Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 13 gennaio 2014, n. 488
Svolgimento del processo
1 – Con sentenza depositata in data 14 gennaio 2006 il Tribunale di Sassari, che aveva già dichiarato in data 16 ottobre 2002 la cessazione degli effetti civili del matrimonio fra i coniugi G.G. e F.B.M. , rigettava la domanda di assegno da costei avanzata.
In particolare, veniva rilevato che la predetta non aveva dimostrato né il tenore di vita goduto durante il matrimonio, né di trovarsi in un deteriore condizione economica, aggiungendosi che nessun rilievo assumeva l’incremento dei redditi del G. nel periodo successivo alla separazione.
1.1 – La Corte di appello di Cagliari – Sez. Dist. di Sassari, con la sentenza indicata in epigrafe attribuiva alla F. , in accoglimento dell’appello dalla stessa proposto, un assegno mensile di Euro 500,00, rilevando, in particolare, che il giudizio in ordine all’adeguatezza dei redditi del coniuge richiedente Rassegno di divorzio doveva tener conto delle potenzialità economiche di entrambe le parti al momento del divorzio, compresi gli eventuali miglioramenti della posizione economica del coniuge nei cui confronti era rivolta la domanda di assegno, qualora risultassero gli sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta durante il matrimonio.
Sotto tale profilo, rilevato che il G. risultava già aver percepito, nell’anno 1997, redditi derivanti sia dall’attività di insegnamento che dall’esercizio della libera professione, si osservava che gli incrementi in seguito verificatesi nella sua posizione reddituale costituivano il prevedibile sviluppo di tali attività.
Veniva quindi osservato che, avendo nell’anno 2002 la F. percepito un reddito pari a circa 20.000 Euro ed avendo il G. registrato entrate pari a circa 60.000 Euro, l’appellante non usufruiva di mezzi adeguati per condurre il tenore di vita agiato desumibile dalla complessiva situazione reddituale dei coniugi, peraltro più cospicua negli anni precedenti, ragion per cui, valutate le rispettive condizioni, si perveniva alla suindicata determinazione dell’assegno.
1.2 – Per la cassazione di tale decisione il G. propone ricorso, affidato a cinque motivi, cui la F. resiste con controricorso, illustrato da memoria.
Motivi della decisione
2 – Con il primo motivo, deducendo falsa applicazione dell’art. 5 della l. n. 898 del 1970, si sostiene che la corte di appello avrebbe omesso di valutare i complessivi redditi della F. , quali risultanti dalle disponibilità patrimoniali acquisite all’esito della divisione dei beni già appartenenti alla comunione legale dei coniugi, disposta con scrittura privata del maggio 1997.
2.1 – Con il secondo mezzo la violazione della norma sopra richiamata viene prospettata in relazione alla mancata ricostruzione del tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, ragion per cui il mero raffronto delle condizioni economiche attuali delle parti, in assenza di quel parametro, comporterebbe la non corretta attribuzione dell’assegno.
2.2 – Viene inoltre sostenuto, con la terza censura, che l’omessa valutazione del contenuto della scrittura privata di divisione dei beni comuni avrebbe comportato, sempre in violazione dell’art. 5 della L. n. 898 del 1970, l’attribuzione e la determinazione dell’assegno senza previo accertamento delle condizioni dei coniugi, nonché del contributo dato dal G. alla formazione del patrimonio della controparte.
2.3 – Con il quarto motivo si deduce la violazione della suddetta norma per aver la corte operato un raffronto fra i redditi del ricorrente per il periodo 1997-2001, valutando, per la F. , la posizione reddituale del solo anno 2002.
2.4 – La disomogeneità dei dati testé richiamati viene posta a fondamento anche della deduzione, con l’ultima censura, di vizio di motivazione.
3 – Il ricorso è infondato.
La doglianza posta alla base del primo motivo, pur attenendo alla necessità di tener conto delle consistenze patrimoniali di entrambi i coniugi, appare priva di rilievo, in quanto il richiamo a una divisione per scrittura privata dei beni già ricadenti nella comunione legale dei coniugi, stante la parità delle quote ideali e l’assenza di qualsiasi elemento dal quale poter desumere che i beni attribuiti non rispecchino i valori spettanti a ciascuna parte, assume un valore del tutto neutro, che non inficia, quindi, il giudizio espresso dalla Corte territoriale in merito alla sperequazione delle posizioni reddituali delle parti che costituisce il dato fondante dell’attribuzione e della liquidazione dell’assegno disposto in favore della F. . Vale bene rimarcare che nessun rilievo risulta avanzato a tale ultimo riguardo, avendo per altro la corte di appello messo in evidenza come il reddito del ricorrente, pari a circa 60.000 Euro, ammontasse a circa il triplo rispetto a quello dell’ex moglie.
