Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 30 aprile 2015, n. 18220
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere
Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere
Dott. CASA Filippo – Consigliere
Dott. CENTONZE Alessandro – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso la sentenza n. 6/2013 emessa il 20/06/2013 dalla Corte di assise di appello di Torino;
Udita la relazione svolta in pubblica udienza dal Consigliere dott. Alessandro Centonze;
Udito il Procuratore generale, in persona del dott. Gabriele Mazzotta, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza;
Uditi per l’imputato il prof. avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS).
RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza emessa il 20/07/2012 il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Torino, procedendo con rito abbreviato, condannava (OMISSIS) alla pena di anni venti di reclusione, ritenendolo responsabile dell’omicidio, ascritto al capo 1) della rubrica, di (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), che viaggiavano, quali trasportati, a bordo dell’autovettura Opel Astra, con cui collideva il suo veicolo Audi Q7, che guidava in stato di ebbrezza, con cui stava percorrendo contromano la carreggiata nord dell’autostrada (OMISSIS). Questa ipotesi di reato veniva unificata sotto il vincolo della continuazione con quella ascrittagli al capo 2), consistente nelle lesioni personali gravi cagionate a (OMISSIS), che era alla guida dell’autovettura a bordo della quale viaggiavano le quattro vittime dell’incidente.
L’imputato, inoltre, veniva condannato per il reato ascrittogli al capo 3), consistente nella guida in stato di’ ebbrezza nelle circostanze di fatto e con le conseguenze delittuose di cui al capo 1), per il quale gli veniva irrogata la pena di anni uno di arresto e 4.000,00 euro di ammenda. Il (OMISSIS), inoltre, veniva condannato per il reato di cui al capo 4), consistente nel porto di un coltello a serramanico con lama lunga 9,30 centimetri, che portava fuori dalla sua abitazione senza giustificato motivo, per il quale veniva condannato alla pena di mesi quattro di arresto e 800,00 euro di ammenda.
Oltre alle pene accessorie, con la sentenza di primo grado, il (OMISSIS) veniva condannato al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, da liquidarsi in separato giudizio civile.
Nella sentenza si accertava che, il (OMISSIS), alle ore 5.06, si verificava un sinistro stradale sull’autostrada (OMISSIS), nel tratto che da (OMISSIS) si dirige verso (OMISSIS), all’altezza del chilometro (OMISSIS). Nell’occasione, il veicolo Audi Q7, condotto dall’imputato, procedendo contromano, urtava tangenzialmente la vettura Peugeot 206, condotta da (OMISSIS), proveniente dalla direzione opposta; per effetto dell’urto, il (OMISSIS) perdeva il controllo del mezzo e deviava verso sinistra, andando a collidere frontalmente contro l’autovettura Opel Astra guidata da (OMISSIS), che, in quel momento, procedeva da (OMISSIS) verso (OMISSIS), lungo la propria corsia destra.
Si accertava, inoltre, che la prima segnalazione telefonica pervenuta al 113 di un veicolo che procedeva contromano era stata effettuata alle ore 4.55 da un automobilista che comunicava di trovarsi sulla (OMISSIS) con direzione nord e di avere visto un’autovettura, indicata come un SUV nero, percorrere in senso contrario la carreggiata. Tale segnalazione telefonica proveniva da (OMISSIS) che – assunto a sommarie informazioni il (OMISSIS) – confermava il contenuto della sua comunicazione, che precedeva di undici minuti il sinistro stradale in contestazione.
Nell’impatto veicolare che ne conseguiva il conducente della Opel Astra rimaneva ferito, mentre i quattro passeggeri che erano trasportati a bordo del suo mezzo decedevano; per effetto dell’impatto, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) perivano sul colpo, mentre (OMISSIS) decedeva qualche ora dopo il suo ricovero ospedaliero. Sul sedile posteriore dell’autovettura condotta del (OMISSIS), invece, viaggiava (OMISSIS), che rimaneva illesa, come lo stesso imputato.
Nell’immediatezza dei fatti, l’imputato veniva sottoposto a controllo alcolimetrico, facendo registrare i seguenti tassi: alla prima verifica, eseguita alle ore 5.47, un tasso pari a 1,58 g/l; alla seconda verifica, eseguita alle ore 5.59, un tasso pari a 1,51 g/l; alla terza verifica, eseguita alle ore 6.06, un tasso pari a 1,42 g/l.
Nel punto in cui si verificava lo scontro frontale tra l’Audi Q7 condotta dal (OMISSIS) e l’Opel Astra condotta dal (OMISSIS), il tratto autostradale, composto da tre corsie di marcia, risultava costituito da due carreggiate separate per ogni senso di marcia, suddivise da strisce longitudinali discontinue di colore bianco, con un’unica striscia longitudinale del medesimo colore per suddividere la corsia di emergenza dalle altre corsie; il tratto in questione, a senso unico di marcia, si sviluppava in modo rettilineo, con un andamento altimetrico leggermente sfavorevole, presentando un piano con una leggerissima salita nel senso di marcia da sud verso nord.
Al momento del sinistro, il fondo del tratto autostradale, su cui vigeva il limite di velocita’ di 130 chilometri orari, si presentava asciutto e libero da sostanze sdrucciolevoli; le condizioni meteorologiche erano buone e consentivano una visibilita’ discreta, con la precisazione che, data l’ora, proprio in quei frangenti, stava progressivamente svanendo l’oscurita’ notturna; il traffico, al momento del sinistro, era relativamente scarso ma costante, atteso che si era all’inizio del ponte di ferragosto; la carreggiata nord, in quello stesso tratto stradale, si presentava separata dalla carreggiata sud, per mezzo di un guard rail metallico, che non presentava irruzioni.
In ordine alla dinamica del sinistro stradale, nella sentenza, si accertava che la parte anteriore sinistra dell’Audi Q7, procedente nella direzione da (OMISSIS) verso (OMISSIS), dapprima impattava tangenzialmente la fiancata laterale sinistra della Peugeot 206 e nella circostanza provocava il distacco delle portiere sinistre della vettura condotta da (OMISSIS), che finivano nella corsia di emergenza; subito dopo il primo urto, il (OMISSIS) perdeva il controllo del veicolo che guidava, il quale, continuando a percorrere la corsia di marcia in senso inverso alla direzione dell’Opel Astra condotta dal (OMISSIS), impattava frontalmente con la stessa vettura, dando origine allo scontro mortale.
