Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 5 febbraio 2016, n. 2316
Ritenuto in fatto
1. Con atto di citazione ritualmente notificato, la Cooperativa Costruttori soc. coop a r. l. – in qualità di capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese (ATI) tra la medesima, la società F.lli Cervellati s.p.a. e la società Il Progresso s.r.l. – evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ferrara, il Comune di quella città, chiedendo dichiararsi, in relazione a tre contratti di appalto, stipulati (in data 12 dicembre 1988, 23 gennaio 1989 e 2 agosto 1990) con l’ente nell’ambito di un progetto di valorizzazione culturale ed artistico della città, l’illegittimità delle sospensioni dei lavori operate dall’appaltante, poiché non rientranti nelle previsioni delle leggi in materia, in quanto riconducibili a fatti imputabili al committente, e poiché di durata abnorme, con conseguente condanna dell’ente convenuto al risarcimento dei danni subiti, quantificati in L. 10.313.424.781, oltre accessori di legge.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 873/2002, depositata il 3 settembre 2002, accoglieva parzialmente la domanda, ritenendo illegittime soltanto le sospensioni relative al secondo e terzo dei contratti suddetti, e condannava l’Amministrazione convenuta al risarcimenti dei danni sofferti dall’attrice, nella misura di Euro 132.939,04, oltre interessi e rivalutazione monetaria. Veniva, per contro, rigettata la domanda in relazione alla sospensione concernente il contratto stipulato in data 12 dicembre 1988.
2. Avverso tale decisione proponeva, quindi, appello la Cooperativa Costruttori soc. coop. a r.l., riproponendo sostanzialmente le domande e difese svolte in prime cure. Si costituiva il Comune di Ferrara, proponendo appello incidentale, con riferimento alla parte di domanda dell’appaltatrice accolta dal Tribunale.
La Corte di Appello di Bologna, con sentenza n. 1012/2008, depositata il 18 giugno 2008, disattendeva sia il gravame principale che quello incidentale, confermando integralmente l’impugnata sentenza. Il giudice di seconde cure, per un verso, riteneva legittime le sospensioni dei lavori operate dalla stazione appaltante, per altro verso, reputava tempestive le riserve formulate dall’appaltatrice – sebbene effettuate non nei verbali di sospensione dei lavori, bensì con un atto successivo -, ma reputava non dovuti i danni per il periodo anteriore alla manifestazione di dette riserve.
3. Per la cassazione della sentenza n. 1012/2008 ha proposto, quindi, ricorso la Cooperativa Costruttori a r.l. nei confronti del Comune di Ferrara, sulla base di cinque motivi.
4. Il resistente ha replicato con controricorso, contenente altresì ricorso incidentale, affidato a due motivi.
5. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ..
Considerato in diritto
1. Con il primo e secondo motivo di ricorso – che, per la loro evidente connessone, vanno esaminati congiuntamente – la Cooperativa Costruttori soc. coop a r.l. denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1206 e 1375 cod. civ., 30, comma 2, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, nonché l’insufficiente motivazione su un fatto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, nn. 3 e 5 cod. proc. civ..
1.1. Con riferimento al primo dei contratti (in data 12 dicembre 1988) stipulati con il Comune di Ferrara, avente ad oggetto i lavori di recupero e valorizzazione delle mura e del sistema museale di Ferrara (c.d. “contratto mura”), la Cooperativa Costruttori deduce che la Corte di Appello avrebbe errato nel ritenere – peraltro con motivazione del tutto incongrua e contraddittoria, ed in palese violazione degli artt. 1175, 1206 e 1375 cod. civ., nonché 30, comma
2, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 – che non incombesse sul committente, tenuto conto dell’oggetto dell’appalto consistente nel restauro di mura risalenti al periodo rinascimentale, e quindi tale da rendere del tutto prevedibile l’evenienza del reperimento di reperti archeologici, l’obbligo di effettuare studi, indagini e sondaggi finalizzati al reperimento di eventuali reperti, sì da consentire all’ATI appaltatrice l’esecuzione delle prestazioni pattuite.
