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Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 11 luglio 2013, n. 17203

 

Ritenuto in fatto e in diritto

 

1.- Nel mese di gennaio 2003 la s.p.a. SO.BA.RI.T. – Concessionario per la riscossione della Provincia di Lecce – richiese a tutti i clienti di P.A. – consulente del lavoro – la compilazione di un questionario con valore di dichiarazione stragiudiziale, dichiarandosi creditrice del predetto contribuente, senza essere previamente autorizzata dall’interessato ovvero dall’Autorità Garante della protezione dei dati personali.
Allegando tale fatto e deducendo che a causa di quella indebita ingerenza molti clienti avevano preferito chiudere i rapporti rivolgendosi ad altro professionista, P.A. evocò in giudizio dinanzi al Tribunale di Lecce, ai sensi dell’art. 152 d.lgs. n. 196/2003, la predetta società e l’Autorità Garante chiedendo la condanna della s.p.a. SO.BA.RI.T. al risarcimento dei danni (quantificati in Euro 500.000,00) causati dal predetto comportamento.
L’Autorità Garante comunicò di non volersi costituire formalmente mentre la società convenuta – previa autorizzazione del giudice – chiamò in garanzia il Ministero delle Finanze – che si costituì eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva – nonché l’Agenzia delle Entrate.
Con sentenza depositata il 10.10.2007 il Tribunale rigettò la domanda (accogliendo in motivazione l’eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata dal Ministero) giustificando la decisione con un triplice ordine di ragioni: 1) l’articolo 75 bis del D.P.R. n. 602/1973, inserito dall’articolo 1, comma 425 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e sostituito dall’articolo 2, comma 8, del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, che consente ora la richiesta, da parte del concessionario, di dichiarazioni stragiudiziali dei terzi debitori del contribuente, è norma interpretativa, come tale applicabile alle fattispecie sorte in epoca precedente all’intervento legislativo; 2) non si controverte in tema di dati sensibili e l’attività di riscossione dei tributi, anche tramite concessionari, è di rilevante interesse pubblico, sì che il legislatore ha riconosciuto legittimo il trattamento di dati personali utili allo svolgimento delle funzioni istituzionali dirette al predetto scopo; 3) infine, le dichiarazioni stragiudiziali erano disciplinate sin dal 1925 con norme regolamentari e l’attività del concessionario si era ad esse conformata, non essendo condivisibile il giudizio di non pertinenza e di eccedenza contenuto in precedente provvedimento del Garante, anche perché il diritto alla riservatezza (recessivo rispetto all’obbligo costituzionale di concorrere al pagamento dei tributi) non è leso da un’espropriazione presso terzi (Cass., 8239/2003), certamente più invasiva di una richiesta di dichiarazione stragiudiziale.
2.- Contro la sentenza il P. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, illustrati con memoria depositata nei termini di cui all’art. 378 c.p.c.. Resiste con controricorso la s.p.a. Equitalia mentre non hanno svolto difese gli altri intimati (Garante, Ministero E.F., Agenzia delle Entrate).
3.1.- Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 11, co. 1 preleggi – violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 70 bis DPR 602/73 introdotto dall’art. 1, co. 425 l. 311/04 e poi modificato dall’art. 8, co. 1, D.L. 262/06 conv. Con l. 286/06 – falsa/errata applicazione di tali disposizioni di legge da parte del Tribunale di Lecce”.
Formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c. (applicabile ratione temporis): “se l’art. 70 bis DPR 602/73 (dichiarazione stragiudiziale del terzo), introdotto dall’art. 1, co. 425 l. 311/04 e poi modificato dall’art. 8, co. 1, D.L. 262/06, sia norma di interpretazione autentica e perciò avente efficacia retroattiva anche per i fatti verificatisi antecedentemente alla sua entrata in vigore 01/01/05”.
