cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 2 settembre 2015, n. 35814

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORTESE Arturo – Presidente

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere

Dott. LA POSTA Lucia – Consigliere

Dott. BONI Monica – rel. Consigliere

Dott. MAGI Raffaello – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

nei confronti di:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

inoltre:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 9/2013 CORTE ASSISE APPELLO di BOLOGNA, del 16/10/2013;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 30/04/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. BONI MONICA;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. PINELLI Mario, che ha concluso per l’annullamento della sentenza con rinvio al giudice civile quanto delle statuizioni civili e il rigetto del ricorsi nel resto.

Udito per la parte civile, l’Avv. (OMISSIS) che ha chiesto l’annullamento della sentenza quanto alle statuizioni civili ed il rigetto dei ricorsi degli imputati.

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) e (Ndr: testo originale non comprensibile) (OMISSIS), che hanno insistito per l’accoglimento dei ricorsi.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza emessa in data 8 novembre 2010 il G.U.P. del Tribunale di Rimini all’esito del giudizio celebrato nelle forme del rito abbreviato, dichiarava gli imputati (OMISSIS) e (OMISSIS) responsabili del delitto di concorso in abbandono di persona incapace, loro contestato, perche’, nelle rispettive qualita’ di responsabile del reparto di psichiatria e di coordinatore del personale infermieristico, addetto al medesimo reparto presso la struttura sanitaria ” (OMISSIS) s.r.l.”, omettendo di sorvegliare e vigilare adeguatamente il paziente (OMISSIS), ricoverato in detto reparto e che avevano in cura e custodia, lo abbandonavano, e, esclusa l’aggravante contestata, li condannava alla pena di giustizia e al risarcimento danni nei confronti della costituita parte civile, mentre li assolveva dal restante delitto di omicidio colposo, contestato in alternativa come commesso in danno del predetto paziente.

2. Con sentenza del 26 ottobre 2011 la Corte di assise d’appello di Bologna, investita dell’appello degli imputati, della parte civile con riferimento all’ammontare del danno liquidato e del pubblico ministero quanto all’assoluzione dal delitto di omicidio colposo, assolveva gli imputati per non aver commesso il fatto.

3.Proposto ricorso da parte del Procuratore Generale presso la Corte d’Appello di Bologna e dalla parte civile, la quinta sezione penale della Corte di Cassazione con sentenza del 21 febbraio 2013 nr. 17976 annullava la sentenza di appello e rinviava ad altra sezione della Corte distrettuale per nuovo giudizio, rilevando la totale irrazionalita’ della motivazione della pronuncia assolutoria. In particolare evidenziava che:

-poiche’ il trasferimento dell’ (OMISSIS) nella casa di cura (OMISSIS) s.r.l., struttura “aperta”, nella quale i pazienti erano liberi di circolare, non aveva incontrato il consenso del paziente e nemmeno dei suoi familiari, ed egli aveva versato in gravi condizioni mentali, che gli avevano impedito di badare a se stesso e di sopravvivere, se non assistito, lo stesso avrebbe dovuto essere trasferito in altro nosocomio piu’ adeguato alle sue esigenze e comunque essere sottoposto a piu’ adeguata sorveglianza quanto ai suoi movimenti, tanto piu’ che egli aveva gia’ dimostrato, mentre vi era ospitato, di voler abbandonare il luogo;

-non poteva essere esclusa la colpevolezza degli imputati per quanto accaduto a paziente loro affidato, in quanto ospitato nella struttura in cui essi avevano prestato la loro attivita’, per cui responsabili del suo allontanamento dovevano ritenersi sia coloro che, pur dirigendo la struttura quale titolare e coordinatore dei servizi, non avevano impartito corrette disposizioni circa le modalita’ di trattamento del paziente, sia le figure professionali presenti in reparto al momento della scomparsa e che avevano consentito la sua verificazione senza essersi attivati per impedirla;

-era incomprensibile il rilievo sulla presenza dell’ (OMISSIS) in reparto fino alla sua scomparsa, ovvia constatazione, che non rende lecita la condotta omissiva da parte di chi gli aveva consentito di allontanarsene.

Pertanto, riteneva necessaria la celebrazione di rinnovato giudizio per verificare da parte del giudice di rinvio se, in concreto, agli imputati fosse spettato il compito di vigilare sulla condotta, potenzialmente autolesionistica, dell’ (OMISSIS), se tale eventuale omissione fosse assistita dall’elemento soggettivo richiesto dall’articolo 591 c.p. e se il decesso dell’ (OMISSIS) fosse ricollegabile causalmente alla condotta omissiva ascritta ai due imputati.

4. La Corte di Assise di Appello di Bologna con sentenza del 16 ottobre 2013, concesse agli imputati le circostanze attenuanti generiche, dichiarate equivalenti all’aggravante di cui all’articolo 591 c.p., comma 3, riformava parzialmente la sentenza di primo grado e la condanna degli imputati alla pena di mesi otto di reclusione ciascuno, al risarcimento dei danni in favore della parte civile, liquidati in euro 40.000,00, alla rifusione in favore della stessa parte civile delle spese di costituzione.

4.1 A fondamento della decisione rilevava che, poiche’ tra la pronuncia della sentenza di appello e di quella della Corte di Cassazione il cadavere dell’ (OMISSIS) era stato rinvenuto ed era certa la verificazione dell’evento morte quale conseguenza dell’abbandono, non avendo potuto costui sopravvivere privo di farmaci e di assistenza continua, il giudizio di rinvio si doveva concentrare sulla sola imputazione di abbandono di persona incapace, aggravato ai sensi del terzo comma dell’articolo 591 c.p., fattispecie piu’ grave rispetto a quella contestata in via alternativa di omicidio colposo. Rilevato poi che la Casa di cura ” (OMISSIS), s.r.l.” non era adeguatamente attrezzata per garantire una adeguata e continuativa vigilanza dei pazienti, trattandosi di una struttura “aperta”, che consentiva di uscire dall’interno, solo azionando un bottone, senza che la cosa fosse percepita da un “portiere” , ovvero da un “vigilante” e senza che al sistema di videosorveglianza nei locali fosse addetto del personale incaricato di seguire le apparecchiature, attese le particolari condizioni di salute dell’ (OMISSIS), -paziente a rischio per il suo comportamento “oniroide” ed i plurimi tentativi di fuga, privo di senso dell’ orientamento e della percezione del luogo ove trovavasi e del proprio stato di salute, nonche’ incapace di provvedere a se stesso-, riteneva che i due imputati per le mansioni professionali svolte e per essere stati integrati nell’organizzazione della casa di cura fossero stati a conoscenza delle carenze strutturali ed operative del nosocomio.

