Suprema Corte di Cassazione
S.U.P.
sentenza 20 novembre 2014, n. 47999
Ritenuto in fatto
1. Con ordinanza depositata il 18 dicembre 2013 il Tribunale di Messina, adito in sede di riesame da G.F. contro il provvedimento con cui il locale Tribunale, in composizione collegiale, aveva disposto, il 19 novembre 2013, il sequestro preventivo del 50% delle quote della SICILTEAM srl (per il 20% di proprietà di M.N. , per il 12,50% del G. e per il 5% di B.A. ) nonché il sequestro conservativo di tutti i beni immobili di proprietà dei predetti – per le quote delle quali essi sono titolari – fino alla concorrenza di Euro 2 milioni, confermava il decreto di sequestro preventivo e annullava il provvedimento di sequestro conservativo disponendo “l’immediata restituzione degli immobili all’avente diritto”.
In punto di sequestro preventivo, il Tribunale osservava che sussisteva il fumus commissi delicti, essendosi concretizzato un “quadro indiziario” tale da ritenere esistenti sia i reati di truffa sia i reati societari per i quali il G. è stato rinviato a giudizio. La misura cautelare si inseriva in un contesto scaturito dall’attività investigativa provocata dalle querele presentate da A.A. , socio e legale rappresentante pro tempore della SICILTEAM srl, con le quali veniva chiesta la punizione del G. e di altri soci per attività distrattive e appropriative dei beni della società. Il tutto attraverso una illegittima delibera assembleare che aveva conferito alla Mangano la carica di amministratrice al fine di appropriarsi delle somme depositate sui conti della SICILTEAM srl. Sotto il profilo del periculum in mora, poi, si rilevava che la restituzione delle quote ai titolari avrebbe potuto aggravare le conseguenze del reato, essendo stato accertato che, intervenuta la nomina della Mangano, erano stati stipulati numerosi contratti di vendita di immobili di proprietà della società, anche a favore dei congiunti degli imputati per considerevoli importi, peraltro non sempre congrui rispetto alla natura dei beni.
In punto di sequestro conservativo, ferma risultando la sussistenza del fumus, il Tribunale negava che potesse configurarsi il periculum in mora, perché, alla stregua della documentazione in atti e di quella prodotta in udienza dalla parte civile, non emergevano elementi rivelatori di una situazione di, sia pur parziale, depauperamento del patrimonio personale degli indagati, né era risultata l’esistenza di condotte da cui poter desumere l’eventualità della dispersione del patrimonio o l’intenzione di sottrarsi all’adempimento delle obbligazioni nei confronti della parte civile. La solida consistenza patrimoniale degli imputati rendeva certo il permanere della garanzia patrimoniale, mentre non risultavano segnalati tentativi di dispersione o di occultamento nonostante le reiterate richieste di sequestro conservativo avanzate dalla parti civili.
2. Ricorrono per cassazione contro il provvedimento di annullamento del sequestro conservativo le parti civili A.A. , in proprio e nella qualità di precedente amministratore della società, D.A. , D.T. e S.S. , in proprio e nella qualità di soci, con atto sottoscritto personalmente e dal difensore e procuratore speciale, articolando tre, tra loro connessi, ordini di motivi, non senza puntualizzare che, in base alla giurisprudenza della Corte di cassazione, la parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che, in sede di riesame, abbia revocato il sequestro conservativo richiesto dalla parte civile.
2.1. Con un primo motivo si lamenta violazione della legge processuale penale per avere il giudice a quo del tutto trascurato il periculum in mora, da ravvisare in un giudizio prognostico che faccia fondatamente ritenere che le garanzie del credito possano venir meno o essere disperse per fatti indipendenti dal comportamento del debitore ovvero per comportamenti addebitabili al debitore stesso. Sarebbe stato violato l’art. 316 cod. proc. pen. non avendo il giudice a quo valutato le “evidenti risultanze probatorie” acquisite e, più in particolare, le informative di polizia giudiziaria e la deposizione del maresciallo Di Lorenzo resa all’udienza del 23 ottobre 2013. Il Tribunale avrebbe omesso, dunque, di considerare che:
a) la M. , persona nullatenente, è stata “illecitamente nominata amministratore unico” dagli imputati al fine di evitare ogni loro responsabilità;
b) le condotte degli imputati, che hanno sicuro rilievo, non soltanto ai fini del fumus, ma anche del periculum in mora, sono consistite nella distrazione di 750.000 Euro (con accrediti ai B. , ai G. , etc.), nella “creazione fittizia di spese” a carico della società e sempre a favore di essi, nell’alterazione dei bilanci, nella redazione di verbali e nella nomina della M. ad amministratore, atti tutti, come risulta giudizialmente accertato, “falsi ed illeciti”.
2.2. Con un secondo motivo si deduce illogicità e contraddittorietà della motivazione sul punto concernente la distinzione tra la dispersione del patrimonio societario e la dispersione del patrimonio personale dei soci, come se la prima non avesse diretta incidenza sulla seconda.
2.3. Con il terzo motivo si deduce mancata e contraddittoria valutazione degli atti del processo e, più in particolare: della deposizione del maresciallo D.L. nella quale si afferma che la M. è del tutto ignara delle vicende della società ed è “diretta” dal B. ; che sono state effettuate ripetute operazioni immobiliari a favore di persone direttamente o indirettamente riferibili agli imputati; che sono state distratte somme per circa 750.000 Euro; dell’informativa 23 ottobre 2013 e dei rogiti ad essa allegati che dimostrano atti di disposizione e dispersione del patrimonio della SICILTEAM a favore degli imputati o di soggetti ad essi riferibili; delle tre informative della guardia di finanza allegate dalla difesa di parte civile che dimostrano la “spregiudicatezza” degli atti compiuti dagli imputati.