In particolare, la collisione interessava la parte anteriore destra dell’Audi Q7 e le parti anteriori centrale e destra dell’Opel Astra che, dopo lo scontro, compiva un movimento rotatorio da destra verso sinistra e concludeva la corsa contro il guard rail centrale; la vettura antagonista, animata da residua energia cinetica, deviava verso la propria sinistra e, dopo avere lasciato sull’asfalto tracce di scalfittura e di abrasione gommosa, si arrestava nella corsia di emergenza, con la parte anteriore rivolta verso (OMISSIS), alla distanza di 60,50 metri dal punto di impatto con l’Opel Astra; nella corsia di emergenza veniva in seguito rinvenuta la sua ruota anteriore destra, divelta dalla collisione.
Una pattuglia della Polizia stradale di (OMISSIS), Sottosezione di (OMISSIS), giungeva sul posto alle ore 5.40, assumendo a sommarie informazioni l’imputato, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), ancora presenti nell’area del sinistro. In tale ambito, si accertava che il veicolo guidato dal (OMISSIS) procedeva in direzione contraria e vietata rispetto al traffico circolante da sud verso nord, con una ricostruzione dei fatti che corrispondeva alle segnalazioni telefoniche effettuate da diversi automobilisti, nei minuti che avevano preceduto il sinistro, all’operatore in servizio presso la Questura di (OMISSIS).
Nell’occasione, il (OMISSIS) sosteneva di ricordare solo che proveniva da (OMISSIS), di non essere in grado di ricostruire la dinamica del sinistro culminato con lo scontro frontale e di non sapere nemmeno contro quale veicolo avesse colliso. L’imputato, inoltre, aveva l’alito vinoso, gli occhi lucidi e un’espressione vocale confusa, con la conseguenza che veniva sottoposto ai controlli alcolimetrici, i cui risultati si sono richiamati.
Il 17/08/2012, veniva eseguita nei confronti del (OMISSIS) una misura cautelare, disposta in relazione al reato di plurimo omicidio volontario o di plurimo omicidio colposo di cui al capo 1), contestati in forma alternativa.
Nell’interrogatorio che ne seguiva, svoltosi il 18/08/2012, il (OMISSIS) dichiarava di avere trascorso la serata precedente con (OMISSIS) nel locale (OMISSIS) e di essere ripartito lungo l’autostrada (OMISSIS) con l’amica, per fare ritorno ad (OMISSIS), ma di non ricordare se, arrivato al casello di (OMISSIS), aveva imboccato la rampa di uscita e di non sapere perche’ viaggiava contromano. Negava, inoltre, di essersi accorto degli autoveicoli che, procedendo in senso contrario al suo e incrociandolo, gli avevano ripetutamente lampeggiato e suonato il clacson, non essendo in grado di riferire quando aveva iniziato a viaggiare contromano.
Tali fatti venivano ritenuti incontroversi e non venivano contestati nella loro consistenza materiale nemmeno dalla difesa del (OMISSIS), consentendo al giudice di primo grado di ritenere l’imputato colpevole dei reati ascrittigli ai capi 1), 2), 3), 4) della rubrica, condannandolo alle pene richiamate in premessa.
2. Avverso tale sentenza la difesa dell’imputato proponeva appello, deducendo preliminarmente che le fattispecie contestate ai capi 1) e 2), alla stregua delle evidenze probatorie, non rientravano nella previsioni delle norme incriminatrici dei delitti di omicidio e di lesioni volontarie commessi con dolo eventuale, concretizzando al contrario le corrispondenti ipotesi di reati colposi commessi con colpa cosciente.
Secondo la ricostruzione difensiva, il giudice di primo grado aveva compiuto una valutazione errata, laddove, dopo avere premesso che l’imputato aveva posto in essere un comportamento di guida connotato da eccezionale pericolosita’, osservava che tale condotta, per la sua abnormita’, fatta eccezione per l’eventualita’ di un’incapacita’ di intendere e di volere non riscontrata nel caso di specie, poteva provocare conseguenze per l’incolumita’ degli altri utenti della strada. Tale erroneita’ del percorso argomentativo seguito emergeva proprio dalle espressioni utilizzate nella sentenza impugnata, che evidenziavano l’esistenza di obblighi di diligenza, prudenza e perizia a carico del (OMISSIS), la cui violazione non poteva che comportare una responsabilita’ a titolo di colpa, facendosi riferimento alle conseguenze della sua azione, che l’imputato avrebbe dovuto e potuto prevedere.
Ne discendeva che il giudice di primo grado, dopo avere affermato la pericolosita’ della condotta di guida del (OMISSIS), cadeva in un paralogismo giudiziario nel punto in cui interpretava tale pericolosita’ come un elemento indiziario dal quale ricavare la prova dell’accettazione del rischio, configurando conseguentemente la volonta’ eventuale di cagionare gli eventi dei reati di omicidio e di lesione personale volontaria. Tale paralogismo, nel caso di specie, consisteva nell’errore logico di attribuire, nelle premesse del ragionamento sul quale era fondata l’attribuzione di responsabilita’, un differente significato all’obbligo di previsione degli eventi delittuosi provocati, che comportava – nella prospettiva recepita nella sentenza impugnata – che tutti coloro i quali adottano la condotta pericolosa contestata all’imputato hanno l’obbligo di prevedere le conseguenze che da essa possono scaturirne, con la conseguenza che il (OMISSIS), non potendo non prevedere tali conseguenze, le aveva accettate.
Il percorso argomentativo seguito dal giudice di primo grado veniva censurato anche sotto un ulteriore profilo, riguardante l’accettazione del rischio come il solo requisito perche’ l’elemento soggettivo dell’agente possa ricondursi alla figura del dolo eventuale. Infatti, una tale ricostruzione trascurava che, per configurare il dolo eventuale, non e’ sufficiente che l’agente si rappresenti la possibilita’ che l’evento si verifichi e ne accetti il rischio, occorrendo un’ulteriore elemento, relativo all’individuazione del momento volitivo.
In altri termini, si era trascurato di valutare il distinto requisito della volonta’ dell’evento, inesistente ad avviso dell’appellante, approdando in tal modo a un’arbitraria estensione della figura del dolo eventuale e invadendo la figura contigua della colpa con previsione dell’evento delittuoso.
Si deduceva ulteriormente che nella sentenza impugnata non si era fornita un’adeguata motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche, allo scopo di adeguare l’entita’ della pena alla colpevolezza del (OMISSIS), tenendo conto degli elementi fattuali emersi. Si evidenziava, in particolare, che il giudice di primo grado aveva omesso di considerare gli elementi relativi alla gravita’ concreta del fatto delittuoso contestato, considerato nelle specifiche circostanze storiche, la cui corretta disamina avrebbe imposto di concedere al (OMISSIS) le attenuanti generiche invocate.