3.2.- Con il secondo motivo il ricorrente denuncia “violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 4, co. 1, lettera B), all’art. 37 nonché all’art. 66, co. 1, d.lgs. 196/03 – falsa/errata applicazione delle stesse da parte del Tribunale di Lecce – violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione agli artt. 3 e 4 D.M. 16/11/00 ed all’art. 18, co. 1 d.lgs. 112/99 – mancata applicazione delle stesse da parte del Tribunale di Lecce”.
Formula il seguente quesito ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “a) se i Concessionari per la Riscossione dei Tributi, esercitando pubbliche funzioni, possono trattare liberamente ed incondizionatamente i dati personali dei contribuenti oppure se essi debbono rispettare gli artt. 20 e 21 d.lgs. 196/03 in virtù della qualificazione, operata dall’art. 66, co. 1 d.lgs. 196/03, della loro attività come di rilevante interesse pubblico; b) se, stante il rilevante interesse pubblico riconosciuto dall’art. 66, co. 1 d.lgs. 196/03 all’attività dei soggetti pubblici diretta all’attuazione delle disposizioni in materia di tributi, anche tramite i Concessionari per la riscossione, si applicano le norme del codice in materia di protezione dei dati personali di cui al d.lgs. 196/03 oppure se, nel sistema normativo generale, il legislatore riconosce la legittimità del trattamento incondizionato di dati personali per lo svolgimento delle funzioni istituzionali nel settore dei tributi”.
3.3.- Con il terzo motivo il ricorrente denuncia: “violazione dell’art. 360, co. 1, n. 3 c.p.c. in relazione all’art. 4, co. 1, lettera B), all’art. 37 nonché all’art. 66, co. 1, d.lgs. 196/03 – falsa/errata applicazione delle predette norme da parte del tribunale di Lecce sotto diverso profilo”.
Formula i seguenti quesiti ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: “a) se i provvedimenti assunti dall’amministrazione finanziaria nell’anno 1925 disciplinassero rapporti e situazioni in via generale ed astratta mediante una regolazione destinata ad incidere funzioni giuridiche di tutti consociati e se pertanto fossero veri propri regolamenti secondo la definizione di cui all’art. 17 l. 400/88; b) se la c.d. dichiarazione stragiudiziale del terzo, richiesta dal Concessionario per la Riscossione dei Tributi all’epoca dei fatti e quindi antecedentemente all’introduzione dell’art. 70 bis D.P.R. 602/73, costituiva uno strumento invasivo della sfera privata del contribuente e, per l’effetto, consisteva in un’attività del Concessionario stesso nient’affatto pertinente ed anzi eccedente i principi normativi (costituzionali e di rango legislativo dell’ordinamento giuridico); c) se la c.d. dichiarazione stragiudiziale del terzo, richiesta dal Concessionario per la Riscossione dei Tributi all’epoca dei fatti, era legittima siccome conforme ad una serie di disposizioni risalenti all’anno 1925; d) se il diritto di ogni cittadino alla riservatezza, garantito dalla costituzione nonché dalla l. 675/96 prima e dal d.lgs. 196/03 poi, recede fino ad essere completamente vanificato di fronte al dovere di ogni cittadino di concorrere al pagamento delle tasse, anch’esso previsto dalla Costituzione”.
4.- Va premesso – avendo il ricorrente denunciato la violazione di norme dettate dal d.lgs. n. 196/2003 – che la disciplina sostanziale applicabile ratione temporis alla concreta fattispecie è quella dettata dalla l. n. 675/1996, essendo stata la richiesta di dichiarazione stragiudiziale inoltrata nel gennaio 2003, mentre la disciplina processuale è quella di cui al d.lgs. n. 196/2003, essendo stato il ricorso depositato nel 2005 (cfr. art. 186 d.lgs. n. 196/2003: “Le disposizioni di cui al presente codice entrano in vigore il 1 gennaio 2004, ad eccezione delle disposizioni di cui agli articoli 156, 176, commi 3, 4, 5 e 6; e 182, che entrano in vigore il giorno successivo alla data di pubblicazione del presente codice. Dalla medesima data si osservano altresì i termini in materia di ricorsi di cui agli articoli 149, comma 8, e 150, comma 2”. La pubblicazione sulla G.U. è avvenuta il 29 luglio 2003).
