Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  18 dicembre 2013, n. 28229

Ritenuto in fatto e in diritto

1.- Il 3 aprile 2000 O.G. ha acquistato da Santini Silvio – coniuge separato di F.M. – la quota di un mezzo di un immobile assegnato, nel corso del giudizio di separazione, alla predetta F.M. , comproprietaria per un mezzo e ha convenuto quest’ultima dinanzi al Tribunale di Bologna chiedendone la condanna al pagamento della somma mensile di L. 1.250.000 a far data dal 3 aprile 2000 o in subordine dal 19 maggio 2000 e per tutta la durata della detenzione esclusiva dell’immobile.
Il tribunale ha rigettato la domanda perché la convenuta aveva titolo a godere dell’immobile in forza della sentenza di separazione personale in data 8.10.1996 con la quale l’abitazione familiare era stata a lei assegnata.
La Corte di appello di Bologna, con la sentenza impugnata (depositata il 16.10.2009) ha confermato la decisione del tribunale, salvo che per il capo relativo alle spese, non essendo stata disposta la distrazione in favore del difensore della convenuta.
La Corte di merito ha ritenuto irrilevante la mancata trascrizione del provvedimento di assegnazione dell’immobile, stante l’opponibilità per un novennio all’attore, terzo acquirente, dell’assegnazione stessa.
Invero, pur volendo far decorrere i nove anni dal provvedimento presidenziale di assegnazione, del 14.7.1993, il termine non era scaduto al momento della notifica dell’atto di citazione, avvenuta il 4.12.2000. In ogni caso, poiché l’acquisto del terzo era avvenuto in epoca successiva alla sentenza di separazione, il decorso dei nove anni andava computato dalla data di tale pronuncia, costituendo questa l’atto di data certa opponibile al terzo. Inoltre, la pretesa risarcitoria difettava di prova, essendo le lettere di rivendica dell’amministrazione della cosa comune risalenti al 15.5.2000 e al 12.9.2000, epoca in cui l’attore non avrebbe potuto rivendicare il godimento dell’immobile per non essere scaduto il novennio, mentre non emergeva la prova di comportamenti della convenuta volti a limitare o impedire o ostacolare la richiesta dell’attore.
1.1.- Contro la sentenza di appello l’O. ha proposto ricorso per cassazione affidato a sei motivi.
Resiste con controricorso F.M. , mentre non ha svolto difese l’avv. B. , intimato in quanto difensore distrattario della convenuta.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., la controricorrente ha depositato memoria.
2.1.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 99 e 100 c.p.c. nonché vizio di motivazione. Deduce che, sia che il decorso del termine di nove anni venga fatto iniziare dal 14.7.1993, data dell’ordinanza presidenziale, sia che venga fatto iniziare dall’8.10.1996, data della sentenza di separazione, in ogni caso, al momento della pronuncia in appello il termine era scaduto. Il decorso del novennio costituisce condizione dell’azione ed è sufficiente che sussista al momento della decisione.
2.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 11 l. n. 74/1987 e 155 c.c., nel testo risultante dalla sentenza della Corte cost. n. 454/1989. Deduce che il novennio decorre dal provvedimento presidenziale di assegnazione e non dalla sentenza di separazione, con scadenza, pertanto, al 14.7.2002.
2.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 112 c.p.c. e 1102 c.c.. Lamenta che la Corte di appello non abbia tenuto conto della sentenza 27.1.2004 di divorzio dei coniugi S. – F. che nulla aveva disposto in ordine all’assegnazione della casa familiare. La sentenza è stata prodotta in grado di appello ma la corte di merito non ne ha tenuto conto mentre avrebbe dovuto applicare il principio per il quale “con la pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio viene meno lo stato di separazione dei coniugi e, con esso, la regolamentazione dei rapporti tra i medesimi, anche per quanto riguarda l’eventuale assegnazione della casa familiare ad uno di loro; pertanto, il coniuge assegnatario della casa coniugale in sede di separazione che sia anche comproprietario dell’immobile, qualora la sentenza di divorzio non ne preveda l’assegnazione, non ha più diritto all’utilizzo esclusivo del bene” (Sez. 1, n. 9689/2000).
2.4.- Con il quarto motivo il ricorrente denuncia vizio di motivazione e deduce che, alla luce della documentazione prodotta in appello, la corte di merito avrebbe dovuto rilevare che la convenuta sin dal 1998 non conviveva più con i figli maggiorenni non autosufficienti ed era venuto meno il presupposto dell’assegnazione della casa familiare.
2.5.- Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2697 c.c. e 167 c.p.c. nonché vizio di motivazione lamentando che la corte di merito abbia ritenuto sfornita di prova la richiesta risarcitoria senza tenere conto della non contestata permanenza della convenuta nel possesso esclusivo dell’immobile.
2.6.- Il sesto motivo concerne le spese e la statuizione in ordine alla distrazione che non poteva essere richiesta, con l’appello incidentale accolto, dalla convenuta, trattandosi di capo relativo al difensore antistatario.
3.- La controricorrente ha prodotto copia dell’atto del 13.4.2001 di vendita della propria quota.