Cio’ nonostante la (OMISSIS) aveva personalmente autorizzato il ricovero della vittima nella consapevolezza delle sue condizioni di non autosufficienza ed il (OMISSIS) aveva organizzato i turni del personale infermieristico senza prevedere speciale vigilanza sul paziente, la cui scomparsa non era stata nemmeno percepita nell’immediatezza della verificazione, posto che il suo corpo, nonostante le difficolta’ motorie, era stato rinvenuto a trecento metri dalla struttura.

5. Avverso detta pronuncia hanno proposto separati ricorsi a mezzo dei rispettivi difensori gli imputati, nonche’ la parte civile.

5.1 (OMISSIS) ha lamentato:

a) contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione, travisamento delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’articolo 591 c.p. e violazione dell’articolo 533 c.p.p., erronea applicazione dell’articolo 591 c.p..

La Corte distrettuale ha fondato il giudizio di responsabilita’ a carico della ricorrente sul presupposto che, essendo la stessa la direttrice del reparto di psichiatria in assenza del primario e pur essendole note le carenze della struttura sanitaria, non avrebbe predisposto una vigilanza continuativa sul paziente (OMISSIS), coscientemente abbandonato a se stesso; ha pero’ travisato i dati probatori quanto alla posizione dell’imputata nell’organizzazione della Casa di cura, poiche’ la stessa non aveva competenze di direzione del reparto di psichiatria, -funzioni assegnate dall’1/4/2007 ad altro sanitario, il Dott. (OMISSIS), che aveva svolto il turno di servizio precedente-, nemmeno quale vicario del predetto sanitario per mancato conferimento di delega in tal senso, ne’ era stata presente nella residenza il pomeriggio del (OMISSIS), allorquando l’ (OMISSIS) aveva attuato i tentativi di fuga, ma soltanto il giorno del suo allontanamento

Il responsabile Dott. (OMISSIS), che pure aveva constatato la sintomatologica del paziente il giorno (OMISSIS), non aveva disposto una vigilanza particolare, per cui tale provvedimento non avrebbe potuto e dovuto essere assunto nemmeno dall’imputata, posto che l’ (OMISSIS) la mattina della scomparsa non aveva manifestato anomalie comportamentali, era stato visto all’interno del reparto, distante dalle vie di fuga, senza lasciar prevedere il suo improvviso abbandono del luogo, sicche’, valutando la condotta “ex ante”, non era esigibile un diverso atteggiamento volitivo e la disposizione di continua vigilanza, pretesi nella sentenza impugnata e non poteva esserle addebitata una condotta omissiva dolosa per l’assenza di consapevolezza e di concreta rappresentazione dell’evento. Al riguardo la ricorrente aveva maturato il ragionevole convincimento dell’impossibilita’ di allontanamento dell’ (OMISSIS), sia per le sue difficolta’ motorie, sia per le valutazioni specialistiche espresse dai medici dell’Ospedale di (OMISSIS), secondo i quali anche le annotazioni anamnestiche sui tentativi di fuga in stato oniroide non impedivano il suo ricovero in struttura aperta, sicche’ erano irrilevanti, mentre la sentenza non aveva illustrato le ragioni per le quali la stessa avrebbe dovuto disattendere tali indicazioni che rappresentavano difficolta’ di locomozione, ma non lasciavano prevedere l’allontanamento sia pure in un contesto di debole vigilanza, anche perche’ le persone operanti nei pressi dell’ingresso della struttura avrebbero dovuto segnalare la sua presenza in quell’area.

Pertanto, non e’ esigibile che la ricorrente disponesse la vigilanza continuativa sull’ (OMISSIS), perche’ non le competeva l’assunzione della decisione, non essendo direttrice di reparto, ne’ essendo stata presente al momento dei tentativi di fuga, mentre la struttura era destinata ad accogliere pazienti non sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio, ma ricoveratisi volontariamente, nella quale erano precluse misure coercitive ed ella non aveva avuto consapevolezza di abbandonare un paziente in stato di pericolo.

Inoltre, non rispondeva al vero che ella avesse autorizzato il ricovero dell’ (OMISSIS) presso la casa di cura, in quanto la relativa decisione di collocarlo in osservazione, superata la fase di TSO, era stata assunta dal Dott. (OMISSIS), dirigente del reparto psichiatrico dell’ospedale di (OMISSIS), mentre ella si era occupata soltanto di compilare il modulo di adesione al progetto diagnostico e terapeutico.

b) Carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra l’evento morte e la condotta omissiva ascritta all’imputata, contraddittorieta’ e travisamento delle risultanze processuali ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’aggravante di cui all’articolo 591 c.p., comma 3, nonche’ violazione dell’articolo 533 c.p.p.. Erroneamente la Corte d’Assise d’Appello, in contrasto con quanto statuito dalla sentenza della Corte di Cassazione, aveva ritenuto che la stessa non le avesse devoluto anche il tema della sussistenza della circostanza aggravante, di cui al comma 3 dell’articolo 591 c.p., per cui aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla ricorrenza del nesso causale tra la morte dell’ (OMISSIS) e la condotta di abbandono ascritta all’imputata.