3. Il procedimento, assegnato alla Seconda Sezione penale, è stato, con ordinanza in data 29 aprile 2014, rimesso alle Sezioni Unite per la risoluzione del contrasto giurisprudenziale concernente la legittimazione della parte civile a ricorrere per cassazione contro il provvedimento di revoca del sequestro conservativo richiesto dalla parte civile ed assentito dall’ordinanza di base.
3.1. Rileva l’ordinanza di rimessione che l’orientamento che ritiene insussistente tale legittimazione si fonda sul disposto dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. che non annovera la parte civile tra i soggetti legittimati, mentre il comma 2 di detto articolo preclude alla detta parte la legittimazione al ricorso diretto in cassazione consentito solo contro i decreti e non contro le ordinanze, come è il provvedimento impositivo del sequestro conservativo. Pure stigmatizzando la “discrasia sistematica” derivante – almeno in apparenza -dalla corrispondente legittimazione a proporre la richiesta di riesame ai sensi dell’art. 318, legittimazione attribuita “a chiunque vi abbia interesse”. Un modello, quello adesso ricordato, che risulta però, nel complessivo assetto codicistico, coerente con l’accessorietà dell’azione civile inserita nel processo penale. Tutto ciò secondo quanto emerge dall’ordinanza della Corte costituzionale n. 424 del 1998 che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità, in riferimento all’art. 24, primo comma, della Costituzione, del “combinato disposto” degli artt. 318, 322-bis e 325 cod. proc. pen., nella parte in cui non consente alcun mezzo di impugnazione alla parte civile contro provvedimento di diniego del sequestro conservativo; secondo una prospettiva informata al favor separationis, non essendo precluso alla parte civile di agire in sede propria per il conseguimento della sua pretesa.
3.2. L’orientamento giurisprudenziale di segno contrario, che riconosce alla parte civile la legittimazione a proporre ricorso per cassazione contro le ordinanze del giudice del riesame che abbiano revocato in tutto o in parte il provvedimento di sequestro conservativo, si basa sulla considerazione che, nonostante l’art. 325, comma 1, non indichi espressamente la parte civile tra i soggetti legittimati a ricorrere per cassazione contro i provvedimenti in materia di sequestro conservativo, deve però ritenersi che tale norma vada interpretata nel contesto complessivo del sistema delle impugnazioni in materia di misure cautelari reali; più in particolare, vada posta in relazione con gli artt. 325, comma 2, e 318 cod. proc. pen. i quali, riconoscendo la legittimazione a proporre la richiesta di riesame o il ricorso diretto per cassazione a chiunque vi abbia interesse, ricomprende fra tali soggetti anche la parte civile che, conseguentemente, deve ritenersi legittimata a proporre impugnazione anche a norma dell’art. 325, comma 1, cod. proc. pen. Senza considerare che escludere la parte civile dalla detta legittimazione si profilerebbe come un precetto contrario al diritto di difesa della parte stessa, e si tradurrebbe, dunque, in un’interpretazione contra Constitutionem.
4. Il Primo Presidente, con decreto in data 30 maggio 2014, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissandone la trattazione per la odierna udienza in camera di consiglio.
Considerato in diritto
1. Il quesito rimesso alle Sezioni Unite concerne la legittimazione della parte civile a ricorrere per cassazione contro il provvedimento di revoca del sequestro conservativo disposto su richiesta della parte civile stessa.
2. Talune considerazioni preliminari anche di ordine sistematico sul regime delle impugnazioni delle misure cautelari reali appaiono indispensabili al fine di dirimere il contrasto giurisprudenziale descritto nell’ordinanza di rimessione.
L’art. 318 cod. proc. pen., inserito nel Capo I del Titolo II, appositamente dedicato al sequestro conservativo, sotto la rubrica “Riesame dell’ordinanza di sequestro conservativo”, stabilisce, al comma 1: “Contro l’ordinanza di sequestro conservativo chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324”. Dal contenuto di tale precetto è derivato l’indirizzo interpretativo, pressoché incontestato, secondo cui anche la parte civile è legittimata a proporre richiesta di riesame contro il provvedimento che ha disposto il sequestro conservativo qualora vi abbia interesse.
Il principio, va subito sottolineato, risulta affermato, ma mai argomentato, nelle decisioni di questa Corte che hanno avuto occasione di richiamarlo – anche per la palese sovrapposizione delle posizioni di legittimazione ai diversi tipi di impugnazione dei provvedimenti concernenti entrambe le misure cautelari reali – esclusivamente al fine di individuare i soggetti legittimati a proporre ricorso per cassazione contro i provvedimenti in materia di sequestro conservativo, così da annoverarvi pure la parte civile. Non pare però che una simile operazione ermeneutica, realizzata attraverso una complessa, quanto artificiosa, comparazione tra i soggetti legittimati al ricorso ordinario e i soggetti legittimati al ricorso diretto possa dirsi riuscita.
In assenza di indicazioni più precise, è presumibile che, quando detto indirizzo riconosce la legittimazione della parte civile ad azionare il riesame ex art. 318 cod. proc. pen., esso si riferisca ai soli casi in cui la richiesta di sequestro conservativo sia stata assentita solo parzialmente dal provvedimento di base.
