Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

sezioni unite

sentenza 18 settembre 2014, n. 19665

Svolgimento del processo

1. Con ricorso al tribunale di Pesaro in data 2 agosto 2006 la società COVIM Cooperativa Vitivinicola dei Colli Metaurensi soc. coop. a r.l. ha proposto opposizione avverso la cartella esattoriale n. (omissis) , notificata dal concessionario per la riscossione in data 14 luglio 2006, recante l’ingiunzione di pagamento per Euro 187.023,74 per contributi previdenziali omessi, dovuti dalla cooperativa all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale e relativi al dipendente B.D. , il cui il licenziamento, intimato in data 25 maggio 1998, era stato dichiarato illegittimo dallo stesso tribunale con sentenza del 27 aprile 2004.
Nell’instaurato contraddittorio con l’Inps e con il concessionario l’adito tribunale di Pesaro con sentenza dell’11 maggio 2007 accoglieva parzialmente l’opposizione e dichiarava il diritto dell’Inps al pagamento dei contributi ed accessori (sanzioni civili ed interessi) sulla base delle retribuzioni indicate nel verbale di accertamento del 2 agosto 2005, con le aliquote agevolate di cui all’art. 9, comma 5, legge n. 67 del 1988 e con l’esclusione dei periodi contributivi prescritti o per i quali si era verificata decadenza.
La sentenza del tribunale di Pesaro riteneva in particolare prescritti i contributi in data anteriore al 2 agosto 2000; altresì riteneva essersi verificata la decadenza dei contributi dal 2 gennaio 2004 al 31 dicembre 2004; talché residuavano contributi ancora dovuti per i seguenti due periodi: dal 2 agosto 2000 al 1 gennaio 2004 e dal 1 gennaio al 16 maggio 2005. In riferimento a tali contributi il tribunale richiamava la lettera b) del comma 8 dell’art. 116, legge n. 388 del 2000, specificando che correttamente l’Inps aveva fatto applicazione di questa disposizione perché la cooperativa non aveva provveduto alla denuncia della retribuzione, né il credito contributivo era rilevabile dalle denunce e/o dalle registrazioni obbligatorie.
2. Questa pronuncia e stata impugnata sia dall’Inps, con l’appello principale, che dalla società cooperativa con appello incidentale.
La Corte d’appello di Ancona con sentenza del 13 maggio 2011 n. 479, nel rigettare l’appello principale dell’Inps, ha parzialmente accolto l’appello incidentale della società cooperativa dichiarando non dovute le somme aggiuntive e relativi interessi di cui alla cartella di pagamento oggetto dell’originario impugnazione.
Nella motivazione la Corte d’appello si è limitata a prestare adesione al precedente di questa Corte costituito dalla sentenza n. 7934 del 1 aprile 2009, che ha affermato che l’omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento dichiarato illegittimo e la reintegrazione non rientra in alcuna delle fattispecie di omissione – né tanto meno di evasione – contributiva; sicché non trovano applicazione le sanzioni previste per l’omissione contributiva.
3. L’Inps, in proprio e quale procuratore speciale della Società di Cartolarizzazione dei Crediti INPS SCCI s.p.a., ha impugnato per cassazione la pronuncia della Corte d’appello di Ancona, Di tale sentenza l’Istituto ha chiesto l’annullamento nel capo in cui essa, accogliendo l’appello incidentale proposto dalla società cooperativa e riformando la sentenza del Tribunale di Pesaro, ha dichiarato non dovuta la sanzione civile ex art. 116, comma 8, lett. b), della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
La società cooperativa ha resistito mediante controricorso.
La concessionaria per la riscossione, Equitalia Marche s.p.a., è rimasta intimata.
L’Inps ha depositato memoria.
A seguito dell’ordinanza interlocutoria 22 novembre 2013, n. 26243, della Sezione Lavoro la questione è stata rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte perché sia composto il contrasto di giurisprudenza in materia.

Motivi della decisione

1. Nell’unico motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., l’Istituto ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del combinato disposto dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e dell’art. 116 della legge 23 dicembre 2000, n. 388.
Deduce il ricorrente che l’insorgenza del debito per le sanzioni civili è un effetto automatico dell’inadempimento colpevole dell’obbligo contributivo addebitabile al datore di lavoro, il quale abbia intimato un licenziamento illegittimo.
Deduce, ancora, che la fictio iuris di continuità del rapporto di lavoro, desumibile dall’art. 18 cit. opera anche per gli aspetti previdenziali, in quanto, ove così non fosse, i contributi dovrebbero essere accreditati al lavoratore solo sul mese della reintegrazione, anziché mese per mese, dal tempo del licenziamento al tempo della reintegra, come impone il principio di neutralità economica del licenziamento illegittimo.