Nel caso non era stato condotto alcun accertamento risolutivo sulle cause del decesso dell’ (OMISSIS) e sulla loro correlazione eziologica con l’allontanamento dalla casa di cura ove era stato ricoverato, sicche’ avrebbe dovuto essere esclusa la predetta aggravante, e) Carenza di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante ed inosservanza della legge penale ed in particolare degli articoli 62 bis, 69 e 133 c.p..

La Corte di merito non ha espresso alcuna giustificazione sul punto e non ha tenuto conto della lievissima intensita’ del dolo, dell’incensuratezza dell’imputata, della professionalita’ esercitata per diversi anni senza mai dare adito a censure ne’ a provvedimenti amministrativi, della tempestiva attivazione nella ricerca dell’ (OMISSIS) e nell’impedire il ripetersi di episodi analoghi, sicche’ avrebbe dovuto anche contenere la pena inflitta.

5.2 (OMISSIS) a mezzo dell’avv.to (OMISSIS) ha dedotto: a) contraddittorieta’, e manifesta illogicita’ della motivazione, travisamento delle risultanze processuali in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo del delitto di cui all’articolo 591 c.p., violazione dell’ articolo 533 c.p.p..

La Corte di secondo grado ha erroneamente ritenuto che il ricorrente avesse omesso di predisporre la vigilanza continuativa sul paziente per le sue mansioni di coordinatore infermieristico del reparto, mentre egli all’epoca aveva svolto funzioni di collegamento tra le esigenze di diagnosi e cura da approntarsi per i ricoverati all’esterno della struttura, ossia in altri presidi AUSL, e le attivita’ di reparto psichiatrico, senza avere assunto alcuna responsabilita’ diretta sul piano organizzativo della funzione infermieristica di presidio, dovendo soltanto indicare le attivita’ assistenziali e verificarne l’adempimento da parte del personale, sicche’ non aveva poteri di scelta o modifica della struttura convenzionata.

Quanto all’elemento soggettivo del dolo, le valutazioni specialistiche espresse dai medici dell’Ospedale di (OMISSIS), secondo i quali anche le annotazioni anamnestiche sui tentativi di fuga in stato oniroide non impedivano il suo ricovero in struttura aperta, escludevano la consapevolezza e la previsione dell’allontanamento del paziente, sicche’ erano irrilevanti, mentre la sentenza non aveva illustrato le ragioni per le quali egli avrebbe dovuto disattendere tali indicazioni e revocare il trattamento terapeutico disposto da altri sanitari, anche perche’ le annotazioni nel diario infermieristico rappresentavano disorientamento spazio-temporale e difficolta’ di locomozione, ma non lasciavano prevedere l’allontanamento sia pure in un contesto di debole vigilanza, anche perche’ le persone operanti nei pressi dell’ingresso della struttura avrebbero dovuto segnalare la sua presenza in quell’area.

Pertanto, non e’ esigibile che il ricorrente disponesse la vigilanza continuativa sull’ (OMISSIS), perche’ non gli competeva l’assunzione della decisione, non essendo direttore di reparto ed avendo fatto affidamento sul rispetto degli obblighi contrattuali da parte dei titolari della struttura, che prevedevano la presenza di personale nella guardiola all’ingresso con controllo delle immagini monitorizzate dei movimenti di reparto, violazione che aveva determinato il tragico evento.

Inoltre, l’inesigibilita’ della condotta era riscontrabile anche in ragione delle caratteristiche della struttura, destinata ad accogliere pazienti non sottoposti a trattamento sanitario obbligatorio, ma ricoveratisi volontariamente, nella quale erano precluse misure coercitive ed egli non aveva avuto consapevolezza di abbandonare un paziente in stato di pericolo.

b) Carenza della motivazione in ordine alla sussistenza del nesso causale tra l’evento morte e la condotta omissiva ascritta all’imputato, contraddittorieta’ e travisamento delle risultanze processuali ed inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’aggravante di cui all’articolo 591 c.p., comma 3, nonche’ violazione dell’articolo 533 c.p.p.. Erroneamente la Corte d’Assise d’Appello, in contrasto con quanto statuito dalla sentenza della Corte di Cassazione, aveva ritenuto che la stessa non le avesse devoluto anche il tema della sussistenza della circostanza aggravante, di cui dell’articolo 591 c.p., comma 3, per cui aveva omesso qualsivoglia motivazione in ordine alla ricorrenza del nesso causale tra la morte dell’ (OMISSIS) e la condotta di abbandono ascritta all’imputata. Nel caso non era stato condotto alcun accertamento risolutivo sulle cause del decesso dell’ (OMISSIS) e sulla loro correlazione eziologica con l’allontanamento dalla casa di cura ove era stato ricoverato, sicche’ avrebbe dovuto essere esclusa la predetta aggravante; c) Carenza di motivazione in ordine al giudizio di equivalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata aggravante ed inosservanza della legge penale ed in particolare degli articoli 62 bis, 69 e 133 c.p.. La Corte di merito non ha espresso alcuna giustificazione sul punto e non ha tenuto conto della lievissima intensita’ del dolo, dell’incensuratezza dell’imputato, della professionalita’ esercitata per diversi anni senza mai dare adito a censure ne’ a provvedimenti amministrativi, della tempestiva attivazione nella ricerca dell’ (OMISSIS) e nell’impedire il ripetersi di episodi analoghi, sicche’ avrebbe dovuto anche contenere la pena inflitta.