1.2. Anche nel contratto di appalto di opere pubbliche, per la sua natura privatistica, sarebbe, difatti, configurabile, a carico dell’amministrazione committente, un obbligo – scaturente dal principio di buona fede sancito dalle succitate norme di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. – di cooperare all’adempimento del dell’appaltatore, mediante il compimento di quelle attività necessarie a consentire al medesimo di realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto in questione, secondo quanto – in tema di mora del creditore – espressamente prevede, altresì, il disposto di cui all’art. 1206, comma 1, cod. civ..
1.3. Le censure sono fondate.
1.3.1. Dall’esame degli atti e dell’impugnata sentenza si evince che il Comune di Ferrara – nell’ambito di un progetto di valorizzazione culturale ed artistico della città – stipulava con la Cooperativa Costruttori soc. coop. a r.l., in qualità di capogruppo mandataria dell’associazione temporanea di imprese (ATI) tra la medesima, la società F.lli Cervellati s.p.a. e la società Il Progresso s.r.l., tre diversi contratti: 1) contratto di appalto del 12 dicembre 1988, per i lavori di recupero e valorizzazione e di recupero delle mura e del sistema museale di Ferrara (c.d. “contratto mura”); 2) contratto di appalto del 23 gennaio 1989, per il restauro del (omissis) (c.d. “contratto (omissis) “); 3) contratto di appalto del 2 agosto 1990, per il restauro del palazzo (omissis) e dell’ex convento di (omissis) (c.d. “contratto (omissis) “).
1.3.1.1. Senonchè, in corso d’opera, i lavori riguardanti il c.d. “contratto mura” – oggetto dei motivi di ricorso in esame – furono sospesi dal Comune committente il 31 luglio 1993, in conseguenza del ritrovamento di reperti murari e pavimentazioni delle antiche mura del (omissis) . I lavori concernenti il contratto (omissis) furono, del pari, sospesi dall’ente pubblico con verbali del 31 ottobre 1988 e del 18 ottobre 1991, per consentire un approfondimento delle indagini preliminari, in particolare di carattere statico-strutturale, ed essendo in corso di perfezionamento una perizia suppletiva relativa alle opere in questione. I lavori concernenti il ed contratto cesare D’Este furono, infine, sospesi dal Comune di Ferrara con verbale del 21 maggio 1990, sul presupposto dell’indispensabilità di ricerche “sia storico-pittoriche che statico-strutturali prima di iniziare i lavori”, ed essendo in corso di perfezionamento una permuta con l’Amministrazione statale.
1.3.1.2. Con atto notificato l’11 gennaio 1996 – constatato che le precedenti diffide erano rimaste senza effetto – l’impresa capogruppo rendeva, quindi, nota al committente la formulazione di riserve per ciascuno dei tre contratti, in relazione alle sospensioni suindicate, considerata la loro notevole ed ingiustificata durata, pari a quattro anni per il “contratto mura”, ad otto e sei anni per le diverse opere costituenti oggetto del “contratto (omissis) “, ed a sei anni per il “contratto (omissis) “. La Cooperativa Costruttori adiva, quindi, il Tribunale di Ferrara, chiedendo dichiararsi l’illegittimità delle sospensioni suindicate, poiché non rientranti nelle previsioni delle leggi in materia, in quanto riconducibili a fatti imputabili al committente e poiché di durata abnorme, ottenendo un parziale accoglimento della domanda, avendo il giudice adito ritenuto illegittime le sole sospensioni in data 31 ottobre 1988 e 18 ottobre 1991, in relazione al “contratto (omissis) ), e 21 maggio 1990, quanto al “contratto (omissis) “, con condanna dell’Amministrazione convenuta al risarcimenti dei danni sofferti dall’attrice, nella misura di Euro 132.939,04, oltre interessi e rivalutazione. Il Tribunale disattendeva, dunque, la domanda attorea in relazione alla sospensione concernente il c.d. “contratto mura”. Avverso la decisione di appello che ha rigettato il gravame della società appaltatrice, nella parte concernente il contratto suindicato, insorge, pertanto, la Cooperativa Costruttori con i motivi in esame.
