Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 3 settembre 2014, n. 18595
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – Presidente
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere
Dott. BISOGNI Giacinto – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 4188/2012 proposto da:
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A., gia’ (OMISSIS) S.P.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
FALLIMENTO DI (OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 135/2011 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 06/12/2011;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/06/2014 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Rosario Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso con condanna alle spese.
Ha ritenuto la Corte territoriale, per quanto ancora rileva, che la notificazione del ricorso per la dichiarazione di fallimento fu correttamente eseguita a norma dell’articolo 143 c.p.c., dal momento che era risultato impossibile eseguirla nelle forme dell’articolo 140 c.p.c., sia alla sede dell’impresa individuale, sia alla residenza anagrafica del (OMISSIS), irreperibile non temporaneamente presso tali luoghi. Quanto alla doglianza di mancato rispetto del termine dilatorio L.F., ex articolo 15, ha ritenuto insussistente qualsiasi danno al diritto di difesa del fallendo. Infine, ha ritenuto irrilevante la dedotta cessazione dell’attivita’ d’impresa prima della cancellazione dal registro, prova non consentita dalla L.F., articolo 10.
Contro questa sentenza l’imprenditore ha proposto ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi; resiste la (OMISSIS) s.p.a. con controricorso.
La causa, chiamata all’udienza del 7 febbraio 2014, e’ stata rinviata per la comunicazione dell’avviso di cancelleria alla parte ricorrente personalmente, atteso il venir meno del suo difensore.
Con il secondo motivo lamenta la medesima circostanza, sotto il profilo del vizio processuale ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Con il terzo motivo, deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 101 e 164 c.p.c., L.F., articoli 15 e 18, articoli 24 e 111 Cost., perche’ il fallimento e’ stato dichiarato in mancanza del rispetto del termine dilatorio previsto per l’audizione delle parti.
Con il quarto motivo, deduce la violazione della L.F., articolo 22, in quanto l’attivita’ d’impresa era cessata da oltre un anno, come egli avrebbe dovuto essere ammesso a provare, in applicazione analogica della norma predetta o il giudice avrebbe potuto rilevare d’ufficio; ha argomentato, inoltre, sull’illegittimita’ costituzionale dell’articolo 10 L.F., per contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost., in quanto gli imprenditori individuali possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese e non sono ammessi a provare – competendo tale facolta’ solo al creditore o al p.m. – il momento dell’effettiva cessazione dell’attivita’ da cui decorre il termine annuale.
2. – Il primo ed il secondo motivo, da trattare congiuntamente in quanto afferenti la medesima questione, sono infondati.
La corte territoriale ha accertato che la notificazione fu eseguita secondo il rito per gli irreperibili, previsto dall’articolo 143 c.p.c., soltanto dopo che risulto’ impossibile eseguirla financo ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., vuoi presso la sede dell’impresa, vuoi alla residenza anagrafica del (OMISSIS), che era ivi irreperibile non solo temporaneamente.
La sentenza si e’ dunque conformata all’orientamento costante, secondo cui, mentre l’assenza solo momentanea del destinatario della notificazione nel luogo in cui risiede non preclude la notificazione ai sensi dell’articolo 140 c.p.c., l’irreperibilita’ non temporanea rientra nella previsione dell’articolo 143 c.p.c., per la cui applicabilita’ e’ necessaria la irreperibilita’ oggettiva (Cass. 23 giugno 2009, n. 14618).
3. – Il terzo motivo e’ infondato.
Questa Corte ha chiarito che il mancato rispetto del termine di quindici giorni, che deve intercorrere tra la data di notificazione del decreto di convocazione del debitore e la data dell’udienza (come previsto dalla nuova formulazione della L.F., articolo 15, comma 3), costituisce bensi’, in astratto, una causa di nullita’ per violazione del diritto di difesa: e, tuttavia, deve farsi applicazione del principio generale di cui all’articolo 156 c.p.c., onde non sussiste alcuna nullita’ del decreto di convocazione, ove risulti raggiunto lo scopo.
Invero, deve darsi significativo rilievo al fatto che il ricorrente non ha evidenziato alcun elemento rilevante, sul piano probatorio, che avrebbe potuto richiamare o produrre ove rispettati i termini normativamente previsti, astrattamente idoneo a determinare un diverso esito del procedimento, limitandosi invece a denunciare la violazione delle disposizioni relative ai termini di convocazione e di quelle dettate in tema di notificazione degli atti, senza peraltro fornire alcuna specifica indicazione circa il pregiudizio subito sul piano probatorio per effetto del minor tempo disponibile ai fini della predisposizione della difesa.
Egli ha insistito unicamente sulla questione di illegittimita’ costituzionale della L.F., articolo 10, il quale rende gli imprenditori individuali fallibili entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, argomento pero’ che, per quanto subito si dira’, non aveva alcuna possibilita’ di essere accolto.
4. – Il quarto motivo e’ manifestamente infondato.
Il termine di un anno dalla cessazione dell’attivita’, prescritto dalla L.F., articolo 10, ai fini della dichiarazione di fallimento, decorre, tanto per gli imprenditori individuali quanto per quelli collettivi, dalla cancellazione dal registro delle imprese, perche’ solo da tale momento la cessazione dell’attivita’ viene formalmente portata a conoscenza dei terzi, salva la dimostrazione di una continuazione di fatto dell’impresa anche successivamente.
La questione posta dal motivo e’ gia’ stata esaminata da questa Corte, la quale ha affermato che la L.F., articolo 10, come modificato dal Decreto Legislativo 12 settembre 2007, n. 169, nel prevedere la possibilita’ per il solo creditore e per il P.M., e non anche per l’imprenditore, di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attivita’ d’impresa ai fini della decorrenza del termine per la dichiarazione di fallimento, non si pone in contrasto con gli articoli 3, 24 e 111 Cost., atteso che, se gli fosse consentito di dimostrare una diversa e anteriore data di effettiva cessazione dell’attivita’ imprenditoriale rispetto a quella della cancellazione dal registro delle imprese, la tutela dell’affidamento dei terzi ne risulterebbe vanificata (Cass. 21 novembre 2011, n. 24431). Ha osservato tale decisione, con principio che si intende qui ribadire, che l’iscrizione e la cancellazione dell’imprenditore dal registro delle imprese assolvono una comune funzione di pubblicita’ nell’interesse esclusivo dei terzi, ai quali e’ in tal modo consentita l’aggiornata cognizione dello stato e dell’attivita’ dell’impresa, con la quale intraprendano contatti commerciali: la disciplina prevista dalla L.F., nuovo articolo 10, costituisce espressione di tale esclusiva tutela, rispetto alla quale l’imprenditore si trova addirittura in una posizione antitetica, per la ovvia ragione che, se gli fosse consentito di dimostrare una diversa e anteriore data di effettiva cessazione dell’attivita’ imprenditoriale rispetto a quella risultante dalla cancellazione presso il registro delle imprese, la tutela dell’affidamento dei terzi sarebbe del tutto vanificata.
Pertanto detta disciplina non viola alcuna delle norme della Costituzione sopra indicate.
4. – Il ricorso va dunque respinto, con condanna alle spese di lite, secondo il principio della soccombenza.
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