Aggiunge che l’esclusione delle sanzioni civili, in tale fattispecie, implica conseguenze irrazionali, incentivando il datore di lavoro a non ricostituire la posizione contributiva del lavoratore persino dopo l’emanazione della sentenza provvisoriamente esecutiva contenente l’ordine di reintegrazione.
Donde il quesito di diritto: “se, in conseguenza di una sentenza dichiarativa dell’illegittimità di un licenziamento, con ordine di reintegra del lavoratore, il datore di lavoro sia tenuto nei confronti dell’INPS, con riferimento al periodo che è intercorso fra il licenziamento e l’effettiva reintegra del lavoratore, a pagare le sanzioni civili connesse all’omissione contributiva, ai sensi dell’alt. 116 della legge n. 388 del 2000″.
2. Nel controricorso la società cooperativa eccepisce in particolare la sussistenza – del giudicato interno, negativo del debito sanzionatorio, quanto ai periodi 1 giugno 1998 – 1 agosto 2000 e 2 gennaio 2004 – 31 dicembre 2004, non essendo stati impugnati i capi delle sentenze di merito i quali, in relazione a tali periodi, hanno dichiarato la prescrizione dei contributi e, rispettivamente, la decadenza per tardiva iscrizione a ruolo.
3. Il ricorso è fondato nei limiti di cui si viene a dire
4. Innanzi tutto vanno fatte alcune puntualizzazioni preliminari per chiarire la fattispecie in ordine alla quale residua il contenzioso tra le parti, anche in riferimento all’eccezione di giudicato interno sollevata dalla società controricorrente.
4.1. Risulta dagli atti – sia dal ricorso che dal controricorso – che Bianchini Domenico fu licenziato dalla società cooperativa in data 25 maggio 1998. A seguito di impugnativa del licenziamento il tribunale di Pesato con sentenza n. 269 del 27 aprile 2004 – 27 maggio 2004 dichiarava illegittimo il licenziamento e ordinava la reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro condannando la società cooperativa al risarcimento dei danni subiti dal medesimo commisurati a tutte le retribuzioni globali di fatto maturate dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione. Condannava inoltre la società al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione.
È imprecisa l’affermazione dell’Istituto ricorrente secondo cui nel caso di specie il periodo di riferimento dell’omissione contributiva – e pertanto anche delle sanzioni civili la cui debenza è controversa tra le parti – andrebbe dal 25 maggio 1998 (ossia dalla data del licenziamento) al 16 maggio 2005 (data in cui è pacifico che non fosse ancora intervenuta la ripresa dell’attività lavorativa del lavoratore reintegrato e che è quella risultante dal verbale ispettivo dell’Inps del 2 agosto 2005). Infatti il tribunale di Pesaro ha ritenuto in particolare prescritti i contributi in data anteriore al 2 agosto 2000; altresì ha ritenuto essersi verificata la decadenza dei contributi dal 2 gennaio 2004 al 31 dicembre 2004; talché residuavano contributi per i seguenti due periodi: dal 2 agosto 2000 al 1 gennaio 2004 e dal 1 gennaio al 16 maggio 2005.
In questa parte la sentenza del tribunale di Pesaro è stata confermata dalla Corte d’appello di Ancona e il ricorso dell’Inps non investe quest’aspetto sul quale quindi si è formato il giudicato.
Si è pertanto determinata questa situazione singolare per cui – per quanto risulta dalla sentenza di primo grado – i contributi previdenziali per il periodo precedente rispetto all’ordine di reintegrazione (27 aprile 2004) sono in p arte p rescritti, in altra parte non dovuti per essersi verificata la decadenza, e solo in altra parte invece dovuti e legittimamente recati nella cartella esattoriale originariamente opposta dalla società; parimenti si è verificata la decadenza per i contributi dovuti per il periodo immediatamente successivo all’ordine di reintegrazione, contributi che invece rimangono dovuti per il periodo ulteriormente successivo (a partire dal 1 gennaio 2005). Pertanto, anche se in realtà – può notarsi marginalmente – non poteva decorrere alcun termine né di decadenza né di prescrizione per il periodo precedente all’ordine di reintegrazione in cui l’Istituto non poteva ancora rivendicare il pagamento dei contributi previdenziali per il periodo di estromissione dal posto di lavoro del dipendente illegittimamente licenziato, si ha che comunque sulla dichiarazione di intervenuta prescrizione e decadenza dei periodi indicati dal tribunale di Pesaro si è formato il giudicato.
Rimane non di meno la questione di diritto posta dall’Inps nel suo ricorso, che ora si viene ad esaminare, ma essa riguarda solo una parte dei contributi originariamente recati dalla cartella esattoriale opposta.
4.2. L’altra puntualizzazione in punto di fatto è che il tribunale ha ritenuto dovute le sanzioni civili per l’ipotesi più grave dell’evasione contributiva (lettera b del comma 8 dell’art. 116 legge n. 388/200) – e non già quelle per omissione contributiva ([lettera a del comma 8 del medesimo art. 116) – perché – osserva il tribunale – la società aveva omesso di dichiarare la contribuzione dovuta per il lavoratore illegittimamente licenziato.
