Ai fini della concessione del permesso, non è necessario il verificarsi di un singolo grave evento, unico e irripetibile, ma è sufficiente anche una grave situazione cronica perdurante nel tempo, quale la grave malattia psichica di un familiare

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 1 settembre 2016, n. 36329

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CORTESE Arturo – Presidente
Dott. CAVALLO Aldo – Consigliere
Dott. ESPOSITO Aldo – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere
Dott. CAIRO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI TARANTO;
nei confronti di:
(OMISSIS), N. IL (OMISSIS);
avverso l’ordinanza n. 736/2014 TRIB. SORVEGLIANZA di TARANTO, del 03/12/2014;
sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. ANTONIO MINCHELLA;
lette le conclusioni del PG Dott. Antonio Gialanella, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

RILEVATO IN FATTO

Con provvedimento in data 28.04.2014 il Magistrato di Sorveglianza di Taranto concedeva al detenuto (OMISSIS) un permesso ex articolo 30 O.P. di giorni tre.
Tuttavia il P.M. presso il Tribunale di Taranto proponeva reclamo avverso detta concessione, sostenendo che il condannato stava espiando la pena relativa ad un omicidio e che la situazione prospettata non configurava l’ipotesi di cui alla normativa.
Con ordinanza in data 03.12.2014 il Tribunale di Sorveglianza di Taranto rigettava il reclamo suddetto, evidenziando che il permesso era stato concesso a cagione delle condizioni di salute della moglie del detenuto, affetta da un severo quadro psicopatologico, ascrivibile ad una psicosi cronica gravissima con deterioramento cognitivo e turbe del comportamento, caratterizzata da grave disorganizzazione della sfera affettiva e da dispercezioni acute uditive nonche’ da deficit cognitivi ostacolanti la corretta interpretazione della realta’; si sottolineava che il quadro patologico non aveva mostrato segni di miglioramento nel tempo e che, parimenti, il detenuto aveva mostrato un comportamento tale da far comprendere di avere intrapreso un corretto percorso rieducativo, connotato da revisione critica della devianza, rapporti adeguati con gli operatori ed affetto per il figlio di nove anni affetto da epilessia, con propositi di vita positivi e distacco da un illecito sistema di vita. Si richiamava la liberazione anticipata ottenuta dal (OMISSIS) e la corretta condotta tenuta durante altri permessi di necessita’ nonche’ le positive informazioni di polizia.
Avverso della ordinanza proponeva ricorso per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Lecce deducendo la violazione di legge quanto alla concessione del permesso e la mancanza ed illogicita’ della motivazione, ex articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e): si sostiene che il permesso di necessita’ e’ stato concesso al (OMISSIS) sulla scorta della cronicita’ di una patologia che si pone in netto contrasto con il requisito dell’eccezionalita’ della situazione che giustifica la concessione del beneficio medesimo; si contesta, peraltro, che detta patologia di natura psicologica possa considerarsi come rientrante nel requisito della gravita’ e che, al fine che qui interessa, si possano utilizzare i risultati dell’osservazione penitenziaria, utili solo in caso di peri i si premio.
Il P.G. in sede si esprime per il rigetto del ricorso: si fa notare che il permesso di necessita’ e’ un rimedio che umanizza la pena evitando che la afflittivita’ della detenzione si implementi con l’impossibilita’ di essere accanto ai familiari per vicende avverse della vita; si evidenzia che una malattia psichica cronica puo’ ben ricomprendersi nella situazione eccezionale, la quale non deve essere confusa con la situazione unica ed irripetibile; ed ancora si sottolinea che una patologia di carattere psichico puo’ ben considerarsi di particolare gravita’.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso deve essere rigettato.
Per come gia’ detto in precedenza, il detenuto (OMISSIS) ha ottenuto dal Magistrato di Sorveglianza di Taranto un permesso di necessita’ al fine di poter stare accanto, per alcuni giorni, alla moglie la quale e’ affetta da psicosi cronica gravissima con deterioramento cognitivo e turbe del comportamento, caratterizzata da grave disorganizzazione della sfera affettiva e da dispercezioni acute uditive nonche’ da deficit cognitivi ostacolanti la corretta interpretazione della realta’.