Si deduceva, infine, l’erroneita’ degli aumenti di pena a titolo di continuazione, distinguendo le ipotesi di reato contestate ai capi 1) e 2) della rubrica, unificate dal vincolo della continuazione, da quelle di cui ai capi 3) e 4), per cui veniva applicata una pena autonoma.
3. Con sentenza emessa il 20/06/2013 la Corte di assise di appello di Torino confermava la sentenza impugnata e condannava l’appellante al pagamento delle ulteriori spese processuali.
In tale ambito, innanzitutto, si ribadiva la correttezza dell’inquadramento dei delitti ascritti al (OMISSIS) ai capi 1) e 2) della rubrica, richiamandosi l’orientamento giurisprudenziale secondo cui, per la sussistenza del dolo eventuale, occorre che l’agente abbia accettato la verificazione dell’evento delittuoso, consistente nell’accettazione della possibilita’ hic et nunc, della concreta probabilita’ che questo, ancorche’ non voluto direttamente, abbia a realizzarsi.
Nel caso di specie, gli elementi di prova sui quali fondare la conoscenza dei fatti e le possibilita’ volitive che concretamente si dischiudevano all’imputato, a proposito dell’atteggiamento psicologico maturato in quel determinato contesto, erano molteplici e complessivamente idonei a fondare una ricostruzione attendibile in funzione del giudizio di responsabilita’ penale compiuto nei suoi confronti. Tali elementi erano stati correttamente valutati dal giudice di primo grado sulla base dei rilievi eseguiti sul contingente traffico automobilistico dalla Polizia stradale di (OMISSIS), Sottosezione di (OMISSIS), che giungeva sul posto nell’immediatezza dei fatti, che consentivano di individuare con certezza le circostanze di tempo e di luogo in cui si succedevano gli avvenimenti che portavano alla conclusione della vicenda delittuosa in esame.
Questa cornice probatoria veniva esaminata tenendo presente la giurisprudenza delle Sezioni unite formatasi in materia di dolo eventuale, nel valutare la quale la corte territoriale, pur recependone il presupposto ermeneutico, se ne discostava sul piano metodologico, affermando che la cosiddetta “formula di Frank” su cui si incentrava tale arresto giurisprudenziale doveva ritenersi limitata ai soli delitti di ricettazione, in relazione ai quali tale arresto era intervenuto. Com’e’ noto, secondo tale formula, e’ possibile configurare il dolo eventuale tutte le volte in cui il giudice si formi la convinzione che l’imputato avrebbe agito nello stesso modo in cui si attivava concretamente, anche se fosse stato certo delle conseguenze della propria condotta e della verificazione dell’evento lesivo (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246324)
Nel caso di specie, l’applicazione di tale formula era inidonea a inquadrare il comportamento del (OMISSIS), atteso che nei reati contro la persona che gli venivano contestati ai capi 1) e 2) della rubrica non sussistevano quelle connotazioni di inafferrabilita’ volitiva tipici dei reati di ricettazione e, per converso, era possibile valutare l’atteggiamento soggettivo dell’imputato sulla base degli elementi di prova acquisiti, che consentivano di enucleare le implicazioni causali derivanti dal suo comportamento e le scelte che avevano guidato la sua condotta fino al momento del sinistro stradale.
In questi termini, gli elementi probatori acquisiti nel corso delle indagini preliminari imponevano di ritenere che il (OMISSIS) avesse deciso con sufficiente chiarezza di procedere contromano sull’autostrada (OMISSIS) prospettandosi l’eventualita’ che un sinistro stradale, con gravi conseguenze in danno delle persone, si potesse verificare in diretta connessione con la condotta che aveva deciso di tenere e accettando, in tal modo, la possibilita’ che questo tipo di eventi si potesse effettivamente verificare. Ne conseguiva che, avendo l’imputato percorso contromano un tratto autostradale di diversi chilometri, doveva ipotizzarsi che aveva una percezione di allarme visivo idonea a consentirgli di guidare la sua vettura, con la conseguenza di dovere ritenere che non soltanto aveva una chiara visione dei pericoli che erano collegati alla sua abnorme condotta, ma che, decidendo di proseguire nel suo comportamento, aveva accettato il rischio che si verificassero gli eventi di cui era in condizione di prefigurarsi l’accadimento.
Sul piano sanzionatorio, la corte territoriale riteneva corretta la quantificazione della pena irrogata all’appellante, tanto sotto il profilo della mancata concessione delle attenuanti generiche invocate dalla difesa, quanto sotto il profilo degli aumenti di pena disposti per la continuazione tra le ipotesi di reato contestate.
Sotto il primo profilo, doveva rilevarsi che la mancata concessione delle attenuanti generiche da parte del giudice di’ primo grado veniva fondata su un giudizio di gravita’ dei fatti delittuosi contestati esente da discrasie processuali, siccome fondato sulla disamina delle modalita’ dell’azione intrapresa e della gravita’ dei danni causati alle persone, rimaste vittime di un evento di matrice dolosa che aveva assunto proporzioni assolutamente drammatiche.
La valutazione della spiccata pericolosita’ del comportamento del (OMISSIS) discendeva ulteriormente dal movente dell’azione criminosa, che assumeva un rilievo indiziario non secondario alla luce del criterio di giudizio indicato dall’articolo 133 c.p., comma 2, n. 1, che doveva essere esaminato tenuto conto dei precedenti che connotavano l’anagrafe giudiziaria dell’imputato, gravata da pregressi reati.
Quanto, infine, alla censura relativa agli aumenti di pena disposti dal giudice di primo grado, la corte territoriale rilevava che l’aumento sulla pena base di anni ventuno di reclusione per il reato di cui al capo 1) della rubrica, teneva conto della gravita’ delle condotte delittuose ascritte all’imputato, correttamente valutate sulla scorta dei parametri dell’articolo 133 cod. pen. In ogni caso, la pena irrogata al (OMISSIS) nella sentenza impugnata si caratterizzava per l’irreprensibilita’ dei criteri di giudizio applicati al caso concreto e per la congruita’ dosimetrica della quantificazione finale.
4. Avverso tale sentenza ricorrevano per cassazione i difensori di (OMISSIS), il prof. avv. (OMISSIS) e l’avv. (OMISSIS), con atto sottoscritto congiuntamente il 29/10/2013.
Quale primo motivo di ricorso, i difensori del (OMISSIS) eccepivano la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione.
