Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 gennaio 2018, n. 3775. Il reclamo impugnazione può essere proposto dall’amministrazione penitenziaria senza il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.

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Per completezza, si osserva che il Decreto Legge n. 92 del 2014, articolo 2 ha previsto una disciplina transitoria, che riguarda due ulteriori ipotesi.
La prima, che forma oggetto dell’ordinanza della Terza Sezione civile, del 10 aprile 2017, di rimessione degli atti alle Sezioni Unite civili, e’ quella di coloro che, avendo subito il pregiudizio, alla data di entrata in vigore del decreto-legge non si trovino piu’ detenuti o abbiano ormai cessato la custodia cautelare in carcere. In tal caso, la domanda e’ assoggettata alle regole del comma 3 dell’articolo 35-ter Ord. pen., ma il termine di decadenza semestrale decorre dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.
La seconda ipotesi riguarda invece i detenuti e gli internati che, in relazione alla violazione dell’articolo 3 CEDU, abbiano gia’ presentato un ricorso alla Corte di Strasburgo, sul quale non sia intervenuta una pronuncia sulla ricevibilita’. In tal caso, essi devono presentare domanda ex articolo 35-ter Ord. pen. sempre entro sei mesi dalla data di entrata in vigore del decreto-legge.
2.3. Ai fini di interesse, occorre soffermarsi unicamente sulle disposizioni che riguardano l’azione riparatoria proposta dal soggetto in costanza di detenzione, vale a dire ai sensi dell’articolo 35-ter ord. pen., commi 1 e 2.
Infatti, l’articolo 35-ter Ord. pen. disciplina specificamente il procedimento di competenza del giudice civile, di cui al comma 3 – ipotesi che non viene in rilievo nel caso in esame -, e non offre indicazioni procedimentali rispetto all’istanza proposta dal soggetto detenuto.
Come gia’ chiarito dalla giurisprudenza di legittimita’, e pure evidenziato in dottrina, il rimedio risarcitorio di cui all’articolo 35-ter ord. pen., commi 1 e 2, si esplica necessariamente mediante il modello procedimentale delineato dall’articolo 35-bis Ord. pen. (Sez. 1, n. 876 del 16/07/2015, dep. 2016, Ruffolo, Rv. 265856; Sez. 1, n. 46966 del 16/07/2015, Koleci, Rv. 265973). Milita, in tal senso, anche il riferimento operato dalla disposizione di cui all’articolo 35-ter Ord. pen., comma 1, all’articolo 69 Ord. pen., comma 6, lettera b); la norma oggetto del richiamo, invero, stabilisce che il magistrato di sorveglianza, ai sensi dell’articolo 35-bis Ord. pen., provvede sui reclami dei detenuti e degli internati relativi ai pregiudizi all’esercizio dei diritti che derivino dall’inosservanza da parte dell’amministrazione penitenziaria del relativo ordinamento.
Nell’analisi dell’unitario procedimento delineato dall’articolo 35-bis Ord. pen. merita particolare rilievo la giurisprudenza che ha evidenziato come il legislatore abbia utilizzato il medesimo termine “reclamo” sia per identificare l’istanza rivolta dal detenuto al magistrato di sorveglianza (articolo 35-bis Ord. pen., comma 1), sia per indicare l’impugnazione proposta avanti al tribunale di sorveglianza, avverso la decisione resa dal magistrato di sorveglianza (articolo 35-bis Ord. pen., comma 4). La medesima giurisprudenza individua condivisibilmente le peculiarita’ del rimedio ex articolo 35-ter Ord. pen. nella ispirazione solidaristica e nella connotazione pubblicistica dell’istituto introdotto nell’ordinamento con finalita’ non risarcitorie ma riparatorie e di riequilibrio ed in parte compensatrici della lesione della liberta’ rivelatasi ingiusta (Sez. 1, n. 876 del 16/07/2015, dep. 2016, Ruffolo, cit.). Si tratta, infatti, di un’opzione interpretativa del tutto consonante con la richiesta formulata con la sentenza Torreggiani della Corte EDU, di introduzione nell’ordinamento italiano di procedure attivabili dai detenuti per porre fine e rimedio a condizioni di detenzione o a trattamenti carcerari in contrasto con l’articolo 3 CEDU; procedure che devono essere accessibili ed effettive.
2.4. Tali coordinate interpretative consentono di cogliere appieno la portata della disposizione di cui all’articolo 35-bis Ord. pen., comma 3, secondo periodo. La norma stabilisce che il magistrato di sorveglianza, nelle ipotesi di cui all’articolo 69, comma 6, lettera b) – che sono quelle espressamente richiamate dall’articolo 35-ter Ord. pen. -, se accerta la sussistenza e l’attualita’ del pregiudizio, “ordina all’amministrazione di porre rimedio entro il termine indicato dal giudice”.