La concessione del permesso di necessita’ ha superato anche il vaglio del Tribunale di Sorveglianza di Taranto, innanzi al quale aveva proposto reclamo il P.M.: il menzionato Giudice aveva rilevato che la concessione medesima rispondeva ad una serie di parametri normativamente fissati ed aveva richiamato anche la positivita’ dei risultati dell’osservazione della personalita’ espletata in Istituto di Pena nei confronti del detenuto stesso.
Si duole di questa decisione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Lecce, evidenziando che la situazione concreta – posta alla base del beneficio – si presenta come uno stato cronico della moglie del detenuto, affliggente con una concezione del permesso di necessita’ come atto di natura eccezionale, non replicabile con sistematicita’ e ricorrenza nel tempo; inoltre, lamenta l’applicazione di criteri valutativi (condotta carceraria, revisione critica della devianza) che sano propri dei permessi-premio, ma che non possono incidere sulla decisione afferente un permesso di necessita’.
Il ricorso, seppure introduca alcuni aspetti certamente esatti, non puo’ essere accolto. Quanto agli aspetti correttamente colti dall’Ufficio ricorrente, non vi e’ dubbio che i riferimenti, nell’ordinanza impugnata, al contegno regolare del detenuto possono servire, al piu’, come fattore rafforzativo di una decisione gia’ assunta, poiche’ essi non attengono alla materia del permesso di necessita’: la condotta perseverante del detenuto istante, pur se apprezzata, non rileva in questa sede peculiare, poiche’ il permesso di necessita’ prescinde del tutto dal ravvedimento del condannato, potendo essere concesso anche al detenuto che non abbia tenuto condotta corretta. Non appare inopportuno ripercorrere la storia normativa del beneficio de quo, poiche’ la dinamica legislativa offre conforto all’interpretazione qui sostenuta.
All’epoca dell’elaborazione dell’ordinamento penitenziario erano state segnalate due esigenze di ordine differente: in primo luogo, la necessita’ di dare disciplina legislativa a brevi permessi di uscita dall’istituto penitenziario per gravi esigenze familiari del detenuto; in secondo luogo, l’opportunita’ di attenuare l’isolamento derivante dalla vita carceraria mediante la concessione di brevi uscite destinate a favorire il mantenimento delle relazioni familiari e sociali.
La legge del 1975 non intese, pero’, corrispondere alla seconda delle due esigenze, dato che la previsione relativa a brevi permessi per mantenere vive le relazioni umane – pur se presente nel corso dei lavori parlamentari – non venne mantenuta nel testo poi approvato. La necessita’ di soddisfare gravi esigenze familiari trovo’ invece un chiaro e ben delimitato riconoscimento nell’articolo 30 O.P., comma 1, con il presupposto dell’imminente pericolo di vita del congiunto; peraltro, con il comma 2 del medesimo articolo si consenti’, sia pure “eccezionalmente”, la concessione di analoghi permessi per “gravi ed accertati motivi”. La flessibilita’ dell’espressione indusse la Magistratura ad utilizzare la previsione con un certa ampiezza, per dare risposta, sia pure parziale, ad una serie di necessita’ ritenute meritevoli di considerazione: ma cio’ diede luogo a critiche e preoccupazioni, anche sulla scia di episodi negativi avvenuti grazie a concessioni improprie del beneficio.
Cosi’, a tale situazione intese porre rimedio la L. n. 450 del 1977, che introdusse due innovazioni: anzitutto, modifico’ il comma 2 dell’articolo 30 O.P., consentendo la concessione degli “analoghi permessi” solo “eccezionalmente per eventi familiari di particolare gravita’”. In secondo luogo, riconobbe al P.M. la facolta’ di proporre reclamo avverso il provvedimento di concessione, con effetto sospensivo.
Con queste innovazioni l’istituto del permesso di necessita’ fu definitivamente caratterizzato in modo tale da non consentirne l’utilizzo come strumento del trattamento e da definirlo, invece, quale mero rimedio eccezionale, diretto ad evitare, per finalita’ di umanizzazione della pena, che all’afflizione propria della detenzione si sommasse inutilmente quella derivante all’interessato dall’impossibilita’ di essere vicino ai congiunti, o di adoperarsi in favore dei medesimi, in occasione di particolari avverse vicende della vita familiare.