Si deduceva, innanzitutto, che la sentenza impugnata muoveva da un presupposto ermeneutico corretto, concordante con l’impostazione difensiva, secondo cui l’elemento qualificante del dolo eventuale consisteva nell’accettazione del rischio dell’evento delittuoso, in linea con la giurisprudenza delle Sezioni unite, secondo la quale tale configurazione dolosa imponeva di verificare che l’agente avesse agito pur avendo piena consapevolezza della possibile verificazione dell’evento medesimo (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246324).
Tuttavia, a fronte di tali presupposti ermeneutici incontroversi, i giudici di appello si discostavano dalle conseguenze metodologiche sottese all’approccio giurisprudenziale richiamato – eminentemente incentrato sulla cosiddetta “formula di Frank” sulla quale ci si e’ gia’ sinteticamente soffermati – effettuando una ricerca condotta sul terreno dei fatti, incapace di rivelare, alla luce delle emergenze processuali, l’effettivo ambito della determinazione volitiva del (OMISSIS). In questo modo, nella sentenza impugnata, disattendendo i parametri ermeneutici richiamati in materia di dolo eventuale da questa Corte, si riteneva erroneamente che l’imputato avesse agito con dolo eventuale e che, a questo titolo, doveva essergli attribuita la responsabilita’ per la morte e per le lesioni personali determinatesi a seguito dell’incidente stradale provocato con la sua condotta di guida abnorme.
La dimostrazione dell’erroneita’ del percorso argomentativo seguito nella sentenza impugnata si traeva ulteriormente dal continuo riferimento alla personalita’ del (OMISSIS), allo scopo di ricavare da questa motivi di ricostruzione dell’elemento soggettivo del reato, con un percorso evidentemente fuorviante, nella misura in cui sembrava virare verso la teorica della “colpa d’autore” , ritenendo di potere dedurre la prova del dolo eventuale piu’ dalla personalita’ dell’imputato che non dalle reali, concrete e irripetibili modalita’ dei fatti contestati. Ne conseguiva che il provvedimento impugnato si poneva in contrasto non solo con l’orientamento giurisprudenziale richiamato ma con la stessa lettura costituzionalmente orientata del dolo eventuale, cosi’ come affermata dall’articolo 43 cod. pen., introducendo, nella verifica giurisdizionale sull’elemento soggettivo dei reati contestati ai capi 1) e 2), elementi non omogenei con la natura e la struttura di tale elemento.
Accanto a tali insuperabili discrasie, nella sentenza impugnata, emergevano ulteriori contraddizioni motivazionali, afferenti la rappresentazione volitiva del (OMISSIS) in ordine alle conseguenze della sua azione, atteso che nessuna verifica processuale era stata compiuta sulla possibilita’ o sulla mera probabilita’ di verificazione dell’evento considerato. Infatti, l’accettazione del pericolo poteva determinare una responsabilita’ per colpa in relazione a eventi ulteriori, ma mai una responsabilita’ a titolo di dolo, laddove tali eventi non avevano costituito oggetto di una puntuale rappresentazione e non ne era stata accettata, come probabile o comunque come possibile, la sua effettiva verificazione.
Tali aporie motivazionali, secondo i difensori del ricorrente, emergevano dallo stesso testo del provvedimento impugnato, nel quale, alle pagine 35 e 36, si affermava che il reale atteggiamento volitivo che animava l’agente non era certamente quello di innescare un processo causale suscettibile di provocare uno scontro frontale, bensi’ di creare una gravissima turbativa del traffico che gli avrebbe permesso di porre in pericolo la altrui incolumita’ senza esporsi, nella sua previsione personale, ad analogo rischio di incidenti in danno della sua stessa incolumita’.
Queste discrasie, inoltre, emergevano da ulteriori passaggi argomentativi, contenuti nelle pagine 37, 40 e 41 del provvedimento impugnato, espressamente richiamati nel ricorso in esame. Il tenore letterale di questi passaggi, secondo la difesa ricorrente, rendeva evidenti gli errori valutativi nei quali erano incorsi i giudici di appello, la cui ricostruzione non consentiva di configurare in capo al (OMISSIS) il dolo eventuale presupposto per il giudizio di colpevolezza formulato nei suoi confronti, in relazione alle ipotesi delittuose ascrittegli ai capi 1) e 2) della rubrica.
A tutto questo occorreva aggiungere che, nel compiere una tale valutazione, la corte territoriale poneva in secondo piano la circostanza che il (OMISSIS), al momento del sinistro, versava in stato di ebbrezza alcolica, cosi’ come contestargli al capo 3) della rubrica. Tale disattenzione motivazionale appariva ancora piu’ rilevante alla luce delle carenze argomentative che si richiamavano a proposito dell’elemento soggettivo sotteso alla condotta del ricorrente, nel valutare il quale occorreva osservare che, se e’ vero che l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o da forza maggiore non esclude l’imputabilita’, e’ parimenti vero che, nella ricostruzione dei fatti delittuosi, non era possibile ignorare gli effetti che lo stato di ebbrezza aveva determinato nei processi rappresentativi e volitivi dell’imputato.
La prospettazione di tali elementi circostanziali, secondo la difesa, non mirava a vanificare il dettato normativo dell’articolo 92 cod. pen., ma a rendere evidente la natura colposa delle condotte di guida del (OMISSIS), non essendo dubitabile che – proprio a causa della sua ubriachezza – era caduto in un errore di percezione, di cui si doveva tenere conto sul piano dell’inquadramento dell’elemento soggettivo.
Passando, infine, a considerare il secondo motivo del ricorso proposto nell’interesse del (OMISSIS), deve evidenziarsi che, con tale doglianza, i suoi difensori eccepivano la nullita’ della sentenza ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione della legge penale e per illogicita’ della motivazione, in relazione al diniego delle attenuanti generiche e agli aumenti di pena per la continuazione.
Si deduceva, in tale ambito, che la sentenza impugnata riteneva, con una motivazione apodittica, che al (OMISSIS) non potevano essere riconosciute le circostanze attenuanti generiche, valutando erroneamente come congrui gli aumenti per la continuazione, sul presupposto che i delitti contestati al (OMISSIS) ai capi 1) e 2) fossero di natura colposa.
Tuttavia, le considerazioni che la difesa del ricorrente aveva esposto nel primo motivo di ricorso, alle quali si faceva espressamente rinvio, inducevano a ritenere erroneamente valutato il presupposto applicativo del giudizio dosimetrico compiuto dai giudici di appello, non potendosi affermare con certezza – sulla base di tali considerazioni – la natura dolosa delle condotte di cui ai capi 1) e 2) della rubrica.
Questi motivi di ricorso imponevano l’annullamento della sentenza impugnata nell’interesse di (OMISSIS).