Il ricorso dell’Istituto è centrato essenzialmente sulla contestazione dell’esattezza del principio di diritto affermato da Cass., sez. lav., 1 aprile 2009, n. 7934, che ha escluso la configurabilità sia dell’omissione che dell’evasione contributiva; ossia dello specifico precedente al quale invece ha prestato adesione la Corte d’appello di ” Ancona per ritenere non dovute le sanzioni civili tout court, quale che fosse l’esatta qualificazione della fattispecie, come omissione contributiva o evasione contributiva.
Non di meno, oltre alla questione di diritto che pone il ricorso dell’INPS, e che si viene ora ad esaminare, appartiene ancora al thema decidendum della causa l’esatta qualificazione della fattispecie, come omissione contributiva o evasione contributiva.
5. Ciò premesso e venendo all’esame della questione di diritto posta dal ricorso dell’lnps ed in ordine alla quale è insorto contrasto di giurisprudenza, denunciato dalla richiamata ordinanza interlocutoria della Sezione Lavoro, deve innanzi tutto richiamarsi la normativa in cui, ratione temporis, va inquadrata la fattispecie in esame.
L’art. 116, comma 8, lett. a), legge 23 dicembre 2000 n. 388, applicabile nella specie ratione temporis, prevede che i datori di lavoro che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta, sono tenuti, nel caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi, il cui ammontare sia rilevabile dalle denunce e/o registrazioni obbligatorie, al pagamento di una sanzione civile, in ragione d’anno, pari al tasso ufficiale di riferimento maggiorato di 5,5 punti, e con una soglia massima del 40 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
È questa la fattispecie dell’omissione contributiva alla quale si affianca quella dell’evasione contributiva prevista dalla successiva lettera b) del medesimo art. 116, comma 8. L’evasione contributiva è configurabile in caso di registrazioni o denunce obbligatorie omesse o non conformi al vero, ossia – chiarisce la medesima disposizione – nel caso in cui il datore di lavoro, con l’intenzione specifica di non versare i contributi o premi, occulti rapporti di lavoro in essere ovvero le retribuzioni erogate. In tale evenienza la sanzione civile è aggravata perché è pari al 30 per cento dei contributi evasi nell’anno con la soglia massima del 60 per cento dell’importo dei contributi o premi non corrisposti entro la scadenza di legge.
E1 previsto anche un procedimento di ravvedimento operoso: qualora la denuncia della situazione debitoria sia effettuata spontaneamente prima di contestazioni o richieste da parte degli enti impositori e comunque entro dodici mesi dal termine stabilito per il pagamento dei contributi o premi e sempreché il versamento dei contributi o premi sia effettuato entro trenta giorni dalla denuncia stessa, il datore di lavoro è tenuto al pagamento della sanzione civile prevista per l’ipotesi meno grave dell’omissione contributiva.
Una disciplina in buona parte sovrapponile era prevista in precedenza l’art. 1 della legge 23 dicembre 1996, n. 662.
6. Questa disciplina generale riguarda l’adempimento degli obblighi contributivi nell’ipotesi ordinaria di un rapporto di lavoro in corso come mostra inequivocabilmente il riferimento all’assolvimento, o no, dell’obbligo, gravante sul datore di lavoro, delle denunce periodiche all’Inps e alla veridicità delle registrazioni.
A fronte di questa ipotesi ordinaria vi è la fattispecie particolare che vede invece la comunicazione del datore di lavoro della cessazione del rapporto di lavoro per essere stato il lavoratore licenziato con conseguente sua cancellazione dal libro paga e matricola. In tal caso vi è una soluzione di continuità nel rapporto (sia di lavoro, sia previdenziale), che – pur essendo la sua legittimità contestata dal lavoratore che impugna il licenziamento talché tale soluzione di continuità del rapporto può risultare ex post solo apparente ove intervenga l’ordine del giudice di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro ai sensi dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 – vale comunque a connotare di specialità la fattispecie. Nel periodo dal licenziamento all’ordine di reintegrazione non vi sono le prescritte denunce periodiche dei contributi dovuti per il lavoratore licenziato proprio perché questo non è più indicato tra i lavoratori occupati dal datore di lavoro e quindi si fuoriesce dalla fattispecie generale dell’art. 116, comma 8.
Ed è a questa fattispecie speciale che si riferisce la disciplina specifica che si rinviene nell’art. 18 cit. e che si forma, precisandosi gradualmente, alla stregua delle diverse formulazioni di tale disposizione, succedutesi nel tempo.
