Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 gennaio 2018, n. 3775. Il reclamo impugnazione può essere proposto dall’amministrazione penitenziaria senza il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.

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L’evidenziata semplificazione dell’esercizio del contraddittorio, delineata dal combinato disposto dell’articolo 35-bis Ord. pen., comma 1 e articolo 35-ter Ord. pen., comma 1, deve ritenersi immanente nelle fasi di merito del procedimento giurisdizionale di prossimita’ di cui si tratta, compresa la fase del reclamo-impugnazione, che pure apre una fase in cui al tribunale di sorveglianza spetta la rivalutazione del contenuto della prima decisione. Pertanto, risulta deformalizzato, anche in riferimento alle generali previsioni di cui al Regio Decreto n. 1611 del 1933, il potere di reclamo ai sensi dell’articolo 35-bis Ord. pen., comma 4, che puo’ essere esercitato da parte dell’Amministrazione penitenziaria, senza l’assistenza dell’Avvocatura.
Deve quindi affermarsi il seguente principio di diritto:
“Il reclamo-impugnazione di cui all’articolo 35-bis Ord. pen., comma 4, puo’ essere proposto dall’Amministrazione penitenziaria senza il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato”.
3. Esclusa, per quanto detto, la sussistenza di profili di inammissibilita’ del reclamo proposto dall’Amministrazione penitenziaria nella fase di merito del procedimento, si rileva che il ricorso per cassazione, proposto dal Ministero della giustizia, mediante l’Avvocatura generale dello Stato, e’ infondato.
L’Amministrazione afferma che il diritto azionato dal detenuto (OMISSIS), ex articolo 35-ter Ord. pen., con istanza proposta in data 8 luglio 2014, sia da ritenere prescritto, in riferimento al periodo di carcerazione anteriore al quinquiennio decorrente dal 28 giugno 2014, data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014; ovvero dalla data di presentazione dell’istanza di cui si tratta. L’assunto muove dal rilievo che l’azionato diritto al ristoro del pregiudizio da detenzione in condizioni degradate preesisteva al Decreto Legge n. 92 del 2014; e che la relativa azione, di natura risarcitoria ed inquadrabile come forma di responsabilita’ extracontrattuale, fosse esperibile dal detenuto anche prima della introduzione nell’ordinamento penitenziario dell’istituto in esame.
Le Sezioni Unite, nel censire la questione dedotta dalla parte ricorrente, sono chiamate dunque a soffermarsi sul tema della preesistenza, o meno, rispetto alla novella del 2014, del diritto concretamente azionato dal detenuto in costanza di restrizione, ai sensi dell’articolo 35-ter Ord. pen., commi 1 e 2, per condizioni di detenzione disumane e degradanti; e sulla eventuale decorrenza del termine di prescrizione rispetto agli eventi generatori di danno per violazione dell’articolo 3 CEDU, verificatisi prima della entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014.
Restano, di converso, estranei dallo spettro della presente analisi, per difetto di rilevanza, i temi afferenti alla funzione indennitaria o risarcitoria del rimedio ex articolo 35-ter Ord. pen. ed alla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilita’, come pure gli ambiti funzionali dei termini prescrizionali e decadenziali in riferimento alla disciplina transitoria, dettata dal Decreto Legge n. 92 del 2014, articolo 2, temi costituenti oggetto del citato ricorso pendente avanti alle Sezioni Unite Civili della Suprema Corte.
3.1. L’eccezione di intervenuta prescrizione del diritto azionato ex articolo 35-ter Ord. pen. per lo spirare del termine quinquennale, in riferimento ai periodi detentivi anteriori al 28 giugno 2009 ovvero all’8 luglio 2009, e’ destituita di fondamento.
La Corte costituzionale, all’indomani della piu’ volte citata sentenza Torreggiani c. Italia, resa dalla Corte di Strasburgo, ha evidenziato che le autorita’ nazionali avrebbero dovuto creare un ricorso o una combinazione di ricorsi individuali idonei a garantire “una riparazione effettiva delle violazioni della CEDU risultanti dal sovraffollamento”; ed ha rilevato che la riferita esigenza derivava dallo “statuto costituzionale e quello convenzionale del divieto di trattamenti contrari al senso di umanita’” (Corte cost., sent. n. 279 del 2013).