Il Testo Unico di cui al detto d.lgs., peraltro, ha semplicemente riformulato le norme già dettate, nella materia che qui interessa, dalla l. n. 675/1996, posto che nell’art. 24 del primo sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996.
4.1.- Le norme rilevanti ai fini dell’esame del ricorso sono le seguenti.
L’art. 27 della l. n. 675/1996, avente ad oggetto il “trattamento da parte di soggetti pubblici”, dispone che il trattamento di dati personali da parte di soggetti pubblici, esclusi gli enti pubblici economici, è consentito soltanto per lo svolgimento delle funzioni istituzionali, nei limiti stabiliti dalla legge e dai regolamenti (comma 1) e, comunque, che “la comunicazione e la diffusione dei dati personali da parte di soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento” (art. 27, comma 3. V., ora, art. 19 comma 3, d.lgs. n. 196/2003).
Tale disciplina – in virtù dell’art. 10 d.lgs. n. 135/1999 e, ora, dell’art. 66 d.lgs. n. 196/2003 – è applicabile all’attività dei soggetti pubblici – definita di rilevante interesse pubblico – diretta all’applicazione, anche tramite i loro concessionari, delle disposizioni in materia di tributi, in relazione ai contribuenti.
Gli artt. 20 e 21, richiamati dall’art. 66 d.lgs. n. 196/2003 e invocati dal ricorrente si riferiscono esclusivamente ai dati sensibili e giudiziari. Ipotesi che non ricorre nella concreta fattispecie. L’art. 24 lett. f) d.lgs. n. 196/2003, (nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996) – dettato per i privati e per gli enti pubblici economici ma certamente applicabile anche agli enti pubblici non economici nella parte in cui deroga alla necessità del consenso – prevede che il consenso non è richiesto – fatta esclusione per la diffusione dei dati – se il trattamento “è necessario ai fini dello svolgimento delle investigazioni difensive di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 397, o, comunque, per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, sempre che i dati siano trattati esclusivamente per tali finalità e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, nel rispetto della vigente normativa in materia di segreto aziendale e industriale”.
In applicazione di tale norma deve concludersi che, poiché il pignoramento presso terzi è una forma di esecuzione forzata prevista dall’ordinamento, il creditore procedente agisce sulla base di una posizione giuridica prevista dalla legge, e di conseguenza deve escludersi che possa porre in essere una violazione della legge n. 675 del 1996 a tutela del legittimo trattamento dei dati personali (per una fattispecie analoga cfr. Sez. 3, n. 8239/2003, richiamata dalla sentenza impugnata). Peraltro, neppure è configurabile a carico del terzo che rende la dichiarazione una violazione del segreto professionale (Sez. 3, n. 8239/2003).
Questa Corte ha già precisato anche che “il codice della privacy (d.lgs. 193 del 2003) disciplina in modo diversificato in relazione al tipo di dato il trattamento di dati personali necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria, e, ove si tratti di dati sensibili, ossia inerenti la salute e la vita sessuale, richiede, oltre al consenso dell’interessato, la previa autorizzazione del Garante per la protezione dei dati personali, il quale valuta comparativamente il rango del diritto azionato e di quello protetto dalla disciplina. Non costituisce un dato sensibile, ma un mero dato personale, la semplice appartenenza del soggetto chiamato a deporre alla clientela di un medico specialista, sicché non occorre la previa autorizzazione del Garante per il trattamento di tale dato necessario per far valere o difendere un diritto in sede giudiziaria” (Sez. L, n. 18584/2008, in una fattispecie nella quale, in una controversia tra il dipendente di uno studio medico specialistico nel campo della andrologia e ginecologia ed il professionista, la sentenza di merito aveva ritenuto ammissibile la testimonianza dei clienti dello studio avente ad oggetto le prestazioni lavorative del dipendente, senza necessità di previa autorizzazione del Garante).
