Corte di Cassazione, sezione I civile,  sentenza 4 gennaio 2017, n. 94

Lo storno dei dipendenti di impresa concorrente costituisce atto di concorrenza sleale allorché sia perseguito il risultato di crearsi un vantaggio competitivo a danno di quest’ultima tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata, svuotando l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti, delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, nonché dell’immagine in sé di operatori di un certo settore. Ne consegue che, al fine di individuare tale animus nocendi, consistente nella descritta volontà di appropriarsi, attraverso un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo dell’impresa concorrente, nessun rilievo assume l’attività di convincimento svolta dalla parte stornante per indurre alla trasmigrazione il personale di quella

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

 sentenza 4 gennaio 2017, n. 94

Svolgimento del processo

1. La Corte d’appello di Venezia, diversamente valutando il materiale probatorio formatosi in prime cure dal Tribunale di Padova, che aveva accolto la domanda di accertamento della concorrenza sleale, con storno di dipendenti, proposta dalla Sweden & Martina SpA nei confronti della Revello SpA, in relazione al periodo temporale 1996-97, condannando quest’ultima società al pagamento di una somma di danaro e ai due terzi delle spese, in totale riforma della sentenza di prime cure, ha respinto la domanda introduttiva del giudizio, con la condanna dell’attrice appellata alle spese del doppio grado.
1.1. Il giudice distrettuale, premessi i principi giurisprudenziali elaborati da questa Corte in ordine alla concorrenza sleale con storno dei dipendenti, ha escluso che gli stessi ricorressero nel caso esaminato, difettando sia il profilo oggettivo che quello soggettivo della fattispecie astratta.
1.2. In particolare, le dichiarazioni rese dai testi, oltre ad apparire generiche, sia in relazione alle offerte formulate ai vari agenti stornati sia ai metodi utilizzati verso costoro, non integrerebbero la prova che i passaggi di personale fossero avvenuti “a seguito di pressioni o induzioni di Revello SpA ovvero con modalità illecite”.
1.3. Al contrario, si era accertato che ben ventuno agenti dell’Area Lazio avevano lasciato la società Sweden & Martina SpA e, nel corso del 1996, altri quattro agenti della zona della Regione Friuli capaci di produrre il 90% del fatturato del 1995, per la quasi totalità costituito dalle vendite della Divisione dentale.
1.4. Secondo il giudice del merito, tali elementi dimostrerebbero che la scelta di interrompere i rapporti da parte degli agenti aveva radici più profonde e svincolate da quei sporadici contatti a cui avevano fatto riferimento i testi escussi, come dimostrava anche il calo del fatturato verificatosi in misure equivalenti anche in altre regioni, diverse dal Lazio (e, particolarmente, nel Friuli, in Sardegna e in Umbria).
1.5. In conclusione, i fatti escluderebbero un qualsiasi nesso causale fra l’uscita degli agenti e la contrazione del fatturato della società attrice.
2. Avverso tale decisione la società Sweden & Martina SpA ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico mezzo, articolato in sette profili, contro cui resiste la Revello SpA, con controricorso.
2.1. Entrambe le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con il detto unico mezzo di cassazione (Contraddittorietà, insufficienza ed illogicità delle motivazioni (art. 360 n. 5 c.p.c.) la ricorrente lamenta che la Corte territoriale, nel prendere in esame la questione, avrebbe confuso la valutazione della sussistenza e correttezza della attività di storno (o del tentativo di storno) con la conseguente determinazione della sussistenza e consistenza delle conseguenze pregiudizievoli da ciò derivanti (ossia la determinazione dei danni).
In tal modo essa avrebbe invertito l’ordine delle valutazioni da compiere: mancando il danno non vi sarebbe stato anche lo storno illecito.
Ma la sentenza risulterebbe viziata sulla base dei passaggi logico-argomentativi seguenti.
1.1. Con il primo profilo (omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), viene censurata la sentenza di appello nella parte in cui non avrebbe valutato in modo coerente ed esaustivo le risultanze processuali decisive costituite dai seguenti fatti: a) il negato passaggio di vari agenti e dipendenti nell’ambito dell’attività d’impresa della concorrente (atteso che il sig. C. e tre dei migliori agenti erano passati alla società convenuta subito dopo la cessazione del rapporto con essa attrice); b) il mancato esame delle testimonianze (R., M., Ro., V. e D.S.) che in modo specifico avrebbero narrato dell’attività di sottrazione alla concorrenza degli agenti già formati e di una parte della rete commerciale dell’impresa, con particolare riferimento alle affermazione del dipendente della società Revello (tale T.) circa la tecnica di acquisizione del personale di vendita già formato da altre società concorrenti, ciò che dimostrerebbe l’esistenza dell’animus nocendi.
1.2. Con il secondo (omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), la sentenza è critica nella parte in cui, ai fini dell’accertamento dell’illecito, ha ritenuto necessario che le nuove condizioni contrattate con l’impresa concorrente fossero più vantaggiose e ha affermato che erano sconosciute le modalità di cessazione del rapporto di lavoro dei collaboratori transitati, essendo ben note quelle relative al sig. C. (e dei tre agenti dell’area Lazio), in relazione alla loro induzione manifestatasi fin dalla partecipazione ad un corso di formazione organizzato dalla società stornante ed accertato mediante investigazione di un’agenzia privata.