1.3.2. Premesso quanto precede, va osservato – in proposito – che il rinvenimento di reperti archeologici (c.d. sorpresa archeologica) nei corso dell’esecuzione di un appalto pubblico costituisce, secondo l’insegnamento di questa Corte, causa di forza maggiore, ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 1063 dei 1962, che impedisce la prosecuzione dei lavori in adempimento di doveri imposti dalla legge (“factum principis”) e senza alcuna discrezionalità da parte del committente (sia pure nel rispetto dei limiti temporali di cui in prosieguo si dirà). Ne consegue che la sospensione in tal caso disposta dalla stazione appaltante, non costituendo sospensione discrezionale per ragioni di interesse pubblico, non consente all’appaltatore di richiedere, ai sensi dell’art. 30, secondo comma, del capitolato generale del Ministero dei Lavori pubblici approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, lo scioglimento del contratto ove la sospensione superi i termini ivi stabiliti e, in caso di rifiuto da parte del committente, di ottenere l’indennizzo dei maggiori oneri sopportati (cfr. Cass. 10133/2005; 3670/2014).
1.3.3. Deve, pertanto, reputarsi erronea – nel caso di specie – la sentenza di appello (pp. 12 e 13), laddove ha ritenuto applicabile alla fattispecie concreta il disposto del comma 2 dell’art. 30 cit., traendone la conseguenza che, non essendosi l’impresa capogruppo avvalsa della facoltà, ivi prevista, di richiedere Io scioglimento del contratto, nessun risarcimento del danno poteva competere all’appaltatrice. Ed invero, l’opzione data all’appaltatore dall’art. 30, comma 2, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (applicabile alla fattispecie concreta ratione temporis) di chiedere lo scioglimento del contratto senza indennità in caso di sospensione dei lavori, ed il conseguente diritto al risarcimento dei danni solo nel caso in cui l’Amministrazione si sia opposta a tale richiesta, si riferiscono esclusivamente all’ipotesi di sospensione disposta per ragioni di pubblico interesse o necessità – diversa da quella, contemplata nel primo comma della norma, della sospensione disposta per cause temporanee ostative alla prosecuzione dei lavori a regola d’arte – e limitatamente, inoltre, al caso in cui il protrarsi della sospensione sia legittimo in quanto correlato al perdurare di quelle ragioni, trovando applicazione, in caso contrario, la normativa codicistica sull’inadempimento delle obbligazioni (Cass. 14574/2010).
1.3.4. Orbene, nella fattispecie in esame, una volta stabilito che la vicenda per cui è causa va sussunta nell’ipotesi normativa di cui al comma 1, e non in quella di cui al comma 2 dell’art. 30 d.P.R.. n. 1063 del 1962, sicché l’inquadramento giuridico della vicenda operato dal giudice di appello si palesa del tutto errato, deve, altresì, affermarsi che il protrarsi della sospensione dei lavori non può essere ritenuto legittimo, anche con riferimento alla menzionata previsione del comma 1 dell’art. 30 cit. A tal proposito deve, invero, rilevarsi che la sospensione dei lavori, disposta dalla stazione appaltante ex art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 1063 del 1962, per la sopravvenienza di una causa di forza maggiore, non può protrarsi illimitatamente, giacché si fonda sulla condizione – sancita espressamente dalla norma succitata – della temporaneità dell’ostacolo sopraggiunto e sulla prospettiva di una ripresa dei lavori in un tempo ragionevole (Cass. 12980/2009). In tale prospettiva va, difatti, considerato che, nell’appalto di opere pubbliche, stante la natura privatistica del contratto, è configurabile, in capo all’amministrazione committente, creditrice dell’”opus”, un dovere – discendente dall’espresso riferimento contenuto nell’art. 1206 cod. civ. e, più in generale, dai principi di correttezza e buona fede oggettiva che permeano la disciplina delle obbligazioni e del contratto – di cooperare all’adempimento dell’appaltatore attraverso il compimento di quelle attività, distinte rispetto al comportamento dovuto da questi e necessarie affinché il medesimo possa realizzare il risultato cui è preordinato il rapporto obbligatorio (cfr. Cass. 10052/2006; 12698/2014).
