Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 7 aprile 2016, n. 14008
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza emessa il 29/01/2014 il Tribunale di sorveglianza di Roma dichiarava inammissibile l’istanza di affidamento in prova al servizio sociale di tipo terapeutico presentata da I.K., ai sensi dell’art. 94 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309.
La declaratoria di inammissibilità, in particolare, veniva adottata sul presupposto che la certificazione allegata dal K., rilasciata dal SE.R.T. di Frosinone, attestava una condizione di “abuso di cocaina”, con la conseguenza che il condannato non poteva ritenersi un tossicodipendente, ma un consumatore abituale di cocaina, rendendo inammissibile l’istanza proposta.
2. Avverso tale ordinanza il K., a mezzo dei suo difensore, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la concessione dell’affidamento in prova al servizio sociale di tipo terapeutico richiesto, che erano stati valutati dal Tribunale di sorveglianza di Roma con un percorso motivazionale contraddittorio e manifestamente illogico.
Nel ricorso in esame, in particolare, si deduceva che il Tribunale di sorveglianza di Roma non aveva tenuto conto dei fatto che il SE.R.T. di Frosinone, che aveva attestato l’abuso di cocaina in capo al K., aveva ritenuto l’istante affetto da una patologia di tipo cronico e recidivante, in termini tali da imporre l’assimilazione di tale condizione a quella del tossicodipendente, anche sulla scorta dalla giurisprudenza di legittimità, pronunciatasi in termini, espressamente richiamata (cfr. Sez. 6, n. 16037 del 26/03/2009, Camon, Rv. 243582).
Queste ragioni processuali imponevano l’annullamento del provvedimento impugnato.
Considerato in diritto
1. II ricorso è fondato.
In via preliminare, deve rilevarsi che il controllo affidato al giudice di legittimità è esteso, oltre che all’inosservanza di disposizioni di legge sostanziale e processuale, alla mancanza di motivazione, dovendo in tale vizio essere ricondotti tutti i casi nei quali la motivazione stessa risulti del tutto priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito ovvero quando le linee argomentative del provvedimento siano talmente scoordinate e carenti dei necessari passaggi logici da far rimanere oscure le ragioni che hanno giustificato la decisione (cfr. Sez. U, n. 25080 del 28/05/2003, Pellegrino, Rv. 224611).
Alla luce di tali parametri ermeneutici questa Corte osserva che il ricorso del K. denuncia correttamente il vizio di violazione di legge e individua i passaggi argomentativi del provvedimento impugnato da sottoporre a censura giurisdizionale, tendendo a provocare una nuova valutazione dei presupposti applicativi dell’affidamento in prova al servizio di tipo terapeutico, disciplinato dall’art. 94 dei d.P.R. n. 309 del 1990, prospettando un’interpretazione della nozione di consumo abituale di sostanze stupefacenti adeguata alla condizione patologica dell’istante e alternativa a quella posta a fondamento della decisione adottata dal Tribunale di sorveglianza di Roma.
In questo contesto processuale, occorre ulteriormente rilevare che l’ordinanza impugnata negava che potesse stabilirsi un’assimilazione clinica tra la condizione di tossicodipendenza e quella di utilizzo abituale di sostanze stupefacenti, al contrario di quanto dedotto dalla difesa del K.. Sul punto, si ritiene utile richiamare il passaggio dell’ordinanza impugnata, esplicitato a pagina 1, nel quale si affermava: «Nel caso di specie la certificazione del SERT di Frosinone non attesta alcun indice per desumere la “dipendenza” da sostanze psicotrope secondo il DSM IV […]; non attesta alcuna sindrome da astinenza, né sintomi fisici e psichici da intossicazione; l’utente “dichiara uso di cannabinoidi e di cocaina” ed è risultato positivo al drug test rispetto la cocaina».