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. In via preliminare, deve rilevarsi che i fatti ascritti al ricorrente ai capi 1), 2), 3), 4) della rubrica, nella loro consistenza materiale, risultano incontroversi e non vengono contestati dalle parti processuali.
In questa cornice probatoria, occorre prendere le mosse dal primo motivo del ricorso proposto nell’interesse di (OMISSIS), con cui i suoi difensori eccepivano la nullita’ della sentenza impugnata ai sensi dell’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), per erronea applicazione della legge penale e per contraddittorieta’ e illogicita’ della motivazione.
1.1. In tale ambito, occorre evidenziare che costituisce un’operazione ermeneutica preliminare quella funzionale a individuare i parametri giurisprudenziali utili a distinguere il dolo eventuale dalla colpa cosciente, compiendo un’attivita’ ricognitiva necessaria a inquadrare la condotta del (OMISSIS), allo scopo di valutare le carenze motivazionali lamentate nel primo motivo di ricorso.
Deve, in proposito, rilevarsi che la possibilita’ che l’evento non voluto sia comunque previsto dal soggetto che agisce e’ indicata incidentalmente nella definizione del delitto colposo dall’articolo 43 c.p., comma 3, secondo cui tale delitto si configura quando l’evento, anche se preveduto, non e’ voluto dall’agente.
Secondo un’impostazione risalente che ha avuto origine e diffusione nella dottrina tedesca, venendo successivamente ripresa dalla dottrina e dalla giurisprudenza nostrana, la colpa cosciente e’ una categoria confinante con quella del dolo eventuale, che rappresenta la situazione soggettiva di chi, analogamente a quanto si contesta al (OMISSIS), agisce con la consapevolezza della possibilita’ di verificazione di un evento delittuoso, accettandone il rischio (cfr. R. Frank, Das Strafgesetzbuch fur das deutsche Reich, 1926, pp. 181 ss.).
In questa prospettiva, il criterio distintivo tra il dolo eventuale e la colpa cosciente e’ stato tradizionalmente individuato attraverso la cosiddetta “formula di Frank” – dall’autore tedesco cui la stessa e’ dovuta – che e’ stata recepita dalla giurisprudenza di legittimita’, inizialmente con riferimento al tema del rapporto tra la ricettazione e l’incauto acquisto. In tale ambito giurisprudenziale, la necessita’ di un approccio rigoroso nell’accertamento del dolo eventuale si riteneva imposto dalla necessita’ di delimitare l’ambito di operativita’ del reato di ricettazione rispetto a quello di incauto acquisto, evitando che attraverso il dolo eventuale le condotte incaute venissero ricondotte surrettiziamente alla fattispecie della ricettazione (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246324).
Ai presenti fini processuali, si reputa necessario richiamare il passaggio contenuto nelle pagine 10 e 11 della pronunzia delle Sezioni unite richiamata, in cui si precisava: “Insomma perche’ possa ravvisarsi il dolo eventuale si richiede piu’ di un semplice motivo di sospetto, rispetto al quale l’agente potrebbe avere un atteggiamento psicologico di disattenzione, di noncuranza o di mero disinteresse; e’ necessaria una situazione fattuale di significato inequivoco, che impone all’agente una scelta consapevole tra l’agire, accettando l’eventualita’ di commettere una ricettazione, e il non agire, percio’, richiamando un criterio elaborato in dottrina per descrivere il dolo eventuale, puo’ ragionevolmente concludersi che questo rispetto alla ricettazione e’ ravvisabile quando l’agente, rappresentandosi l’eventualita’ della provenienza delittuosa della cosa, non avrebbe agito diversamente anche se di tale provenienza avesse avuta la certezza” (cfr. Sez. un., n. 12433 del 26/11/2009, dep. 30/03/2010, Nocera, Rv. 246324).
Sul piano processuale, questo modello non e’ empiricamente verificabile, ma costituisce una piattaforma epistemologica che, in quanto tale, non rappresenta un criterio di verificabilita’ fattuale del dolo eventuale, necessitando di un ulteriore e imprescindibile passaggio giurisdizionale, funzionale a riscontrare la connessione dell’evento delittuoso con l’azione criminosa, tenuto conto della rappresentazione volitiva del soggetto attivo del reato. Su questi passaggi metodologici i giudici di appello si soffermavano nelle pagine 26 e 27, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni unite che originariamente confinava l’applicazione del modello ermeneutico riconducibile alla “formula di Frank” alle sole ipotesi di ricettazione.
Con un successivo approdo interpretativo le Sezioni unite intervenivano nuovamente sul tema del dolo eventuale, individuandone i confini distintivi rispetto alla colpa cosciente ed elaborando una nozione, eminentemente connotata sul piano dell’accertamento probatorio dell’elemento soggettivo, con la quale ci si deve necessariamente confrontare nel valutare la posizione processuale del (OMISSIS).
In questo intervento, innanzitutto, le Sezioni unite, sotto il profilo dell’elemento soggettivo, distinguevano il dolo eventuale e la colpa cosciente nei seguenti termini: “In tema di elemento soggettivo del reato, il dolo eventuale ricorre quando l’agente si sia chiaramente rappresentata la significativa possibilita’ di verificazione dell’evento concreto e cio’ nonostante, dopo aver considerato il fine perseguito e l’eventuale prezzo da pagare, si sia determinato ad agire comunque, anche a costo di causare l’evento lesivo, aderendo ad esso, per il caso in cui si verifichi; ricorre invece la colpa cosciente quando la volonta’ dell’agente non e’ diretta verso l’evento ed egli, pur avendo concretamente presente la connessione causale tra la violazione delle norme cautelari e l’evento illecito, si astiene dall’agire doveroso per trascuratezza, imperizia, insipienza, irragionevolezza o altro biasimevole motivo” (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261104).