7. Inizialmente, nell’originaria formulazione di tale disposizione (art. 18 legge 20 maggio 1970 n. 300), le conseguenze dell’ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato consistevano nell’obbligo di risarcimento del danno dal licenziamento all’ordine di reintegrazione e nell’obbligo di corrispondere l’ordinaria retribuzione per il periodo successivo all’ordine stesso. Non era previsto anche l’obbligo per il datore di lavoro di ripristinare la posizione previdenziale del lavoratore illegittimamente licenziamento con il pagamento dei contributi che sarebbero risultati dovuti ove il licenziamento non fosse intervenuto, sicché il silenzio del legislatore avrebbe potuto essere letto come insussistenza di tale obbligo di reintegrazione (anche) della posizione previdenziale. Ed infatti all’epoca (1977) fu sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale dell’art. 18 cit., in r dazione a gli artt. 3 e 38 Cost., in quanto – secondo il giudice rimettente – tale disposizione non prevedeva, a favore del lavoratore giudizialmente reintegrato nel posto di lavoro, l’obbligo del datore di lavoro di versare all’I.N.P.S. i contributi assicurativi commisurati alle somme che il lavoratore stesso avrebbe percepito, come normale retribuzione, nel periodo compreso fra la data del licenziamento illegittimo e quella dell’ordine giudiziale di reintegrazione.
La Corte costituzionale (sent. n. 7 del 14 gennaio 1986) ha dichiarato non fondata la questione “nei sensi di cui in motivazione” – formula che testualmente connota l’adozione di un’interpretazione adeguatrice come modalità del sindacato di costituzionalità – indicando essa stessa l’interpretazione idonea a superare i denunciati vizi di incostituzionalità, altrimenti sussistenti: nella fattispecie della reintegrazione (ex art. 18 cit.) del lavoratore illegittimamente licenziamento sussiste anche, a carico del datore di lavoro, l’obbligo di pagare i contributi per il periodo di estromissione del lavoratore dal posto di lavoro dovendo essere reintegrata anche la posizione previdenziale.
Né nella prospettiva del giudice rimettente, né in quella di interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale c’è riferimento alcuno alle sanzioni civili per omissione o evasione contributiva, alle quali non si fa affatto cenno.
Questa era la norma particolare, non testuale ma ricavata dal sistema dell’art. 18 in via di interpretazione adeguatrice, che regolava la fattispecie speciale della posizione previdenziale del lavoratore licenziato di cui il giudice aveva ordinato la reintegrazione nel posto di lavoro.
Dopo (e per effetto del) l’ordine di reintegrazione il rapporto previdenziale era ricostituito (ex tunc) e quindi il datore di lavoro era tenuto alla denuncia periodica dei contributi dovuti per il lavoratore illegittimamente licenziato a partire dal montante dei contributi pregressi destinati a ricostituire la posizione previdenziale illegittimamente interrotta per poi proseguire con la denuncia dei contributi previdenziali dovuti per il periodo successivo e maturati periodicamente. La fattispecie quindi dopo l’ordine di reintegrazione perde la connotazione di specialità e si reincanala nel binario ordinario della fattispecie dell’art. 116, comma 8, cit. con possibilità che vi sia omissione o evasione contributiva secondo che ricorrano i presupposti dell’una o dell’altra.
8. Il legislatore del 1990 (legge li maggio 1990 n. 108), nel novellare l’art. 18 cit., traduce in dettato normativo l’interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale e prevede espressamente, nel quarto comma dell’art. 18 novellato, che il giudice, con la sentenza che reca l’ordine di reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, condanna il datore di lavoro – oltre che al risarcimento del danno subito dal lavoratore a causa del licenziamento inefficace o invalido (id est: nullo o annullabile) – al versamento dei contributi assistenziali e previdenziali dal momento del licenziamento al momento dell’effettiva reintegrazione.
L’intento del legislatore – che rispecchia la ratio dell’interpretazione adeguatrice della Corte costituzionale – è stato quello di tutelare il lavoratore illegittimamente licenziato ripristinando integralmente la posizione previdenziale cui avrebbe avuto – diritto ove il rapporto di lavoro non avesse subito soluzioni di continuità; talché ben poteva ritenersi che la base di calcolo della contribuzione dovuta fosse costituita dalla retribuzione alla quale il lavoratore avrebbe avuto diritto ove il rapporto non fosse stato interrotto a causa dell’illegittimo licenziamento.
Non c’è quindi piena simmetria tra reintegrazione nel rapporto di lavoro e ripristino del rapporto previdenziale essendo la prima parametrata su un obbligo risarcitorio di tipo indennitario, che in ragione del coefficiente in diminuzione costituito dall’aliunde perceptum potrebbe esser di importo inferiore alla retribuzione, mentre il secondo fa riferimento alla retribuzione ordinaria.