Un suggello al nuovo assetto normativo venne poi dalla Corte Costituzionale, con la dichiarazione di infondatezza della questione di legittimita’ sollevata circa la limitazione della concedibilita’ agli eventi di natura familiare (Corte Cost., n 77/1984).
Una certa applicazione variegata prosegui’, ma cio’ sino all’introduzione nel 1986 del nuovo istituto del permesso-premio: con questa entrata in vigore si esauri’ la tendenza ad una applicazione piu’ ampia e la caratterizzazione dell’istituto del permesso di necessita’ resto’ indiscussa – in giurisprudenza e nella dottrina – quale strumento di umanizzazione della pena, idoneo a soddisfare soltanto il primo dei due principi enunziati dall’articolo 27 Cost., comma 3.
Cosi’ oggi il permesso previsto dall’articolo 30 O.P. al comma 2 puo’ essere concesso – per espressa disposizione normativa – soltanto eccezionalmente e per eventi familiari di particolare gravita’; detta disciplina e’ particolarmente ristretta, poiche’ possono prendersi in considerazione soltanto “eventi”, e cioe’ fatti storici ben specifici ed individuati, i quali siano di natura familiare e che assumano il carattere della particolare gravita’.
E’ chiaro che il termine di gravita’ sopra richiamato non si riferisce soltanto ad un evento luttuoso o drammatico, ma deve essere inteso come un qualsiasi avvenimento particolarmente significativo nella vita di una persona.
La fattispecie in esame vede la condizione difficilissima della moglie del detenuto, la quale, si ribadisce, e’ affetta da psicosi cronica gravissima con deterioramento cognitivo e turbe del comportamento, caratterizzata da grave disorganizzazione della sfera affettiva e da dispercezioni acute uditive nonche’ da deficit cognitivi ostacolanti la corretta interpretazione della realta’. Si tratta di una condizione che integra una vicenda eccezionale, e cioe’ non usuale, particolarmente grave perche’ idonea ad incidere profondamente nel tratto esistenziale del detenuto e pertanto nel grado di umanita’ della detenzione e nella rilevanza per il suo percorso di recupero. Il contatto con i familiari ed il ruolo della famiglia hanno una incidenza elevatissima e spesso decisiva nella funzione rieducativa della pena: ma, soprattutto, ai fini che qui interessano, si tratta di fattori che incidono sulla umanizzazione della pena, cui appunto e’ rivolto l’articolo 30 O.P..
Con queste premesse diviene arduo condividere l’assunto del ricorso secondo il quale l’attestazione di cronicita’ del severo quadro di psicopatologico della moglie del detenuto sarebbe in un insanabile contrasto con il requisito dell’eccezionalita’ della concessione, poiche’ questa accezione finirebbe per sovrapporre il requisito dell’eccezionalita’ alla nozione di assoluta straordinarieta’ ed irripetibilita’ dell’evento familiare, facendo divenire quest’ultimo sostanzialmente come unico nel suo verificarsi e svuotando di contenuto il valore proposito della norma de qua.
Deve, invece, ritenersi che il permesso di necessita’ vada concesso non in ipotesi di evento unico, bensi’ in ipotesi di vicenda familiare particolarmente grave e non usuale, idonea ad incidere profondamente nella vicenda umana del detenuto e nel grado di umanita’ della stessa sanzione detentiva.
In questa nozione certamente e’ rientrante la grave malattia psicotica che affligge la moglie del detenuto (OMISSIS). Parimenti non puo’ accogliersi la doglianza contenuta nel ricorso e relativa alla inconfenenza di una patologia psicologica rispetto al versante del criterio della particolare gravita’ richiesta dalla norma richiamata: ma cio’ non corrisponde ad un consolidato insegnamento della Corte Suprema, secondo il quale persino i “disturbi della personalita’”, che non sempre sono inquadrabili nel ristretto novero delle malattie mentali, possono rientrare nel concetto di “infermita’”, purche’ siano di consistenza, intensita’ e gravita’ tali da incidere concretamente sulla capacita’ di intendere o di volere, escludendola o scemandola grandemente. Ne consegue che anche anomalie o alterazioni e disarmonie della personalita’ possono presentare i caratteri sopra indicati ed inserirsi in un quadro piu’ ampio di “infermita’”.
Ne consegue che anche la malattia psichica dalla quale e’ affetta la moglie del detenuto istante puo’ rivestire il grado di gravita’ idoneo a ricondurre la fattispecie nell’ambito dell’articolo 30, comma 2, O.P..
Il ricorso deve dunque essere rigettato.
P.Q.M.

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