Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 17 settembre 2014, n. 19535
Svolgimento del processo
Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Venezia, confermando la sentenza di primo grado dichiarava la separazione personale tra i coniugi G.C. e C.C..
Sul motivo d’appello del C. relativo all’intervenuta riconciliazione tra le partit attestata dalla mancata interruzione della coabitazione, la Corte affermava che in primo grado entrambe avevano richiesto reciprocamente l’addebito della separazione, con condotta del tutto incompatibile la dedotta riconciliazione. Inoltre, le circostanze indicate si erano verificate fin dal primo grado del giudizio Ima l’eccezione veniva prospettata per la prima volta soltanto in comparsa conclusionale.
In ordine alle statuizioni economiche veniva rilevato che le argomentazioni e produzioni della parte appellante non conducevano ad una modifica dei provvedimenti assunti in primo grado in quanto le capacità economico-patrimoniali devono essere tratte anche dai cespiti immobiliari e dalle potenzialità di guadagno, le quali risultavano senz’altro riscontrabili in un libero professionista dell’età dell’appellante. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso il C., affidato illustrato con memoria a tre motivi. Ha resistito con controricorso C.C.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 151 cod. civ. per avere la Corte d’Appello escluso la riconciliazione tra le parti, sulla base della domanda riconvenzionale di addebito formulata dal C. in primo grado. La censura viene sollevata anche ai sensi dell’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. In particolare il ricorrente rileva di aver abbandonato la domanda di addebito subito dopo l’instaurazione del procedimento di primo grado. Aggiunge che nella specie è mancata quella condizione di disaffezione al matrimonio e d’intollerabilità &1la sua prosecuzione da riscontrarsi almeno in uno dei due coniugi tale da rendere incompatibile con essa la convivenza, dal momento che la coabitazione non si è mai interrotta. Precisa di essersi sempre opposto alla separazione.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 154 cod. civ. e dell’art. 112 cod. proc. civ., nonché degli artt. 190 e 345 cod. proc. civ. per avere la Corte d’Appello ritenuto tardiva l’eccezione di riconciliazione, in quanto collocabile temporalmente nel 2006 mentre il giudizio di primo grado era in corso. Il motivo viene formulato anche sotto il profilo del vizio di motivazione. Afferma al riguardo il ricorrente che nella specie non trova applicazione alcuna preclusione processuale, dovendosi escludere la separazione ogni qual volta la convivenza sia stata stabilmente ed effettivamente ripristinata. Nella specie, peraltro, di ripristino vero e proprio non si può parlare perché la coabitazione non si è mai interrotta. Vi sono stati come comportamenti rivolti a determinare la soluzione di continuità nella comunione di vita coniugale, soltanto il ricorso per separazione nonché il tentativo di estromettere il C. dal domicilio coniugale nel 2006, ma si è trattato di tentativi meramente formale. La situazione effettiva è del tutto divergente da quella formalizzata nelle due pronunce. Infine la riconciliazione non può integrare un’eccezione in senso stretto, ma deve ritenersi rilevabile d’ufficio, quanto meno nel giudizio di separazione.
Nel terzo motivo di ricorso viene dedotto il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto controverso e decisivo per il giudizio consistente nel “profilo economico” della decisione, per avere la Corte d’Appello erroneamente valutato la capacità economicopatrimoniale del ricorrente e la sua potenzialità di guadagno.
Il primo motivo di ricorso deve essere ritenuto inammissibile in ordine ad entrambe le censure esaminate, mirando a richiedere una non consentita rivalutazione dei fatti alternativa a quella effettuata dalla Corte d’Appello (S.U. 24148 del 2013) con motivazione adeguata ed esauriente,in quanto fondata sulla concreta selezione dei fatti rilevanti, ed in particolare sulla circostanza relativa alla formulazione della domanda riconvenzionale di addebito da parte del ricorrente. Al riguardo deve osservarsi che l’accertamento delle condizioni di fatto idonee a determinare l’insussistenza della situazione descritta nell’art. 151, primo comma, cod. civ. costituisce un’indagine di merito sottratta al sindacato della Corte di Cassazione (Cass. 4748 del 1999). Peraltro, ai fini della riconciliazione non è sufficiente la mera coabitazione,ma è necessario il ripristino della comunione di vita e d’intenti materiale e spirituale che costituisce il nucleo del vincolo coniugale (Cass. 19497 del 2005). Nella specie, la Corte d’Appello ha evidenziato la sussistenza di comportamenti anche processuali nettamente ostativi a tale ripristino. Infine deve osservarsi che la dedotta coabitazione risulta meramente dichiarata senza alcuna specifica allegazione di fatti probanti e consequenziale deduzione di mezzi istruttori idonei a sostenerne la fondatezza.
Il secondo motivo è infondato, ma la motivazione della Corte d’Appello deve essere corretta, ai sensi dell’art. 384¡ ultimo comma, cod. proc. civ. L’art. 154 cod. civ. stabilisce che la riconciliazione determina l’abbandono della domanda di separazione personale. Il successivo art. 157 cod. civ. ne regola gli effetti successivamente alla sentenza con la quale è stata dichiarata la separazione personale. In nessuna delle due norme la riconciliazione può essere ricondotta ad un fatto impeditivo, qualificabile come eccezione in senso stretto, trattandosi della sopravvenienza di una nuova condizione da accertarsi C officiosamente dal giudice I ancorché sulla base delle deduzioni e allegazioni delle parti. Il regime giuridico è nettamente diverso nel giudizio di divorzio in quanto l’art. 3, comma quinto così come sostituito dall’art. A n. 74 del 1987, stabilisce espressamente che l’interruzione della separazione, in quanto fatto specificamente impeditivo ~1la realizzazione della condizione temporale stabilita nella medesima disposizione, deve essere eccepita dalla parte convenuta. Ne consegue, limitatamente a questa ipotesi, l’improponibilità per la prima volta in appello dell’eccezione (Cass. 23510 del 2010) . Nella specie, tuttavia, la parte che l’ha invocata non ha indotto alcuna allegazione o mezzo istruttorio al fine di fornirne la dimostrazione né in primo né in secondo grado. Al contrario, come bene evidenziato nella sentenza impugnata, è emerso che la proposizione della domanda riconvenzionale di addebito ed il comportamento processuale univocamente tenuto nel procedimento di primo grado abbiano fornito forti indizi contrari. Della opposta riconciliazione come rilevato dal giudice del merito, in conclusione, è mancata del tutto la prova.
Il terzo motivo deve ritenersi inammissibile perché rivolto come il primo ad un riesame dei fatti già apprezzati incensurabilmente dal giudice di merito, non essendo riscontrabile l’individuazione di uno specifico e puntuale profilo della motivazione oggetto di censurai ma soltanto la generica contestazione della valutazione del “profilo economico”.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente, in applicazione del principio della soccombenza, condannata al pagamento delle spese di lite del presente procedimento.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente procedimento in favore della parte controricorrente i che liquida in E 4000 per compensi, E 200 per esborsi oltre alle spese forfettarie ed accessori di legge.
In caso di diffusione omettere le generalità.
Così deciso nella camera di consiglio del 10 luglio 2014
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