Per effetto dell’ordine di reintegrazione il datore di lavoro è tenuto a ricostituire per il passato la posizione previdenziale del lavoratore, illegittimamente interrotta per effetto del licenziamento inefficace, nullo o annullabile; ed a partire dall’ordine di reintegrazione è obbligato al versamento dei contributi periodici maturati periodicamente. Per gli uni e gli altri l’obbligo di denuncia sorge per effetto dell’ordine di reintegrazione talché a partire da tale momento può verificarsi l’ordinaria fattispecie dell’omissione o dell’evasione contributiva.
9. La terza fase si ha con la legge 28 giugno 2012 n. 92 che – pur novellando radicalmente l’art. 18 e, per quanto qui rileva, ridimensionando l’area del regime reintegratorio del lavoratore illegittimamente licenziato – si pone invece in linea di continuità con il passato quanto al ripristino del rapporto previdenziale, parimenti illegittimamente interrotto, nella medesima area, pur ridimensionata, della tutela reintegratoria.
Ed infatti nel regime della tutela reale piena l’ultimo periodo del secondo comma dell’art. 18 novellato prevede che il datore di lavoro è condannato, per il periodo di estromissione, ossia dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali.
Parimenti nel regime della tutela reale affievolita di cui al quarto del medesimo art. 18, tale disposizione prevede che il datore di lavoro è condannato al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione; ma si aggiunge che tali contributi sono maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative. In quest’ultimo caso i contributi, qualora afferiscano ad altra gestione previdenziale, sono imputati d’ufficio alla gestione corrispondente all’attività lavorativa svolta dal dipendente licenziato, con addebito dei relativi costi al datore di lavoro.
10. La fattispecie in esame e la questione interpretativa che pone il ricorso dell’Inps si collocano, ratione temporis, all’epoca della seconda fase suddetta, ossia nella vigenza dell’art. 18, novellato dalla legge n. 108 del 1990, ma prima delle ulteriori modifiche apportate dalla legge n. 92 del 2012. Ed è in riferimento a tale disposizione, in questa formulazione, che si fecalizza l’evidenziato contrasto di giurisprudenza.
Da una parte Cass., sez. lav., 1 aprile 2009, n. 7934, ha affermato che – fermo restando l’obbligo per il datore di lavoro del ripristino della posizione contributiva per il periodo di illegittima estromissione dal posto di lavoro – l’omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento, dichiarato illegittimo, e la reintegrazione non rientra in alcuna delle fattispecie di evasione o omissione sanzionate dal cit. art. 1, comma 217, L. 23 dicembre 1996 n. 662, applicabile ratione temporis, né alcuna sanzione può essere applicata per il ritardato versamento non rilevando a tal fine l’efficacia retroattiva della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro. Tali sanzioni infatti – ha osservato al Corte – si applicano “ai soggetti che non provvedono entro il termine stabilito al pagamento dei contributi o premi dovuti alle gestioni previdenziali ed assistenziali, ovvero vi provvedono in misura inferiore a quella dovuta”, di talché, per integrare la fattispecie sanzionatoria deve necessariamente ricorrere l’elemento di fatto del mancato (o non esatto) pagamento dei contributi dovuti, entro il termine stabilito dalla legge, in una situazione di rapporto in corso.
Nella fattispecie in esame, invece, il datore di lavoro non avrebbe potuto versare per il lavoratore licenziato i contributi nel termine di legge, ossia entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui è scaduto l’ultimo periodo di paga (come previsto dall’art. 2 d.lgs. 19 novembre 1998, n. 422, che ha modificato il d.lgs. 9 luglio 1997, n. 241, come già modificato dal d.lgs. 23 marzo 1998, n. 56). Né l’INPS avrebbe potuto accettare il pagamento dei contributi per inesistenza del rapporto di lavoro.
Ha osservato la Corte che, mentre a seguito dell’ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato si ha che, tra le parti, il rapporto di lavoro si deve considerare come mai interrotto de iure, analoga fictio iuris non è prevista per quanto riguarda il rapporto assicurativo. Sicché nessuna sanzione può trovare applicazione perché l’obbligazione contributiva, al momento della sua periodica scadenza per i lavoratori occupati, non sussisteva per il lavoratore licenziato essendo essa venuta meno a causa della cessazione del rapporto di lavoro; né poteva risorgere se non al momento in cui il rapporto di lavoro sarebbe stato ripristinato a seguito dell’ordine di reintegrazione.
A fronte di tale pronuncia, ed in contrasto con essa, si pone Cass., sez. lav., 13 gennaio 2012, n. 402, che al contrario ha affermato che l’omissione contributiva del datore di lavoro nel periodo compreso tra il licenziamento, dichiarato illegittimo, e la reintegrazione disposta ai sensi dell’art. 18 cit. rientra fra le fattispecie di evasione od omissione sanzionate dall’art. 1, 217 e 218 comma, legge n. 662/1996.