L’art. 75 bis del D.P.R. n. 602/1973 – inserito dall’articolo 1, comma 425 della legge 30 dicembre 2004, n. 311 – nel disporre che “il concessionario, prima di procedere ai sensi degli articoli 543 e seguenti del codice di procedura civile, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, anche solo in modo generico, le cose e le somme da loro dovute al creditore”, non ha fatto altro che ribadire la legittimità – nei sensi sopra spiegati – di un’attività prodromica all’esercizio del diritto di agire esecutivamente da parte del concessionario. Peraltro, l’Autorità Garante della protezione dei dati personali – che in passato aveva reputato illecita la prassi, propria di alcune società concessionarie del servizio per la riscossione dei tributi, consistente nel richiedere a terzi creditori informazioni personali sul contribuente, in quanto all’epoca nessuna previsione legislativa o regolamentare attribuiva il potere di effettuare questo tipo di trattamento – anche dopo l’introduzione del cit. art. 75bis aveva sottolineato la necessità di verificare il rispetto del principio di pertinenza e non eccedenza nonché di assicurare che la competente amministrazione impartisse ai concessionari idonee istruzioni.
A questo punto, con decreto legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito, con modificazioni, in legge 24 novembre 2006, n. 286) l’articolo 75-bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, è stato sostituito dal seguente:
Art. 75-bis. – (Dichiarazione stragiudiziale del terzo). 1. Decorso inutilmente il termine di cui all’articolo 50, comma 1, l’agente della riscossione, prima di procedere ai sensi degli articoli 72 e 72-bis del presente decreto e degli articoli 543 e seguenti del codice di procedura civile ed anche simultaneamente all’adozione delle azioni esecutive e cautelari previste nel presente decreto, può chiedere a soggetti terzi, debitori del soggetto che è iscritto a ruolo o dei coobbligati, di indicare per iscritto, ove possibile in modo dettagliato, le cose e le somme da loro dovute al creditore.
2. Nelle richieste formulate ai sensi del comma 1 è fissato un termine per l’adempimento non inferiore a trenta giorni dalla ricezione. In caso di inadempimento, si applicano le disposizioni previste dall’articolo 10 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 471. All’irrogazione della relativa sanzione provvede, su documentata segnalazione dell’agente della riscossione procedente e con le modalità previste dall’articolo 16, commi da 2 a 7, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, l’ufficio locale dell’Agenzia delle entrate competente in ragione del domicilio fiscale del soggetto cui è stata rivolta la richiesta.
3. Gli agenti della riscossione possono procedere al trattamento dei dati acquisiti ai sensi del presente articolo senza rendere l’informativa prevista dall’articolo 13 del codice in materia di protezione dei dati personali, di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 1966”.
Le norme introdotte dal secondo comma sono indubbiamente innovative (la disciplina dell’autocertificazione era, infatti, ritenuta applicabile dalla sola Amministrazione nelle proprie risoluzioni) mentre il terzo comma non fa che ribadire la legittimità del trattamento già desumibile dall’art. 24 lett. f) d.lgs. n. 196/2003, (nel quale sono state trasfuse le norme dettate dagli artt. 12 e 20 l. n. 675/1996).
È da notare, peraltro, che la legge n. 52 del 2006 ha modificato la disciplina dell’espropriazione presso terzi introducendo la possibilità per il debitor debitoris – nelle ipotesi diverse dai crediti di lavoro – di rendere la dichiarazione con raccomandata da inviare al creditore procedente.
Ulteriore conferma di ciò, che – come ha correttamente evidenziato il tribunale nel provvedimento impugnato – la richiesta di una dichiarazione stragiudiziale è certamente meno invasiva (dunque, non eccedente rispetto allo scopo, ai sensi della l. n. 675/1996) di una citazione ex art. 543 c.p.c..
Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità – nella misura determinata in dispositivo – vanno poste a carico del ricorrente.
Copia della presente sentenza sarà trasmessa, a cura della cancelleria, al Garante ai sensi dell’art. 154, comma 6, D.Lgs. n. 196/2003.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre accessori come per legge.

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