Corte di Cassazione, sezioni unite penali, sentenza 26 gennaio 2018, n. 3775. Il reclamo impugnazione può essere proposto dall’amministrazione penitenziaria senza il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.

Il reclamo impugnazione può essere proposto dall’amministrazione penitenziaria senza il patrocinio e l’assistenza dell’Avvocatura dello Stato.

Sentenza 26 gennaio 2018, n. 3775
Data udienza 21 dicembre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE PENALI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CANZIO Giovanni – Presidente

Dott. IPPOLITO Francesco – Consigliere

Dott. CONTI Giovanni – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – Consigliere

Dott. VESSICHELLI Maria – Consigliere

Dott. RAMACCI Luca – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. MONTAGNI Andr – rel. Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Ministero della giustizia;
nel procedimento nei confronti di:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso l’ordinanza dell’11/10/2016 del Tribunale di Sorveglianza di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
sentita la relazione svolta dal componente Dott. Andrea Montagni;
lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. CANEVELLI Paolo, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Il Ministero della giustizia, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, ha proposto ricorso per cassazione avverso l’ordinanza del Tribunale di sorveglianza di Firenze indicata in epigrafe con la quale e’ stato respinto il reclamo proposto dall’Amministrazione penitenziaria avverso il provvedimento del Magistrato di Sorveglianza di Pisa che, in accoglimento parziale della istanza presentata dal detenuto (OMISSIS), aveva disposto a titolo di risarcimento del danno, ai sensi dell’articolo 35-ter Ord. pen., una riduzione di ottantasei giorni di pena detentiva ancora da espiare ed Euro 16,00 per compensazione monetaria.
Con unico motivo l’Ufficio ricorrente deduce violazione dell’articolo 35-ter Ord. pen., articoli 2935 e 2947 cod. civ., dolendosi del mancato accoglimento dell’eccezione di intervenuta prescrizione quinquennale del diritto, in riferimento ai periodi detentivi anteriori all’8 luglio 2009. Osserva che erroneamente il Tribunale ha ritenuto che la domanda ex articolo 35-ter Ord. pen. avesse natura indennitaria, anziche’ risarcitoria, e che la prescrizione non potesse decorrere da una data antecedente a quella in cui la pretesa era divenuta azionabile, per effetto del Decreto Legge 26 giugno 2014, n. 92, convertito dalla L. 11 agosto 2014, n. 117.
Si assume che l’istanza ex articolo 35-ter Ord. pen. e’ riconducibile ad un’azione di risarcimento del danno, introdotta per l’ipotesi in cui il detenuto subisca pregiudizi derivanti dalla degradante condizione detentiva; e che la riduzione di pena introdotta dall’articolo 35-ter, costituisce un’ipotesi di risarcimento del danno in forma specifica. Si rileva poi che la novella del 2014 non ha introdotto un nuovo diritto soggettivo precedentemente non azionabile ma ha soltanto innovativamente disciplinato le modalita’ risarcitorie del danno di cui si tratta.
Osserva il Ministero ricorrente che la violazione del diritto ad una detenzione conforme all’articolo 3 CEDU costituisce un danno ingiusto risarcibile ai sensi dell’articolo 2043 cod. civ.; con la conseguenza che tale diritto poteva essere fatto valere anche in data antecedente alla introduzione dell’articolo 35-ter Ord. pen., sicche’ deve ritenersi maturata la prescrizione relativa alla detenzione subita prima del quinquennio anteriore all’entrata in vigore del Decreto Legge n. 92 del 2014.
2. Il Procuratore generale, con requisitoria scritta, ha chiesto il rigetto del ricorso. Osserva che la giurisprudenza di legittimita’ ha chiarito la peculiarita’ dell’istituto introdotto dall’articolo 35-ter Ord. pen., di ispirazione solidaristica e di indubbia connotazione pubblicistica, di talche’ privo di fondamento e’ il richiamo alla disciplina della prescrizione quinquennale stabilita dalle norme che regolano l’esercizio delle azioni civili tra privati, senza alcun rilievo pubblicistico.