5.3 Anche la parte civile (OMISSIS) ha proposto ricorso per lamentare:

a) nullita’ della sentenza per mancanza assoluta di motivazione in ordine all’esclusione di alcune categorie di danno, patrimoniale, biologico ed esistenziale, ed al riconoscimento della somma di euro 40.000,00 a titolo di danno morale in luogo della maggiore somma richiesta o comunque degli importi previsti dalle tabelle del Tribunale di Milano, generalmente utilizzate per liquidare il danno morale, che avrebbero comportato il riconoscimento di una somma compresa tra il minimo di euro 163.080 ed un massimo di euro 326.150. Sia nella sentenza impugnata, che in quella di legittimita’ sono state evidenziate le gravissime responsabilita’ degli imputati per l’abbandono della vittima, il cui corpo era stato rinvenuto soltanto cinque anni dopo la scomparsa in un fossato delimitante un cantiere a poche centinaia di metri dalla casa di cura, il che ha comportato per il ricorrente, suo figlio, l’ansia protrattasi per lo stesso periodo di non avere notizie del genitore e la necessita’ di dover convivere con la disperazione della propria madre per tale perdita, nonche’, dopo la scoperta, con la consapevolezza della fine lenta e straziante del padre, caduto in luogo impervio ed abbandonato per ore prima che intervenisse il decesso. Non era stato inspiegabilmente riconosciuto il danno patrimoniale per il tempo sottratto al lavoro per le ricerche del padre, per le trasferte e le spese funerarie, per le quali avrebbe dovuto al piu’ emettersi pronuncia di condanna generica secondo quanto previsto dall’articolo 539 c.p.p., ne’ il danno biologico ed esistenziale e la somma riconosciuta era irrisoria.

b) Nullita’ della sentenza quanto alla liquidazione delle spese di costituzione della parte civile, operata in modo unitaria per tutti e tre i gradi di giudizio e per assoluta mancanza di motivazione in ordine ai criteri impiegati a fronte di tre note dettagliate, che avevano esposto valori medi previsti dalla legge; inoltre, non aveva applicato senza motivazione l’aumento previsto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2012, articolo 12, comma 4.

6. Con successiva memoria depositata il 15 aprile 2015 la parte civile ha dedotto che nonostante l’entrata in vigore del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, non viene meno il fondamento del proposto ricorso in relazione all’assoluta carenza di motivazione in ordine alla liquidazione forfettaria e non giustificata nel suo ammontare per i tre gradi del giudizio; ha quindi sostenuto l’inammissibilita’ o l’infondatezza dei ricorsi degli imputati, richiedenti rivisitazione dei fatti e delle prove assunte con una formulazione dei motivi non autosufficiente, mentre non sussisteva piu’ alcun dubbio che il corpo recuperato il 27/11/2012 fosse quello di (OMISSIS), circostanza comunicata dagli stessi difensori degli imputati.

CONSIDERATO IN DIRITTO

I ricorsi di (OMISSIS) e della parte civile sono fondati e meritano integrale accoglimento, mentre il ricorso di (OMISSIS) e’ solo parzialmente fondato e va accolto nei termini che verranno specificati.

1. Alla disamina dei motivi articolati a sostegno degli atti di gravame proposti nell’interesse degli imputati e’ opportuno premettere qualche precisazione sul piano generale in ordine ai poteri di cognizione spettanti al giudice di rinvio. Secondo un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, a seguito di annullamento disposto per vizio di motivazione, il giudice di rinvio, benche’ sia obbligato a giustificare il suo convincimento secondo lo schema implicitamente o esplicitamente enunciato nella sentenza rescindente, decide con i medesimi poteri che aveva il giudice il cui provvedimento e’ stato annullato: a fronte di un potere di intervento cognitivo improntato alla massima latitudine, gli unici limiti consistono nel divieto di ripetere i vizi gia’ censurati nel giudizio di legittimita’ e nell’obbligo di conformarsi all’interpretazione ivi data alle questioni di diritto senza poter riproporre a fondamento della decisione le argomentazioni gia’ ritenute incomplete o illogiche. Inoltre, il giudice del rinvio non e’ tenuto ad esaminare solo i punti specificati con la pronuncia di annullamento, isolandoli dal contesto generale della decisione e dal residuo materiale probatorio, ma mantiene, nell’ambito dei capi investiti dall’annullamento, piena autonomia di giudizio nella ricostruzione del fatto, nell’individuazione e valutazione dei dati probatori ed il potere di desumere, anche da fonti diverse, eventualmente rimaste estranee alla cognizione del primo giudice perche’ ignorate o volutamente pretermesse, il potere di formare liberamente il proprio convincimento. E’ dunque certo che la rinnovata disamina della vicenda processuale nel giudizio di rinvio deve rimuovere i vizi segnalati, colmare le carenze giustificative ed eliminare le incongruenze rilevate (Cass. sez. 2 , n. 27116 del 22/05/2014, Grande Aracri e altri, rv. 259811; sez. 5 , n. 42814 del 19/06/2014, Pg in proc. Cataldo, rv. 261760; sez. 6 , n. 42028 del 4/10/2010, Regine, rv. 248738; sez. 4 , n. 43720 del 14/10/2003, Colao, rv. 226418). Pertanto, a seguito di annullamento per vizio di motivazione, il giudice di rinvio, vincolato dal divieto di reiterare gli stessi argomenti ritenuti illogici o carenti dalla Corte di cassazione, puo’ pervenire, sulla scorta di argomentazioni diverse da quelle censurate in sede di legittimita’, ovvero integrando e completando quelle gia’ svolte, allo stesso risultato decisorio della pronuncia annullata. Tale conclusione riceve avallo dai principi generali che regolano il sistema delle impugnazioni e dallo sviluppo dialettico del procedimento, che assegnano alla Corte di cassazione il sindacato di sola legittimita’, per cui anche quando il controllo verte solo sulla motivazione del provvedimento impugnato non puo’ addentrarsi al giudizio di fatto, riservato in via esclusiva ai giudici di merito ed il disposto annullamento costituisce un “vincolo di contenuto negativo”, consistente nel divieto di adottare, nella sua pronuncia, la stessa motivazione che la Corte suprema ha ritenuto viziata. Si e’ dunque affermato il principio di diritto, pienamente condivisibile, per cui “Non viola l’obbligo di uniformarsi al principio di diritto il giudice di rinvio che, dopo l’annullamento per vizio di motivazione, pervenga nuovamente all’affermazione di responsabilita’ sulla scorta di un percorso argomentativo in parte diverso ed in parte arricchito rispetto a quello gia’ censurato in sede di legittimita’” (Cass., sez. 4 , n. 44644 del 18/10/2011, F., rv. 251660; sez. 6 , n. 19206 del 10/01/2013, P.M. in proc. Di Benedetto, rv. 255122).