Nello stesso arresto chiarificatore le Sezioni unite fornivano, sul piano probatorio, l’indicazione degli elementi sintomatici del dolo eventuale, ai fini della distinzione con la colpa cosciente, affermando: “In tema di elemento soggettivo del reato, per la configurabilita’ del dolo eventuale, anche ai fini della distinzione rispetto alla colpa cosciente, occorre la rigorosa dimostrazione che l’agente si sia confrontato con la specifica categoria di evento che si e’ verificata nella fattispecie concreta aderendo psicologicamente ad essa e a tal fine l’indagine giudiziaria, volta a ricostruire l'”iter” e l’esito del processo decisionale, puo’ fondarsi su una serie di indicatori quali: a) la lontananza della condotta tenuta da quella doverosa; b) la personalita’ e le pregresse esperienze dell’agente; v) la durata e la ripetizione dell’azione; d) il comportamento successivo al fatto; e) il fine della condotta e la compatibilita’ con esso delle conseguenze collaterali; f) la probabilita’ di verificazione dell’evento; g) le conseguenze negative anche per l’autore in caso di sua verificazione; h) il contesto lecito o illecito in cui si e’ svolta l’azione nonche’ la possibilita’ di ritenere, alla stregua delle concrete acquisizioni probatorie, che l’agente non si sarebbe trattenuto dalla condotta illecita neppure se avesse avuto contezza della sicura verificazione dell’evento (cosiddetta prima formula di Frank)” (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
In questa cornice ermeneutica, non puo’ non prendersi atto che le categorie del dolo eventuale e della colpa cosciente sono concepite dogmaticamente come figure contigue e speculari, tanto e’ vero che si utilizza la “formula di Frank” proprio allo scopo di risolvere i casi di confine, analoghi a quello che si sta considerando; tuttavia, e’ proprio questa contiguita’ dogmatica – ed evidentemente sistematica – a imporre al giudice del merito di compiere una verifica rigorosa degli elementi processuali sottoposti alla sua cognizione, che non lasci spazio a presunzioni o a semplificazioni probatorie, ossequiose a esigenze esclusivamente edittali.
Si e’, dunque, in presenza di un giudizio ipotetico, ma cio’ non e’ per nulla estraneo alla scienza penalistica che, a ben vedere, da valutazioni di natura congetturale e controfattuale e’ tradizionalmente pervasa. L’importante e’, come hanno sottolineato le Sezioni unite, nella parte narrativa dell’arresto giurisprudenziale che si e’ richiamato, a pagina 187, che “si sia in possesso di informazioni altamente affidabili che consentano di esperire il controfattuale e di rispondere con sicurezza alla domanda su cio’ che l’agente avrebbe fatto se avesse conseguito la previsione della sicura verificazione dell’evento illecito collaterale”.
Occorre, pero’, prendere atto realisticamente che tale situazione processuale non sempre si verifica, atteso che in molte situazioni il dubbio rimane irrisolto, in quanto vi sono casi in cui neppure l’interessato saprebbe rispondere ad una domanda del genere. Ne consegue che il modello in esame costituisce un indicatore importante ed anzi sostanzialmente risolutivo quando si abbia modo di esperire in modo affidabile e concludente il relativo giudizio controfattuale. L’accertamento del dolo eventuale, tuttavia, non puo’ essere affidato solo a tale modello euristico, come affermato dalle stesse Sezioni unite a pagina 187, in ragione del fatto che il giudice, nel compiere una tale valutazione processuale, deve “avvalersi di tutti i possibili, alternativi strumenti d’indagine”.
Tali affermazioni inducevano le Sezioni unite, a pagina 188, nel passaggio dedicato al procedimento di accertamento controffattuale che deve compiere il giudice di merito, ad affermare: “In conseguenza, in tutte le situazioni probatorie irrisolte alla stregua della regola di giudizio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, occorre attenersi al principio di favore per l’imputato e rinunziare all’imputazione soggettiva piu’ grave a favore di quella colposa, se prevista dalla legge”.
1.2. Ricostruita in questi termini la differenza tra dolo eventuale e colpa cosciente, non sembra che, nel caso di specie, i giudici di merito, sulla base delle evidenze processuali e dei parametri ermeneutici forniti da questa Corte, abbiano risposto al quesito fondamentale sotteso alla formulazione di un giudizio di colpevolezza nei confronti del (OMISSIS), consistente nel comprendere se lo stesso, al momento dell’impatto con l’autovettura Opel Astra condotta dal (OMISSIS), procedeva contromano inconsapevolmente, per effetto dello stato di alterazione alcolica nella quale versava; procedeva contromano consapevolmente, prevedendo l’evento mortale che correva e accettandolo, allo scopo di sfidare il pericolo che correva con tale condotta di guida abnorme; ovvero, procedeva contromano consapevolmente, prevedendo l’evento rischioso che poteva correre con il suo comportamento, ma non accettandolo.
Tale fondamentale passaggio della vicenda processuale, a tutt’oggi, non e’ risolto, come evidenziato dalle conclusioni formulate, nel giudizio di appello e in quello di legittimita’, dai procuratori generali di udienza, che concludevano la loro requisitoria esprimendo una valutazione contraria a quella trasfusa nella sentenza impugnata.
Invero, sul punto, la sentenza impugnata non si mostra esaustiva, limitandosi a richiamare, per un verso, il dato processuale incontroverso secondo cui il (OMISSIS) aveva imboccato contromano l’autostrada (OMISSIS), nel tratto che da (OMISSIS) si dirige verso (OMISSIS), per affermare che avesse percorso in modo pienamente consapevole il tratto autostradale nel quale si verificava l’incidente mortale, per altro verso, facendo riferimento alla personalita’ dell’imputato, valutata attraverso i comportamenti che precedevano la sua condotta di guida e l’imbocco del tratto stradale nel quale si verificava il sinistro. Tali discrasie motivazionali, gia’ evidenti sulla base del compendio probatorio richiamato nella sentenza impugnata, assumono un rilievo processuale ancora maggiore se vagliate alla luce dei parametri ermeneutici forniti dalle Sezioni unite nell’arresto giurisprudenziale al quale ci si e’ riferiti nel paragrafo precedente.
Sotto il primo profilo, i giudici di appello non spiegavano, salvo un breve riferimento contenuto a pagina 40, le ragioni che avevano indotto il (OMISSIS) a effettuare un’inversione di marcia repentina, dopo avere oltrepassato l’uscita per (OMISSIS), compiendo il tratto autostradale che lo separava dal punto dell’impatto con l’autovettura del (OMISSIS), limitandosi ad affermare in modo assertivo che l’imputato “aveva precisa coscienza e volonta’ di procedere contromano”. Su questa fondamentale frazione della vicenda delittuosa – compresa tra le ore 4.55 in cui perveniva al 113 la prima segnalazione telefonica di un veicolo che procedeva contromano effettuata da (OMISSIS) e le ore 5.06 in cui perveniva allo stesso recapito d’emergenza la telefonata di (OMISSIS) che comunicava in diretta all’operatore il verificarsi del sinistro stradale di cui al capo 1) – la ricostruzione della corte territoriale non risulta approfondita, non collegando adeguatamente tale profilo processuale al problema dell’enucleazione dell’elemento soggettivo in capo al (OMISSIS), che deve essere eseguito alla luce degli indicatori sintomatici richiamati dalla giurisprudenza di legittimita’ (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
Sotto il secondo profilo, non appaiono esaustivi rispetto all’impostazione processuale recepita dalla corte territoriale i riferimenti allo stato d’animo che caratterizzava il (OMISSIS) nel momento in cui si poneva alla guida della sua autovettura, esplicitati senza spiegarne la pertinenza rispetto alla determinazione volitiva sottesa ai delitti contestati ai capi 1) e 2) della rubrica. Tali riferimenti, infatti, possiedono una valenza meramente congetturale, inidonea in quanto tale – in assenza di un’adeguata ricognizione delle evidenze probatorie da cui trarre tali conclusioni – a fondare un giudizio adeguato sulla determinazione volitiva del (OMISSIS), nella prospettiva ermeneutica prefigurata dalla corte territoriale.