Dall’esame della norma risulta, per altro, evidente che la legittimazione (come non di rado accade nel sistema del codice di rito) viene – ma solo in apparenza – a coincidere tanto con l’interesse sostanziale tanto con l’interesse all’impugnazione inteso come pregiudizio derivante da un provvedimento (sia pure parzialmente) sfavorevole, anche se è il secondo ad assumere qui un effettivo rilievo giuridico, ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen..
Da tale premessa discende, però, che deve escludersi che la parte civile sia legittimata a richiedere il riesame ex art. 318 cod. proc. pen.. La diversa ipotesi prospettata, infatti, a parte i decisivi ostacoli di ordine strutturale che saranno più avanti evidenziati, trascura che il provvedimento di diniego parziale resta pur sempre un provvedimento di diniego, con la conseguenza che – senza che alcun effetto preclusivo possa avverarsi – la parte civile potrà far valere (ma soltanto) davanti al giudice civile la verifica della legittimità di quel diniego.
Se, dunque, a monte dell’interesse, è esclusa la legittimazione della parte civile a proporre richiesta di riesame, anche l’ordinanza dal contenuto ora ricordato non è impugnabile dalla parte civile (così come non sarebbe impugnabile dal pubblico ministero). Alla parte civile resterebbe allora o l’acquiescenza alla statuizione o la revoca della costituzione di parte civile senza che alcun effetto preclusivo consegua dalla assenza della legittimazione ad impugnare in sede penale il provvedimento di base, in conseguenza dell’estinzione, in caso di revoca, del rapporto processuale civile (arg., sia pure rispetto ad effetti di tipo diverso, da Sez. 6, n. 31320 del 15/04/2004, Di Tria, Rv. 228839).
Una simile conseguenza si ricava dalla inesistenza di ogni potere impugnatorio della parte civile nei confronti del provvedimento di diniego del richiesto sequestro conservativo che la Corte costituzionale ha ritenuto non contrastante con alcuna norma parametro, in virtù del favor separationis che informa i rapporti tra azione civile e processo penale. Si tratterebbe comunque di una scelta interpretativa solo apparentemente irragionevole considerando l’ampio spettro di soggetti legittimati al riesame dell’ordinanza che dispone il sequestro conservativo, qualificati soltanto sulla base dell’interesse e le possibilità concesse alla parte civile di far valere la sua pretesa in sede propria.
Nessun’altra disposizione essendo riscontrabile nel Capo I del Titolo Il che riguardi l’impugnazione concernente il sequestro conservativo, ne consegue che alla parte civile non è conferita alcuna legittimazione alla impugnazione del provvedimento di base che sia per lei (anche se solo in parte) sfavorevole.
3. Ben più articolata appare la disciplina dettata dal Capo II dello stesso Titolo II a proposito dell’altra misura cautelare reale, il sequestro preventivo.
L’art. 322 cod. proc. pen. indica i soggetti legittimati al riesame contro il decreto di sequestro preventivo adottato dal giudice, individuandoli nell’imputato, nel suo difensore, nella persona alla quale le cose sono state sequestrate ed in quella che avrebbe diritto alla loro restituzione.
A sua volta, l’art. 322-bis annovera quali soggetti legittimati all’appello (un mezzo di impugnazione non contemplato per il sequestro conservativo) contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (quindi, anche contro quelle di diniego della misura cautelare) il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, aggiungendo che tali soggetti sono legittimati a proporre appello anche contro il decreto di revoca del sequestro preventivo emesso dal pubblico ministero.
Assai più complesso diviene l’esame della disciplina dettata dal Titolo III rubricato “Impugnazioni”. Non pare dubbio che esso debba riferirsi sia al sequestro preventivo sia al sequestro conservativo, pure dovendosi verificare la compatibilità delle singole disposizioni con le caratteristiche di ciascuna misura e con gli interessi coinvolti dalle diverse tipologie di provvedimenti.
L’art. 324 cod. proc. pen., peraltro richiamato dall’art. 318, disciplina la procedura riguardante il riesame. Stando ad una lettura superficiale, l’unica norma che sembrerebbe riferirsi al solo sequestro preventivo è il secondo periodo del comma 7, in base al quale “La revoca del decreto di sequestro può essere parziale”, e ciò per il dato letterale (decreto e non ordinanza) che chiama in causa il solo sequestro preventivo. Pure se, come si vedrà fra poco, i destinatari degli avvisi per partecipare all’udienza sono indicati nel pubblico ministero, nel difensore ed in chi ha proposto la richiesta senza che la parte civile sia in alcun modo evocata; con la conseguenza che tale norma parrebbe disciplinare le impugnazioni riguardanti il sequestro preventivo ed il sequestro conservativo, sin da ora, però, dettando anche precisi limiti alla partecipazione al giudizio di impugnazione della parte civile.
Ne discende che già il sistema, così come conformato dall’art. 324 cod. proc. pen., rivela l’impossibilità di essere applicato, nel complesso delle sue prescrizioni, al riesame contro ciascuna delle misure cautelari reali.
4. Per tornare davvero in medias res, va subito detto che, in effetti, i problemi di maggior rilievo interpretativo si riscontrano nell’analisi dell’art. 325 cod. proc. pen. che disciplina il ricorso per cassazione, una norma che sicuramente non sembra riferirsi (almeno per una sua parte) al sequestro conservativo. Riguarda solo il sequestro preventivo il comma 2 che, prevedendo il ricorso diretto in cassazione esclusivamente contro il decreto di sequestro emesso dal giudice, non può coinvolgere anche il sequestro conservativo, misura che viene adottata con ordinanza. Un argomento, che è apparso, peraltro, non dirimente, potendo rientrare nella discrezionalità del legislatore la scelta di sottrarre il sequestro conservativo dal regime del ricorso diretto.