3.1.- Il primo motivo e il secondo motivo sono fondati.

Ai sensi dell’art. 6, comma 6, della legge 1 dicembre 1970, n. 898 (nel testo sostituito dall’art. 11 della legge 6 marzo 1987, n. 74), applicabile anche in tema di separazione personale, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario, avendo per definizione data certa, è opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente in data successiva per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – ma solo ove il titolo sia stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni. (Sez. U, Sentenza n. 11096 del 26/07/2002).
Come ha già rilevato questa Corte (Sez. 1, n. 4719/2006) il provvedimento opponibile, nei suddetti termini, al terzo acquirente dell’immobile non è soltanto la sentenza che definisce il giudizio di separazione o di divorzio, ma anche quello provvisorio (anch’esso comunque trascrivibile), pronunziato dal presidente del tribunale ai sensi dell’articolo 708 c.p.c. e L. n. 898 del 1970, art. 4, comma 8, e successive modifiche. Si legge, infatti, nella motivazione della richiamata sentenza S.U. n. 11096/2002, che “l’esigenza di assicurare l’effettività del godimento dell’assegnatario… ha chiaramente indirizzato la scelta legislativa… accordando al coniuge assegnatario un titolo legittimante comunque opponibile al terzo successivo acquirente, senza soluzione di continuità dal momento dell’emissione del provvedimento, così da porlo al riparo da iniziative dell’altro coniuge proprietario idonee a frustrare anche immediatamente la statuizione del giudice”: scelta legislativa che, invece, sarebbe facilmente eludibile se il provvedimento presidenziale provvisorio di assegnazione della casa coniugale non fosse opponibile e trascrivibile.
Questa affermazione comporta che l’assegnazione della casa coniugale alla resistente, disposta dal presidente del tribunale in data 14.7.1993 (poi confermata con sentenza 8.10.1996), era opponibile al terzo acquirente, tenuto al rispetto dell’assegnazione per la durata di nove anni dal provvedimento presidenziale, ossia fino al 14.7.2002.
La condizione dell’azione, dunque, era sopravvenuta nel corso del giudizio di primo grado.
3.2.- Esula, invece, dai limiti propri di questo giudizio centrato sulle questioni di opponibilità al terzo acquirente del provvedimento di assegnazione della casa coniugale e di durata dell’assegnazione opponibile l’accertamento relativo all’esistenza, nel caso concreto, dei presupposti legali indispensabili per l’emissione del provvedimento stesso: accertamento esperibile soltanto dal giudice della separazione dei coniugi o del divorzio, nel corso del relativo giudizio.
Né rileva la cessione da parte della convenuta della propria quota e, tantomeno, rileva la dedotta pronuncia di inefficacia ex art. 2901 c.c. della cessione della quota all’attore per effetto di azione revocatoria promossa dalla convenuta medesima, stante la funzione limitata di quella azione (essendo l’atto di disposizione dichiarato inefficace soltanto per consentire al creditore di promuovere l’azione esecutiva) e non risultando la copia della sentenza prodotta (con la memoria ex art. 378 c.p.c.) munita dell’attestazione dell’avvenuto passaggio in giudicato.
3.3.- Il terzo e il quarto motivo sono assorbiti dall’accoglimento dei primi due mentre è fondato il quinto motivo alla luce della motivazione del tutto inadeguata della sentenza impugnata e a fronte della mancata contestazione dell’affermazione del ricorrente circa il possesso esclusivo dell’immobile da parte della convenuta.
3.4.- Infine, è fondato anche il sesto motivo perché la parte costituitasi con difensore munito di procura, non è legittimata ad impugnare la sentenza che abbia rigettato ovvero omesso di esaminare l’istanza di distrazione delle spese e degli onorari formulata dal difensore (che è al riguardo l’unico legittimato all’impugnazione) (Sez. 2, n. 9097/2000), talché la Corte di merito avrebbe dovuto dichiarare inammissibile il motivo dell’appello incidentale relativo alla mancata distrazione.
4.- La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione ai motivi accolti con rinvio per nuovo esame e per le spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, il secondo, il quinto e il sesto motivo del ricorso, dichiara assorbite le rimanenti censure; cassa l’impugnata sentenza in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo esame e per il regolamento delle spese alla Corte di appello di Bologna in diversa composizione.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *