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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI
Sentenza 7 gennaio 2014, n. 273

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. AGRO’ Antonio – Presidente
Dott. SERPICO Francesc – Consigliere
Dott. IPPOLITO F. – rel. Consigliere
Dott. PETRUZZELLIS Anna – Consigliere
Dott. PATERNO’ RADDUSA Benedett – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), n. a (OMISSIS);
contro l’ordinanza del tribunale di Catanzaro, emessa il 06/06/2013;
– letti il ricorso e il provvedimento impugnato;
– udita la relazione del cons. F. Ippolito;
– udita la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale, E. Selvaggi, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) e’ sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere dal luglio 2008 per i reati di cui all’articolo 426 bis c.p., e Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74.
Con sentenza pronunciata il 10 marzo 2010, il giudice dell’udienza preliminare del tribunale di Catanzaro dichiaro’ l’imputato colpevole del reato di cui all’articolo 74, Decreto del Presidente della Repubblica cit., condannandolo alla pena di sedici anni di reclusione, previa esclusione dell’ipotesi di cui al comma 1.
Il 6 aprile 2011, la Corte d’assise d’appello di Catanzaro, in riforma della sentenza di primo grado, escluse l’aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7, rideterminando la pena in otto anni e due mesi di reclusione.
La Corte di cassazione, con decisione del 3 febbraio 2012, annullo’ la sentenza d’appello con rinvio per nuovo giudizio limitatamente alla predetta circostanza aggravante.
2. Nel presente procedimento il difensore dell’imputato ricorre per cassazione avverso il provvedimento del Tribunale di Catanzaro che, ex articolo 310 c.p.p., ha respinto l’appello avverso l’ordinanza datata 18 marzo 2013, con cui la Corte d’assise d’appello aveva rigettato l’istanza volta ad ottenere la dichiarazione d’inefficacia della custodia in carcere per decorrenza dei termini massimi e di fase della custodia cautelare.
Il ricorrente deduce violazione dell’articolo 303, comma 1, lettera c), n. 3, comma 2, e comma 4, lettera b), nonche’ dell’articolo 304 c.p.p., comma 6, e vizio di motivazione per avere i giudici omesso di dichiarare la perdita di efficacia della misura per effetto del superamento dei termini di fase e dei termini massimi di durata della custodia cautelare.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ privo di fondamento e va rigettato.
2. Quanto ai termini di fase, correttamente il Tribunale ha fatto applicazione della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui nell’ipotesi in cui il giudice di legittimita’ abbia disposto l’annullamento con rinvio limitatamente all’esclusione di una circostanza aggravante in grado d’appello (come nel caso in esame), deve ritenersi che sull’affermazione di responsabilita’ dell’imputato si sia formato il giudicato, con la conseguenza che i termini di custodia cautelare cui deve farsi riferimento sono, ai sensi dell’articolo 303 c.p.p., comma 1, lettera d), seconda parte, quelli stabiliti per la durata massima delle misure cautelari dal quarto comma dello stesso articolo (Cass. Sez. 4, n. 10674 del 19/02/2013, Macri’, 254940; Sez. 6, n. 4971 del 15/01/2009, Mancuso, rv. 242915), e non invece quelli di fase rapportati alla pena in concreto irrogata, secondo l’assunto del ricorrente.
3. Quanto ai termini massimi di durata della custodia cautelare, erra il ricorrente nel ritenere al caso in esame applicabile l’articolo 303 c.p.p., comma 4, lettera b), con la conseguenza che sono decorsi i quattro anni dalla data di decorrenza della custodia cautelare.
Come ha chiarito la giurisprudenza di legittimita’, anche a Sezioni unite, ai fini della determinazione dei termini di durata massima della custodia cautelare relativi al reato di partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti (Decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, articolo 74), del quale e’ espressamente prevista dalla legge la sola pena edittale minima e non quella massima, quest’ultima va individuata in ventiquattro anni di reclusione, secondo la regola generale dettata dall’articolo 23 c.p., comma 1, (Cass. Sez. U, n. 26350 del 24/04/2002, Fiorenti, Rv. 221656).
Ne consegue l’applicabilita’ dell’articolo 303 c.p.p., comma 4, lettera c), che prevede in sei anni il termine massimo quando la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a venti anni.
4. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Manda alla cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

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