La giurisprudenza di legittimita’, nel chiarire che il rimedio risarcitorio e’ esperibile anche in riferimento a condotte lesive verificatesi prima dell’introduzione dell’articolo 35-ter Ord. pen., ha sottolineato che il Decreto Legge n. 92 del 2014 e la relativa legge di conversione n. 117 del 2014, non hanno riconosciuto un diritto soggettivo in precedenza inesistente. E’, infatti, l’articolo 3 CEDU a riconoscere il diritto del detenuto ad ottenere che l’espiazione della pena non avvenga mediante trattamenti inumani e degradanti, fonte resa esecutiva con legge di ratifica 4 agosto 1955, n. 848, che ha esteso e rafforzato la previsione contenuta nell’articolo 27 della Costituzione (Sez. 1, n. 31475 del 15/03/2017, Zito, Rv. 270841; Sez. 1, n. 9658 del 19/10/2016, dep. 2017, De Michele, Rv. 269308; Sez. 1, n. 876 del 16/07/2015, dep. 2016, Ruffolo, cit.; Sez. 1, n. 46966 del 16/07/2015, Koleci, cit.). D’altra parte non puo’ non evidenziarsi che la previsione convenzionale sul divieto di pene degradanti, come interpretata dalla Corte EDU, si inscrive nel quadro dei principi costituzionali che presiedono al sistema punitivo complessivamente inteso, qualificato dal canone della legalita’ della pena, dal divieto di trattamenti contrari al senso di umanita’ e dal finalismo rieducativo (articolo 25 Cost., comma 2, e articolo 27 Cost., comma 3). E la finalita’ rieducativa della pena risulta frustrata in radice da condizioni di vita intramuraria inumane o degradanti.
Conclusivamente, sul punto, rilevano le Sezioni Unite che il diritto al risarcimento dei danni in capo al soggetto detenuto in condizioni disumane e degradanti, di matrice costituzionale e convenzionale, e’ da ritenere preesistente rispetto alla novellazione del 2014 che ha riguardato l’ordinamento penitenziario.
E non appare revocabile in dubbio che ogni giorno trascorso in condizioni di detenzione disumana e degradante determini il perfezionamento della relativa fattispecie lesiva, da qualificare quale illecito permanente: la detenzione ha una unita’ di misura temporale. E l’articolo 35-ter Ord. pen. individua come parametro per il risarcimento (sia in forma specifica sia per equivalente), ogni giorno trascorso in condizione disumana.
3.2. Tanto chiarito risulta possibile risolvere anche la questione relativa alla decorrenza del termine di prescrizione, rispetto alla lesione di un diritto astrattamente azionabile dal detenuto, pur in mancanza dello specifico strumento di tutela introdotto con l’articolo 35-ter Ord. pen. Il tema prescinde dalla natura contrattuale o extracontrattuale della responsabilita’ ed involge l’applicazione del principio generale di cui all’articolo 2935 cod. civ., in base al quale la prescrizione inizia a decorrere soltanto dal giorno in cui il diritto puo’ essere fatto valere.
Rispetto all’istanza proposta dal soggetto che si trovi in stato di detenzione, in conformita’ allo spettro della presente indagine, e’ allora possibile distinguere due ipotesi: il caso – che viene in rilievo nel presente procedimento – in cui il pregiudizio lamentato riguardi periodi anteriori alla data di entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014; e quello in cui il pregiudizio riguardi periodi di detenzione successivi al 28 giugno 2014.
Soffermandosi in questa sede sul primo caso, occorre ricordare che la Corte Europea, con la citata sentenza Torreggiani c. Italia, non ha omesso di esaminare i rimedi presenti all’epoca nell’ordinamento italiano per far fronte al problema sistemico del sovraffollamento carcerario; ed ha rilevato la non rispondenza ai canoni convenzionali del reclamo al magistrato di sorveglianza ex articoli 35 e 69, Ord. pen., trattandosi di un rimedio “non effettivo nella pratica, dato che non consente di porre fine rapidamente alla carcerazione in condizioni contrarie all’articolo 3 della Convenzione”. Il legislatore nazionale, quindi, nell’emanare il Decreto Legge n. 92 del 2014, ha considerato la “straordinaria necessita’ ed urgenza di ottemperare a quanto disposto dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo nella sentenza dell’8 gennaio 2013 (causa Torreggiani e altri contro Italia), nella quale e’ stato stabilito che lo Stato italiano debba predisporre un insieme di rimedi idonei a offrire una riparazione adeguata del pregiudizio derivante dal sovraffollamento carcerario”. Giova pure ricordare che la Corte costituzionale ha evidenziato che la richiesta proveniente dalla Corte EDU, con la sentenza pilota Torreggiani c. Italia, “deve costituire un indefettibile criterio ermeneutico ai fini della corretta applicazione della disciplina successivamente introdotta dal legislatore” (Corte cost., sent. n. 204 del 2016).

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