1.3.5. Ebbene, nel caso di specie, il protrarsi della sospensione per un periodo molto lungo (quattro anni) non può certamente reputarsi compatibile con i suesposti principi e parametri normativi. È di tutta evidenza, infatti, che – anche nell’evenienza in cui sopraggiungano, in corso di opera, eventi imprevedibili costituenti forza maggiore, ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 1063 del 1962 – la sospensione dei lavori non può essere di durata tale da vanificare, del tutto, o in maniera sensibile, l’interesse economico dell’appaltatore. E d’altro canto, la motivazione dell’impugnata sentenza sul punto non può di certo essere considerata congrua ed adeguata, in relazione al disposto dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. (nel testo applicabile ratione temporis). La Corte di Appello si è limitata,
3.1. In relazione al “contratto (omissis) ” ed al “contratto (omissis) ” (del 23 gennaio 1989 e del 2 agosto 1990), si duole la ricorrente del fatto che la Corte di Appello, pur avendo ritenuto tempestive le riserve effettuate dall’appaltatrice, non nel verbale di sospensione dei lavori, ma con un successivo atto notificato all’Amministrazione in data 11 gennaio 1996, abbia, dipoi, ritenuto – peraltro con motivazione del tutto incongrua ed inadeguata – che la sospensione dei lavori dovesse considerarsi “abnorme”, ai fini del risarcimento del danno, solo dal momento in cui le riserve erano state manifestate. Derivando, infatti, le riserve – nel caso concreto – da un fatto “continuativo” come la sospensione dei lavori, il risarcimento in parola, avrebbe dovuto essere riconosciuto, a parere della istante, anche per il periodo anteriore alla cessazione della sospensione ed alla ripresa dei lavori.
3.2. I motivi sono fondati.
3.2.1. In tema di appalto di opera pubblica, l’appaltatore che pretenda un maggiore compenso o rimborso, rispetto al prezzo contrattualmente pattuito, a causa dei pregiudizi o dei maggiori esborsi conseguenti alla sospensione dei lavori disposta o protratta dall’Amministrazione, ha – difatti – l’onere, ai sensi del combinato disposto degli artt. 53, 54 e 64 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350 (applicabile “ratione temporis”), di iscrivere la relativa riserva nel momento in cui emerga, secondo una valutazione riservata al giudice del merito, la concreta idoneità del fatto a produrre i suddetti pregiudizi o esborsi. Al riguardo, si deve, pertanto, distinguere il momento nel quale il danno sia presumibilmente configurabile da quello in cui esso sia precisamente quantificabile, sorgendo l’onere di iscrivere la riserva fin dal primo di tali momenti e potendo, invece, la specifica quantificazione operarsi nelle successive registrazioni. Ne consegue che, nel caso in cui la sospensione possa ritenersi illegittima sin dall’inizio, l’appaltatore deve inserire la sua riserva nello stesso verbale di sospensione e dovrà poi iscrivere regolare riserva o domanda nel registro di contabilità quando egli successivamente lo sottoscriva, ripetendo quindi la riserva stessa nel verbale di ripresa e nel registro di contabilità successivamente firmato. Per converso, sia nel caso in cui la sospensione dei lavori non presenti immediata rilevanza onerosa, giacché l’idoneità del fatto a produrre il conseguente pregiudizio o esborso emerga soltanto all’atto della cessazione della sospensione medesima, sia nel caso in cui quest’ultima, originariamente legittima, diventi solo successivamente illegittima, la relativa riserva non potrà che essere apposta nel verbale di ripresa dei lavori o, in mancanza di tale verbale (la cui compilazione è rimessa all’iniziativa dell’appaltante), nel registro di contabilità successivamente firmato, ovvero, in caso di ulteriore mancanza anche di quest’ultimo registro, essa deve essere tempestivamente comunicata all’Amministrazione mediante apposito atto scritto (Cass. 17630/2007; 15693/2008).
