principi di correttezza e di buona fede oggettiva, contenuti nell’art. 1175 c.c., applicabile ad entrambe le parti del rapporto obbligatorio e non al solo debitore, nel senso che costituisce onere sia del debitore che del creditore di salvaguardare l’utilità dell’altra parte nei limiti in cui ciò non comporti un’apprezzabile sacrificio a suo carico (Sez. L, Sentenza n. 16076 del 21/09/2012 Rv. 624106; sez. L Sentenza n. 9898 del 11/05/2005 Rv. 581089, entrambe in motivazione; Cass. 7 aprile 1983 n. 2468; Cass. 14 gennaio 1992 n. 320 cit.).
Il limite alla esigibilità del comportamento attivo è costituito dalla ‘ordinaria’ e non ‘straordinaria’ diligenza, nel senso che le attività che il creditore avrebbe dovuto porre in essere al fine dell’evitabilità del danno, non siano gravose o straordinarie, come esborsi apprezzabili di denaro, assunzione di rischi, apprezzabili sacrifici (Sez. L, Sentenza n. 16076/2012 cit., sempre in motivazione; v. altresi’ Sez. 3, Sentenza n. 15231 del 05/07/2007 Rv. 598303; Sez. 3, Sentenza n. 6735 del 30/03/2005 Rv. 580786; Cass. 15 luglio 1982 n. 4174; Cass. 14 novembre 1978 n. 5243; Cass. 25 gennaio 1975 n. 304; Cass. 6 luglio 2002 n. 9850).
Un tale diffuso orientamento, certamente ispirato alla tutela del dovere di correttezza e cooperazione nelle obbligazioni, appare condivisibile dal Collegio rispetto ad altro più risalente – su cui poggia il ricorso – secondo cui tra le attività gravose e straordinarie debba ricomprendersi anche l’acquisto aliunde delle cose che costituivano l’oggetto della prestazione promessa. Detta giurisprudenza peraltro risulta contrastata da altra in senso contrario, secondo cui invece la permanenza del vincolo contrattuale sino alla pronunzia di risoluzione non impedisce alla parte, che ha sofferto l’inadempimento, di procurarsi altrove la prestazione. Pertanto, se, tenuto conto delle circostanze del caso, il procurarsi altrimenti la prestazione appariva richiesto dall’ordinaria diligenza per evitare o contenere il danno, la parte che abbia ciò trascurato non può sfuggire alle conseguenze previste dall’art. 1227 ult. comma cod. civ.; altresi’ cass. 9937/1997 in motivazione).
Il ragionamento della Corte d’Appello – che, come si è visto, ha dato conto con motivazione assolutamente congrua delle ragioni per le quali ha escluso la gravosità di un acquisto ‘aliunde’ del motore industriale – appare dunque inattaccabile dalla critica della società ricorrente che, invece, sottopone in sede di legittimità una questione tipicamente fattuale e cioè l’analisi in concreto dei comportamenti necessari ad evitare il danno da lucro cessante e una valutazione – anch’essa tipicamente fattuale – sulla gravosità di tali comportamenti, riproponendo, nell’elencazione dei comportamenti a cui non si riteneva tenuta, non solo circostanze di fatto escluse espressamente dalla Corte d’Appello (come la necessità di acquistare aliunde l’intero impianto piuttosto che il solo motore), ma anche (v. ricorso a pagg. 15 e 16) iniziative del danneggiato chiaramente rientranti nella categoria del danno emergente e che invece la Corte di merito ha puntualmente riconosciuto ai fini del quantum (v. pag. 10 della sentenza ove si considerano i maggiori oneri economici di acquisto del motore).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, dolendosi dell’interpretazione data dalla Corte di merito alla deposizione del teste C.O. in ordine fornitura alternativa del macchinario. Previa analisi della deposizione, la società ricorrente rimprovera alla Corte di Appello l’errore nel ritenere che il teste abbia dichiarato la disponibilità della sua ditta a fornire ‘il solo motore’ piuttosto che l’intero impianto. La censura viene però proposta in via condizionata, cioè qualora non si ritenga trattarsi di errore revocatorio e in proposito la ricorrente rileva di avere già incardinato giudizio di revocazione davanti alla Corte d’Appello di Bari.
Il motivo è inammissibile per due ordini di ragioni:
primo, perché denunzia un tipico errore nella percezione del significato letterale e logico di una deposizione testimoniale. Ebbene, la giurisprudenza di questa Corte è costante nell’affermare che in tema di impugnazioni civili, l’errore nella percezione del significato letterale e logico di una deposizione testimoniale non attiene alla interpretazione e valutazione della prova e non dà luogo, quindi, al vizio di omessa o contraddittoria motivazione della sentenza, ma ad un errore di fatto che, a norma dell’art. 395 n. 4 cod. proc. civ., consente solo l’impugnazione per revocazione (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 10127 del 25/06/2003 Rv. 564564; Sez. 3, Sentenza n. 476 del 23/01/1996 Rv. 495531; Sez. 3, Sentenza n. 7679 del 18/12/1986 Rv. 449672). E di tale principio mostra di essere ben a conoscenza la stessa ricorrente che – come dichiarato in ricorso – ha agito in revocazione davanti alla Corte d’Appello.
In secondo luogo – e il rilievo a questo punto tronca definitivamente ogni ulteriore discussione – perché se non si trattasse di vizio revocatorio, si sarebbe comunque in presenza di una alternativa interpretazione della deposizione di un teste, qui non sindacabile sotto il profilo del vizio motivazionale. Infatti, secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite – ed oggi ribadito – la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l’identificazione del procedimento logico – giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Sez. 3, Sentenza n. 17477 del 09/08/2007 Rv. 598953; Sez. U, Sentenza n. 13045 del 27/12/1997 Rv. 511208; Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 91 del 07/01/2014 Rv. 629382).
In conclusione il ricorso contro la Marelli va rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti della Recon di D.G. e M. & C snc in liquidazione e compensa le spese; lo rigetta nei confronti della Marelli Motori spa e condanna la ricorrente al rimborso, in favore della predetta società, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida, in complessivi Euro 6.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge
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