Ne discende che le conclusioni alle quali perveniva il Tribunale di sorveglianza di Roma traevano il proprio fondamento dai parametri nosografici contenuti nel DSM IV – acronimo con il quale si indica la quarta edizione dei Manuale diagnostico dei disturbi mentali, pubblicato a cura dell’American Psychiatric Association (APA) – che costituisce uno dei sistemi di classificazione dei disturbi mentali o psicopatologici maggiormente utilizzato da medici e psichiatri di tutto il mondo, sia nella pratica clinica che nell’ambito della ricerca scientifica.
2. Queste conclusioni, così come evidenziato dal procuratore generale nella requisitoria, appaiono conformi alla giurisprudenza di legittimità, consolidatasi in epoca successiva al precedente giurisprudenziale richiamato nel ricorso in esame, che ha escluso la possibilità di stabilire sul piano scientifico un’assimilazione tra la condizione di tossicodipendente e quella collegata all’utilizzo abituale di sostanze stupefacenti, sulla scorta del seguente principio di diritto: «In tema di stupefacenti, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero, non sussiste alcuna coincidenza tra l’uso abituale o continuativo di stupefacenti e lo stato di tossicodipendente, trattandosi di categorie distinte, aventi autonomo riconoscimento normativo e, comunque, non omologabili sicché l’accertamento della tossicodipendenza non si risolve in quello dell’uso abituale, il quale – alla stregua dei parametri del DSM IV, costituenti criteri guida aventi natura scientifica largamente riconosciuti nella comunità scientifica internazionale – costituisce condizione essenziale ma non sufficiente per la diagnosi della tossicodipendenza» (cfr. Sez. 4, n. 38040 del 27/06/2012, Capuzzi, Rv. 254366).
Ne deriva che anche l’arresto giurisprudenziale richiamato trae il proprio fondamento dai parametri nosografici elaborati nel DSM IV, edito negli Stati Uniti nel 2000, sulla cui plausibilità scientifica non occorre soffermarsi ulteriormente, secondo cui la dipendenza da sostanze stupefacenti, comunemente intesa come tossicodipendenza, rappresenta una condizione patologica differente da quella dell’abuso di tali sostanze. Tale ultima condizione, infatti, non è assimilabile a quella della tossicodipendenza, caratterizzandosi, secondo i parametri elaborati dal DSM IV, richiamato dal Tribunale di sorveglianza di Roma, per la ricorrenza di una sola delle seguenti condizioni: l’assunzione ricorrente, che determina incapacità di assolvere ai propri compiti, sociali, domestici e lavorativi; l’assunzione ricorrente, nonostante esposizione a pericoli fisici; problematiche legali correlate alla frequenza dell’assunzione; l’uso continuativo delle sostanze stupefacenti assunte, nonostante il persistere di problemi sociali e interpersonali.
In questa cornice ermeneutica, occorre evidenziare che possiamo ritenere espressione di un orientamento giurisprudenziale consolidato quello che ritiene utile o quantomeno possibile il riferimento ai parametri prefigurati dal Manuale diagnostico dei disturbi mentali, pubblicato a cura dell’American Psychiatric Association (APA), ai fini della valutazione della condizione di dipendenza da sostanze stupefacenti – nella duplice variante nosografica che si sta considerando ai presenti fini processuali – atteso che tale strumento rappresenta il sistema di classificazione delle psicopatologie maggiormente applicato, in tutto il mondo, dalla scienza medico-psichiatrica. D’altra parte, la possibilità di utilizzare tale modello diagnostico, oltre che nell’arresto giurisprudenziale sopra citato, è stato da ultimo ribadito in una pronuncia di questa Corte, che ai parametri scientifici contenuti nel manuale in questione ha fatto espressamente riferimento, ribadendone l’utilizzabilità in sede processuale allo scopo di inquadrare clinicamente le patologie psichiatriche collegate all’uso di sostanze stupefacenti di volta in volta considerate (cfr. Sez. 1, n. 11000 del 28/11/2014, Feliciani, non mass.).