3. Con ordinanza del 21 luglio 2017 la Prima Sezione penale ha rimesso il ricorso alle Sezioni Unite per la soluzione della seguente questione di diritto, oggetto di contrasto giurisprudenziale: “se il Ministero della giustizia, ricorrente avverso provvedimento del Tribunale di sorveglianza emesso ai sensi della L. n. 354 del 1975, articoli 35-bis e 35-ter, debba essere condannato al pagamento delle spese processuali ed eventualmente al pagamento di una somma in favore della cassa delle ammende, nel caso di rigetto o d’inammissibilita’ del ricorso, ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen.”.
La Sezione rimettente premette che il ricorso dovrebbe essere rigettato, in conformita’ al consolidato orientamento giurisprudenziale in base al quale il ristoro dei pregiudizi subiti per la detenzione non conforme ai parametri comunitari – prima della introduzione dell’articolo 35-ter Ord. pen. – non poteva essere azionato con la procedura e nelle forme previste ora dalla norma appena citata e non poteva avere il peculiare contenuto costituito dalla riduzione della pena da espiare. Da tanto consegue l’applicazione del principio generale, secondo cui, ai fini del decorso della prescrizione, rileva la possibilita’ legale di esercizio del diritto. Sulla scorta di tali rilievi, la Prima Sezione considera: che il termine prescrizionale del diritto al ristoro, nelle forme e con le modalita’ previste dal Decreto Legge n. 92 del 2014, non poteva decorrere anteriormente all’introduzione del nuovo strumento; e che la prescrizione del diritto, in concreto azionato, non risulta altrimenti maturata.
Tanto premesso, la Prima Sezione osserva che si registra un contrasto nella giurisprudenza in riferimento al regime delle spese processuali, con riguardo alla possibilita’ di pronunciare condanna al pagamento delle spese nei confronti del Ministero della giustizia, ricorrente avverso provvedimento del Tribunale di sorveglianza emesso ai sensi degli articoli 35-bis e 35-ter Ord. pen., la cui impugnazione venga rigettata.
Ad un indirizzo che ritiene applicabili, nella materia di interesse, i principi di diritto espressi in riferimento al procedimento per la riparazione dell’ingiusta detenzione – ove il Ministero delle finanze viene condannato al pagamento delle spese, in caso di rigetto o di declaratoria inammissibilita’ del ricorso proposto avverso l’ordinanza della corte di appello quale giudice della riparazione – si contrappone un diverso orientamento che esclude la condanna alle spese nei confronti del Ministero della giustizia, ritenuto privo della qualita’ di parte privata richiesta dall’articolo 616 cod. proc. pen..
4. Il Primo Presidente, con decreto del 28 luglio 2017, ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’udienza in camera di consiglio del 26 ottobre 2017. Successivamente, con decreto del 10 ottobre 2017, il Primo Presidente ha disposto il rinvio della trattazione del ricorso alla odierna udienza camerale.
5. Il Procuratore generale ha depositato requisitoria scritta. Movendo dai principi affermati dalle Sezioni Unite (Sez. U, n. 34559 del 26/06/2002, De Benedictis, Rv. 222265) in riferimento al procedimento di riparazione per ingiusta detenzione, il Procuratore generale osserva che il ruolo assunto dall’Amministrazione pubblica nel procedimento ex articoli 35-bis e 35-ter Ord. pen. risulta assimilabile a quello del Ministero dell’economia e delle finanze nel giudizio riparatorio, nel quale il Ministero e’ condannato al pagamento delle spese processuali nel caso di rigetto o di declaratoria di inammissibilita’ del ricorso dal medesimo proposto avverso l’ordinanza della corte di appello quale giudice della riparazione. Rileva che, anche nel caso di specie, devono trovare applicazione i principi affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza De Benedictis, con la conseguenza che il sintagma “parte privata” di cui all’articolo 616 cod. proc. pen., comma 1, deve intendersi comprensivo di tutte le parti processuali diverse dal pubblico ministero.
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