Ha osservato la Corte che, poiché la sussistenza dell’obbligazione retributiva costituisce il presupposto della corrispondente obbligazione contributiva, quest’ultima sorge contestualmente alla ricorrenza della prima; ne discende, pertanto, che i contributi sono da ritenersi “dovuti” ai fini dell’applicazione della legge n. 662 del 1996, art. 1, comma 217, fin dal momento in cui, in conseguenza degli effetti retroattivi della “pronuncia di annullamento del licenziamento illegittimamente intimato, devono essere riconosciute al lavoratore le spettanze economiche in relazione alle quali insorge l’obbligazione contributiva. La circostanza che, prima della sentenza dichiarativa dell’illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro non sarebbe abilitato al pagamento della contribuzione non è di per sé decisiva, una volta riconosciuto che anche il rapporto contributivo previdenziale – in forza della ricordata fictio iuris – deve ritenersi sussistente fin dalla data dell’illegittimo licenziamento. Secondo la Corte ricorre in particolare l’omissione contributiva contemplata ai fini dell’applicabilità della sanzione una tantum di cui alla lett. b) della norma suddetta.
11. Orbene, l’effetto tipico della pronuncia del giudice che accerta l’illegittimità (in senso lato) del licenziamento perché inefficace, nullo o annullabile, ed ordina la reintegrazione del lavoratore sta nella ricostituzione de jure del rapporto stesso con obbligo per il datore di lavoro di adeguare la situazione di fatto a quella di diritto invitando il lavoratore a riprendere il servizio. Parimenti per il rapporto previdenziale c’è la ricostituzione de jure e conseguentemente la conformazione richiesta al datore di lavoro consiste nell’obbligo di pagare i contributi per il periodo pregresso, ricostituendo la posizione previdenziale illegittimamente interrotta affinché nessun detrimento derivi al lavoratore sotto questo profilo, e parimenti nell’obbligo di pagare i contributi per il periodo successivo all’ordine di reintegrazione rispettivamente sulla base della retribuzione che sarebbe spetta al lavoratore ove non fosse stato licenziato e, dopo la riattivazione della prestazione lavorativa, sulla base della retribuzione corrisposta.
Questa situazione – che Cass., sez. lav., 13 gennaio 2012, n. 402, cit. correttamente ricostruisce, qualificandola come fictio juris – va riaffermata ed in questa parte va data continuità a tale precedente.
Da ciò però consegue – come si è già rilevato – che la regula juris dell’obbligo contributivo è reincanalata nel binario della disciplina ordinaria, con possibilità di identificare situazioni di omissione o di evasione contributiva ex art. 116, comma 8, cit., solo a partire da quando, a seguito dell’ordine di reintegrazione, il datore di lavoro è obbligato a denunciare e pagare i contributi (anche per il passato per ricostruire la posizione contributiva) in favore del lavoratore illegittimamente licenziato.
Invece per il periodo precedente – dal licenziamento all’ordine di reintegrazione – la regula juris è speciale e la si rinviene nello stesso art. 18.
In riferimento a tale periodo potrebbe ben argomentarsi – come fa Cass., sez. lav., 1 aprile 2009, n. 7934, cit., pronuncia resa prima della legge n. 92 del 2012 – che all’obbligo di corrispondere i contributi ripristinando la posizione contributiva del lavoratore illegittimamente licenziato, obbligo previsto – come detto – dall’art. 18, non si accompagnava la previsione di sanzioni civili a carico del datore di lavoro come nella fattispecie dell’omissione o dell’evasione contributiva. L’inadempimento del datore di lavoro che aveva tenuto scoperta la posizione contributiva del lavoratore confidando nella legittimità del licenziamento non poteva essere sanzionato altrimenti che con gli interessi moratori come per le obbligazioni pecuniarie in genere. La ipotizzata estensione a tale fattispecie dell’aggravamento della responsabilità costituito dalla sanzione pecuniaria accessoria ex art. 116, comma 8, cit., diversamente graduata nel caso dell’omissione e dell’evasione contributiva, era contraddetta dalla mancanza di base legale con riferimento all’ipotesi della reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato. Diversa era infatti, rispetto a quella ordinaria del rapporto di lavoro in corso, la fattispecie in cui l’obbligo retributivo sorgeva, seppur con effetti ex tutte, con l’ordine di reintegrazione ex art. 18 cit.. Prima dell’ordine di reintegrazione e fino alla sua emanazione il datore di lavoro, che aveva comunicato la cessazione del rapporto di lavoro, neppure avrebbe potuto pagare i contributi previdenziali in mancanza di un rapporto di lavoro in corso e di una retribuzione erogata su cui calcolare i contributi.
Sicché, non considerando gli argomenti esegetici desumibili dalla legge n. 92 del 2012 e di cui si viene ora a dire, la soluzione obbligata del quesito interpretativo in esame pareva essere proprio quella accolta da Cass. n. 7934 del 2009 (in questo senso ha concluso il Procuratore Generale nell’odierna udienza).