Esemplare, da questo punto di vista, ci appare il passaggio della motivazione del provvedimento impugnato, contenuto a pagina 37, nel quale la corte territoriale, facendo riferimento alle delusioni patite dal (OMISSIS) durante la serata appena trascorsa, conclusasi con il suo allontanamento dalla discoteca “(OMISSIS)” in compagnia della (OMISSIS), affermava in termini evidentemente congetturali: “In breve, aveva motivo di sentirsi avvilito e ferito nell’orgoglio per il modo con cui aveva trascorso le ultime ore, aveva bisogno percio’ di riscattare ai propri occhi ed agli occhi della (OMISSIS) la propria figura dagli affronti e dagli insuccessi che l’avevano mortificato. Tutto cio’ evidentemente costituiva per lui una ragione sufficiente perche’ si lasciasse attirare dalla smania di adottare dei comportamenti di aperta sfida verso la societa’ che avevano la funzione di medicare il suo amor proprio offeso. Naturalmente la constatazione non puo’ in nessun modo rappresentare una scusante per la condotta adottata nella circostanza; dimostra tuttavia che non agi’ con totale irrazionalita’, ma che, anzi, in qualche misura gli atti da lui realizzati erano coerenti con i tratti salienti della sua personalita’ e sono spiegabili con la particolare situazione psicologica del momento”.
Invero, questo passaggio non sembra coerente con gli obiettivi motivazionali perseguiti dai giudici di appello, non comprendendosi perche’ il comportamento abnorme del (OMISSIS) fosse da collegare alla presenza della (OMISSIS) all’interno del veicolo, se si considera che l’amica, al momento dell’incidente, dormiva, in condizioni di ubriachezza, nel sedile posteriore del veicolo, senza essere in grado di apprezzare o anche solo di valutare il senso delle azioni del guidatore. Ne’ si comprende, sulla scorta di quanto riferito nella sentenza impugnata, nelle pagine 35-37, se e in quale misura il presunto atteggiamento di sfida e di rivalsa individuale del (OMISSIS) abbia inciso sulla rappresentazione volitiva degli eventi delittuosi mortali esaminati, orientando il giudizio della corte territoriale verso il dolo eventuale anziche’ verso la colpa cosciente, determinando la situazione di incertezza probatoria segnalata dalla difesa del ricorrente, su cui il provvedimento in esame non forniva alcuna indicazione risolutiva, omettendo di esaminare analiticamente gli elementi sintomatici dell’elemento soggettivo del ricorrente.
Analoghe considerazioni valgono per l’ulteriore passaggio della sentenza impugnata, contenuto a pagina 41, nel quale l’intento volitivo del (OMISSIS) veniva desunto presuntivamente dalla sua volonta’ di dimostrare la sua abilita’ di conducente, sulla base di un’analisi meramente congetturale, affermando: “L’atteggiamento soggettivo che emerge dalle considerazioni ora esposte concreta la prova del dolo eventuale. Infatti la volonta’ dell’imputato era diretta principalmente a percorrere l’autostrada contromano, evitando di misura lo scontro con i veicoli che circolavano nella direzione opposta e dando cosi’ a se stesso una prova di destrezza nella guida, di audacia e di prontezza di riflessi. Tuttavia era perfettamente in grado di rappresentarsi, e in effetti si rappresento’, che, agendo nel modo che aveva deciso di seguire, dalla sua azione sarebbero potute derivare delle conseguenze devastanti per l’altrui integrita’”.
In questi termini, se lo scopo della prova di esibizione era quello di dimostrare la sua destrezza alla guida e se tale prova di abilita’ doveva consistere proprio nell’evitare i veicoli che provenivano dalla direzione opposta, la corte territoriale avrebbe dovuto affrontare preliminarmente il problema del momento in cui il (OMISSIS) – proprio al fine di concretizzare tale progetto esibizionistico – imboccava contromano il tratto autostradale in cui si verificava il sinistro stradale nel quale andava a impattare contro il veicolo condotto dal (OMISSIS), provocando la morte dei suoi quattro passeggeri.
Cosi’ ricostruiti i passaggi motivazionali censurati dalla difesa del ricorrente, occorre rilevare che la sentenza impugnata non consente di affermare con certezza che il (OMISSIS), viaggiando contromano, abbia accettato il rischio degli eventi lesivi prodotti con la sua condotta di guida, soddisfacendo i parametri richiesti per ipotizzare la sussistenza del dolo eventuale da questa Corte, sui quali ci si e’ soffermati nel paragrafo precedente (cfr. Sez. un., n. 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
Tali conclusioni impongono un ulteriore giudizio, affinche’ la corte territoriale enuclei, con maggiore precisione e valutandone analiticamente gli indicatori sintomatici, l’elemento soggettivo sotteso al comportamento del ricorrente.
1.3. Nell’ambito del primo motivo di ricorso occorre richiamare l’ulteriore doglianza attraverso cui si articolava la censura difensiva, secondo cui i giudici di appello avevano trascurato la circostanza che il ricorrente, al momento del sinistro, versava in uno stato di ebbrezza alcolica, cosi’ come contestatogli al capo 3), che rendeva ancora piu’ evidenti le disarmonie motivazionali richiamate nel paragrafo precedente sul piano dell’accertamento probatorio dell’elemento soggettivo.
Deve, invero, rilevarsi che, sotto questo profilo, la sentenza impugnata presenta delle carenze motivazionali oggettive, atteso che nella ricostruzione dei fatti delittuosi non era possibile ignorare gli effetti che lo stato di ebbrezza aveva potuto provocare nel processo di determinazione del (OMISSIS), con quanto di conseguenza ai fini della sussistenza o meno di quella particolare figura di dolo -il dolo eventuale – connotata proprio, rispetto alla colpa cosciente, da una residua, anche se sfocata in confronto a quella netta del dolo diretto, presenza dell’elemento volitivo.