Laddove però il legislatore sembra non apprestare tutela di sorta alla parte civile in sede di cassazione (pur, per il momento, trascurando se, a norma dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., l’avviso dell’udienza in cassazione debba essere notificato alla detta parte), è nel precetto dell’art. 325, comma 1, che indica come legittimati a ricorrere per cassazione contro le ordinanze emesse a norma (dell’art. 322-bis e) dell’art. 324 (che sembrerebbe comprendere sicuramente le ordinanze emesse a seguito di riesame contro il provvedimento che dispone il sequestro conservativo) il pubblico ministero (legittimato a richiedere anche tale tipo di sequestro, ma certo non legittimato al riesame), l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione. Un novero di soggetti, quindi, tra i quali non è compresa la parte civile che abbia, a séguito del riesame proposto dal destinatario del provvedimento di sequestro conservativo, subito l’annullamento o la revoca della misura disposta dal provvedimento di base.
5. Una più attenta analisi dell’ordinanza che ha rimesso la questione a queste Sezioni Unite comprova, anzi tutto, che, pur facendosi riferimento a due opposte opinioni incentrate sulla medesima problematica, vale a dire la legittimazione della parte civile a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che abbia posto nel nulla il provvedimento di base, in effetti, gran parte delle prese di posizioni “permissive” quanto alla possibilità per la parte civile di ricorrere per cassazione contro il provvedimento che abbia revocato, in sede di riesame, il sequestro conservativo da tale parte conseguito dal provvedimento di base, concernono violazioni di ordine processuale determinate dall’omesso avviso dell’udienza di riesame, a séguito di richiesta dei soggetti effettivamente legittimati, dell’imputato o di colui che risulti destinatario del sequestro conservativo ovvero di chiunque abbia comunque interesse a proporre l’impugnazione prevista dall’art. 318 cod. proc. pen..
Sotto tale profilo, non pare sussista – e ciò presenta aspetti davvero singolari – alcun contrasto giurisprudenziale anche da parte di quella linea interpretativa che nega che la parte civile sia legittimata a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che abbia revocato il sequestro conservativo; pure se, per la verità, da parte di questa diversa interpretazione, non è indicato il mezzo di tutela a disposizione della parte civile che non sia stata chiamata ad integrare il contraddittorio nel procedimento di riesame. D’altro canto, l’indirizzo giurisprudenziale che non ammette la parte civile a ricorrere per cassazione e che emerge da due sentenze entrambe della Sesta Sezione (precisamente, Sez. 6, n. 20820 del 09/04/2013, Tavaroli, Rv. 256231; Sez. 6, n. 5928 del 31/01/2012, Cipriani, Rv. 252076) neppure propone una problematica di tal genere (probabilmente proprio perché il contraddittorio era stato, nei casi di specie, osservato).
6. Quel che è però significativo considerare è che la giurisprudenza, sin dagli anni novanta, abbia affermato la ricorribilità per cassazione dell’ordinanza di revoca, con riguardo non al contenuto del provvedimento, ma alla violazione del principio del contraddittorio.
Si è così ritenuto, ma facendo esclusivo riferimento a violazioni di carattere formale, che dal richiamo dell’art. 324 all’art. 127 cod. proc. pen., si può inferire che al procedimento di riesame hanno diritto a partecipare anche la parte civile e il suo difensore e che il vulnus arrecato dall’omesso avviso può essere riparato proprio dallo strumento ricavabile dal precetto da ultimo richiamato che è, appunto, il ricorso per cassazione per violazione della legge processuale (Sez. 6, n. 2394 del 02/06/1995, Tirelli, Rv. 202021; Sez. 2, n. 512 del 31/01/1996, Antonelli, Rv. 204763). Una più argomentata decisione ha ritenuto che, a norma dell’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., il procedimento di riesame delle misure cautelari reali si svolge in camera di consiglio “nelle forme previste dall’art. 127” e che l’avviso di fissazione dell’udienza va dato al pubblico ministero, al difensore e a chi ha proposto la richiesta; sennonché una simile limitazione non può valere se non per il caso del procedimento incidentale che si svolga nella fase delle indagini preliminari, nella quale non può ancora essersi costituita la parte civile (almeno per gli effetti che rilevano in questa sede, e, dunque, implicitamente riconoscendo che il modello così congegnato, non può riguardare se non il sequestro preventivo); precisa però che se il procedimento cautelare si svolga dopo la detta costituzione (come avviene – è opportuno precisarlo – soprattutto nel procedimento incidentale contro il provvedimento che abbia disposto il sequestro conservativo), escludere la parte civile dall’udienza camerale di riesame della misura cautelare reale, per di più, adottata a séguito di una sua richiesta (recte, adottata esclusivamente a séguito di una sua richiesta, salvo il caso di sequestro conservativo richiesto dal pubblico ministero) si risolverebbe in una evidente privazione del diritto al contraddittorio; con la conseguenza che l’elenco delle persone cui va dato l’avviso dell’udienza camerale (vale a dire le “persone interessate”), non è tassativa (Sez. 1, n. 4695 del 07/07/1997, Avaltroni, Rv. 208341). L’effetto derivante da tale violazione di legge, più in particolare, dell’art. 178, lettera c), cod. proc. pen. è, dunque – si ripete – il ricorso per cassazione a norma dell’art. 127 dello stesso codice (Sez. 2, n. 11887 del 09/03/2006, Mauri, Rv. 233812; Sez. 2, n. 40831 del 10/10/2007, Eboli, Rv. 237964; Sez. 6, n. 25610 del 17/03/2008, Figini, Rv. 240366).