La circostanza che l’Amministrazione penitenziaria possa essere destinataria delle prescrizioni impartite dal magistrato di sorveglianza, direttamente incidenti sulle modalita’ di gestione dei detenuti, al fine di porre rimedio al protrarsi di condizioni di detenzione in contrasto con l’articolo 3 CEDU, assume peculiare rilevanza nella ricognizione della natura della pretesa sostanziale e del procedimento di cui all’articolo 35-ter Ord. pen..
Invero, il magistrato di sorveglianza ha il compito di verificare l’eventuale compressione del diritto fondamentale della persona, di matrice convenzionale e costituzionale, in base al quale nessuno puo’ essere sottoposto a pene o a trattamenti inumani o degradanti. Il procedimento riparatorio, secondo lo schema delineato dall’articolo 35-bis Ord. pen., comma 1, prevede l’apertura del contradittorio e individua l’Amministrazione penitenziaria quale contraddittore istituzionale, rispetto alla istanza presentata anche personalmente dal detenuto: l’Amministrazione penitenziaria, da un lato, costituisce il plesso amministrativo cui e’ assegnato il compito di realizzare le finalita’ costituzionali del trattamento detentivo; dall’altro, e’ l’organismo che e’ in grado di fornire, tramite i funzionari delle relative articolazioni territoriali che hanno il diritto di comparire avanti al magistrato di sorveglianza – secondo le modalita’ di contraddittorio informale delineate dall’articolo 35-bis Ord. pen., comma 1 – le informazioni utili per la decisione del giudice, come evidenziato dalla Prima Sezione penale (Sez. 1, n. 11249 del 17/11/2016, dep. 2017, Condello, Rv. 269513).
Pertanto: il rimedio risarcitorio ex articolo 35-ter Ord. pen., commi 1 e 2, che viene attivato dal soggetto in costanza di detenzione, si esplica mediante un paradigma procedimentale ispirato a criteri di rapidita’ ed effettivita’ di tutela, nell’ambito di una giurisdizione di prossimita’; e l’Amministrazione penitenziaria interviene nel procedimento che occupa quale titolare, e responsabile, del trattamento dei detenuti.
Detti approdi conducono ad escludere la natura civilista degli interessi di cui l’Amministrazione e’ portatrice – anche rispetto alla tutela della propria immagine esterna – nell’ambito del modello procedimentale delineato dall’articolo 35-bis Ord. pen. Infatti, l’Amministrazione penitenziaria interviene quale plesso amministrativo preposto alla custodia, partecipe della realizzazione delle finalita’ costituzionali della pena, e proprio per questo essa e’ in grado di realizzare l’effettivita’ della tutela che il nuovo strumento e’ volto ad assicurare al detenuto. Nel giudizio di prossimita’ delineato dall’articolo 35-bis Ord. pen., ove il richiedente si duole delle pratiche modalita’ di realizzazione della detenzione, l’Amministrazione penitenziaria interviene, cioe’, oggettivamente nell’esercizio di una funzione pubblica, quale organismo istituzionalmente deputato alla gestione dei detenuti, per un verso offrendo al magistrato di sorveglianza dirette informazioni che riguardano la concreta posizione del detenuto che lamenta condizioni di vita inumane, tali da comprimere un diritto fondamentale della persona durante il tempo di privazione della liberta’ ad opera degli organi dello Stato preposti alla custodia; per altro verso, essendo l’unico soggetto in grado di ripristinare condizioni di legalita’ della detenzione.
La natura pubblicistica della funzione svolta ed il ruolo assunto in concreto dall’Amministrazione penitenziaria sono evenienze che assumono rilevanza anche nella verifica delle modalita’ di partecipazione del soggetto pubblico alla richiamata fase impugnatoria: le considerazioni ora svolte conducono, infatti, ad escludere l’applicabilita’ delle disposizioni che riguardano l’impugnazione proposta per i soli interessi civili (articolo 573 cod. proc. pen.) dalle altre parti private presenti nel giudizio penale, come pure della norma che impone, nei casi da ultimo richiamati, il ministero di un difensore (articolo 100 cod. proc. pen.), per la disomogeneita’ sostanziale dei termini di riferimento.
In assenza di ragioni limitative di ordine sistematico, derivanti dalle forme di partecipazione delle parti private al processo penale, deve osservarsi che proprio il carattere unitario del procedimento giurisdizionale di merito, complessivamente delineato dalle disposizioni di cui all’articolo 35-bis Ord. pen., consente di affermare che la possibilita’ di costituzione informale da parte dell’Amministrazione, espressamente prevista dall’articolo 35-bis Ord. pen., comma 1, nella fase promossa dal reclamo-istanza del detenuto, di competenza del magistrato di sorveglianza, e’ legittima anche nella successiva fase del reclamo-impugnazione, innanzi al tribunale di sorveglianza, a mente del comma 4, dell’articolo 35-bis, citato.

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