2. Tanto premesso, la sentenza resa dalla quinta sezione di questa Corte aveva disposto l’annullamento della precedente pronuncia assolutoria, la cui motivazione aveva censurato in quanto “radicalmente irrazionale”, rilevando che:

-le circostanze di fatto indicate nella sentenza annullata, riguardanti:

a) il trasferimento dell’ (OMISSIS) presso la casa di cura ” (OMISSIS)” non consensuale, ne’ autorizzato dai congiunti;

b) la sua natura di struttura “aperta”, nella quale i pazienti erano liberi di circolare;

c) l’assenza di caratteristiche adeguate al trattamento di paziente in gravi condizioni mentali, che gli avevano impedito di badare a se stesso e di sopravvivere, se non assistito;

d) l’inutilita’ del sistema di videosorveglianza, in quanto alcun addetto controllava sui “monitore” le immagini riprese;

e) la possibilita’ di aprire la porta dell’edificio che a piano terra dava sull’esterno, azionando un pulsante, avrebbero dovuto indurre a considerare, da un lato la necessita’ di trasferire in altro nosocomio il paziente, dall’altro l’adozione nei riguardi dell’ (OMISSIS) di una forma piu’ adeguata e rigorosa di sorveglianza rispetto a quella assicurata su altri pazienti quanto ai suoi movimenti, tanto piu’ che egli aveva gia’ dimostrato, mentre vi era ospitato, di voler abbandonare il luogo;

-in punto di diritto, “la fattispecie di cui all’articolo 591 c.p. e’ tale per cui chiunque sia la persona che, anche semplicemente di fatto, si trova a garantire l’incolumita’ fisica e/o psichica di un incapace, non puo’ abbandonarlo, vale a dire non puo’ cessare di esercitare la doverosa sorveglianza, volta ad impedire che il predetto causi danni a se stesso o agli altri”; -il rilievo sulla presenza degli imputati presso la casa di cura il giorno della scomparsa dell’ (OMISSIS) e’ ovvio, ma non inesatto, dal momento che tale presenza era conseguenza delle mansioni che in detta struttura essi erano chiamati a svolgere, a prescindere dal rapporto di lavoro alle dipendenze della s.r.l. “Il Sole (OMISSIS)

(OMISSIS)Andreini (OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)Andreini (OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)il Sole (OMISSIS)Andreini (OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)

(OMISSIS)Sangiorgi (OMISSIS)Andreini (OMISSIS)Borghesi (OMISSIS)

(OMISSIS)Andreini (OMISSIS)Procopio Massimo (OMISSIS)

(OMISSIS)Andreini (OMISSIS)

(OMISSIS)Sangiorgio (OMISSIS)

(OMISSIS) (OMISSIS): la assegnata qualita’ di responsabile del reparto di psichiatria in assenza di tale sanitario il giorno della scomparsa della persona offesa non e’ frutto di alcun travisamento, quanto della dimostrata presenza in servizio della (OMISSIS) secondo la turnazione del personale medico predisposta e dell’assenza del predetto medico investito delle funzioni di direzione del reparto. Viene dunque in rilievo, non gia’ la posizione formale assunta nell’organizzazione dell’istituto o la presenza di una delega a sostituire il responsabile, quanto la situazione di fatto creatasi il (OMISSIS), secondo quanto gia’ stigmatizzato dalla quinta sezione di questa Corte nella pronuncia di annullamento, situazione che ha attribuito all’imputata, seppur in via non esclusiva, la posizione di garanzia a tutela della sicurezza e dell’incolumita’ del paziente del reparto cui era stata addetta. Del resto gia’ la sentenza di annullamento, che il ricorso non tiene in alcuna considerazione, ha rimarcato l’irrilevanza nel caso della distinzione tra funzioni amministrative e funzioni mediche specialistiche.

3.2 Al riguardo va ricordato che nella giurisprudenza di legittimita’ si e’ da tempo affermata la “teoria del garante”, fondata sul significato assegnato agli “obblighi di garanzia”, ossia ai doveri giuridici di impedire l’evento, discendenti dallo speciale vincolo di tutela che lega il soggetto deputato a proteggere un determinato bene giuridico nei casi in cui il titolare dello stesso bene sia incapace di preservarlo da se’ in via autonoma (Cass. sez. 4 , n. 4793 del 06/12/1990, Bonetti, rv. 191792). Si e’ dunque chiarito che, nell’individuazione dei destinatari degli obblighi protettivi, vengono in rilievo le funzioni in concreto esercitate dal soggetto agente (cfr. Cass. Sez. U, n. 9874 del 01/07/1992, Giuliani, rv. 191185) e che compete all’interprete procedere alla selezione delle diverse posizioni di garanzia e degli obblighi riferibili al soggetto che ne e’ gravato per tutti i casi concreti, non prevedibili e non tipizzati dal legislatore, in cui il titolare del bene protetto versi in una situazione di passivita’. Questa Corte ha in particolare segnalato che, ai fini dell’operativita’ della cosi’ detta clausola di equivalenza di cui all’articolo 40 c.p., comma 2, nell’accertamento degli obblighi impeditivi incombenti sul soggetto che versa in posizione di garanzia, l’interprete deve tenere presente la fonte dai cui scaturisce l’obbligo giuridico protettivo, che puo’ essere indifferentemente la legge, il contratto, la precedente attivita’ svolta, la situazione di fatto e, in tale ambito ricostruttivo, per individuare lo specifico contenuto dell’obbligo, discendente dalla fonte, occorre avere riguardo alle finalita’ protettive fondanti la stessa posizione di garanzia e la natura dei beni dei quali e’ titolare il soggetto garantito, scopo della tutela rafforzata (Cass. sez. 4 , n. 5404 del 08/01/2015, P.C. in proc. Corso e altri, rv. 262033; sez. 4 , n. 48292 del …, Desana ed altri, rv. 242390)