La giurisprudenza, anche di recente, ha, quindi, fatto appello all’art. 127 per sostenere che la violazione del contraddittorio nel procedimento di riesame avverso l’ordinanza di sequestro conservativo, possa essere rimediata con il ricorso per cassazione a norma del comma 5, in relazione al comma 7, dell’articolo ora ricordato (v. Sez. 5, n. 28092 del 05/04/2013, Nocco, Rv. 256320; Sez. 6, n. 25449 del 03/05/2013, Polichetti, Rv. 255473).
Dunque, questo indirizzo giurisprudenziale, che parrebbe incontestato, afferma:
– che la parte civile è legittimata a proporre riesame ai sensi dell’art. 318, così dando per scontato, che anche il diniego (è da desumere) parziale del sequestro conservativo possa essere oggetto di impugnazione; e ciò nonostante il dictum della Corte costituzionale che ha dichiarato la manifesta infondatezza, in riferimento all’art. 24, secondo comma, della Costituzione, della questione di legittimità del “combinato disposto” degli artt. 318, 322-bis e 325 cod. proc. pen., sollevata nella parte in cui non prevede alcun mezzo di impugnazione contro il provvedimento di diniego del sequestro conservativo; una tesi, quella sopra ricordata, condivisa anche dall’indirizzo che nega alla parte civile la legittimazione a ricorrere per cassazione.
– che, in caso di riesame, alla parte civile deve essere dato avviso dell’udienza in camera di consiglio; e ciò nonostante l’art. 324, comma 7, dopo aver premesso che “il procedimento di riesame si svolge in camera di consiglio”, subito aggiunge che ciò deve avvenire “nelle forme previste dall’art. 127” (quindi, nella forma della camera di consiglio “partecipata”) precisando che “l’avviso della data fissata per l’udienza è comunicata al pubblico ministero e notificata al difensore e a chi proposto la richiesta”.
6.1. Pare fonte di perplessità un indirizzo di tal genere rispetto ad un regime che, pur riferendosi ad entrambe le misure cautelari reali come, del resto, si desume dal Capo VI del Libro IV, intitolato “Impugnazioni”, sembra solo in (minima) parte dettato per il sequestro conservativo, risultando una serie di norme incompatibili con tale misura; e ciò a prescindere dall’esame della questione della ricorribilità per cassazione, ad opera della parte civile, dell’ordinanza che abbia annullato il provvedimento (sempre emesso nella forma dell’ordinanza) che abbia disposto il sequestro conservativo in suo favore.
Basta riflettere sui seguenti riferimenti ermeneutici:
– è davvero singolare – e qui viene in rilievo il profilo strutturale – che la parte che ha richiesto il provvedimento e lo ha conseguito (sia pure parzialmente) possa proporre richiesta di riesame, un mezzo di impugnazione pienamente devolutivo predisposto dal legislatore sin dal suo inserimento nel regime delle misure cautelari (ed ancor prima della ricostruzione di un sistema delle impugnazioni delle misure cautelari reali che avrà luogo solo con l’entrata in vigore del codice di rito) a favore di un soggetto diverso da chi ha attivato la richiesta; il mezzo concesso non potrebbe che essere l’appello, secondo un modello analogo a quello previsto (per le misure cautelari personali dall’art. 310 e) per il sequestro preventivo dall’art. 322-bis (v., sul punto, l’ordinanza della Corte costituzionale n. 426 del 1998, che ha dichiarato manifestamente infondata la questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dell’art. 322-bis cod. proc. pen., nella parte in cui non prevede la facoltà per il pubblico ministero di proporre appello contro l’ordinanza che rigetta l’istanza di sequestro conservativo, nella quale si chiarisce che, mentre il sequestro conservativo è finalizzato alla soddisfazione di interessi patrimoniali, sia pure facenti capo allo Stato, il sequestro preventivo persegue fini pubblicistici, volti alla prevenzione dei reati; ordinanza dalla quale si desume la profonda differenza esistente tra le due tipologie di sequestro e che appare complementare rispetto all’ordinanza Corte cost. n. 424 del 1998 – sulla quale si tornerà ancora fra poco – che ha dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità, in riferimento all’ari:. 24, primo comma, della Costituzione, del “combinato disposto” degli artt. 318, 322-bis e 325 cod. proc. pen., nella parte in cui, pur riconoscendo la legittimazione del danneggiato costituitosi parte civile a chiedere il sequestro conservativo nel processo penale, non prevede che egli possa proporre impugnazione avverso il provvedimento con il quale la sua istanza venga respinta);
– altrettanto singolare è che possa ritenersi applicabile al sequestro conservativo il comma 10 dell’art. 309: una norma che non può riferirsi se non al soggetto controinteressato rispetto a chi ha azionato la richiesta; se ci si riferisse all’ipotetico riesame proposto dalla parte civile ne conseguirebbe l’illogica conseguenza della caducazione della misura;
– la comparazione tra gli strumenti impugnatori di merito rispettivamente in tema di sequestro conservativo e di sequestro preventivo, collocati nei capi dedicati a ciascuna di tali tipologie di sequestro, convince infine della profonda differenziazione esistente nel regime delle impugnazioni predisposto per ciascuna delle misure cautelari reali.
