Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza n. 13838 del 31 maggio 2013
Svolgimento del processo
La Corte d’appello di Perugia, con sentenza in data 27/1 – 31/3/2011, ha respinto il reclamo proposto da F. A. e A.F. s.n.c. di F. F. avverso la sentenza del Tribunale di Orvieto del 19/10/2010, dichiarativa del fallimento della A.F. s.n.c. di F. F. & C. nonché dei soci F. F. e F. A., dando atto che quest’ultima era receduta dalla società in data 25/8/2010.
Per quanto qui rileva, la Corte del merito ha respinto il reclamo di F. A., rilevando che la tesi fatta valere, ovvero che il fallimento della socia receduta non poteva essere dichiarato contemporaneamente al fallimento della società, ma in estensione, non aveva alcun sostegno normativo, vista la chiara previsione dell’art. 147 l.f. che prevede la fallibilità del socio, pur se receduto, entro l’anno dal recesso. Ricorre avverso detta pronuncia F. A., sulla base di due motivi.
Si difendono con controricorso il Fallimento ed Equitalia Umbria s.p.a.
Motivi della decisione
1.1.- Col primo motivo, la ricorrente denuncia l’illegittimità della dichiarazione di fallimento per violazione e falsa interpretazione dell’art. 2290 c.c. e dell’art. 147 l.f.,nella formulazione di cui alla novella del d.lgs. 5/2006.
In tesi della ricorrente, l’art. 147, 2° comma c.c. dispone che non può essere dichiarato il fallimento del socio, decorso un anno dal recesso; tale principio negativo va coordinato con l’art. 2290 c.c., che dispone l’efficacia immediata del recesso, nei casi di società a tempo indeterminato, come nella specie.
Per i soci receduti entro l’anno dalla dichiarazione di fallimento, la relativa posizione dovrà essere valutata autonomamente, non potrà essere dichiarato automaticamente il fallimento, ma solo in estensione, ai sensi del 147, 4° comma l.f.
1.2.- Col secondo motivo, la ricorrente denuncia la sentenza impugnata, sotto il profilo del vizio di omessa o insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia, sostenendo che la Corte del merito si è limitata a mera affermazione di principio nel ritenere il fallimento personale della F..
2.1.- I due motivi del ricorso, ambedue relativi alla dichiarazione di fallimento della socia receduta, vanno esaminati congiuntamente e sono da ritenersi infondati.
L’interpretazione suggerita dalla ricorrente è destituita di fondamento.
L’art. 147 l.f. nella formulazione ratione temporis applicabile, al primo comma dispone: “La sentenza che dichiara il fallimento di una società appartenente ad uno dei tipi regolati nei capi III, IV e VI del titolo V del libro quinto del codice civile, produce anche il fallimento dei soci, pur se non persone fisiche,illimitatamente responsabili”, al secondo comma: “Il fallimento dei soci di cui al comma primo non può essere dichiarato decorso un anno dallo scioglimento del rapporto sociale o dalla cessazione della responsabilità illimitata, anche in caso di trasformazione, fusione o scissione, se sono state osservate le formalità per rendere noti ai terzi i fatti indicati…”, ed il quarto comma prevede: “Se dopo la dichiarazione di fallimento della società risulta l’esistenza di altri soci illimitatamente responsabili, il tribunale, su istanza del curatore, di un creditore, dì un socio fallito,dichiara il fallimento dei medesimi.”
A fronte della chiara previsione di cui al primo comma, il secondo comma limita la dichiarazione di fallimento, rispetto ai soci illimitatamente responsabili, in diretta conseguenza della dichiarazione di fallimento della società, nello specifico, ai soci receduti entro l’anno, ove siano state rispettate le dovute formalità di pubblicità; il quarto comma prevede il fallimento “in estensione” degli “altri soci”, la cui esistenza risulti dopo la sentenza di fallimento.
Sul piano della lettera e della ratio della norma in oggetto, non può pertanto prospettarsi il fallimento in estensione rispetto ai soci risultanti tali dal registro delle imprese, e il fallimento in estensione è proprio connotato dalla mancanza di pubblicità del vincolo sociale di un soggetto, quale socio occulto o di fatto, non identificabile al momento della dichiarazione di fallimento dal registro delle imprese.
E la giurisprudenza di legittimità, in relazione alla precedente formulazione dell’art. 147 l.f., si è espressa nel senso che il fallimento del socio receduto non deve avvenire necessariamente con la procedura di estensione ex art. 147, secondo comma, legge fall., poiché, quando la sua esistenza è già nota prima della dichiarazione di fallimento della società, questo, ai sensi del primo comma, produce il fallimento di tutti i soci illimitatamente responsabili; pertanto, in tal caso non sussiste esercizio di un potere d’impulso d’ufficio da parte del giudice, con accertamenti in fatto eccedenti l’oggetto della domanda, né ne è compromessa la terzietà in quanto, accogliendo l’istanza volta alla dichiarazione di fallimento della società, il giudice stabilisce le conseguenze che ad essa la legge i ricollega, tra cui anche il fallimento del socio illimitatamente responsabile (così la pronuncia 9445/2007 e conforme la successiva 6003/2011).
La diversa interpretazione offerta dalla ricorrente si scontra con la chiara formulazione dell’art. 147 l.f., e non è corretta l’interpretazione dell’art. 2290 c.c., offerta dalla parte, atteso che detta norma dispone per l’efficacia immediata del recesso, ma nei rapporti interni, occorrendo invece nei confronti dei terzi la pubblicità prescritta dalla legge.
Ed il rapporto tra l’art. 2290 c.c. e l’art. 147 l.f. è ben chiarito dalla giurisprudenza nelle pronunce 4865/2010, 19304/06, 14962/04, che hanno affermato che il recesso del socio di società di persone, cui non sia stata data pubblicità, ai sensi dell’articolo 2290, secondo comma cod.civ., è inopponibile ai terzi, con ciò dovendosi intendere che non produce i suoi effetti al di fuori dell’ambito societario; conseguentemente il recesso non pubblicizzato non è idoneo ad escludere l’estensione del fallimento pronunciata ai sensi dell’articolo 147 l.f. né assume rilievo il fatto che il recesso sia avvenuto oltre un anno prima della sentenza dichiarativa di fallimento, posto che il rapporto societario per quanto concerne i terzi a quel momento è ancora in atto.
3.1.- Conclusivamente, va respinto il ricorso.
Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo,seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento delle competenze, liquidate in euro 4.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge, a favore di ciascuno dei controricorrenti.
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