3.3 Applicando i richiamati principi di diritto al caso di specie, deve rilevarsi che la valutazione espressa dalla Corte di Assise di Appello, circa la posizione di garanzia assunta dalla (OMISSIS) rispetto al paziente (OMISSIS) discende dallo svolgimento dell’attivita’ medica di psichiatra del reparto, ove era assegnato il paziente, affidato in quel giorno alle sue cure. Pertanto, a prescindere dalle valutazioni operate da altro sanitario nei giorni antecedenti o da coloro che avevano avuto la gestione del paziente presso l’ospedale di (OMISSIS), questi ultimi ovviamente non a conoscenza dei comportamenti tenuti dall’ (OMISSIS) a far data dal (OMISSIS) in poi quando era stato collocato presso la casa di cura ” (OMISSIS)”, alla stessa competeva la valutazione clinica e la responsabilita’ delle scelte terapeutiche e di trattamento durante il turno, per cui risulta giuridicamente corretta l’attribuzione della responsabilita’ per il suo abbandono per l’omissione consapevole delle misure che avrebbero consentito di contenerne la liberta’ di movimento e di allontanamento dal luogo di ricovero.

3.4 Ne’ sotto il profilo dell’elemento psicologico puo’ affermarsi l’imprevedibilita’ “ex ante” di tale allontanamento non impedito, dal momento che in punto di fatto la storia clinica, la diagnosi ed i comportamenti in concreto assunti in modo continuativo nella giornata antecedente la scomparsa, annotati nel diario infermieristico, avevano offerto indicazioni univoche a chiunque, ma soprattutto al sanitario preposto quel giorno alla tutela del paziente, sulla concreta ripetibilita’ dei suoi tentativi di fuga e valevano a richiedere l’innalzamento del livello di attenzione perche’ simili episodi non dovessero piu’ verificarsi.

3.4.1 La sentenza impugnata affronta tutti questi temi e ritiene dovuto ed esigibile un regime di vigilanza continuo, sebbene l’ (OMISSIS) non fosse sottoposto a misure coatte, che non necessariamente avrebbe imposto il suo contenimento fisico, quanto la costante sorveglianza da parte degli operatori e la chiusura delle uscite in modo da non renderle liberamente impegnabili al di fuori di una qualche forma di controllo. A nulla rileva che altro medico non avesse adottato tali misure per i giorni antecedenti, che avrebbero potuto e dovuto essere imposte il giorno della scomparsa, ne’ che la condotta tenuta sino a quel momento non avesse presentato anomalie: sul punto il ricorso riporta le dichiarazioni della stessa imputata, ma e’ smentito dal fatto che gia’ due giorni prima l’ (OMISSIS) si era perso per il reparto ed il giorno prima aveva ripetutamente cercato di uscire dalle finestre; non era dunque necessario per allertare un medico psichiatra, specializzato nella materia, che egli si fosse trovato accanto alle uscite quando aveva gia’ manifestato significativi atteggiamenti di fuga.

3.4.2 Quanto al presunto affidamento sulle sue difficolta’ motorie e sulle valutazioni dei medici dell’ospedale di (OMISSIS) sull’idoneita’ della struttura a ricevere quel paziente, ne va rilevata l’irrilevanza, sia perche’, secondo quanto esposto nella sentenza di primo grado, egli aveva presentato “momenti di psicomotricita’ alternata” in funzione dell’assunzione o meno della terapia ed il suo girovagare per l’istituto e il tentativo di scavalcare i balconi, nonche’ lo stesso percorso seguito all’esterno per trecento metri, provano che non era in assoluto impedito nei movimenti, circostanza documentata. Per contro, le considerazioni errate di altri sanitari, peraltro condotte su una base conoscitiva diversa perche’ limitata al periodo di permanenza presso l’ospedale di (OMISSIS), non esentavano la (OMISSIS) dalla valutazione del caso posto che trattasi di specialisti di non maggiore autorevolezza e competenza e che, ricevuto il paziente in struttura palesemente inadeguata alle sue esigenze, ella avrebbe dovuto respingerlo, farlo trasferire altrove, oppure farlo sorvegliare in modo continuo.

Il tentativo difensivo di minimizzare la situazione, di dipingere l’imputata quale “capro espiatorio” di un caso sfortunato, esito di un non prevedibile “black out” totale della casa di cura, prospetta una ricostruzione alternativa della vicenda, che non riposa su reali basi fattuali per i rilievi sopra svolti sulle modalita’ costanti di gestione degli ingressi e delle uscite, privi di selezione e controllo, e per gli aspetti d’inadeguatezza della struttura “aperta”, di cui ella non aveva responsabilita’ diretta, spettante piuttosto alla proprieta’ ed alla direzione sanitaria, ma di cui certamente era a conoscenza.

3.5 In senso contrario a quanto ritenuto dai giudici di rinvio non giova sostenere che l’ (OMISSIS) era stato collocato presso l’istituto in regime di ricovero volontario nel cui ambito erano precluse misure di coercizione dei pazienti: invero, l’accusa rivolta alla ricorrente non verte sull’omessa adozione di strumenti di contenimento della vittima, quanto sul fatto di averla lasciata sola in balia di se stessa, delle proprie debolezze e malattie, non avendola sottoposta a forme di sorveglianza, da ritenersi compatibili con l’attuale prestazione dei servizi sanitari ai malati mentali. Invero, non giova sostenere che a seguito dell’entrata in vigore della Legge n. 180 del 1978, non sussisterebbe, in capo al medico psichiatra, una posizione di garanzia in funzione di prevenzione del pericolo di atti lesivi compiuti dal paziente psichiatrico; l’adozione di un sistema di cure su base volontaria e non imposta non esenta il personale medico ed infermieristico dal dovere giuridico di protezione e sorveglianza della persona loro affidata, specie se questa non puo’ prestare alcuna valida collaborazione e non puo’ badare a se stessa e se, come nel caso di specie, il suo ricovero non sia stato richiesto dalla stessa, ne’ dai congiunti, ma disposto in via unilaterale dalla struttura sanitaria pubblica. In tal senso si e’ gia’ espressa questa Suprema Corte in casi similari con orientamento che si condivide appieno (Cass., sez. 4 , nr. 48292 del 2008, Desana ed altri, rv. 242390 in un caso di paziente a rischio suicidiario non costantemente sorvegliato).