Per il sequestro conservativo, Kart. 318 (intitolato “Riesame del sequestro conservativo”) prevede che contro l’ordinanza di sequestro conservativo (quindi del provvedimento che lo concede in tutto o in parte) “chiunque vi abbia interesse può proporre richiesta di riesame, anche nel merito, a norma dell’art. 324” (comma 1) e che la richiesta di riesame non sospende l’esecuzione del provvedimento. Nonostante i dieta giurisprudenziali (talora solo obiter) che attribuiscono alla parte civile la legittimazione a proporre un simile mezzo di gravame, per le ragioni sopra esposte – il che spiega l’ampiezza delle posizioni – la legittimazione va attribuita oltre che all’imputato ed al responsabile civile, anche a chiunque possa vantare un diritto sulla cosa in sequestro e a tutti coloro, compresi i creditori, che possono ricevere pregiudizio dalla misura cautelare (v. Sez. 5, n. 1236 del 05/03/1995, Casana, Rv. 202244; Sez. 6, n. 37 del 09/01/1996, Pluess, Rv. 203818, che ha ritenuto la legittimazione a proporre richiesta di riesame avverso il provvedimento che ha disposto il sequestro conservativo alla società controllante detentrice del pacchetto azionario della società controllata sottoposto alla misura cautelare reale).
Per il sequestro preventivo sono previsti due mezzi di impugnazione: il riesame e l’appello.
Riguardo sia al primo sia al secondo sono specificamente indicati i soggetti legittimati a proporre ciascun mezzo di gravame; più precisamente, possono proporre riesame contro il decreto di sequestro preventivo emesso dal giudice, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione (art. 322); possono proporre appello contro le ordinanze in materia di sequestro preventivo (quindi, non necessariamente contro il provvedimento di base) e contro il decreto di revoca del sequestro emesso dal pubblico ministero, il pubblico ministero, l’imputato e il suo difensore, la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione (art. 322-bis).
6.2. In conclusione, in base alle considerazioni che precedono possono trarsi le seguenti conclusioni provvisorie:
a) la parte civile non è legittimata a proporre richiesta di riesame ai sensi dell’art. 318;
b) non dovrebbe essere neppure legittimata ad essere avvisata di tale procedimento, stando al regime derogatorio (rispetto a quello contemplato dall’art. 127) previsto dall’art. 324, comma 6, cod. proc. pen., che indica quali destinatari degli avvisi di udienza il pubblico ministero, il difensore e chi ha proposto la richiesta, senza che il richiamo alle “forme previste dall’art. 127” possa indicare un modello diverso ed ulteriore rispetto alla forma del procedimento camerale partecipato;
c) la non esaustività delle risposte fornite dalla Corte di cassazione sul punto e la privazione di ogni diritto di difesa per la parte civile potrebbe indurre a porre in discussione (nonostante quello che può ormai definirsi “diritto vivente”) la legittimità dell’art. 324, comma 6, nella parte in cui esclude la parte civile fra i soggetti destinatari degli avvisi della data stabilita per il procedimento di riesame. Ma la questione sarebbe del tutto irrilevante nel caso di specie, proprio in presenza dell’ora ricordato “diritto vivente” che ormai, per la giuridica necessità che anche nel procedimento incidentale sia pienamente osservato il principio del contraddittorio, così da consentire pure alla parte civile il diritto di essere avvisata del procedimento di riesame, seguendo il dictum – per la verità alquanto approssimativo – risultante dalle decisioni di questa Corte più volte rammentate, resta comunque l’espressione di un principio di diritto non più discutibile. Un principio, quello adesso ricordato, da valere anche per il giudizio di cassazione considerato, anche qui, il rito da osservare per i ricorsi in materia di misure cautelari reali (cfr. Sez. U, 06/11/1992, Lucchetta).
7. Rilevato, dunque, che le questioni sopra prospettate (se si eccettui la problematica riguardante le soggettività effettivamente legittimate al riesame ex art. 318 cod. proc. pen.) acquistano una proiezione puramente sistematica ed ormai, sul piano ermeneutico, hanno la mera funzione di storicizzare il regime di tutela endoprocedimentale nel sistema delle impugnazioni contro i provvedimenti in materia di misure cautelari reali, può ora passarsi all’esame del contrasto giurisprudenziale evidenziato dall’ordinanza di rimessione.
A quel che consta, la decisione che per prima ha chiamato in causa direttamente l’art. 325 cod. pen., ed ha, quindi, riconosciuto la parte civile come legittimata a proporre ricorso per cassazione non fondato esclusivamente su motivi formali contro il provvedimento di annullamento, da parte del tribunale del riesame, dell’ordinanza che aveva disposto il sequestro conservativo, sembra attestarsi, nonostante l’evocazione della norma sopra ricordata, alla medesima linea di tendenza che aveva ritenuto la parte civile legittimata a far valere, con il ricorso per cassazione, l’osservanza del principio del contraddittorio. Essa infatti si limita a richiamare una delle prime decisioni (precisamente Sez. 6, n. 2394 del 21/06/1995, Tirelli, Rv. 202020), rilevando che “questa Corte ha affermato, in fattispecie analoga a quella in esame, che dal combinato disposto degli artt. 325, comma 2, e 318 cod. proc. pen., che attribuisce la legittimazione a proporre richiesta di riesame contro il provvedimento di sequestro conservativo a chiunque vi abbia interesse, si desume che la parte civile può presentare direttamente ricorso per cassazione e conseguentemente che può proporre ricorso ex art. 325, comma 1, cod. proc. pen.”. Osservando, ancora, che “escludere la legittimazione della parte civile a proporre ricorso per cassazione in materia di sequestro conservativo […] risulterebbe lesivo del diritto di difesa della parte stessa”; con la conseguenza che una simile interpretazione, non conforme al dettato costituzionale, non potrebbe comunque trovare accoglimento (Sez. 5, n. 5021 del 17/12/2003, dep. 2004, Feola, Rv. 228071).