3.2.2. Ne discende che, nell’ipotesi di sospensione dei lavori, deve ritenersi tempestiva la formulazione di riserva nel verbale di ripresa, o in un qualsiasi atto successivo al verbale che dispone la sospensione delle opere, quando questa, legittima inizialmente, sia divenuta illegittima per la sua eccessiva protrazione, con il conseguente collegamento del danno a tale illegittimo protrarsi, poiché, in siffatta ipotesi, la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all’appaltatore è accertabile solo al momento della ripresa dei lavori. E tuttavia, considerata la menzionata distinzione operabile tra il momento nel quale il danno sia presumibilmente configurabile e quello in cui esso sia precisamente quantificabile, resta salva la facoltà dell’appaltatore – una volta formulata tempestivamente la riserva – di precisare l’entità del pregiudizio subito nelle successive registrazioni o in chiusura del conto finale (cfr. Cass. 3167/1981; 6911/1982; 9396/1987; 746/1997; 15485/2000; 23670/2006).
3.2.3. L’impugnata sentenza, nella parte in cui ha ritenuto che la durata della sospensione dei lavori in relazione ai contratti “(omissis) ” e “Cesare D’Este” – protrattasi per ben otto e sei anni – fosse da considerarsi abnorme, ai fini della quantificazione del danno, solo dal momento di manifestazione delle riserve, è da considerarsi, pertanto, del tutto erronea, stante la menzionata facoltà di operare una successiva, precisa, quantificazione del danno patito dall’appaltatore, anche per il periodo precedente la formulazione della riserva, essendosi in presenza di un comportamento illegittimo “continuativo” della stazione appaltante.
3.3. Le censure vanno, di conseguenza, accolte.
4. Passando, quindi, all’esame del ricorso incidentale proposto dal Comune di Ferrara, va rilevato che, con il primo motivo, l’ente ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 54 e 89 del r.d. 25 maggio 1895, n. 350, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ..
4.1. Il Comune di Ferrara censura l’impugnata sentenza per avere ritenuto tempestive le riserve proposte dalla società appaltatrice capogruppo, sebbene le ragioni delle sospensioni dei lavori fossero state rese note fin dai verbali che le disponevano, sicché le riserve medesime avrebbero dovuto essere formulate già nei suddetti verbali. La censura è da reputarsi infondata, per le ragioni svolte in relazione al quarto e quinto motivo del ricorso incidentale, circa la tempestività delle riserve nell’ipotesi – l’accertamento della cui sussistenza è demandata al giudice di merito – in cui, come nella specie, la sospensione dei lavori non presenti immediata rilevanza onerosa.
4.2. Il motivo va, pertanto, rigettato.
5. Con il secondo motivo di ricorso, il Comune di Ferrara denuncia la contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ..
5.1. L’ente censura l’impugnata sentenza nella parte in cui, pur avendo accertato che i palazzi (OMISSIS) erano indisponibili, a causa di un conflitto tra i Ministeri competenti, e che nessun cantiere era stato allestito in loco, ha ritenuto dovuto comunque un risarcimento per “spese generali”, ancorché difettassero i presupposti per un riconoscimento di un qualsiasi pregiudizio economico.
5.2. Il motivo è fondato.
5.2.1. La motivazione dell’impugnata sentenza si palesa, invero, affetta dal vizio denunciato, sul punto concernente il diritto dell’appaltatore a percepire il compenso per le “spese generali”.