Né era possibile estendere a questa ipotesi (mancato versamento dei contributi dal licenziamento all’ordine di reintegrazione) la disciplina dell’ordinaria omissione o evasione contributiva, di cui all’art. 116 cit., per la diversità delle fattispecie. Trattandosi infatti di una normativa sanzionatoria specifica, di aggravamento delle conseguenze dell’inadempimento in ragione del particolare interesse qualificato dell’Istituto previdenziale alla regolarità della provvista dei contributi da versare, essa non poteva essere estesa analogicamente alla fattispecie non prevista per la quale vigeva invece l’ordinaria disciplina dell’inadempimento delle obbligazioni pecuniarie.
12. Però l’illegittimità del licenziamento, quale presupposto dell’ordine di reintegrazione, si prestava già ad un duplice inquadramento in ragione del tipo di vizio che inficiava il recesso datoriale: da una parte inefficacia o nullità del licenziamento (quale ad es. il licenziamento discriminatorio); d’altra parte il licenziamento annullabile perché intimato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo. Nella prima ipotesi la sentenza del giudice che dichiarava l’inefficacia o la nullità del licenziamento aveva natura dichiarativa e quindi anche il rapporto contributivo doveva considerarsi come mai interrotto. Invece in caso di licenziamento annullabile perché intimato in mancanza di giusta causa o di giustificato motivo aveva natura costitutiva la pronuncia del giudice che ripristinava ex tunc anche il rapporto previdenziale perché non vi fosse soluzione di continuità.
13. Questa distinzione, già predicabile nel testo dell’art. 18 della legge n. 108 del 1990, risulta ora ben esplicitata nella nuova ed attualmente vigente formulazione dell’art. 18 introdotta dall’art. 1 legge n. 92 del 2012. Il cui secondo comma – come già rilevato – prevede che il giudice, con la sentenza che reca l’ordine di reintegrazione di cui al primo comma, oltre a condannare il datore di lavoro al risarcimento del danno subito dal lavoratore per il licenziamento di cui sia stata accertata la nullità, condanna altresì il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali. È la stessa formulazione del quarto comma del previgente art. 18: il datore di lavoro deve ripristinare la posizione previdenziale del lavoratore in modo che non abbia a subire pregiudizio alcuno a causa del licenziamento illegittimo perché nullo.
Si continua a non prevedere nulla quanto alle sanzioni per omissione contributiva. Ma il quarto comma del medesimo art. 18 prescrive che il giudice, nelle ipotesi in cui accerta che non ricorrono gli estremi del giustificato motivo soggettivo o della giusta causa addotti dal datore di lavoro, per insussistenza del fatto contestato ovvero perché il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa sulla base delle previsioni dei contratti collettivi ovvero dei codici disciplinari applicabili, annulla il licenziamento e condanna il datore di lavoro alla reintegrazione nel posto di lavoro di cui al primo comma e al pagamento di un’indennità risarcitoria. Inoltre condanna il datore di lavoro al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali dal giorno del licenziamento fino a quello della effettiva reintegrazione, maggiorati degli interessi nella misura legale senza applicazione di sanzioni per omessa o ritardata contribuzione, per un importo pari al differenziale contributivo esistente tra la contribuzione che sarebbe stata maturata nel rapporto di lavoro risolto dall’illegittimo licenziamento e quella accreditata al lavoratore in conseguenza dello svolgimento di altre attività lavorative.
Un piano argomento a contrario porta a ritenere che nella fattispecie del secondo comma (licenziamento nullo), connotata da una pronuncia dichiarativa della nullità, a differenza della fattispecie del quarto comma, che fa riferimento ad una pronuncia costitutiva di accoglimento dell’azione di annullabilità del licenziamento, si ha che all’obbligo di versare i contributi accede anche l’obbligo di pagare le sanzioni civili come nella fattispecie dell’omissione contributiva.
La legge n. 92 del 2012 opera quindi una sistemazione di tale profilo del regime reintegratorio: se c’è un vizio di nullità che affetta il licenziamento, nel qual caso la sentenza, che contiene l’ordine di reintegrazione, è dichiarativa, l’obbligo contributivo è riconosciuto ora per allora e quindi c’è una vera e propria omissione contributiva con la conseguente debenza delle sanzioni civili; se invece c’è un vizio di annullabilità che inficia il licenziamento, la sentenza, che contiene l’ordine di reintegrazione, è costitutiva e quindi l’obbligo contributivo è ripristinato ex tunc senza che ci sia omissione contributiva con conseguente non debenza delle sanzioni civili.
14. Questo riassetto più organico e sistematico della legge n. 92 del 2012 getta luce anche sulla formulazione precedente del medesimo art. 18 perché analoga era la dicotomia tra nullità ed annullabilità del licenziamento e simmetricamente tra sentenza dichiarativa e sentenza costitutiva.