Questo orientamento ermeneutico, dunque, costituisce uno sviluppo interpretativo rispetto all’arresto giurisprudenziale richiamato dalla difesa del ricorrente, il quale giungeva a equiparare la condizione di tossicodipendenza a quella dell’abuso di sostanze stupefacenti – nei termini prospettati nel ricorso in esame – sulla base di una ricostruzione sistematica del dettato normativo, del tutto svincolata dai parametri psichiatrici elaborati nel DSM, espressa nel seguente principio di diritto: «In materia di stupefacenti, ai fini della sostituzione della misura custodiale con il programma di recupero, le nozioni di tossicodipendenza e di uso abituale di sostanze stupefacenti devono ritenersi sinonimie, non solo in quanto la seconda chiarisce concettualmente il significato della prima, ma anche in ragione del dato testuale di cui all’art. 89, comma secondo, d.P.R. n. 309 del 1990, come sostituito dall’art. 4 sexies, comma primo, lett. a), I. 21 febbraio 2006, n. 49, la cui formulazione precisa che la relativa istanza deve essere corredata, tra l’altro, da certificazione attestante lo stato di tossicodipendenza (o di alcooldipendenza) e la procedura con cui è stato accertato l’uso abituale di sostanze stupefacenti, psicotrope o alcoliche» (cfr. Sez. 6, n. 16037 del 26/03/2009, Camon, cit.).
Deve, tuttavia, rilevarsi che, nel caso di specie, affermata la possibilità di ricorrere al Manuale diagnostico dei disturbi mentali elaborato dall’American Psychiatric Association, l’ordinanza impugnata risulta contraddittoria proprio sul piano dei presupposti scientifici richiamati, atteso che il DSM IV, cui ci si riferisce nello stesso provvedimento, risulta revisionato dal DSM V, edito negli Stati Uniti nel 2013, che impone una rivisitazione dei parametri nosografici utilizzati dal Tribunale di sorveglianza di Roma per escludere, in capo al K., l’assimilazione tra la condizione di tossicodipendenza e quella di abuso di sostanze stupefacenti. Peraltro, lo stesso orientamento giurisprudenziale citato nella requisitoria del procuratore generale, essendo intervenuto in epoca antecedente alla pubblicazione dei DSM V, non appare aggiornato rispetto ai parametri nosografici recepiti nell’ultima versione del manuale diagnostico in questione e non può essere seguito nel nostro caso per vagliare la congruità della soluzione recepita nel provvedimento impugnato alla condizione patologica del ricorrente (cfr. Sez. 4, n. 38040 del 27/06/2012, Capuzzi, cit.).
Nell’ultima versione di tale manuale diagnostico, infatti, viene eliminata la distinzione tra tossicodipendenza e abuso di sostanze stupefacenti, sul presupposto scientifico che tutte le dipendenze e i relativi problemi comportamentali rientrano nella categoria generale dei “disturbi da uso di sostanze”, tanto da essere inserite in un unico capitolo del DSM V, intitolato “Disturbi da dipendenza e correlati all’uso di sostanze”.
In questo ambito nosografico, il DSM V introduce una nuova distinzione all’interno della categoria generale “disturbi da uso di sostanze”, rielaborando i criteri per la diagnosi di questi disturbi, distinti attraverso la loro graduazione in lievi, moderati e gravi.
Ne discende conclusivamente che le conclusioni alle quali è giunto il Tribunale di sorveglianza di Roma fanno riferimento a una versione superata del manuale diagnostico richiamato, imponendo un nuovo esame che tenga conto dell’evoluzione dei parametri nosografici applicabili alle ipotesi di abuso di sostanze stupefacenti, cui ci si è riferiti.
3. Per queste ragioni, l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di sorveglianza di Roma, affinché provveda a un nuovo esame, conformandosi ai principi di diritto che si sono enunciati.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Roma.
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