Già questa decisione, comprovando il carattere tralaticio della linea interpretativa favorevole alla soluzione positiva, si presta subito ad essere agevolmente falsificata. Anzi tutto, la sentenza richiamata si riferiva alla sottrazione della parte civile al procedimento di riesame escludendola dal diritto all’avviso. Il richiamo, poi, al “combinato disposto” degli artt. 325, comma 2, e 318 cod. proc. pen., si scontra con due considerazioni ostative alla praticabilità della soluzione permissiva. La prima sta nel ritenere che la parte civile sia legittimata a proporre richiesta di riesame, una proposizione smentita dalla tipologia di gravame al quale – come anticipato – non può certo ritenersi legittimato il soggetto che ha avanzato l’istanza; la seconda nell’affermare che chiunque vi abbia interesse sia legittimato al ricorso diretto per cassazione: un argomento smentito dal precetto dell’ultimo periodo dell’art. 325, comma 2, dal quale si desume che i soggetti legittimati a proporre il ricorso per cassazione non possano identificarsi con “chiunque vi abbia interesse”, ma si identificano – come autorevole dottrina ha avuto occasione di puntualizzare – in quelli indicati nel comma 1 dell’art. 325, vale a dire nel pubblico ministero, nell’imputato e nel suo difensore, nella persona alla quale le cose sono state sequestrate ed in quella che avrebbe diritto alla loro restituzione, secondo il modulo (non soltanto tipico, ma anche esclusivo) dell’impugnazione contro provvedimenti riguardanti il sequestro preventivo. Un simile modello argomentativo emerge da una più recente decisione la quale, dopo avere obiter premesso, proprio sulla base della decisione sopra richiamata (Sez. 5, n. 5021 del 17/12/2003, cit.), che la parte civile è legittimata a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza del tribunale del riesame che abbia revocato il sequestro preventivo (recte, conservativo) disposto dal giudice per le indagini preliminari su istanza della stessa parte civile, ha annullato la decisione impugnata perché alla parte civile non era stato dato avviso dell’udienza fissata davanti al tribunale del riesame (Sez. 6, n. 25449 del 03/05/2013, Polichetti, Rv. 255473).
Il “combinato disposto” dagli artt. 325, comma 2, e 318 cod. proc. pen. è evocato anche da due decisioni pronunciate sempre dalla Quinta Sezione e pressoché identiche nel contenuto. Tali pronunce, ovviamente, richiamando proprio il decisum delle sentenze sopra ricordate, affermano, criticando il contrario indirizzo interpretativo, che appaiono “più persuasive” le argomentazioni addotte dalle predette decisioni, non senza evocare la lesione del diritto di difesa che deriverebbe dal sottrarre la parte civile dalla legittimazione a ricorrere per cassazione (Sez. 5, n. 37655 del 17/04/2012, Cedis s.p.a., Rv. 254609; Sez. 5, n. 40404 del 17/04/2012, Bosio, Rv. 254552; una soluzione ripresa, con gli stessi argomenti, da Sez. 5, n. 4622 del 07/11/2012, dep. 2013, Dazzi, Rv. 254645). Quel che è decisivo rammentare è che dette sentenze giungono alla conclusione – palesemente priva di ogni corretto riferimento normativo – secondo cui “dal combinato disposto degli artt. 325, comma 2, e 318 cod. proc. pen.”, deriva la legittimazione a proporre richiesta di riesame – avverso il provvedimento di sequestro conservativo – o ricorso diretto per cassazione da parte di chiunque vi abbia interesse (id est, anche dalla parte civile presumibilmente legittimata al riesame ex art. 318 cod. proc. pen.). Con ciò, oltre tutto, ponendosi in diretta rotta di collisione con la giurisprudenza pressoché costante che nega alla parte civile la legittimazione al rimedio di cui all’art. 325, comma 2, contraddetto dal regime dell’alternatività fra ricorso ordinario e ricorso diretto desumibile dal secondo periodo dello stesso comma 2 dell’art. 325. Il tutto muovendo dall’erroneo presupposto che la parte civile sia legittimata a proporre richiesta di riesame, un rimedio – come si è più volte precisato – non consentito. Con conseguente, duplice, erronea applicazione della legge processuale penale.
8. Le argomentazioni provenienti dalla tesi contraria a quella definita “permissiva” (Sez. 6, n. 20820 del 09/04/2013, Tavaroli, Rv. 256231; Sez. 6, n. 5928 del 31/01/2012, Cipriani, Rv. 252076) muovono solo apparentemente da elementi letterali ritenuti dirimenti al fine di escludere la parte civile dalla legittimazione a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza che abbia deciso in senso per lei negativo la procedura del riesame.