Va difatti osservato, in proposito, che, in tema di appalto di opere pubbliche, le spese generali per l’esecuzione dell’appalto, comprendenti le spese di cantiere e quelle generali di azienda, sono disciplinate non dall’art. 20 del d.m. 29 maggio 1865, che regola la formazione dei prezzi unitari per ogni tipologia di lavoro e le relative componenti, ai fini della determinazione del costo dell’opera, ma dall’art. 16 del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063 (ed ora art. 5 del d.m. 19 aprile 2000, n. 145), che le pone a carico dell’appaltatore, in quanto già computate nel prezzo dell’opera, salva prova contraria da parte di quest’ultimo (Cass. 28429/2011; 5725/2014; 16277/2014).
5.2.2. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha ritenuto, per contro, di riconoscere un risarcimento danni per “spese generali”, sebbene la stessa sentenza evidenzi che i Palazzi (OMISSIS) erano indisponibili e che nessun cantiere era stato installato in loco. Sicché la motivazione dell’impugnata sentenza si palesa, sul punto in questione, senz’altro illogica e contraddittoria.
5.3. Il mezzo va, di conseguenza, accolto.
6. L’accoglimento del primo, secondo, quarto e quinto motivo del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale comporta la cassazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, che dovrà procedere a nuovo esame della controversia, motivando adeguatamente in relazione alle singole questioni suindicate, e facendo applicazione dei seguenti principi di diritto: “Il rinvenimento di reperti archeologici (c.d. sorpresa archeologica) nel corso dell’esecuzione di un appalto pubblico costituisce causa di forza maggiore, ai sensi dell’art. 30, comma 1, del d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, che impedisce la prosecuzione dei lavori in adempimento di doveri imposti dalla legge e senza discrezionalità alcuna da parte del committente, con la conseguenza che la sospensione in tal caso disposta dalla stazione appaltante, non costituendo sospensione discrezionale per ragioni di interesse pubblico, non consente all’appaltatore di richiedere, ai sensi dell’art. 30, secondo comma, del capitolato generale del Ministero dei Lavori pubblici approvato con d.P.R. 16 luglio 1962, n. 1063, lo scioglimento del contratto ove la sospensione superi i termini ivi stabiliti e, in caso di rifiuto da parte del committente, di ottenere l’indennizzo dei maggiori oneri sopportati; la sospensione dei lavori, disposta dalla stazione appaltante ex art. 30, comma 1, del d.P.R. n. 1063 del 1962, per la sopravvenienza di una causa di forza maggiore, non può protrarsi illimitatamente, giacché si fonda sulla condizione della temporaneità dell’ostacolo sopraggiunto e sulla prospettiva di una ripresa dei lavori in un tempo ragionevole; nell’ipotesi di sospensione dei lavori, deve ritenersi tempestiva la formulazione di riserva nel verbale di ripresa, o in un qualsiasi atto successivo al verbale che dispone la sospensione dei lavori, quando questa, legittima inizialmente, sia divenuta illegittima per la sua eccessiva protrazione, con il conseguente collegamento del danno a tale illegittimo protrarsi, poiché, in siffatta ipotesi, la rilevanza causale del fatto illegittimo dell’appaltante rispetto ai maggiori oneri derivati all’appaltatore è accettabile solo al momento della ripresa dei lavori; e tuttavia, considerata la distinzione operabile tra il momento nel quale il danno sia presumibilmente configurabile e quello in cui esso sia precisamente quantificabile, resta salva la facoltà dell’appaltatore, una volta formulata tempestivamente la riserva, di precisare l’entità del pregiudizio subito nelle successive registrazioni o in chiusura del conto finale, anche con riferimento al periodo precedente la formulazione della riserva”.
7. Il giudice del rinvio provvederà, altresì, alla liquidazione delle spese del presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione;
accoglie il primo, secondo, quarto e quinto motivo del ricorso principale, e dichiara assorbito il terzo; accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, e rigetta il primo; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di Appello di Bologna in diversa composizione, che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
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