Si consideri, in proposito, che, su tale fondamentale profilo, entrambe le sentenze di merito si limitavano ad affermare che, a seguito del controllo alcolimetrico effettuato dalla pattuglia della polizia stradale giunta sul luogo del sinistro stradale, l’imputato faceva registrare, nel corso delle verifiche alcolimetriche eseguite tra le ore 5.47 e le ore 6.06, un tasso superiore ai limiti imposti dalla legge, donde la contestazione di cui al capo 3).
Nelle sottostanti sentenze di merito nessun’altra indicazione veniva fornita, ne’ tantomeno veniva precisato se e in quale misura lo stato di alterazione alcolica nel quale versava il (OMISSIS) avesse influito sulle sue condizioni psichiche, tenuto conto del processo di determinazione volitiva sotteso al delitto contestato al capo 1). Tale accertamento probatorio, a ben vedere, era indispensabile, proprio alla luce delle incertezze che si sono richiamate nel paragrafo precedente, a proposito dell’accettazione del rischio di verificazione dell’evento lesivo, verificatosi in concreto, valutato in modo incongruo da entrambi i giudici di merito.
Ne’ e’ possibile attribuire, sotto questo aspetto, decisivita’ all’esame clinico del ricorrente, eseguito presso l’Ospedale di (OMISSIS) alle ore 10.10 del (OMISSIS), atteso che nel provvedimento impugnato si faceva riferimento a tali verifiche, a pagina 42, in termini assertivi: “Del resto in seguito, ed esattamente alle ore 10.10, visitato presso l’Ospedale di (OMISSIS), e’ risultato perfettamente orientato nel tempo e nello spazio, privo di deficit di memoria, di allucinazioni e di dispercezioni e calmo, pur con la precisazione che in quel tempo accusava un tasso di alcolemia pari a 1 g/l. Percio’ non si puo’ sostenere che all’atto del sinistro che aveva provocato fosse frastornato e disorientato, ed ancor meno che fosse inconsapevole delle circostanze di tempo e di luogo. Quindi e’ coerente ritenere che, quando aveva tenuto la condotta causalmente collegata con il verificarsi della collisione frontale, si fosse trovato nella condizione di valutare adeguatamente, con discreto grado di consapevolezza, le possibili conseguenze di danno per l’incolumita’ delle persone che dipendevano dall’anomalia degli atti che stava compiendo. Pertanto e’ altrettanto coerente concludere che, in allora, aveva accettato in anticipo tali conseguenze per l’ipotesi che si verificassero”.
In questi termini, e’ certamente un dato ermeneutico incontroverso quello secondo cui l’ubriachezza non derivata da caso fortuito o forza maggiore non e’ idonea, in quanto tale, a escludere l’imputabilita’ dell’agente, secondo quanto previsto dall’articolo 92 c.p.p., comma 1. Tuttavia, di tale circostanza, cosi’ come di ogni altro elemento circostanziale utile ai fini della valutazione dell’atteggiamento volitivo del (OMISSIS), occorreva tenere conto, non potendosi ignorare gli effetti che tale stato di alterazione psichica, determinato dall’ingerenza di elevati quantitativi di sostanze alcoliche, era idoneo a produrre sui processi rappresentativi e volitivi del ricorrente.
Come si e’ detto, passando in rassegna il passaggio della sentenza di appello dedicato alla visita ospedaliera effettuata la mattina dopo il sinistro stradale, il (OMISSIS) veniva ritenuto pienamente consapevole delle azioni che lo avevano portato a compiere le condotte illecite che gli venivano contestate ai capi 1) e 2) della rubrica.
Tuttavia, la sobrieta’ accertata in sede di visita non poteva considerarsi dirimente circa l’incidenza dello stato di ebbrezza sul grado di lucidita’ e consapevolezza dell’imputato al momento dei fatti, in quanto si riferiva a una verifica effettuata a distanza di ore dagli stessi e in un contesto certamente non comparabile a quello, cui la valutazione andava rapportata, della guida in orario prelucano su tratto autostradale interessato da traffico non intenso ma costante.
Tutto questo rende evidenti le lacune motivazionali su tale fondamentale profilo della vicenda delittuosa, che avrebbe dovuto essere affrontato in maniera piu’ approfondita e che, in sede di rinvio, impone una nuova adeguata ricognizione, essenziale per il problema della distinzione tra colpa cosciente e dolo eventuale.
Ne’ potrebbe essere diversamente, tenuto conto di quanto affermato da questa Corte che, fermi restando i parametri ermeneutici indicati dagli articoli 92 e 93 cod. pen., con particolare riferimento allo stato di alterazione psichica dovuto all’ingestione di sostanze alcoliche o stupefacenti, osserva: “La regola secondo cui l’imputabilita’ non e’ esclusa ne’ diminuita dall’ubriachezza o dall’assunzione di sostanze stupefacenti, a meno che esse non siano conseguenza di caso fortuito o forza maggiore, non esime dal dovere di accertamento della colpevolezza attraverso l’indagine sull’atteggiamento psicologico tenuto dall’agente al momento della commissione del fatto imputato” (cfr. Sez. 1, n. 42387 del 28/09/2007, dep. 16/11/2007, Bruschi, Rv. 238111).
Queste considerazioni processuali rendono evidente la necessita’ di un nuovo giudizio, affinche’ che la corte territoriale, applicando correttamente i principi di diritto che si sono richiamati, enuclei l’elemento soggettivo, doloso o colposo, sotteso al comportamento del (OMISSIS).
Nel compiere tale operazione il giudice del rinvio dovra’ tenere conto del piu’ recente arresto giurisprudenziale in tema di accertamento del dolo eventuale del quale la sentenza impugnata – emessa in epoca antecedente all’approdo ermeneutico medesimo – non poteva tenere conto, ma con il quale nel nuovo giudizio non potra’ fare a meno di confrontarsi (cfr. Sez. un. n 8 del 24/04/2014, dep. 18/09/2014, Espenhahn e altri, Rv. 261105).
2. L’accoglimento del primo motivo di ricorso deve essere ritenuto assorbente rispetto all’ulteriore doglianza della difesa del ricorrente, relativa all’ erronea applicazione della legge penale e all’illogicita’ della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio irrogato al (OMISSIS), che si omette’ di esaminare.
3. Le ragioni giuridiche che si sono esposte compiutamente nei paragrafi 1.1 e 1.2 di questa sentenza impongono conclusivamente l’annullamento del provvedimento impugnato e il rinvio ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino per nuovo esame.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame ad altra sezione della Corte di assise di appello di Torino.
Leave a Reply