I parametri normativi così evidenziati non possono però certamente essere trascurati. Valore davvero significante assume il rilievo che l’art. 325, comma 1, cod. proc. pen, non annoveri la parte civile tra i soggetti legittimati. Sarebbe sufficiente, infatti, il richiamo alla tassatività, anche soggettiva, dell’impugnazione (art. 568, comma 3, cod. proc. pen.), per escludere la parte civile dalla legittimazione a proporre ricorso. Ma la linea interpretativa che esclude da tale legittimazione proprio la parte civile sembrerebbe dare per scontato il principio che dovrebbe, invece, essere contrastato dalla tesi qui propugnata, che la parte civile possa proporre richiesta di riesame contro il provvedimento di base; un inciso che si rivelerebbe sistematicamente come una vera contradictio in adiecto. Tanto più che, così argomentando, potrebbe non sfuggirsi al rischio di istituire (ancora una volta), una sorta di complementarità tra il ricorso diretto per cassazione ed il procedimento di riesame, pur decisamente escludendosi che sia il primo sia il secondo mezzo sia azionabile dalla parte civile.
Superata una simile affermazione (che nel contesto delle due decisioni assume un valore interpretativo davvero marginale), il sistema tutto (a parte le considerazioni “di rinforzo” prima prospettate) rivela la effettiva significazione giuridica del tessuto letterale della normativa in esame. Si spiega, in primo luogo, perché l’art. 325, comma 2, faccia riferimento al “decreto”, mentre i provvedimenti concernenti il sequestro conservativo sono pronunciati solo con ordinanza, così escludendo che il ricorso per saltum sia consentito alla parte civile (un argomento forse imprecisamente inserito, occorrendo solo fare riferimento alla assenza di legittimazione della parte civile a proporre richiesta di riesame ed alla unitarietà, sul piano della legittimazione, tra i due rimedi). La tesi è avvalorata dalla prevalente giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. 5, n. 9759 del 10/02/2009, Bellezza, Rv. 243015; Sez. 6, n. 8804 del 06/02/2009, Tacconi, Rv. 243707; Sez. 6, n. 39010 del 10/04/2013, Baglivo, Rv. 256597), che – nonostante le decisioni prima ricordate – esclude, pressoché costantemente, la parte civile dal ricorso per saltum, anche se adottando una ratio decidendi agli antipodi con quella qui seguita.
La conclusione, con le correzioni sopra riportate, è allora nel senso che viene ad assumere un ruolo determinante il principio del favor separationis, nessun correlativo principio costituzionale risultandone vulnerato. Proprio perché alla parte civile è consentito, revocando la sua costituzione, di rimettere in gioco ogni sua pretesa davanti al giudice civile, considerata la perenzione del procedimento cautelare, non pare evocabile neppure il diritto di difesa, vulnerato dalla impossibilità per la parte civile di ricorrere per cassazione avverso il provvedimento del giudice del riesame che abbia annullato o revocato il provvedimento da lei richiesto.
Tutto ciò, d’altra parte, già emergeva chiaramente dalla ordinanza Corte cost. n. 494 del 1998, più volte richiamata, la quale, dopo aver precisato che l’unica differenza tra sequestro conservativo penale e sequestro conservativo civile sta nell’effetto, conseguente all’attivazione del primo, che i crediti a garanzia dei quali la parte civile ha chiesto e ottenuto il sequestro conservativo si considerano privilegiati (art. 316, comma 4, cod. proc. pen.), nel ritenere conforme a Costituzione un regime come quello predisposto dagli artt. 318 e 325 cod. proc. pen., che non consente alla parte civile di impugnare il provvedimento di diniego del sequestro conservativo in forza sia del favor separationis sia del complementare principio di accessorietà dell’azione civile inserita nel processo penale, ha additato gli strumenti attraverso i quali la parte civile può far valere la sua pretesa anche cautelare, pure dopo la sentenza di primo grado; una prospettiva da ritenere estensibile, per l’eadem ratio, agli strumenti di gravame oggetto del contrasto giurisprudenziale adesso al vaglio di queste Sezioni unite.
9. Tra le soluzioni così prospettate ritengono, quindi, le Sezioni unite di considerare più conforme all’assetto normativo in vigore la tesi che preclude alla parte civile di ricorrere per cassazione contro il provvedimento comunque demolitorio del sequestro conservativo disposto dal provvedimento di base.
Le argomentazioni sono state già ampiamente esposte nell’analizzare le linee di tendenza seguite dalle singole sezioni. Né può farsi carico a questa Corte che, non riconoscendo alla parte civile la legittimazione a ricorrere per cassazione, venga violato il suo diritto di difesa. Proprio la diversità di regime tra sequestro preventivo e sequestro conservativo sta a dimostrare che la pretesa privata debba soccombere rispetto alla pretesa pubblica, lasciando al danneggiato da reato la scelta tra il condizionamento alle regole del processo penale e la possibilità di esercitare l’azione civile in sede propria. Il tutto senza che, del resto, la revoca della costituzione di parte civile e l’esercizio dell’azione civile in sede propria possa in alcun modo pregiudicare le pretese della parte civile, a garanzia della quale resta comunque altresì la speciale disciplina dell’inefficacia degli atti di disposizione compiuti dal colpevole del reato dettata dagli artt. 192 e 193 cod. pen..
10. Ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen., va dunque, affermato il seguente principio di diritto: “La parte civile non è legittimata a ricorrere per cassazione contro il provvedimento che abbia annullato o revocato, in sede di riesame, ai sensi dell’art. 318 cod. proc. pen., l’ordinanza di sequestro conservativo disposto a favore della stessa parte civile”.
11. In conformità al dictum della sentenza costituzionale n. 186 del 2000, considerate le ragioni che hanno determinato la pronuncia ora adottata e che si ricollegano al contrasto giurisprudenziale più volte ricordato, alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso non consegue la condanna al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende.
I ricorrenti vanno, pertanto, condannati solo al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.
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