Sarebbe contrario alla ratio della legge n. 92 del 2012 ed al “verso” dell’ampio disegno riformatore dell’art. 18 – che è quello del ridimensionamento della tutela reintegratori a, sia come ambito di applicazione (essendo ora la tutela limitata a quella meramente indennitaria nelle fattispecie di cui al quinto ed al sesto comma dell’art. 18), sia come contenuto (essendo la tutela di reintegrazione piena prevista solo nelle fattispecie di cui al primo comma dell’art. 18, mentre è di reintegrazione affievolita nelle fattispecie di cui al quarto comma dell’art. 18) – ipotizzare che, in controtendenza, il legislatore abbia inteso aggravare la posizione del datore di lavoro gravandolo delle sanzioni civili sui contributi da versare in caso di nullità del licenziamento, sanzioni prima non predicabili (secondo Cass. n. 7934 del 2009, cit.), piuttosto che aver inteso solo confermare l’esistente.
Ciò induce a ritenere, all’opposto, che vi sia un continuum normativo che nell’art. 18, sia nella formulazione del 1990 che in quella del 2012, si fonda sulla distinzione tra licenziamento inefficace/nullo e licenziamento annullabile. L’intento confermativo e chiarificato, in parte qua, della riforma del 2012 è già stato altresì ritenuto da questa Corte in ordine ad altra questione (quella della cessazione, o no, del rapporto di lavoro al momento della comunicazione dell’opzione del lavoratore per l’indennità sostitutiva della reintegrazione) che parimenti ha richiesto un raffronto, nell’art. 18, tra la formulazione introdotta dalla legge n. 92 del 2012 e quella previgente (Cass., sez. un., 27 agosto 2014, n. 18354/14).
Sicché, quanto al periodo che va dal licenziamento all’ordine di reintegrazione, va rettificato l’arresto rappresentato dalla sentenza n. 7934 del 2009 cit. che esclude in ogni caso la debenza delle sanzioni civili, dovendo invece ritenersi che le sanzioni civili da omissione contributiva siano dovute in caso di licenziamento inefficace o nullo; omissione e non già evasione contributiva perché in ogni caso mancherebbe quella che la lettera b) del comma 8 dell’art. 116 eh. qualifica come “intenzione specifica di non versare i contributi” atteso che l’omissione contributiva è invece conseguenza della (ritenuta, dal datore di lavoro) legittimità del licenziamento.
15. In conclusione il ricorso va accolto parzialmente nel senso che occorre distinguere, anche prima della legge n. 92 del 2012, tra licenziamento nullo (o inefficace) e licenziamento annullabile perché senza giusta causa o giustificato motivo.
In questi limiti la sentenza impugnata va cassata con rinvio, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna che è chiamata a verificare, per i contributi dovuti in riferimento al periodo dal licenziamento all’ordine di reintegrazione, se il licenziamento era inefficace, nullo o annullabile perché privo di giusta causa o di giustificato motivo, e per il periodo successivo se ci sia stata, o no, la denuncia tempestiva dell’obbligo contributivo ricostituito con la sentenza che aveva reintegrato nel posto di lavoro il lavoratore illegittimamente licenziato sulla base del seguente principio di diritto ex art. 384, primo comma, cod. proc. civ.:
“In caso di ordine di reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore illegittimamente licenziato, emesso dal giudice ai sensi dell’art. 18 della legge 20 maggio 1970 n. 300, nel testo precedente la riforma di cui alla legge 28 giugno 2012 n. 92, nella specie applicabile ratione temporis, il datore di lavoro è tenuto in ogni caso a ricostruire la posizione contributiva del lavoratore, sì che essa non abbia soluzione di continuità, ed, in caso di licenziamento dichiarato inefficace o nullo, è altresì soggetto alle sanzioni civili previste dall’art. 116, comma 8, legge 23 dicembre 2000 n. 388, per l’ipotesi dell’omissione contributiva. In caso invece di licenziamento privo di giusta causa o di giustificato motivo e di conseguente ricostituzione del rapporto con effetti ex tunc, trova applicazione l’ordinaria disciplina della mora debendi in ipotesi di inadempimento delle obbligazioni pecuniarie, ma non anche il regime delle sanzioni civili di cui al cit. art. 116. Per il periodo successivo all’ordine di reintegrazione, in cui il rapporto previdenziale è ricostituito de iure, sussiste l’ordinario obbligo di dichiarare all’Istituto previdenziale e di corrispondere periodicamente i contributi previdenziali, oltre che inizialmente anche il montante dei contributi arretrati, riferiti al periodo di estromissione del lavoratore dal posto di lavoro e calcolati secondo il criterio suddetto, sì che riprende vigore l’ordinaria disciplina dell’omissione e dell’evasione contributiva”.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni Unite, accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese di questo giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Bologna

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