3.1 – La seconda censura, inerente all’omessa individuazione del tenore di vita della parti durante il matrimonio, è del pari infondata.
Infatti la sentenza impugnata, dopo aver richiamato gli orientamenti affermati da questa corte in tema di attribuzione e determinazione dell’assegno post-coniugale, ha espressamente applicato il principio
secondo cui il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio può essere correttamente desunto dalle potenzialità economiche dei coniugi, ossia dall’ammontare complessivo dei loro redditi e dalle disponibilità patrimoniali (cfr. Cass., 12 luglio 2007, n. 15610; Cass., 28 febbraio 2007, n. 4764).
3.2 – Il terzo motivo, in buona parte fondato sulla portata della scrittura privata del maggio 1997, risente degli stessi limiti sopra indicati, intro-ducendo per altro, senza che risultino poste in precedenza, questioni di merito, come una (del tutto indimostrata) sperequazione dei valori attribuiti ai condividenti. Laddove, poi, viene invocato il criterio del contributo dato dal G. alla formazione del patrimonio della F. , la deduzione contrasta – indicandosi i beni, ma non i rispettivi valori – con la presunzione che nella divisione la massa venga ripartita nel rispetto delle quote di appartenenza.
La Corte territoriale si è conformata al principio, costantemente affermato da questa Corte, secondo cui l’accertamento del diritto all’assegno divorzi-le va effettuato verificando l’inadeguatezza dei mezzi del coniuge richiedente, raffrontati ad un tenore di vita analogo a quello avuto in costanza di matrimonio e che sarebbe presumibilmente proseguito in caso di continuazione dello stesso o quale poteva legittimamente e ragionevolmente configurarsi sulla base di aspettative maturate nel corso del rapporto.
Vale bene per altro ribadire che, con riguardo alla quantificazione dell’assegno di divorzio, deve escludersi la necessità di una puntuale considerazione, da parte del giudice che dia adeguata giustificazione della propria decisione, di tutti, contemporaneamente, i parametri di riferimento indicati dall’art. 5 della legge 1 dicembre 1970, n. 898, come modificato dall’art. 10 della legge 6 marzo 1987, n. 74, per la determinazione dell’importo spettante all’ex coniuge, anche in relazione alle deduzioni e alle richieste delle parti, salva restando la valutazione della loro influenza sulla misura dell’assegno (Cass., 16 maggio 2010, n. 10210).
3.3 – Il quarto e il quinto motivo, che possono essere esaminati congiuntamente in considerazione della loro intima connessione, sono in parte inammissibili ed in parte infondati.
Sotto il primo profilo deve rilevarsi che, nel denunciare l’esame di dati non omogenei con riferimento alle posizioni reddituali delle parti (anni 1997 – 2001 per il G. , anno 2002 per la F. ), il ricorrente non considera che nella decisione impugnata la valutazione dei redditi del primo sotto il profilo diacronico viene effettuata allo scopo di verificare se i miglioramenti economici intervenuti nella sfera dell’onerato, secondo l’insegnamento di questa Corte, costituiscano sviluppi naturali e prevedibili dell’attività svolta dallo stesso durante il matrimonio.
Quando poi la corte territoriale pone a raffronto le rispettive condizioni reddituali delle parti, valuta, per entrambe, quelle riferibili all’anno 2002, ponendo in evidenza, da un lato, il reddito della F. (Euro 20.000 netti) e, dall’altro, quello del G. , ammontante complessivamente a circa Euro 60.000 netti e derivante sia da lavoro dipendente, che dall’esercizio della libera professione. Viene quindi rilevata una sproporzione tale da giustificare, tenuto conto della evidenziata inadeguatezza dei mezzi della prima, nonché della oggettiva impossibilità, anche per l’età ormai avanzata, di procurarseli, considerata anche la lunga durata della convivenza, l’attribuzione, nel rispetto dei principi che regolano la materia, dell’assegno sopra indicato, la cui quantificazione risulta, quindi, sorretta da congrua e adeguata motivazione.
4 – In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Le spese processuali seguono al soccombenza, e si liquidano come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, oltre accessori di legge.
Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità delle parti e dei soggetti menzionati in sentenza.
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