1.3. Con il terzo (ancora, omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), la sentenza viene censurata nella parte in cui, ai fini dell’accertamento dell’illecito, non ha tenuto in alcuna considerazione i fatti – capaci di integrare da soli la fattispecie dell’illecito – narrati dal teste R., circa le offerte e le attività svolte dalla concorrente società convenuta e da un suo agente, tale T., mirate all’acquisizione di agenti e collaboratori di altre società e, in particolare, dalla società attrice, pur dopo la loro formazione ed impiego sul mercato, prospettando loro vantaggi organizzativi e di lavoro: testimonianza ritenuta generica dalla Corte territoriale.
1.4. Con il quarto (omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), la sentenza di appello è del pari censurata nella parte in cui, ai fini dell’accertamento dell’illecito, non ha tenuto in alcuna considerazione i fatti narrati dai testi M., Ro., V. e D.S., capaci di integrare da soli la fattispecie dell’illecito, circa le offerte e le attività svolte dalla concorrente società convenuta e da suoi agenti, mirate all’acquisizione di collaboratori della società attrice, prospettando loro vantaggi organizzativi e di lavoro e migliori opportunità economiche.
1.5. Con il quinto (ancora, omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), le critiche del ricorso attengono alla parte in cui, ai fini dell’accertamento dell’illecito, la sentenza di appello non ha tenuto in alcuna considerazione i fatti (sia pure de relato) narrati dal teste M., avendoli appresi da Co., M., R. e P., mai sentiti, neppure in primo grado, ma richiesti della loro escussione sia in prime cure che in appello all’ud. del 23 settembre 2010 (conclusioni).
1.6. Con il sesto (omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), viene censurata la sentenza di appello nella parte in cui, ai fini dell’accertamento dell’illecito, ha considerato priva di riscontri le affermate modalità di cessazione del rapporto di lavoro degli agenti stornati, non risultando neppure sussistente l’affermata (in motivazione) transazione con la società attrice.
1.7. Con il settimo ed ultimo profilo (ma ancora per omessa o viziata motivazione, in relazione alla valutazione di una risultanza processuale decisiva), infine, la sentenza di appello viene censurata nella parte in cui, come conseguenza dell’accertamento dell’illecito, ha escluso un qualunque nesso causale con la lamentata contrazione del fatturato della società attrice, considerato che i dati non sarebbero stati correttamente acquisiti e valutati (l’incremento del fatturato, anche se inferiore agli anni precedenti, non equivaleva affatto a un suo crollo; l’effettiva contrazione di quello relativo alla Regione Lazio; la mancata considerazione della produttività degli agenti e del personale stornato; l’improprietà del paragone con l’andamento della società – non ponderato – in regioni piccole: Friuli, Umbria e Sardegna).
2. I primi sei profili di ricorso, attenendo tutti alla condotta della fattispecie di illecito concorrenziale, devono essere considerati e valutati congiuntamente, per la stretta connessione che ciascuno riveste rispetto agli altri.
3. Va premesso che il sistema processuale di riferimento non è quello in cui si iscrive il vigente art. 360 n. 5 c.p.c. ma, per così dire, il suo “dante causa”, ossia la regula iuris riguardante il vizio di motivazione quale si è consolidata prima del 2012, a seguito della riforma di cui al D. Lgs. n. 40 del 2006.
3.1. Alla luce di tale diritto (pre)vigente ratione temporis (che ha portato questa Corte (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 2805 del 2011) ad affermare che “il motivo di ricorso con cui – ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ. così come modificato dall’art. 2 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 – si denuncia omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, deve specificamente indicare il fatto controverso o decisivo in relazione al quale la motivazione si assume carente, dovendosi intendere per “fatto” non una “questione” o un “punto” della sentenza, ma un fatto vero e proprio e, quindi, un fatto principale, ex art. 2697 cod. civ., (cioè un fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) od anche un fatto secondario (cioè un fatto dedotto in funzione di prova di un fatto principale), purché controverso e decisivo.) i sei profili di doglianza, congiuntamente trattati, risultano fondati e meritevoli di accoglimento.
3.2. Infatti, nel corpo dei menzionati profili, con modalità pienamente autosufficienti, si riportano i fatti estratti dalle dichiarazioni testimoniali che conforterebbero (non implausibilmente) altri fatti (e conclusioni) diverse da quelle ritenute come accertate o probatoriamente raggiunte dalla Corte territoriale, in difformità dalle opposte conclusione del primo giudice (il Tribunale di Padova).
3.3. In particolare, affermando – come ha fatto la Corte territoriale – la genericità dei fatti narrati dai testi esaminati, di contro a quelli aventi contenuti assai specifici (così come risultano dai non contestati lacerti di deposizioni testimoniali), si evidenzia quantomeno il difetto di una sufficiente motivazione, in rapporto ai principi di diritto che devono presiedere all’accertamento dell’illecito concorrenziale in parola.