Si e’ in particolare segnalato (Cass. sez. 5 , n. 4407 del 22/01/1998, Belpedio ed altro, rv. 211045) come l’abbandono per legge del modello di cura manicomiale con l’uso sistematico della coercizione e dell’isolamento interno ed esterno del paziente, non comporta il venir meno degli obblighi di cura e tutela del malato mentale, ma la custodia in strutture aperte richiede modalita’ diverse ed alternative, meno economiche, ma funzionali a contemperare il rispetto della liberta’ e dignita’ individuale e la protezione della persona da agiti auto ed etero lesivi, della cui verificazione in conseguenza dello stato di abbandono, rilevante per la configurabilita’ del delitto di cui all’articolo 591 c.p., deve rispondere il custode ed il personale medico e paramedico del reparto, “dove la protezione dell’ammalato doveva essere primieramente assicurata con la materiale vigilanza e con le innovative terapie farmacologiche-progressive nel dosaggio per arginare fasi accessuali della patologia”.

3.5 In punto di diritto e’ rigoroso l’orientamento interpretativo, espresso da questa Corte e richiamato anche dai giudici di merito, secondo il quale la fattispecie penale di cui all’articolo 591 c.p. tutela, non gia’ il rispetto dell’obbligo legale di assistenza in se’ considerato, quanto il valore etico-sociale della sicurezza della persona fisica contro determinate situazioni di pericolo che non deve necessariamente essersi realizzato e la condotta di “abbandono” resta integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l’incolumita’ del soggetto passivo (sez. 5 , n. 10126 del 21/9/1995, Granzotto, rv. 203004; sez. 5 , n. 15245 del 23/2/2005, Nalesso, rv. 232158; sez. 1 , n. 5945 del 15/1/2009, Foti, rv. 243372). Il dolo richiesto dalla norma incriminatrice e’ generico e consiste nella coscienza di abbandonare a se’ stesso il soggetto passivo, che non abbia la capacita’ di provvedere alle proprie esigenze, in una situazione di pericolo per la sua integrita’ di cui si abbia l’esatta percezione (sez. 5 , n. 12334 del 12/6/1990, De Rosa, rv. 185295, e n. 15147 del 14/3/2007, Simone, rv. 236157; sez. 5 , n. 19476 del 25/02/2010, Verdano e altro, rv. 247305; sez. 2 , n. 10994 del 06/12/2012, T. e altro, rv. 255172). Siffatti elementi costitutivi della fattispecie sono stati tutti ampiamente riscontrati ed analizzati nella sentenza, che risulta conforme ai principi appena evocati, sicche’ in punto di affermazione della responsabilita’ della ricorrente il ricorso va certamente respinto.

4. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto al giudizio di responsabilita’ a carico dell’altro ricorrente, (OMISSIS).

Invero, a suo carico la sentenza impugnata ha valorizzato la posizione funzionale e le mansioni di sanitario, coordinatore del personale infermieristico e preposto all’organizzazione dei turni di servizio del personale stesso e quindi gli assegna la posizione di garanzia a tutela della salute e della incolumita’ del paziente scomparso. In realta’, per quanto documentato nel processo e richiamato anche in ricorso, pur essendo stato egli presente presso la casa di cura il giorno dell’allontanamento dell’ (OMISSIS), non risulta dimostrato che fosse dotato di autonomi poteri decisionali sui percorsi trattamentali dei pazienti e sulle modalita’ di prestazione delle cure e dell’assistenza nei loro confronti, dovendo piuttosto occuparsi di impartire coordinate assistenziali e di monitorare la prestazione dei servizi senza avere assunto una responsabilita’ diretta sulle condizioni dei singoli pazienti. In altri termini, anche secondo quanto affermato dalla teste (OMISSIS), che ha assegnato la responsabilita’ del reparto alla coimputata (OMISSIS) nell’assenza del direttore (OMISSIS), non si e’ acquisita prova della possibilita’ per il (OMISSIS), in base alle mansioni affidategli ed in concreto svolte, di impartire disposizioni vincolanti sulle modalita’ di sorveglianza dell’ (OMISSIS), ne’ sulle cure cui lo stesso doveva essere sottoposto. Sul punto la sentenza non ha dunque fatto buon governo dei poteri di valutazione della prova, non rispetta le norme sull’imputazione soggettiva della condotta ed e’ sorretta da motivazione palesemente illogica; va dunque annullata senza rinvio nei confronti dell’imputato (OMISSIS) per non avere questi commesso il fatto.

5. Il secondo motivo di ricorso, proposto dalla (OMISSIS) e’ fondato. In ordine al tema del nesso causale tra l’abbandono della persona offesa e l’evento morte la sentenza in verifica ha realmente travisato la portata rescindente della pronuncia della Corte di Cassazione, che aveva demandato ai giudici di rinvio di condurre uno specifico accertamento sul punto, con cio’ ritenendo affatto pacifica la riconducibilita’ del decesso dell’ (OMISSIS), riscontrato cinque anni dopo la scomparsa, a processo gia’ in corso, al suo abbandono nell’ambito della casa di cura cui era alloggiato.

Per quanto fondatamente illustrato nei ricorsi degli imputati, in realta’ non e’ stata affatto acquisita alcuna dimostrazione del nesso eziologico, dal momento che anche l’indagine medicolegale sui suoi resti non e’ stata in grado di individuare l’esatta causa del decesso; e’ certamente rispondente al vero che l’anziano, in assenza di cure e di assistenza continua, delle terapie prescrittegli, del cibo somministratogli non avrebbe potuto sopravvivere a lungo, ne’ sarebbe riuscito a procurarsi da se’ quanto necessario al sostentamento, ma nessun concreto elemento conoscitivo consente di escludere che la sua morte sia stata cagionata da causa naturale improvvisa ed irrimediabile anche in ambiente ospedaliero, quale un infarto o un aneurisma, ovvero dal fatto colposo di terzi consistito nel suo investimento ad opera di un veicolo, ossia da un fattore determinante del tutto avulso dalla condotta dei sanitari della casa di cura. Per tali considerazioni la sentenza impugnata va annullata senza rinvio sul punto della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante di cui dell’articolo 591 c.p., comma 3, che deve escludersi.

