Consiglio di Stato, sezione sesta, sentenza 22 febbraio 2018, n. 1121. Il destinatario di un provvedimento non può invocare, come sintomo di eccesso di potere, il provvedimento più favorevole (eventualmente) illegittimamente adottato nei confronti di un terzo che si trovi in analoga situazione

Il destinatario di un provvedimento non può invocare, come sintomo di eccesso di potere, il provvedimento più favorevole (eventualmente) illegittimamente adottato nei confronti di un terzo che si trovi in analoga situazione: un’eventuale disparità non può essere risolta estendendo il trattamento illegittimamente più favorevole ad altri riservato a chi, pur versando in situazione analoga, sia stato legittimamente destinatario di un trattamento meno favorevole.

Sentenza 22 febbraio 2018, n. 1121
Data udienza 21 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Sesta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 7332 del 2014, proposto dalla s.n. c. Go., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e difeso dall’avvocato Ma. Na., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Ma. Co. in Roma, viale (…);
contro
La Provincia Autonoma di Bolzano, in persona del presidente p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Re. Vo. Gu., Ha. Si., Fa. Ca. e Mi. Co., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Mi. Co. in Roma, via (…);
il Comune di (omissis), in persona del Sindaco p.t., rappresentato e difeso dagli avvocati Lu. Ma. ed Al. Ba., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Lu. Ma. in Roma, via (…);
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. – Sezione autonoma della Provincia di Bolzano, n. 151/2014;
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Bolzano e del Comune di (omissis) sulla strada del vino;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 21 dicembre 2017 il Cons. Oreste Mario Caputo e uditi per le parti l’avvocato Ma. Co., l’avvocato An. Re. D’A., in dichiarata delega dell’avvocato Lu. Ma., e l’avvocato Mi. Co.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1. Con la sentenza in epigrafe, il Tribunale regionale di giustizia amministrativa (T.r.g.a.), Sezione autonoma di Bolzano, respingeva i ricorsi riuniti nn. 166/2002, 301/2007, 325/2007 e 357/2013 proposti dall’appellante s.n. c. Go. di Le. Mo. & Co. avverso i provvedimenti adottati dal Comune di (omissis), aventi ad oggetto l’abusivo mutamento di destinazione dell’edificio residenziale insistente sulla p.ed. (omissis) e pp.ff. (omissis) C.C. (omissis).
In particolare con i rispettivi provvedimenti impugnati, il Comune respingeva la domanda di condono (cfr., l.p. n. 15/1995) formulata dalla società; adottava ordinanza di demolizione per le opere abusive concretanti il mutamento di destinazione; emanava – su conforme parere dell’Ufficio paesaggistico provinciale – un ulteriore diniego al rilascio di concessione edilizia in sanatoria (cfr. l.p. n. 6/2004) in considerazione della sopravenuta imposizione del vincolo d’inedificabilità assoluta sull’immobile, ed ordinava, infine, il ripristino della destinazione d’uso di abitazione, vietando lo svolgimento di attività terziarie.
2. I giudici di prime cure fondavano il decisum sulla sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4675/2012, la quale, confermando la sentenza del TRGA n. 356/2011, aveva accertato che la destinazione d’uso dell’edificio fosse da sempre residenziale, respingendo definitivamente il ricorso proposto dalla società ricorrente avverso il diniego dell’istanza di rettifica volta alla modificazione della qualifica della destinazione d’uso da edificio ad uso residenziale – quale, secondo l’assunto dell’istante, erroneamente indicata in progetto – a edificio ad uso turistico (ossia, destinato ad attività terziaria).
3. Appella la sentenza la s.n. c. Go..
Resistono il Comune di (omissis) e la Provincia di Bolzano.
4. Con l’ordinanza istruttoria n. 2862/2017, la Sezione ha chiesto chiarimenti sui nuovi provvedimenti sanzionatori adottati dal Comune, di natura pecuniaria.