3.4. In particolare, le contraddizioni tra le risultanze testimoniali, ampiamente riportate nel ricorso (come si è già detto, in modo pienamente autosufficiente) e le affermazioni compiute dalla Corte territoriale, urtano tra di loro e appaiono non tener conto dei principi secondo di diritto cui, se la “contrattazione che un imprenditore intrattenga con il collaboratore del concorrente” attività “in quanto tale legittima” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 5671 del 1998), non lo è, invece, quella di “crearsi un vantaggio competitivo a danno di (altra impresa) tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata, svuotando l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti, delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, nonché dell’immagine in sé di operatori di un certo settore” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20228 del 2013), ossia ponendo in essere una condotta che è possibile qualificare come quello “storno dei dipendenti di impresa concorrente”, che “costituisce atto di concorrenza sleale” (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20228 del 2013).
3.5. Orbene, nella specie, i fatti specificamente denunciati ma anche emersi nel corso dell’istruzione probatoria perché ivi dedotti e accertati (salva la richiesta di ulteriori deposizioni, pure indicate e ribadite nel corso dei due giudizi di merito, ma ritenute inutili in primo grado solo perché le conclusioni ivi erano già apparse raggiunte) non risultano essere stati specificamente analizzati ma semplicemente svalutati “in massa” nella motivazione della sentenza, reiettiva dell’accertamento dell’illecito, sulla base di una presunta mancanza di specificità.
3.6. Così, ad esempio, nella motivazione, non pare aver avuto adeguata considerazione: il tentativo do sottrarre all’impresa ricorrente “non solo un Capo Area ma tutta una rete di genti da questo gestita” (p. 22 del ric., secondo la testimonianza del teste R. ); l’affermazione (non valutata) di un dirigente della società convenuta secondo cui la prassi era quella che “la Sweden li prepara e Revello li acquisisce” (p. 22); l’avvenuta acquisizione da parte della Revello del responsabile dell’Area Lazio della ricorrente (tale sig. C. ) e di altri tre agenti (p. 23 del ric.); l’ammissione di questi ultimi collaboratori della concorrente “ad un corso di formazione… destinato ai distributori di prodotti” dell’altra società (p. 26 del ric.); i vantaggi economici e organizzativi prospettati ai collaborati della società concorrente, capaci di consentire loro la produzione di incrementi di provvigioni ed altre utilità (p. 28 e ss. del ric.).
3.7. A tali fatti, e agli altri che non mette conto di considerare negli ulteriori rilevanti dettagli, non può certo attribuirsi la natura di “estrema genericità” come ha fatto la Corte territoriale (a p. 15 della sentenza) così come, in contrasto con le dette emergenze istruttorie, ha affermato che “vari agenti contattati, nessuno dei quali risulta aver iniziato un rapporto collaborativo con l’impresa appellante” (p. 15 sent.), ossia una circostanza fattuale che pare sostanzialmente ammessa, per non contestazione delle specifiche doglianze svolte con il ricorso odierno, in questa stessa sede, nelle difese della controricorrente.
3.8. E tuttavia, la valutazione di tali fatti, puntuali e specifici (e se non sufficienti da ulteriormente verificare, anche alla luce delle altre testimonianze ritenute ridondanti in prime cure ma che tali non avrebbero dovuto essere reputate, una volta valutate in appello come insufficienti) deve essere svolta tenendo fermo il principio di diritto secondo cui:
“Lo storno dei dipendenti di impresa concorrente costituisce atto di concorrenza sleale allorché sia perseguito il risultato di crearsi un vantaggio competitivo a danno di quest’ultima tramite una strategia diretta ad acquisire uno staff costituito da soggetti pratici del medesimo sistema di lavoro entro una zona determinata, svuotando l’organizzazione concorrente di sue specifiche possibilità operative mediante sottrazione del modus operandi dei propri dipendenti, delle conoscenze burocratiche e di mercato da essi acquisite, nonché dell’immagine in sé di operatori di un certo settore. Ne consegue che, al fine di individuare tale animus nocendi, consistente nella descritta volontà di appropriarsi, attraverso un gruppo di dipendenti, del metodo di lavoro e dell’ambito operativo dell’impresa concorrente, nessun rilievo assume l’attività di convincimento svolta dalla parte stornante per indurre alla trasmigrazione il personale di quella”. (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 20228 del 04/09/2013).
4. L’esame del settimo profilo (che, in caso di accertamento dell’illecito, ha escluso un qualunque nesso causale con la lamentata contrazione del fatturato della società attrice) risulta assorbito in quanto esso consegue solo alla dimostrazione dell’esistenza del fatto generatore di quelle conseguenze.
5. In conclusione, il ricorso deve essere accolto e la causa rinviata, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’appello di Venezia in diversa composizione.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese di questa fase, alla Corte d’Appello di Venezia, in diversa composizione

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