Tale statuizione comporta quale necessaria conseguenza che al momento attuale e’ interamente decorso il termine massimo di prescrizione, pari ad anni sette e mezzo, del delitto ascritto alla (OMISSIS), per cui anche sul punto della sua responsabilita’ penale e della relativa condanna la sentenza va annullata senza rinvio, ferme comunque restando le conseguenze sul piano della responsabilita’ civile, gia’ affermata con la sentenza impugnata. Restano in tal modo assorbite e non devono essere prese in esame le doglianze espresse col terzo motivo, riguardanti il trattamento sanzionatorie

5. Merita accoglimento anche il ricorso proposto dalla parte civile. Effettivamente la Corte di Assise di Appello ha ritenuto di dover accogliere le richieste risarcitorie di (OMISSIS) col riconoscimento definitivo in suo favore della somma di euro 40.000,00, liquidata a titolo di solo danno morale (nei confronti, ovviamente, della sola (OMISSIS))

5.1 In primo luogo l’accoglimento parziale della domanda con l’esclusione di alcune categorie di danno, patrimoniale, biologico ed esistenziale, avrebbe richiesto una qualche giustificazione che esplicitasse le ragione di siffatta limitazione a fronte della deduzione e dimostrazione da parte del proponente di dettagliati e svariati pregiudizi, contenuta nel relativo atto di appello.

5.2 Parimenti carente e censurabile emerge la motivazione in punto di liquidazione del solo danno morale nella misura riconosciuta, rimasta priva dell’indicazione dei criteri adottati e del riferimento ad un parametro oggettivo, quale, ad esempio quello suggerito dalla stessa parte civile nelle tabelle per la liquidazione del danno civile, adottate dal Tribunale di Milano. La scelta dei giudici di rinvio si pone quindi in termini del tutto inesplicati ed arbitrari, quale esito di un procedimento non illustrato nel suo sviluppo logico-giuridico e quindi non verificabile a posteriori, che comunque mortifica in assenza di valida spiegazione le pretese della parte civile, ancorate a specifiche circostanze di fatto, oggetto di sicura acquisizione, quali la tardiva scoperta del decesso, l’incertezza sulle sorti dell’anziano, il dolore per la perdita in tali frangenti del padre.

5.3 Le medesime gravi carenze presenta, infine, anche la liquidazione delle spese di costituzione della parte civile, effettivamente condotta con unitaria determinazione per tutti e tre i gradi di giudizio in assenza di qualsiasi indicazione dei criteri impiegati a fronte di tre note dettagliate, richiedenti anche l’aumento previsto dal Decreto Legislativo n. 40 del 2012, articolo 12, comma 4. Al riguardo la sentenza si e’ limitata a rinviare al dispositivo senza esporre alcuna indicazione sul procedimento di computo, il che preclude anche la conducibilita’ di qualsiasi verifica per riscontrare il rispetto dei limiti minimi tariffari.

La questione e’ stata gia’ risolta da questa Corte (sez. 1 , nr. 21868 del 7/05/2008, Grillo, rv. 240421; sez. 4 , n. 10920 del 29/11/2006, Velia, rv. 236186; sez. 5 , n. 10143 del 25/01/2005, Polacco, rv. 230918 e quindi dalle S.U. nr. 40288 del 14/07/2011, Tizzi ed altri, rv. 250680) con l’affermazione, resa con riferimento alla sentenza di applicazione pena a richiesta delle parti, ma contenente un principio di diritto di valenza piu’ generale, per cui, pur nell’ambito di una valutazione discrezionale, sul giudice grava il dovere di fornire adeguata giustificazione della determinazione delle spese liquidate e della relativa congruita’ in funzione del numero e dell’importanza delle questioni trattate, della tipologia ed entita’ delle prestazioni difensive, tenuto conto dei limiti minimi e massimi fissati dalla tariffa forense; solo se tale obbligo sia assolto e’ consentito alle parti verificare la pertinenza delle singole voci di spesa all’attivita’ svolta ed il rispetto dei limiti tariffari, mentre una liquidazione indistinta ed onnicomprensiva non consente di condurre alcun controllo sulla legalita’ e congruita’ degli importi riconosciuti.

Tali conclusioni non sono superate per effetto dell’intervento del Decreto Ministeriale n. 55 del 2014, recante il regolamento per la determinazione dei parametri di liquidazione dei compensi per la prestazione di attivita’ forense, il quale all’articolo 12 tuttora detta specifici criteri orientativi e rinvia ai valori medi delle tariffe ad esso allegate, nonche’ impone che la liquidazione sia effettuata in riferimento a ciascuna fase, specificamente descritta con indicazione delle attivita’ svolte, del giudizio.

Sussiste, dunque, alla stregua dei superiori rilievi il denunciato vizio di motivazione, il che impone il parziale annullamento della sentenza sul punto, riguardante soltanto l’azione civile, con il conseguente rinvio, in ossequio a quanto disposto dalla norma di cui all’articolo 622 c.p.p., al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) per non avere l’imputato commesso il fatto.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) perche’, esclusa l’ipotesi aggravata di cui al comma 3 dell’articolo 591 c.p., il reato e’ estinto per prescrizione, ferma restando la responsabilita’ della medesima imputata agli effetti civili in ordine al reato di cui dell’articolo 591 c.p., comma 1.

Annulla la sentenza impugnata in ordine alla determinazione del danno e delle spese in favore della parte civile (OMISSIS) e rinvia per nuovo giudizio su detti punti al giudice civile competente per valore in grado d’appello.

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