4.1 All’esito dei chiarimenti forniti dal Comune di (omissis), attestanti il cumulo delle sanzioni pecuniarie con quelle ripristinatorie, alla pubblica udienza del 21 dicembre 2017 la causa, su richiesta delle parti, è stata trattenuta in decisione.
5. In limine lo scrutinio – prima ancora che del contenuto giuridico – formale e letterale dell’atto d’appello, in ragione dell’esposizione delle questioni in un atto di oltre 62 pagine ed affidato a plurimi motivi di appello non articolati e difficilmente intellegibili, evidenzia la violazione dei principi cui è informato, ai sensi dell’art. 3, comma 2, c.p.a. il processo amministrativo.
I motivi d’appello, a loro volta, sono accomunati nella rubrica delle censure, riproducenti tal quali i motivi d’impugnazione già dedotti in prime cure, dalla seguente stereotipata proposizione: “Erroneamente la sentenza impugnata ha rigettato il motivo (n. 1, 2 e ss…) del ricorso introduttivo”.
5.1 La deduzione delle censure ob relationem, sotto la veste formale d’impugnazione della sentenza, in realtà non è in linea con il principio di specificità dei motivi di censura espressamente previsto dagli artt. 40, comma 2 e 101, comma 1, del codice del processo amministrativo.
5.2 Tuttavia, si deve tenere conto del fatto solo di recente (ossia dopo la redazione dell’atto d’appello) ai principi di sinteticità e chiarezza è stata riconosciuta una precettività processuale, tale da comportare in caso di loro violazione la pronuncia di rito d’inammissibilità (cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 17 gennaio 2017 n. 964).
6. Ritiene la Sezione che – al fine di dare un chiaro senso compiuto alle deduzioni formulate – i motivi d’appello vanno scrutinati per gruppi omogenei di censure proposte avverso altrettanti capi di sentenza.
7. Col primo ordine di motivi d’appello, la società appellante ribadisce che la modifica della destinazione d’uso sarebbe avvenuta in epoca anteriore al 1992, concludendo che erroneamente il TRGA ha negato la sussistenza dei presupposti per l’accoglimento ex l.p. n. 15/1995 dell’istanza di condono.
8. Il motivo è infondato.
8.1 Con la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, n. 4675/2012 è stato definitivamente accertato che fino al 1995 l’immobile ha ricevuto destinazione residenziale e che i contratti di locazione – rispettivamente del 1983 e del 1989 stipulati dalla società con altri operatori commerciali – non provano affatto il contrario.
8.2 Né assumono rilievo le censure di disparità di trattamento assumendo che in casi analoghi il Comune avrebbe rilasciato la concessione in sanatoria.
8.3 In disparte la considerazione che le situazioni giuridiche poste a confronto sono disomogenee, il destinatario di un provvedimento non può invocare, come sintomo di eccesso di potere, il provvedimento più favorevole (eventualmente) illegittimamente adottato nei confronti di un terzo che si trovi in analoga situazione (cfr., Cons. Stato, sez. VI, 10 maggio 2013, n. 2548; Id., sez. VI, 8 luglio 2011, n. 4124). Va ribadito che un’eventuale disparità non può essere risolta estendendo il trattamento illegittimamente più favorevole ad altri riservato a chi, pur versando in situazione analoga, sia stato legittimamente destinatario di un trattamento meno favorevole (cfr., Cons. Stato sez. VI, 5 marzo 2013, n. 2548).
9. La natura di atto dovuto dell’atto impugnato giustifica l’applicazione dell’art. 21 octies l. n. 241/90, deponendo per l’irrilevanza ai fini dell’annullamento dell’atto dei vizi di procedura sollevati dalla società appellante e condivisibilmente disattesi dai giudici di prime cure.
10. Quanto ai motivi d’appello aventi ad oggetto i provvedimenti sanzionatori di ripristino, va rilevato che gli interventi abusivi sono stati realizzati su un immobile insistente su area gravata da vincolo d’inedificabilità assoluta.

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